Tagore
Il cantore dell’India moderna
Poeta, scrittore, filosofo e drammaturgo, Rabindranath Tagore è stato il primo letterato indiano moderno a riscuotere una vasta popolarità e considerazione in Occidente. Il suo messaggio di armonia universale ha varcato, infatti, le frontiere del suo paese, grazie anche all’incontro con quella cultura anglosassone da cui tuttavia, in un drammatico momento storico, egli prese le distanze
Rabindranath Tagore, versione anglicizzata del nome Rabindranatha Thakur, nasce a Calcutta nel 1861 e muore a Santi Niketan, vicino la città di Bolpur, nel 1941. Le sue opere, scritte in bengali, furono in parte da lui stesso tradotte in inglese, lingua che egli conosceva molto bene grazie a un periodo universitario trascorso in Gran Bretagna.
Fra le più popolari in Occidente vi è la raccolta di liriche d’amore scritte fra il 1913 e il 1915 e pubblicate sotto il titolo Il paniere di frutta; prendendo spunto da antichi poemi bengalesi, Tagore indaga il rapporto dell’uomo con la divinità e allo stesso tempo con i sentimenti, con il dolore e la ricerca della gioia che si cela «tra la voce del vento e dell’acqua».
Tuttavia la popolarità di Tagore, amico del Mahatma Gandhi e di Einstein, aveva già travalicato i confini della patria con l’uscita di Gitanjali. Offerta di canti (1912), tanto che nel 1913 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura.
Cantore di un’India moderna, indipendente dal modello coloniale di cui pure egli è profondo conoscitore, Tagore ha difeso i propri ideali sia attraverso gli scritti sia assumendo chiare posizioni politiche.
Venuto al mondo in una famiglia di alto lignaggio e di forti tradizioni spirituali e culturali, nel 1877, mentre frequenta l’università, viene mandato a studiare in Inghilterra. Tornato a casa, testimonia questa esperienza nelle Lettere di un viaggiatore in Europa del 1881, e compone anche due drammi musicali, Il genio di Valmiki e Caccia tragica.
Le liriche Canti del mattino e Canti della sera coincidono con l’epoca del suo matrimonio, celebrato nel 1883 con Mrnalini Devi che gli darà cinque figli, ma morirà a soli ventinove anni. La perdita della sposa non è stato l’unico, pesante lutto lungo il cammino dello scrittore.
Nella casa dell’infanzia di Tagore a Jorasanko, fin dall’età di otto anni – secondo il costume indiano che regolava gli sposalizi – aveva abitato anche la promessa cognata Kadambari, giovinetta di raffinata erudizione, gentilezza e bellezza. I due crescono insieme, compagni di giochi e poi inseparabili amici: quando, per obbedire al volere del padre, Rabindranath si trasferisce in un’altra abitazione, con un gesto estremo e sconvolgente per la mentalità induista, Kadambari si suicida. È una tragedia che Tagore non riuscirà mai a togliersi dal cuore, continuando nel tempo a sentirsene intimamente responsabile.
A Bolpur, un centinaio di chilometri distante da Calcutta, dopo aver perduto due figli e composto numerosi drammi fra cui Citra (1892), nel 1901 Tagore fonda una scuola che rispecchia il proprio ideale pedagogico. Qui gli studenti si muovono in libertà, immersi nella natura e, alla maniera dell’India antica, le lezioni consistono in conversazioni e conferenze all’aperto. Tagore pubblica una scelta dei propri interventi nel 1913 con il titolo Sadhana. La vera essenza della vita, in cui definisce il suo pensiero religioso e filosofico, fondato su un panteismo mistico derivante dalle Upanisad (trattati in prosa e versi annessi ai quattro libri dei Veda, i testi sacri dell’induismo) ma non esente da qualche influsso cristiano.
Fin dal principio, l’amore per l’India, per i suoi suoni e profumi, sono al centro della produzione letteraria di Tagore, il quale nel 1915 viene insignito da Giorgio V del titolo di cavaliere della corona inglese. Onorificenza che il poeta riconsegnerà amareggiato nel 1919, dopo che il 13 aprile del medesimo anno ad Amrits le truppe del generale Reginal Dyer aprono il fuoco su una folla radunata per un comizio in una piazza dalle anguste vie di fuga. Cadono 378 persone e i soldati lasciano il luogo della strage (ricordata come il massacro di Jalianwalla Bagh) senza prestare assistenza medica ai 1.200 feriti rimasti a terra.