Tan Sitong
Filosofo cinese (1865 - 1898). Originario della provincia dello Hunan, visse soprattutto a Pechino partecipando attivamente alle travagliate vicende politiche della decadente dinastia Qing (1644-1911). Dall’estate del 1898 sostenne vigorosamente con Kang Youwei (➔) e Liang Qichao (➔) alcune iniziative riformistiche, note come i Cento giorni delle riforme, fallite però miseramente; egli stesso trovò, in tale occasione, il martirio volontario, divenendo così per le generazioni future un alto esempio di patriottismo cinese. Studiò per lungo tempo i testi fondamentali della tradizione confuciana, senza trascurare le dottrine del buddismo, e coltivò un profondo interesse per la scienza occidentale, allora assai diffusa anche grazie a una costante opera di traduzione. Nel suo unico e ponderoso scritto, intitolato Renxue («Studio sulla benevolenza») e pubblicato postumo nel 1899, si intrecciano armoniosamente temi del passato e del presente, tensioni mistiche e necessità scientifiche, velleità ideali e ristrettezze politiche. Un’unica forza o energia pervade, secondo T. S., ogni cosa, finanche ciò che è impercettibile per l’uomo. Come causa materiale di tutti i fenomeni e di tutte le possibili trasformazioni, tale forza è assimilata all’etere (yitai), che tutto trascende, è virtualmente indistruttibile, e costituisce la vera e profonda unione fra le cose o creature del cosmo. Tutti i riformatori, religiosi o politici, hanno sempre agognato un mondo animato da una «grande unità» politica, sociale e culturale, governato solo ed esclusivamente dalla pace e da una cosmica benevolenza. Al contrario, ogni forma di rigorosa gerarchia, o più semplicemente di legame sociale, ha sempre impedito nei fatti, a detta di T. S., il pieno sviluppo dell’onnipervadente benevolenza.