TANIT
Vocalizzazione convenzionale del semitico Tnt, nome della grande dea dei Fenici occidentali (Cartagine), venerata anche sotto il nome T. Pene Ba῾al ("T., volto di Ba῾al") e insieme, ma precedendolo nell'ordine, con il dio Ba῾al Hammon.
Storicamente la sua figura e il suo culto probabilmente sono da considerarsi come prodotti sincretistici della fusione avvenuta tra la civiltà fenicia e la locale civiltà dell'Africa nord-occidentale. Con l'espansione punica, il culto di T. si diffonde in ampie zone del Mediterraneo occidentale e lascia abbondanti tracce specie in Sardegna, in Sicilia, a Malta e a Pantelleria (v. punica, arte). È noto come i Romani, per conquistare Cartagine (146 a. C.), abbiano "evocato" la sua divinità tutelare che, secondo un passo di Servio, sarebbe stata Iuno, di cui Scipione Emiliano avrebbe fatto trasportare l'immagine cultuale a Roma. Ma il culto romano della dea punica, stando ai suoi documenti, non incomincia così presto: la dea Caelestis è questo il nome romano di T., che appare ora indipendentemente, ora invece come epiteto aggiunto al nome di Iuno (ma anche di Venere, di Diana, di Fortuna)- entra nella religiosità romana in un'epoca in cui anche altri culti di provenienza esotica incontrano grande favore tra le masse dell'impero, dal I sec. d. C. in poi, il momento culminante della sua storia romana cade al periodo dei Severi. Il suo tempio, a Roma, stava sul Campidoglio, in prossimità di quello di Iuno Moneta.
Sin dai tempi più antichi del culto, sia in Africa, sia in Sardegna, i monumenti figurati della dea mostrano una certa varietà tipologica. Anzitutto bisogna distinguere i due grandi gruppi, non senza interferenze tra loro, delle figurazioni antropomorfe e di quelle "simboliche". Non è dimostrabile con argomenti stratigrafici, nè postulabile teoricamente la precedenza cronologica dell'un gruppo tipologico sull'altro: le figurazioni antropomorfe più antiche, presenti tra l'altro negli strati più profondi (VI-V sec. a. C.) del santuario di T. a Salammbò (Cartagine), restano perfettamente nella tipologia della dea nuda orientale che si stringe i seni. Questo tipo che dimostra le radici storiche comuni tra T. e le grandi dee dei Fenici (Astarte e Anat, con la quale ultima T. è forse connessa), si riallaccia alla più antica arte plastica dell'Asia Anteriore. Dagli stessi strati arcaici e, comunque, preromani, dei santuari punici, sia africani (Cartagine, Sousse, El-Kenissia, Siagu ecc.), sia della Sardegna (specialmente Nora) provengono numerose figurazioni "simboliche"; tra queste di solito si distinguono tre tipi: quelle dei betili, il cosiddetto "simbolo di T." e il "simbolo della bottiglia". Mentre il "simbolo di T." (Cintas, figg. 73-84), composto da un triangolo, sopra il quale, separato da una linea orizzontale, vi è un disco e sopra questo una falce lunare rivolta in basso, con la sua forma stessa sembra alluda a una figura umana (con le braccia distese)- ed infatti si trovano sia simboli di questo tipo provvisti di mani e a volte di piedi umani, sia figure antropomorfe della dea chiaramente disposte in una posizione imitante il simbolo- lo schema di uno, due o tre betili viene interpretato non solo come raffigurazione aniconica di una o più divinità, ma anche come riduzione schematica della dea, del suo trono o della dea sul trono, e tracce rudimentali di un vestito sul "simbolo della bottiglia" (Cintas, fig. 126) fanno pensare ugualmente a una schematizzazione di figure antropomorficamente concepite. Intorno a questi simboli si dispongono, sulle stele puniche, figurazioni in cui si possono ravvisare gli attributi della dea: una mano, il caduceo, la palma, il melograno e animali varî: elementi che insieme al disco e alla falce lunare, ritornano anche nelle raffigurazioni antropomorfe della dea (v. lilibeo, tav. a colori).
Tra queste sono stati distinti quattro tipi fondamentali: a) tipo stante, b) tipo cavalcante il leone, c) tipo assiso sul trono, d) tipo thorax.
Al primo gruppo appartengono, oltre alle numerose figure della "dea che si stringe i seni", anche le dee che reggono nelle due mani un disco (Antonielli, figg. 19, 20, 22) o addirittura un disco e la falce lunare. Una figurina con le braccia distese e con una coppa (?)in ciascuna delle mani, con il kàlathos in testa ricorda il "simbolo di Tanit" (Antonielli, fig. 23).
La dea cavalcante un leone- tipo che ha le sue lontane origini in Oriente- ci è nota solo dall'epoca romana. I documenti più noti di questo tipo sono le monete di Settimio Severo e di Caracalla che, con esplicito riferimento a Cartagine, raffigurano la dea seduta su un leone in corsa, vicino al quale dal terreno roccioso sgorga una sorgente (Babelon, tav. ix, 2-9). Ma recentemente è stato pubblicato un rilievo (Guarducci, tav. 1) rinvenuto presso la via Aurelia a Roma, che non è posteriore al I sec. d. C.: in un frammento di frontoncino si vede la dea seduta sul leone, con uno scettro in mano; il diadema sul suo capo è sormontato da due serpenti; vicino alla testa della dea si vede una stella a otto raggi; nell'angolo sinistro del frontoncino (quello destro manca): il carro del sole. Quest'è finora l'unica scultura romana che raffigura la dea T.-Caelestis. Un gruppo statuario rinvenuto nel tempio presso Siagu raffigura la dea in piedi sul leone (Merlin, tav. vi, 2) che, inoltre, ritorna in una gemma di età imperiale la cui iscrizione greca porta il nome divino di Hera-Urania (= Iuno Caelestis).
La dea sul trono appare già in epoca preromana sia in Africa (cfr. la statuetta del Museo Alaoui riportata dall'Antonielli alla fig. 51), sia in Sardegna. Per il tipo thorax- protome- della dea basti citare il frontale d'argento di Batna, (Antonielli, fig. 36), dove il busto di T. è separato da quello di Ba'al per mezzo di una stella.
Per completezza si possono menzionare raffigurazioni che pur non potendosi attribuire con sicurezza alla dea, possono tuttavia riferirsi a lei: la statua di kourotròphos rinvenuta nel santuario presso Siagu fa pensare al diffuso culto, nell'Africa romana, di una dea Nutrix, sotto il cui nome non può celarsi che una dea indigena, forse appunto una forma di Tanit. Nello stesso santuario si sono trovate immagini di una dea leontocefala (Merlin, tav. iii, 1-2): una simile figura, in una moneta dell'ultimo periodo repubblicano, è accompagnata da una sigla che viene letta generalmente G(enius) T(errae) A(fricae); ma, dato il luogo del ritrovamento, dati i rapporti di T. con il leone e analogie orientali di grandi dee leontocefale (Astarte in Egitto), non si può escludere che anche questa figura rappresenti la grande dea punica.
Bibl.: A. Merlin, Le sanctuaire de Baal et Tanis près de Diagu, in Notes et Documents IV, Parigi 1910; E. Babelon, in Mélanges numismatiques, IV, Parigi 1912, p. 110 ss.; S. Gsell, Histoire de l'Afrique du Nord, IV, Parigi 1922, p. 243 ss.; U. Antonielli, Tanit-Caelestis nell'arte figurata, in Notiz. Arch., III, 1922, p. 41 ss.; Preisendanz, in Pauly-Wissowa, IV A, 1932, c. 2178; G. Picard, Le sanctuaire de T. à Salambô, in Comptes-rendus de l'Acad. Inscr. B.-Lettres, 1945, p. 443 ss.; P. Cintas, in Revue Africaine, XCI, 1947, p. i s.; M. Guarducci, Nuovi documenti del culto di Caelestis a Roma, in Bull. Com., LXXII, 1949, p. 11 s.