TANCREDI
– Nacque fra il 1134 e il 1138 da una unione non legittimata di Ruggero duca di Puglia (figlio maggiore di Ruggero II di Altavilla re di Sicilia e premorto al padre) e di una figlia del signore di Lecce Accardo II, dalla quale sarebbe nato poi anche Guglielmo (1139-1161).
La nascita illegittima è accennata dalle fonti narrative e lo stesso Tancredi nei diplomi emanati in età adulta come conte di Lecce menzionò molto di rado la madre e mai per nome. In un documento del maggio del 1190 si rivolse a Emma, badessa del monastero di S. Giovanni Evangelista in Lecce e figlia di Accardo di Lecce, con l’appellativo di matertera, cioè zia materna; che poi la madre sia proprio questa Emma, entrata in monastero dopo la relazione illegittima con Ruggero di Puglia, resta mera ipotesi.
Il padre era nato dopo il 1118, il fratello minore Guglielmo nell’anno 1139: ciò consente di collocare la nascita di Tancredi nel detto quinquennio.
Con il fratello, Tancredi rimase nell’infanzia a Lecce, dopo il matrimonio di Ruggero di Puglia con Elisabetta di Champagne (1140); ma la morte del padre men che trentenne (1149) indusse re Ruggero II a richiamare a Palermo i due nipoti illegittimi, in modo da averli sotto controllo in caso di problemi di successione per i suoi discendenti legittimi. E probabilmente Tancredi e Guglielmo non furono estranei alle rivolte seguite nel 1155-56 alla morte di Ruggero II e contro Guglielmo I, tanto che entrambi, secondo lo pseudo-Falcando, sarebbero stati imprigionati durante la repressione della rivolta.
Dalla prigionia vennero liberati nel marzo del 1161, grazie alla congiura contro Maione di Bari, divenuta ben presto anche rivolta contro re Guglielmo I. Tancredi divenne uno dei capi della resistenza contro il re, e zio, nei possedimenti siciliani dei rivoltosi, sino alla resa finale. Forse anch’egli cercò riparo a Bisanzio, come gran parte dei ribelli. Solo con la morte di Guglielmo I e la reggenza di Margherita di Navarra si giunse a una riconciliazione e anche Tancredi rientrò a corte per ricevere probabilmente nel 1169 la contea di Lecce.
La signoria di questa città nel 1158 era stata sottratta a suo zio materno Goffredo III, conte di Montescaglioso, e solo nel 1169 si trova per la prima volta attestata in documenti autentici l’esistenza di una contea di Lecce, della quale Tancredi fu primo titolare. Al riguardo Errico Cuozzo ritiene comunque che l’investitura fosse già avvenuta precedentemente, stante anche il suo inserimento nella ricognizione del Catalogus baronum (a cura di E. Jamison, 1972, nn. 154-174), dal quale si ricava che la contea, pur non essendo tra le più importanti del regno, costituiva una buona dotazione.
Tra gli atti più significativi del periodo comitale di Tancredi si ricorda la fondazione dell’importante monastero maschile dei Ss. Niccolò e Cataldo, la cui costruzione venne avviata già nel 1179, ufficializzata nel 1180, e arricchita con donazioni nel 1182 e 1185; il monastero venne sottoposto immediate a S. Pietro e ricevette la protezione apostolica. Altro monastero ampiamente beneficiato fu quello femminile di S. Giovanni Evangelista, alla cui guida era sua zia Emma.
Meglio documentata e più interessante è l’attività svolta da Tancredi al di fuori della contea e come funzionario regio, sufficiente a smentire l’antagonismo (talvolta riproposto dalla storiografia) tra lui e il cugino re Guglielmo II mentre quest’ultimo era ancora in vita. Nel 1176 Tancredi venne attestato per la prima volta come «magnus comestabulus et magister iustitiarius totius Apuliae et Terrae Laboris» (Ménager, 1959, p. 113), insieme a Ruggero di Andria, destinato a divenire suo competitore per la successione al trono.
In questo ampio territorio, comprendente l’Apulia e buona parte dell’antico Principato di Capua, Tancredi rappresentò la maggiore istanza giudiziaria, con ruolo di coordinamento rispetto ai giustizieri provinciali, svolgendo funzione di istanza superiore e talora anche di prima istanza per casi delicati o complessi; nella sua veste di connestabile svolse invece funzioni, non del tutto chiare, di coordinamento militare. Un incarico, dunque, di grande rilievo. L’attività giurisdizionale di Tancredi è documentata, negli anni successivi, in questioni che videro coinvolti il vescovo di Bitonto, gli abati di S. Stefano di Monopoli, della Ss. Trinità di Venosa, di Montecassino, di S. Sofia di Benevento; nel 1181 tenne un delicato giudizio tra Goffredo Gentile e il priore di S. Nicola di Bari e poi altri ad Ascoli Satriano e Capua. Tenne corte di giustizia a Brindisi nel febbraio del 1187, quando è attestato per l’ultima volta come gran giustiziere; è comunque ragionevole credere che continuasse a esercitare queste funzioni sino al 1189 e all’incoronazione.
Pure al 1176 risale il primo incarico militare ufficiale nel regno (ma già nel 1174 stando ai cronisti arabi aveva comandato la flotta inviata da Guglielmo II contro l’Egitto). Fu peraltro sconfitto, in Abruzzo, dal cancelliere imperiale Cristiano di Magonza (nel quadro del conflitto tra Federico Barbarossa e i Comuni, con i quali il Regno di Sicilia si era alleato): ma senza conseguenze per il regno, perché sopravvenne la vittoria dei Comuni a Legnano (maggio del 1176).
Un successivo, importante incarico militare fu affidato a Tancredi nel 1185 in occasione della campagna balcanica lanciata da Guglielmo II e finalizzata alla presa di Costantinopoli. Ricevette il comando della flotta ed ebbe inizialmente buoni successi con lo sbarco e la conquista di Durazzo, seguito dal saccheggio di Salonicco e dall’avanzata verso Bisanzio. Ma successivamente Isacco II Angelo, che aveva sostituito il deposto imperatore Andronico, organizzò una efficace controffensiva contro la flotta siciliana di Tancredi che fu costretto a ritirarsi (pur salvando la flotta e il bottino fatto a Salonicco).
Qualche anno più tardi, nel novembre-dicembre del 1189, la vita e la carriera politica di Tancredi giunsero alla svolta decisiva. Alla morte improvvisa di Guglielmo II, egli divenne il candidato alla Corona regia del ‘partito’ che si opponeva alla successione di Costanza d’Altavilla, zia del re defunto e di Tancredi stesso, ma soprattutto moglie di Enrico VI di Hohenstaufen.
Come è noto, il fidanzamento e il matrimonio tra i due risalivano al 1184-86, dopo la pace di Barbarossa con i Comuni italiani e con il re di Sicilia. La storiografia ha lungamente discusso sulle ragioni del fidanzamento e matrimonio, concluso nel 1186, tra Costanza ed Enrico VI e sulla consapevolezza di Guglielmo II di ciò che quel matrimonio avrebbe potuto comportare per le sorti successive del suo regno. Fatto sta che tra il 1184 e il 1186 proprio Guglielmo II convocò un’assemblea dei nobili del regno in Troia, affinché questi giurassero fedeltà a Costanza quale suo successore al trono.
Fu il vicecancelliere Matteo di Salerno (o d’Aiello), funzionario di lungo corso e larga influenza, ad affrettarsi a coordinare le forze ostili a una successione di Costanza ed Enrico, richiamando urgentemente a Palermo Tancredi. Più anziano di una quindicina d’anni del defunto re e della stessa Costanza, egli rappresentava una valida alternativa dinastica: la sua nascita illegittima poteva essere bilanciata con la discendenza in linea maschile e si collocava in una tradizione normanna non ostile agli illegittimi in mancanza di eredi diretti. A questo si aggiungevano ovviamente anche le considerazioni politiche di ostilità alla unione con l’Impero, la diffusa avversione verso il mondo germanico e il vantaggio di avere un sovrano nel pieno della maturità e con lunga esperienza nella amministrazione del regno.
La designazione di Tancredi avvenne l’8 dicembre 1189, mentre l’incoronazione ebbe luogo il 18 gennaio 1190, per mano di Gualtieri, arcivescovo di Palermo, uomo di potere che non era un sostenitore della candidatura tancredina e che sarebbe morto poco dopo l’incoronazione. Inutile dire che la promozione regia di Tancredi trovò subito l’appoggio di papa Clemente III, del tutto ostile verso la prospettiva tedesco-imperiale nel regno.
Una volta incoronato Tancredi dovette rapidamente affrontare i problemi interni ed esterni. In primo luogo cercò di tranquillizzare la vasta componente musulmana dell’area palermitana, timorosa di pogrom a proprio danno, come era peraltro successo in passato in momenti di criticità per il potere della Corona. Poi cominciò a cercare di conquistare la fiducia della nobiltà regnicola, utilizzando Riccardo di Acerra come mediatore. Una prima conquista fu il sostegno da parte di Roffredo, abate di Montecassino, ma molti restarono fedeli all’impegno preso con Costanza. Un buon successo fu l’eliminazione per mano del fido Riccardo nel novembre del 1190 di Ruggero di Andria, l’altro contendente alla Corona nel regno. Intanto si stava ormai organizzando anche la reazione da parte di Costanza ed Enrico VI, che prima doveva garantirsi le spalle in Germania. Ulteriori turbative giungevano però a latere dei progetti di crociata.
Tra il settembre del 1190 e il marzo del 1191 si svolse a Messina, ove erano giunti sulla via della Palestina sia Filippo II Augusto re di Francia sia Riccardo Cuor di Leone re d’Inghilterra, una complessa partita diplomatica. Riccardo ottenne la restituzione della sorella Giovanna, la vedova di Guglielmo II, e una cospicua somma in oro come compenso per la dote non restituita (ma anche per tacitare sue possibili ambizioni alla corona di Sicilia). Filippo II di Francia a sua volta si districò dalle richieste di alleanza matrimoniale da parte di Tancredi. Questi cercò insomma di avere il sostegno di ambedue i sovrani e alla fine ottenne la ripresa della tradizionale alleanza anglosicula in chiave antimperiale, nonostante i problemi di ordine pubblico creati a Messina dalle truppe inglesi. Nel frattempo incombeva la minaccia sveva, perché nell’aprile del 1191 Enrico VI fu incoronato imperatore dal neoeletto papa Celestino III. L’assedio di Napoli (maggio-agosto del 1191) fu tuttavia senza esito ed Enrico VI rientrò in Germania, dove si era diffusa la falsa notizia della sua morte. La situazione volse decisamente a favore di Tancredi, perché Costanza fu imprigionata a Salerno dalla popolazione e consegnata in ostaggio.
Approfittando dell’assenza obbligata dello Svevo, Tancredi si spostò sul continente e rafforzò notevolmente la sua posizione ottenendo, spesso con la forza, la sottomissione dei principali monasteri residui e della nobiltà. La maggior parte delle istituzioni ecclesiastiche, a partire dai vescovi, gli era stata sin dall’inizio favorevole, anche se non mancarono aree di maggiore criticità nelle province abruzzesi e nella Terra di Lavoro, tradizionalmente più in relazione con la corte imperiale. Meno netto fu lo schieramento della nobiltà, dove giocarono le relazioni e gli interessi personali. In particolare, mentre in Sicilia e in gran parte della Calabria Tancredi si confrontava soprattutto con grandi funzionari legati alla curia regis, salendo verso nord aumentava il peso dei titolari di contee e di grandi signorie feudali, che suddivisero il loro appoggio tra Costanza e Tancredi, o talora, come nel caso di Guglielmo di Marsico, tentarono almeno inizialmente di non prendere esplicita posizione.
Nel cuore dell’Apulia un problema rilevante per Tancredi fu inizialmente costituito dall’antico collega, Riccardo di Andria che si schierò subito con le truppe tedesche dell’invasore Enrico Testa e poi reclamò per sé la corona; il suo imprigionamento e la sua uccisione nell’autunno del 1190 risolsero il problema. Tra gli esponenti di spicco del gruppo dei nobili ostili a Tancredi si segnalano oltre a Ruggero di Andria anche Riccardo di Fondi, Guglielmo di Caserta, Ruggero di Tricarico e Tancredi di Gravina, mentre nel mondo ecclesiastico gli furono ostili Roffredo di Montecassino, Gualtieri vescovo di Troia e Guglielmo vescovo di Conversano. Un ulteriore duro colpo per il gruppo filosvevo venne dallo sfortunato assedio di Napoli nell’estate del 1191, che spinse anche Riccardo e Ruggero, conti di Conza e di Carinola, a schierarsi con Tancredi. Più complessa era la situazione in area abruzzese, dove per esempio un personaggio come Berardo Gentile inizialmente fu tra i sostenitori di Tancredi, ma alla comparsa di Enrico VI nel 1191 cambiò schieramento, operazione che ripetè ancora due volte, prima di restare definitivamente nel 1193 a fianco dell’imperatore.
Una precisa scelta politica di Tancredi, esemplificata dal privilegio concesso nell’aprile del 1190 a Barletta (con ampie prerogative fiscali ed economiche) e successivamente a molti altri centri come Taranto, Giovinazzo, Foggia e con ancor maggiore generosità a Napoli e a Gaeta (luglio del 1191), gli assicurò il supporto di tutte le città più importanti, senza comunque venir meno, nella sostanza, alla linea politica di controllo sulle città stesse, che aveva caratterizzato l’operato dei suoi predecessori, soprattutto nelle fasi di acquisizione del consenso.
Dal punto di vista amministrativo Tancredi ereditava un’organizzazione ben strutturata e funzionante, sulla quale non ebbe bisogno e neanche il tempo di operare interventi innovativi. In alcuni casi dovette cambiare titolari di incarichi importanti; per esempio nominò, in sostituzione di se stesso e del ribelle Ruggero di Andria, due nuovi maestri giustizieri totius Apuliae et Terrae Laboris nelle persone dei conti Berardo Gentile e Ugo II Lupino. Resta invece nel campo delle ipotesi un suo piano di radicale risistemazione del sistema difensivo del regno.
Questa situazione complessivamente favorevole cominciò a prendere una diversa piega quando Tancredi si lasciò convincere da Celestino III a consegnare a lui stesso Costanza, che doveva diventare, secondo i piani pontifici, la mediatrice della pace. La regina fu alla fine liberata lungo il viaggio verso Roma grazie a un colpo di mano delle truppe imperiali (fine del 1192); né ella né Enrico VI presero il benché minimo impegno di sospendere le ostilità contro Tancredi. Il re perserverò comunque nella politica di reciproco sostegno con il papa, ottenendo l’investitura ufficiale del regno e sottoscrivendo il concordato di Gravina (estate 1192), che di fatto ridimensionava radicalmente il precedente concordato di Benevento del 1156 stipulato da Guglielmo I. Ne risultò comunque una politica di reciproco sostegno con il papa, che permise agli ecclesiastici del regno di ottenere privilegi e schierarsi a favore di Tancredi. Le schermaglie militari nel Nord del regno vennero coordinate per parte tedesca da Berthold di Kühnsberg e Konrad Lützelhard (o Moscanicervello) e contro di loro Tancredi effettuò un rapido intervento nell’estate del 1193.
Un ulteriore elemento negativo per Tancredi fu costituito dalla cattura, da parte degli imperiali, di Riccardo Cuor di Leone, naufragato nei pressi della costa veneta tra Aquileia e Venezia, di ritorno dalla Terrasanta. Dopo complesse vicende e una prigionia durata oltre un anno (tra il dicembre del 1192 e il febbraio del 1194), nonostante da più parti si premesse per il suo sollecito rilascio, il re fu liberato dopo una dieta a Worms (giugno del 1193), divenne vassallo imperiale e abbandonò l’alleanza con Tancredi, finanziando di fatto, per giunta con il pagamento di 150.000 marche d’argento, l’incipiente spedizione italiana di Enrico VI contro il re di Sicilia.
Nel frattempo, dopo la morte del fedele Matteo d’Aiello, Tancredi aveva dovuto sopportare la morte prematura del suo primogenito, Ruggero (morto il 24 dicembre 1193), che aveva già elevato a duca di Puglia e a coreggente nel 1192; ma poco dopo si ammalò egli stesso, per morire il 20 febbraio 1194. Suo successore fu il piccolo Guglielmo III.
Tancredi aveva sposato Sibilla di Medania, sorella del conte Riccardo di Acerra e rappresentante quindi di una antica e nobile famiglia della terra beneventana. Dalla loro unione erano nati almeno cinque figli: di questi i primi due maschi furono Ruggero (premorto al padre) e appunto Guglielmo, divenuto re alla morte del padre. Ruggero aveva sposato con gran pompa nel 1192 a Brindisi la principessa Irene, figlia dell’imperatore Isacco II Angelo, per suggellare un’alleanza con Bisanzio; dopo la morte di Ruggero e l’incoronazione di Enrico VI, Irene sposò in seconde nozze proprio il fratello dell’imperatore, Filippo di Svevia. Delle tre figlie, Albidia venne data in moglie a Gualtieri di Brienne, per poi sposarsi, dopo la morte del padre, una seconda volta con Giacomo di Tricarico e una terza con Tigrino di Tuscia; la seconda figlia, Costanza sposò il doge veneziano Pietro Ziani, mentre la terza figlia, Mandonia, forse sposò Giovanni Sforza di Sanseverino e Avezzano.
Partito alla volta dell’Italia solo nel maggio del 1194, sbarcando in Sicilia nel novembre successivo Enrico VI ebbe abbastanza facilmente ragione della resistenza di Sibilla, che dovette capitolare con i suoi figli e assistere alla incoronazione di Enrico VI nel Natale del 1194, mentre nei giorni successivi giungeva la notizia del parto di Costanza che aveva dato alla luce in Jesi l’erede Ruggero Federico. Nel frattempo i cadaveri di Tancredi e del figlio Ruggero erano stati dissepolti nel duomo di Palermo, dissacrati e spogliati delle insegne; dubbi restano sulla sorte successiva dei poveri resti mortali.
Pochi giorni dopo l’incoronazione di Enrico VI, Sibilla venne imprigionata insieme al figlio Guglielmo III e inviata in Germania; qui morì nel 1198 il piccolo Guglielmo e con lui si chiuse la discendenza per linea maschile di Tancredi.
Per quanto riguarda le fonti documentarie per una ricostruzione storica della figura di Tancredi, esiste una discreta tradizione per il periodo in cui egli fu conte di Lecce e funzionario regio, mentre è più ridotta la quantità di documentazione conservata per il periodo in cui fu in carica come re. Ciò non tanto per la brevità del regno, quanto per la damnatio memoriae a cui la sua persona fu soggetta subito dopo la sua morte e la presa di potere da parte di Enrico VI; e ancora di più per il provvedimento di Federico II del 1220, il De resignandis privilegiis, che fece del regno di Guglielmo II lo spartiacque per il riconoscimento di privilegi regi e quindi automaticamente fece perdere di validità a quei privilegi, emanati da Tancredi, da sua moglie Sibilla e da suo figlio Guglielmo III, che pur si erano salvati sino ad allora.
La storiografia ha teso a fare di Tancredi il rappresentante di una sorta di partito nazionale, che si opponeva alla via ‘tedesca’ rappresentata dalla zia Costanza; non bisogna però dimenticare la presenza di un secondo aspirante normanno alla corona, cioè Ruggero di Andria, che non ebbe molta fortuna, e soprattutto l’ostilità manifestata da una buona parte della nobiltà regnicola nei confronti dello stesso Tancredi. Una presentazione fortemente faziosa, spregiudicatamente propagandistica e di grande efficacia della sua figura è offerta da Pietro da Eboli, interessato a legittimare i diritti di Enrico VI, quale consorte di Costanza e soprattutto imperatore, e da Goffredo di Viterbo; un’alternativa ideologica è rappresentata dalla cosiddetta Lettera al tesoriere Pietro (testo attribuito in passato allo pseudo-Falcando, ma che resta ancora di anonimo autore) che rappresenta il punto di vista dei sostenitori dell’autonomia del regno e soprattutto della Sicilia rispetto al mondo tedesco. Le altre fonti narrative tendono, soprattutto con il passare dei decenni, a sovrapporre i fatti di Sicilia con le interpretazioni a favore e contro l’ascesa sveva.
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