TAHITI (A. T., 162-163)
Isola della Polinesia, la maggiore per superficie (1042 kmq.) dell'arcipelago della Società, situata a 17° 29′-17° 47′ lat. S. e 149° 9′-149° 36′ long. O. Assai evidente è l'origine vulcanica di Tahiti, che consta di due grandi massicci vulcanici, di forma quasi circolare: l'isola di Tahiti propriamente detta (Tahiti-nui = Tahiti grande) e la penisola di Taiarapu (Tahiti-iti = Tahiti piccola), saldati tra loro dallo stretto (2 km.) istmo di Taravao. I due massicci si innalzano ripidamente dall'Oceano terminando con ampie cavità crateriche o con picchi tormentati e guglie arditissime; il rilievo supera i 2000 m., al centro di Tahiti, nell'Aorai (2065 m.) e nell'Orohena (2237 m.), mentre a Taiarapu raggiunge 1325 m. (monte Niu). Numerosi corsi d'acqua, irradiantisi dal centro di Tahiti e di Taiarapu, scendono al mare, con rapido corso, incidendo il suolo con profonde forre. Il materiale detritico, da essi trasportato, ha formato, tutto intorno all'isola, una fascia alluvionale, la cui larghezza non supera i 3 km., che ricopre il sottostante imbasamento corallino. Tra i corsi d'acqua si ricordano il Fautaua, il Tiperoui, il Papenoo, il Vaihiria, che ha origine dal lago omonimo, e il Punaruu. Una barriera di scogli corallini, interrotta a N., in corrispondenza del porto di Papeete e a SE., nella penisola di Taiarapu, circonda l'isola, a circa un km. di distanza dalla costa.
Il clima, di transizione tra l'equatoriale e il subequatoriale, è caratterizzato da temperature elevate, con escursioni minime, piogge regolari e abbondanti (1135 mm. annui a Papeete), la cui maggiore frequenza corrisponde ai mesi più caldi: si ha quindi una leggiera differenza tra le due stagioni.
Nonostante la percentuale elevatissima di umidità, il clima è salubre anche per i Bianchi.
Prima dell'insediamento degli Europei, che v'introdussero numerose piante, la flora dell'isola era numericamente povera, non contando che 520 specie, compresi i muschi e i licheni. Le piante introdotte, favorite dall'abbondanza delle precipitazioni e dal suolo fertile, si acclimarono con facilità; cosicché Tahiti è ora una delle isole polinesiane più note per la ricchezza e la bellezza della flora. L'interno dell'isola, disabitato e in molte parti ancor poco conosciuto, si ammanta di una fitta coltre boscosa, le cui essenze più comuni sono, oltre a svariatissime felci arborescenti, il legno di rosa, varie specie di ibisco, l'albero del pane, l'igname, il cocco, ecc. Egualmente poco ricca è la fauna originaria che comprende un solo quadrupede, il porco selvatico, poche specie di uccelli, pochissimi rettilli, mentre assai numerosi sono gl'insetti. Le coltivazioni, assai varie, sono limitate alla stretta fascia costiera; oltre al cocco, vi prosperano la manioca, la canna da zucchero, il caffè, il cacao, la vaniglia, un tempo uno dei prodotti principali dell'isola, ora in forte diminuzione per una malattia, che ha distrutto gran parte delle piantagioni, la canna da zucchero, gli agrumi (aranci, limoni e mandarini), molto pregiati, che si esportano nella Nuova Zelanda e a San Francisco, e inoltre manghi, ananas, ecc. Il cotone, la cui coltivazione si era molto estesa al tempo della guerra di secessione, è oggi quasi del tutto scomparso per la scarsezza di mano d'opera, che impedisce anche lo sfruttamento delle zone più elevate dell'isola, dove potrebbero trovare condizioni favorevoli di sviluppo piante di clima temperato.
L'allevamento del bestiame (bovini, capre e maiali), non è sufficiente al consumo locale; notevole importanza ha invece l'allevamento del pollame. Le principali risorse si basano sui prodotti dell'agricoltura, tra cui sono al primo posto la canna da zucchero, che alimenta anche una delle poche industrie dell'isola, la vaniglia e il copra. La pesca, insieme ai prodotti vegetali, fornisce la base dell'alimentazione per gl'indigeni; qualche importanza ha la pesca delle ostriche perlifere. Nel 1930 le esportazioni furono di 39.000.000 di franchi, contro 45.300.000 di importazioni (farina, tessuti, ferro lavorato, ecc.).
La popolazione dell'isola, calcolata da J. Cook, nel 1769, in 200.000 ab., cifra da ritenersi senz'altro esagerata, era ridotta, alla meta del sec. XIX, a circa 12.000 ab., diminuiti ancora a 10.750 nel 1897, nel quale anno la popolazione indigena contava 9300 individui, mentre i Cinesi erano appena 300. Al 1933 in Tahiti vivevano 16.781 abitanti, circa la metà dei quali indigeni più o meno puri. Per l'insufficienza della mano d'opera locale, che ha reso necessaria una forte immigrazione, gli Annamiti e i Cinesi hanno ormai raggiunto la notevole cifra di circa 5000 individui.
Centro principale dell'isola e capitale degli Stabilimenti Francesi d'Oceania è Papeete, situata, in posizione mirabile, all'estremità NO. dell'isola; nel 1933 contava 7061 ab. La popolazione si addensa nella fascia costiera, dove sorgono numerosi piccoli centri tra i quali si ricordano: Port Phaéton, Taravao, Atimaono, Papenoo in Tahiti, Vairau e Teahupoo nella penisola di Taiarapu.
Una strada carrozzabile si snoda lungo la zona costiera allacciando i varî centri.
Tahiti è divisa amministrativamente in 18 distretti; da essa dipendono inoltre l'isola di Moorea (132 kmq.), gl'isolotti di Tetiaroa, di Tubuai Manu e l'isola di Machetia.
Il porto di Papeete è unito alla madrepatria da linee regolari della Compagnie des Messageries Maritimes, che assicurano un servizio via Panamá in circa 50 giorni. L'isola è inoltre unita all'Australia (Sydney), al Chile (Valparaíso), agli Stati Uniti (San Francisco) e alla Nuova Zelanda (Auckland). Le comunicazioni tra le varie isole dell'arcipelago si effettuano per mezzo di navi a vela.
Tahiti, intravvista per la prima volta dal portoghese P. F. de Quiros nel 1606, visitata da S. Wallis nel 1767, quindi nel 1768 da L.-A. de Bougainville, che le diede il nome di Nuova Citera, e nell'anno seguente da J. Cook, fu presto conosciuta in tutto il mondo per il paesaggio incantevole, la ricchezza di vegetazione e la gentilezza dei suoi abitanti. La sua fama attrasse numerosi viaggiatori che ne descrissero le bellezze e anche oggi Tahiti è meta di numerose crociere. (V. tavv. XLI e XLII).
Bibl.: Vedi, oltre alla bibliografia sotto le voci polinesia; polinesiani; L.-G. Seraut, Tahiti et les Établissements français de l'Océanie, Parigi 1906; H. Courtet, Nos Établissements en Océanie, ivi 1911; G. Tihoti, Tahiti, Londra 1921; G. Calderon, Tahiti, ivi 1921; G. Froment-Guicysse, Les Établissements français de l'Océanie. Notre domaine, Londra 1925; Atlas Colonial Français, 1929; Atlas des Colonies Françaises, Parigi 1934; C. Crossland, The Coral Reefs of Tahiti compared with the Great Barrier Reefs, in Geogr. Journ., 1931; R. Parry, Tahiti, Parigi 1936 (raccolta di fotografie); R. Vignier, La végétation de Tahiti, in Arch. de bot., 1930; H. Williams, Geology of Tahiti, Mooreà and Mixo, Honolulu 1933.
Etnologia. - Gl'indigeni polinesiani insieme con i meticci costituiscono tuttora la parte prevalente della popolazione; ma nonostante che i dati relativi alla densità della popolazione dell'isola all'epoca della sua scoperta fossero esagerati, non si può negare che il numero degl'indigeni sia assai scemato. Questa diminuzione, che non poté venir arrestata neppure dai provvedimenti dell'amministrazione francese, è dovuta in parte al prolungato contatto con la civiltà europea e le sue dannose conseguenze (malattie infettive, alcoolici), ma la causa esisteva già in germe nelle condizioni originarie di vita, in cui si rivelano in modo particolarmente evidenti certi lati oscuri della civiltà della Polinesia. La popolazione si addensa sulla pianura costiera ove sorgono ancora molte delle vecchie capanne locali, fatte con pali di bambù che sorreggono l'armatura del tetto ricoperta da stuoie di pandanacea; le pareti sono a giorno. Il vitto, come nel passato, è anche oggi essenzialmente vegetale. Le principali piante commestibili sono: l'albero del pane (uru), le banane (fei), le palme da cocco (haari), le patate dolci (amere), taro, pia e igname (hoi); il nutrimento è completato dalla pesca e dall'allevamento del bestiame. Il maiale la cui specie originaria è andata perduta per gl'incroci con quelli d'importazione europea, fornisce come prima l'arrosto festivo. Di bevande inebbrianti (estratte dalle piante di cava e di tè) si abusava già in passato; sotto la spinta dei missionarî, già Pomare II cercò di limitarne l'uso, ma il male aveva radici troppo profonde; gli alcoolici importati contribuirono ancor più alla demoralizzazione. Sotto la pressione dei missionarî si è compiuta già in un lontano tempo un'evoluzione fondamentale nel vestiario, non sempre però favorevole agli indigeni; si ama invece ancor oggi adornarsi con fiori multicolori; le donne portano ghirlande sul capo o intrecciano ai capelli fiori rossi di ibisco. Si è pure conservato negli indigeni il gusto delle feste, delle danze e dei canti; la loro esistenza spensierata ha il suo rovescio in un certo timore di ogni lavoro regolare e faticoso, che li rivelò inadatti al lavoro nelle piantagioni e provocò l'immigrazione di mano d'opera straniera. L'indigeno è incapace di imporsi di fronte al Cinese immigrato, che mercé la sua operosità e il suo spirito commerciale si afferma ovunque nel piccolo commercio e nelle imprese. La lunga azione svolta dai missionarî, i cui pionieri scesero sin dal 1797 nell'isola, ha fatto sì che la maggior parte degl'indigeni si sia convertita al cristianesimo (prevalentemente protestantesimo).
Storia. - Un primo tentativo di colonizzazione spagnola, che fallì, si ebbe nel 1714. Nel 1788 vi si fermò il compagno del Cook, W. Bligh, e 16 dei suoi uomini, in seguito a un ammutinamento, discesero nell'isola e presero parte alle lotte dei capi locali, favorendo, con le loro armi da fuoco, l'affermarsi del capo Pomare. Nel 1797 vi giunsero i primi colonizzatori, 30, inviati dalla Società missionaria di Londra; questi, che si preoccuparono anche di ottenere influenza politica, si mescolarono alle lotte locali, e dovettero presto allontanarsi da Tahiti; i missionarî inglesi poterono acquistare influenza solo dopo il 1815, destando sempre però forti resistenze degli indigeni, nonostante la conversione di Pomare II. Sotto la regina Pomare, l'influenza inglese fu sostituita da quella francese: nel 1836 per consiglio del console Pritchard, missionario e rappresentante dell'Inghilterra, la regina rifiutò lo sbarco e il diritto di missione ad alcuni missionarî cattolici francesi, il che condusse all'intervento di una fregata francese: nel 1838 quei diritti vennero riconosciuti, e cominciò la protezione francese, favorita dalla popolazione, che si affermò con un trattato nel 1843. La regina Pomare morì nel 1877. Il Pritchard sollevò l'opinione inglese, tanto che R. Peel costrinse Luigi Filippo a cedere su tutti i punti controversi: ma i Francesi non abbandonarono il protettorato, e infine, adducendo un'infrazione al trattato del 1843 da parte della regina anglofila, la spossessarono. Tahiti divenne però colonia francese solo nel 1880.