ΤΑΚΗΤ-Ε SANGIN
Agglomerato urbano della Battriana antica, situato in prossimità della confluenza del Vakhš con il Panǰ (odierno Taǰikistan), ove nel 1978-79 nei depositi votivi di un tempio consacrato al fiume Oxus vennero rinvenuti numerosi oggetti e opere d'arte, in gran parte attribuibili al periodo compreso fra il III sec. a.C. e il I sec. d.C.
La scoperta archeologica di T. S. risale agli anni 1926-1928, epoca in cui vennero effettuati i primi sondaggi; scavi esplorativi furono condotti nel 1956 da A. M. Mandel'štam che, sulla base dei ritrovamenti ceramici, datò lo strato più antico all'epoca greco-battriana. Nel 1976 la Spedizione Archeologica del Taǰikistan Meridionale, diretta da B. A. Litvinskij e I. R. Pičikjan, iniziò lo scavo sistematico, tuttora in corso.
L'insediamento di T. S. si sviluppa in una zona naturalmente difesa a O dalla catena montuosa del Tešik-taš, a E dal fiume Panǰ; a Ν e a S si elevano imponenti mura difensive.
Al centro dell'abitato si erge la cittadella di pianta rettangolare (165 x 237 m) circondata da un profondo fossato e difesa da spesse mura di pietra, cui il sito deve il suo nome. La cinta muraria è rinforzata agli angoli da bastioni. Nella parte occidentale della cittadella si innalza un complesso monumentale che comprende un palazzo e un tempio.
Il nucleo centrale del santuario è costituito da un'ampia sala quadrata (12 x I2 m), circondata su tre lati da corridoi. Al centro della sala - detta «sala bianca» perché pareti e pavimento erano intonacati e imbiancati - si elevano quattro colonne disposte su due file, e nell'angolo NO si conserva la base di un altare monumentale poggiato direttamente al muro occidentale. La «sala bianca» si apre a E su un avancorpo costituito da un portico con otto colonne su due file, affiancato da due ali. Sulla base di particolari soluzioni tecniche e di un tipo di capitello ionico, la data di fondazione del santuario può essere collocata fra il 330 e il 300 a.C.; ma l'edificio continuò a essere usato come luogo di culto senza interruzioni almeno fino alla seconda metà del II sec. d.C., come dimostrano i ritrovamenti numismatici di epoca kusäna, con piccole alterazioni planimetriche che tuttavia non modificarono l'impianto originario.
Secondo I. R. Pičikjan il tempio di T. S. rivela, nella sua pianta, strette analogie con la struttura dei templi iranici consacrati al culto del fuoco, e doveva essere dedicato a un culto del fuoco di tipo iranico associato con il culto del dio Oxus. Lo studioso attribuisce la funzione di ateš-gāh (locali destinati a conservare il «fuoco perpetuo» e inaccessibili al pubblico) alle due piccole stanze quadrate con altare collocate nelle due ali che fiancheggiano il portico, e ritiene che tale destinazione risalga all'epoca di fondazione del tempio. Di diverso parere è P. Bernard (1994) secondo il quale tale funzione d'uso può essere riconosciuta con sicurezza solo nell'epoca kuṣāṇa.
Il tempio di T. S. è l'unico santuario urbano della Battriana che abbia restituito un tesoro di oggetti sepolti in depositi votivi appositamente scavati. Le «favissae», collocate nei corridoi che circondano la «sala bianca», furono eseguite fra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.; altri oggetti vennero semplicemente accatastati negli angoli più remoti dei corridoi, il cui accesso venne successivamente murato. Gli oggetti rinvenuti sono assai diversi fra loro per tipo, origine e cronologia; i più antichi risalgono al periodo achemenide, anteriori quindi alla fondazione del tempio, i più recenti alla prima epoca kuṣāṇa. Essi comprendono numerose armi (punte di freccia in ferro e in bronzo, punte di lancia in ferro, pugnali, spade), armi in miniatura, una ricca serie di sculture in argilla, oggetti in avorio e in oro, monete. Il reperto più importante è un piccolo altare in pietra su cui è collocata una scultura in bronzo raffigurante il sileno Marsia che suona il doppio oboe. Sull'altare è incisa un'epigrafe in alfabeto e lingua greca: «Atrosokes dedicò il suo voto a Oxus». L'iscrizione è databile, su base epigrafica, alla seconda metà del II sec. a.C. Il reperto costituisce una conferma definitiva e preziosa della destinazione cultuale dell'edificio, già suggerita dalla tipologia architettonica. Esso indica inoltre la divinità alla quale il tempio era consacrato, il dio Oxus, vale a dire il fiume Vakhš, sulle cui rive sorge la città di Takht-e San- gin. B. A. Litvinskij e I. R. Pičikjan, che vedono nel nome Atrosokes, sicuramente iranico e semanticamente legato al culto del fuoco, quello di un sacerdote di fede zoroastriana (ma vi sono opinioni contrarie), considerano l'altare una sintesi di elementi greci e battriani.
L'oggetto più antico del Tempio dell'Oxus è una custodia per akinàkes in avorio decorata con due scene a bassorilievo. Sul puntale è rappresentato un piccolo felino, con il corpo avvolto a spirale, dominato dalla testa di un capride di notevoli proporzioni. Sul corpo del fodero è effigiato un leone ritto sulle zampe posteriori, con il corpo di profilo e la testa frontale, che afferra con le zampe anteriori un piccolo cervide; straordinaria l'abilità con cui la composizione si adatta alla forma dell'oggetto, sfruttando efficacemente lo spazio. Un esame iconografico delle due immagini, accompagnato da un confronto con altre custodie di akinàkai achemenidi, ha permesso di datare il fodero di T. S. alla prima metà del V sec. a.C.
Fra gli altri oggetti in avorio merita di essere ricordata un'elsa decorata, su entrambe le facce, con una raffigurazione di Eracle che sconfigge Sileno. Il semidio greco è rappresentato stante, nudo, con la pelle del leone nemeo annodata intorno al collo, la clava nella mano destra minacciosamente alzata, mentre con la sinistra afferra per i capelli il Sileno inginocchiato a terra. L'oggetto rivela la propria «grecità» non solo nella scelta del soggetto - la lotta fra Eracle e Sileno è una delle imprese minori dell'eroe greco - ma anche nella resa dei corpi, dei quali viene sottolineata la struttura anatomica e il gioco delle masse muscolari. Cronologicamente esso è collocabile nel IV-III sec. a.C.
Nella tradizione classica si inserisce anche il fodero in avorio di una màchaira in miniatura, decorato con una testa maschile con leontìs, nella quale gli studiosi russi hanno identificato Alessandro Magno raffigurato come Eracle. L'identificazione è sostenuta sulla base di un confronto con i ritratti di Alessandro prodotti nel mondo ellenistico: l'assimilazione del sovrano macedone a Eracle, ben documentata sulle monete e prima ancora attestata nella tradizione letteraria, rinvierebbe a una produzione scultorea, realizzata quando Alessandro era ancora in vita, che però non è giunta sino a noi e della quale l'immagine di T. S. rappresenterebbe una pallida eco. Al di là della certezza assoluta della identificazione proposta, la testa di «Alessandro-Eracle» presenta stilisticamente forti punti di contatto con la tradizione ellenistica, evidenti soprattutto nella resa ovale del volto, nei rapporti volumetrici dei tratti, negli occhi spalancati che accentuano l'espressività dell'immagine.
Un insieme di oggetti sepolti nel deposito votivo n. 4 fornisce per la prima volta indicazioni relative alla formazione dell'arte kuṣāṇa. Si tratta di una serie di sculture in argilla che, data la fragilità del materiale, furono con ogni probabilità eseguite in loco e nelle quali, su base stilistica e cronologica, è possibile distinguere tre gruppi. Il primo, di epoca seleucide e d'ispirazione puramente ellenistica; il secondo, di epoca greco-battriana, in cui i suggerimenti classici si fondono con una tradizione locale; il terzo, numericamente meglio rappresentato, collegato alla tradizione partica e indo-gandharica. Tutte le sculture, prima di essere interrate, erano state spezzate, cosicché la loro ricostruzione è per lo più frammentaria.
Un analogo percorso artistico è indicato anche dagli oggetti in avorio. Se alcuni di essi riflettono - per soggetto e stile - un'ispirazione pienamente greca, né si può escludere in assoluto che possano essere stati importati, in altri è evidente l'affermazione di uno stile e di motivi locali e iranico-orientali. E questo il caso di un puntale di fodero su cui è rappresentata una figura femminile alata con zampe anteriori equine e coda pisciforme. Ricollegabile forse, per gli elementi acquatici, al culto del fiume Oxus, l'immagine rivela nella rotondità appiattita del volto, nei lineamenti fortemente marcati, nel rendimento degli occhi una sensibilità e un gusto estetico ormai lontani dal mondo classico. Senza dubbio appartenente alla fase più tarda è infine la scena di caccia rappresentata sui pannelli di un cofanetto: due cavalieri che galoppano in direzione opposta scagliano le loro frecce contro una pantera che occupa la zona centrale della composizione; l'animale, benché già colpito al petto, tenta di difendere i suoi cuccioli. Tutto, dal soggetto ai costumi, allude al mondo centroasiatico; per non parlare poi della visione spaziale, prevalentemente piatta ma con uri forte dinamismo ottenuto attraverso un uso prevalente del profilo per gli animali e di una combinazione e sovrapposizione di punti di vista di profilo e frontale per le due figure umane.
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