Vedi TAMIRI dell'anno: 1966 - 1997
TAMIRI (vol. VII, p. 588)
La prima attestazione del mitico cantore e musico trace si ha nel «Catalogo delle navi» del II libro dell'Iliade (vv. 594-600): «Dorion, dove le Muse fecero cessare il canto di T. il Trace. Egli giungeva da Ecalia, dalla casa di Eurito di Ecalia, quando si vantava di superare nel canto le stesse Muse, figlie dell'egioco Zeus. Esse, adirate, lo resero invalido, e gli tolsero l'arte divina del canto, e gli fecero dimenticare la cetra».
Alle testimonianze figurative già considerate si aggiungono alcuni vasi: 1) Hydrìa attribuita all'officina del Pittore dei Niobidi (Bordeaux, collezione privata). Vi sono rappresentati la figura seduta di T. con berretto frigio, assai mal conservata, con le estremità superiori della cetra appena visibili (che fanno pensare a una posizione non sicura dello strumento); un grande tripode sopra plinto rettangolare e capitello ionico; due figure ammantate fra le quali è un arbusto a forma di palma; altre due figure ammantate, di cui una in stile piuttosto trascurato e sciatto. Si tratterebbe della rappresentazione a figure rosse più antica del mito di T., del 460-450 a.C. circa.
2) Lèkythos ariballica della cerchia del Pittore di Shuwalow (Basilea, Antikenmuseum). A sinistra vi è la figura seduta di una Musa (ερατω), al centro T. giovanissimo che suona e a destra la musa Clio.
3) Grande pisside incompleta e frammentaria attribuita alla maniera del Pittore di Meidias (Atene, Museo Archeologico Nazionale). Quattro Muse sono disposte su diversi livelli; una figura conservata parzialmente è indicata come il poeta e cantore Museo (μουςαιος). A destra, in basso sono visibili Apollo con ramo di alloro sulla spalla e faretra e la stupenda figura di Calliope; a differenti livelli, sedute, le figure di Urania, Polimnia, Sophia con rotolo teso sulle ginocchia. Al centro del lato sinistro vi è T. che tocca con le lunghe dita le corde della cetra.
4) Hydrìa, forse da Selinunte, attribuita a officina siceliota derivata da officina pestana (Palermo, collezione archeologica del Banco di Sicilia, già Mormino). Al centro vi è T. con berretto frigio a tiara (Orfeo?), assistito da una figura femminile, che estrae un rotolo da una cassa, e da una figura forse di Musa a sinistra.
Nell'esame dell'iconografia di T. restano due fatti non ancora spiegati. Il primo consiste nell'assenza quasi totale del mito di T. nella ceramica a figure nere (un solo vaso, incerto, di quello stile), quantunque esso fosse ben noto, già nel II libro dell'Iliade. Fino quasi alla metà del V sec. non sembra che l'iconografia vascolare abbia rappresentato il mito di Tamiri. Il secondo è costituito dalla presenza di T. non soltanto in Tracia e in Tessaglia, ma nella Messenia, soprattutto per l'esistenza di una Dorion anche in Messenia, come si deduce dal testo omerico, e anche da Strabone e Pausania. Mentre da una parte una tradizione identifica idealmente la madre di T. in una delle Muse (Melpomene o Erato, cfr. Apollodoro, in FGrHist, 244 F 146; Eustath., ad Hom., Κ 817, 31), dall'altra la madre viene indicata in una ninfa del Parnaso, Argiope, e il padre in un musico tracio o tessalo Philammon (Paus., IV, 33, 3).
Quanto allo svolgimento della gara di T. con le Muse (di cui Omero non parla, e che viene citata in testi ben più tardi), è assai probabile che essa esistesse nella vicenda narrata da Sofocle nella sua tragedia, da datarsi intorno al 460 a.C., la quale diventa poi motivo figurato esplicito sul cratere di Spina. Va infine ricordato che T. era provvisto, secondo la tradizione conservataci da Polluce (Onomast., IV, 141) e da Quintiliano (Inst., ΧΙ, 3, 74), di una vista del tutto particolare, con due pupille, le cui caratteristiche erano appunto mantenute nella sua maschera teatrale. T. in sostanza era dìkoros (dalla doppia pupilla: cfr. Eustath., ad Horn., Β 44-46).
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