tana
Due sole occorrenze, sempre in rima, nell'Inferno: XXI 126 costor sian salvi infino a l'altro scheggio / che tutto intero va sovra le tane, e XXIV 126 son Vanni Fucci / bestia, e Pistoia mi fu degna tana. Benché in entrambi i casi si tratti di un uso traslato, il sostantivo è sempre in diretto rapporto con l'idea di " covo ", " nascondiglio " di animale, che è il significato primitivo in italiano (anche se non quello etimologico in quanto dal latino subtana [caverna]: cfr. dei), e da questo rapporto trae forza ed efficacia la metafora dantesca.
Nel secondo caso è ultimo termine di una serie di espressioni con cui Vanni Fucci descrive spavaldamente sé stesso e la sua bestial vita (v. 124): mulo al v. 125, bestia e tana al 126; " quia... vocaverat se feram, ideo patriam suam vocat tanam, idest cavernam talium spirituum serpentinorum " (Benvenuto); e aggiunge l'Ottimo: " Pistoia... è vero e proprio ricettacolo di gente che vivono ad appetito sensitivo e non razionale ". In realtà non è Pistoia tana che fa essere bestia Vanni Fucci, ma il contrario:" Poiché in sé non vede che una bestia, non è meraviglia che la Toscana tutta gli apparisse come il vestibolo di quella gola fera, e Pistoia una tana. La meraviglia è che in cambio di subire lui l'azione dell'ambiente in cui visse, colori di sé quanto lo riguarda. Più tremendo dell'antico Mida... Vanni... tramuta tutto in bestia. Ogni residuo di umanità è scomparso: all'uomo è subentrato il bruto " (Pietrobono).