Uno dei tradizionali obiettivi di Pechino in politica estera consiste nel prevenire l’indipendenza de jure di Taiwan, l’isola al centro delle preoccupazioni cinesi dal momento della drammatica separazione dalla madrepatria continentale. Per raggiungere questo scopo è necessaria una minaccia costante dell’uso della forza e questa è la ragione per cui Pechino mantiene permanentemente più di 1000 missili balistici a corto raggio puntati verso Taiwan, oltre a circa 400.000 effettivi nella regione antistante. Principio cardine per la Rpc è quello dell’unità nazionale, sia in relazione all’area continentale – si pensi ai rapporti con il Tibet – sia nei confronti dell’isola che nei piani di Pechino è destinata a riunificarsi un giorno al resto del paese. Attualmente Taiwan è quindi inclusa tra le province cinesi e la legge anti-secessione prevede l’uso della forza sia nel caso si dovessero verificare spinte verso l’indipendenza, sia qualora non ci fossero più prospettive per la riunificazione pacifica.
Lo status di Taiwan appare dunque ibrido: da una parte un sistema democratico e una sovranità statuale – de facto – compiuta, dall’altra l’ombra del gigantesco vicino che sorveglia ogni sua mossa e che aspetta l’occasione opportuna per ribaltare lo status quo. Tuttavia, dall’entrata in carica del presidente Ma Ying-Jeou, il cui slogan recita: ‘no all’unificazione, no all’indipendenza, no all’uso della forza’, Taipei si è progressivamente avvicinata alla terra ferma a livello economico e diplomatico, facendo temere a parte della popolazione che un assorbimento economico possa preludere all’annessione politica. Tali preoccupazioni si sono intensificate nel giugno 2010, contestualmente al raggiungimento tra i due paesi dello storico ‘Accordo quadro di cooperazione economica’, fortemente voluto dal presidente cinese Hu Jintao. L’Accordo prevede l’abbattimento dei dazi per il 16% dei prodotti diretti verso la Cina e per il 10% di quelli esportati a Taiwan, oltre alla possibilità per le aziende dell’isola di operare nel settore bancario e in quello assicurativo. Tale accordo, tuttavia, ha anche suscitato lo scetticismo degli Stati Uniti, ovvero l’alleato principale di Taipei e vera garanzia della sua difesa; dagli Stati Uniti proviene infatti oltre il 97% degli armamenti e nel 2011 dovrebbero fornire a Taiwan uno scudo missilistico dal costo di quasi dieci miliardi di dollari.
Taipei appare dunque decisa a difendere la propria autonomia e a prevenire un intervento armato cinese. Gli sviluppi futuri restano però assai incerti.