TAGLIO CESAREO
. È l'operazione che espleta il parto per la via addominale attraverso un'incisione della parete uterina.
Sulla donna morta il taglio cesareo è stato eseguito fin nei più antichi tempi; codificato nella Lex Regia attribuita a Numa Pompilio fu poi sanzionato dal cristianesimo (San Tommaso d'Aquino nella sua Summa scriveva: "Non debet homo occidere matrem ut baptizet puerum; si tamen mater mortua fuerit, vivente prole in utero, debet aperire ut puer baptizetur"; il Paternò-Trigona, vicario a Catania, nel 1742 invitava a farlo gli stessi parroci, come si trova consigliato da F. E. Cangiamila in Embriologia Sacra, 1751). Ancora oggi il taglio cesareo sulla morta trova indicazione nei casi di feto vivo e vitale (si sono avuti figli vivi anche dopo un quarto d'ora dalla morte).
Meno spesso il taglio cesareo è eseguito sulla donna morente; il cosiddetto taglio cesareo in agone (iniziato da C. Estienne, 1545); lo si sostituisce oggi col parto forzato per le vie naturali.
Sulla donna viva il taglio cesareo viene eseguito nell'interesse del figlio, della madre o di entrambi; si suole riportare la prima estrazione del feto per l'addome al 1500 (fu eseguita dal Nüfer sulla propria moglie; sembra però che si fosse trattato di una gravidanza addominale, ossia non sarebbe stato un vero taglio cesareo); le prime pubblicazioni sono di F. Rousset (1551). La mortalità del taglio cesareo fu all'inizio enorme, né fa meraviglia sol che si pensi che a quell'epoca non si conosceva l'asepsi, non si conoscevano le suture dell'utero né dell'addome; s'interveniva d'altronde nei casi più disgraziati dopo giorni di travaglio inane dopo tentativi di liberazione cruenta per vaginam. Agl'insuccessi dovuti all'infezione peritoneale e alle emorragie trovò modo di opporsi E. Porro (1876), ideando la sua amputazione utero-ovarica, che ben presto s'impose in tutto il mondo e che ancora oggi può trovare indicazione, se pur con tecnica differente da quella del suo creatore. Il Porro, eventrato l'utero, provvedeva all'emostasi con l'applicazione di un laccio di gomma sull'istmo, asportava il viscere a monte e con degli agoni da materassaio infissi in croce manteneva il moncone del collo alla parete addominale fuori della cavità peritoneale. L'operazione di Porro salvò molte vite, ma portava alla demolizione dell'utero e fu presto ristretta a casi sempre più circoscritti, per la successiva affermazione vittoriosa del taglio cesareo conservatore, reso ormai meno pericoloso dall'introduzione delle norme di asepsi e antisepsi, ma soprattutto dall'adozione della sutura dell'utero (M. Saenger, 1882), che finalmente vedeva dalla pratica attuazione svanire tutte le obbiezioni dottrinarie che erano fino allora state oggetto di contesa vivace. Miglioramenti successivi si ebbero con la sistematica eventrazione dell'utero gravido prima dell'incisione, con l'esecuzione del taglio sul fondo in senso trasverso, con l'uso della posizione di Trendelemburg. L'applicazione via via più fortunata e più larga della via laparatomica nelle difficoltà del parto rese necessario escogitare dei procedimenti per i casi d'infezione iniziata del canale genitale. Da qui tutte le varie modalità di taglio cesareo cosiddetto extraperitoneale (H. Sellheim, 1908; W. Latzko, 1908), nelle quali l'incisione sull'utero veniva portata sul segmento inferiore senz'aprire il peritoneo, tecnica possibile per l'espansione che il segmento inferiore subisce in parto. La constatazione dei vantaggi che s'avevano nell'incidere la parte più sottile e declive dell'utero diede motivo in seguito ad adottare tale incisione anche nei casi in cui s'apre la cavità peritoneale; da qui la tecnica oggi più adottata del cosiddetto taglio cesareo transperitoneale soprasinfisario, nel quale non s'estrinseca l'utero; si ripara con garze la cavità peritoneale aperta e s'estrae il feto attraverso un'incisione condotta sul segmento inferiore in senso longitudinale o trasversale, sempre in modo che sia poi possibile coprire la sutura muscolare con un sopragitto sieroso e che resti salvaguardata la possibilità di ulteriori aderenze della ferita con anse intestinali. La tecnica del resto non è univoca dovendo venire adeguata alle esigenze dei singoli casi. Nel taglio cesareo conservatore si può dunque seguire la via transperitoneale o extraperitoneale, eseguendo l'incisione sul corpo o sul segmento inferiore. Nel taglio cesareo demolitore la asportazione dell'utero può essere eseguita a utero ancora pieno o dopo averne estratto il feto; alla prima modalità è stato dato il nome di isterectomia precesarea (Solieri).
I successi operatorî per la madre e per il figlio hanno portato negli ultimi decennî alla sempre più diffusa adozione della via addominale nelle più varie contingenze ostetriche. A questo indirizzo si è arrivati, non solo per la maggiore fiducia via via acquistata nel taglio cesareo, ma anche per la tendenza a voler salvaguardare gl'interessi del feto, prima spesso trascurati, come nella placenta previa, nell'eclampsia, ecc.
Tra le indicazioni più frequenti e giustificate ricordiamo tutti i casi di ostacolo al progredire del feto per la via naturale: bacini viziati, tumori dell'apparato genitale o dello scavo, rigidità invincibili del collo, atresia della vagina, postumi di fistole vescicali. Molteplici le indicazioni cosiddette fetali, in cui troviamo lo sviluppo esagerato e le anomalie di atteggiamento e di presentazione; il prolasso del cordone. Larga applicazione ha avuto pure nella placenta previa, nel distacco di placenta normalmente inserta, nella brevità del funicolo, ecc.; in una parola in tutte le circostanze nelle quali la via addominale offre maggiori garanzie per la vita del feto pur senza includere pericoli per la madre. Forse s'è anche esagerato in questa via: ed è in corso un più sano orientamento ostetrico nel quale va tenuto conto che il taglio cesareo (E. Alfieri) anche nelle migliori statistiche conserva sempre 1,5% di pericoli operatorî e 1,5% di complicazioni a distanza, specie se seguono altre gravidanze. Per il feto è calcolata una mortalità del 5%.