TAPA SKANDAR
Grande deposito archeologico in Afghanistan formatosi su una collinetta di calcare, chiamato dalla popolazione locale Bālā Hesār. È situato a E di un piccolo villaggio tagico, Bālā Āb, c.a 30 km a Ν di Kabul e a breve distanza dalla strada che porta a Charikar. Il deposito, prima che gli archeologi giapponesi della Università di Kyoto compissero cinque campagne di scavo tra il 1970 e il 1978, era stato segnalato nel 1842 da Ch. Masson, che lo aveva chiamato Qal'a-ye Rājput, e da A. Foucher (1942-1947), che ne aveva fatto una breve descrizione, come pure da R. Ghirshman (1946) che lo aveva identificato con l’Ortospana di Strabone. Gli scavi, ancora non ultimati, rivelarono che il luogo era stato occupato due volte in epoca preislamica e una volta nei primi anni del XVII secolo. A parte le più antiche rovine di strutture isolate datate anteriormente al VI sec. e l'ultima fortezza (qal'a) dei primi anni del XVII sec., T. S. visse il suo periodo più florido tra il VI e il IX sec. d.C., quando i seguaci del brahmanesimo si fecero committenti della costruzione di un imponente forte, di diversi santuarî e di altri edifici minori, tutti racchiusi dalle mura costruite lungo il perimetro superiore del sito.
Di importanza straordinaria in questo periodo (Periodo II) sono l'immagine in marmo di Umāmaheśvara con iscrizione brāhmī sul piedistallo, rinvenuta in un tempio, e altri otto frammenti di statue dello stesso materiale, come anche i settecentosettanta frammenti ceramici decorati con motivi a stampo di animali e fiori. Questi ritrovamenti, che hanno caratteristiche comuni con i materiali noti dell'Afghanistan orientale, insieme alle fonti scritte cinesi che nominano il sito, pongono T. S. in un più ampio contesto storico.
Nel paese di Kapīsī, descritto nel primo volume del Da Tang Xiyuji, vi erano circa dieci templi o cappelle dei deva, che avevano il sostegno di circa mille adepti dichiarati, digaṃbara (jainisti), pāśupata e anche kāpālika (scivaiti). Xuanzang dice anche che a c.a 40 li a S della vera e propria città reale di Kapīsī si trovava una città con un santuario di Xibiduofa e che a c.a 10 li a S di essa c'era il monte Aruṇa. Se è giusta l'identificazione di Xibiduofa con Śvetāśvatara, T. S. sarebbe l'unico sito candidato a essere identificato con tale città, poiché vi sorgeva un tempio della scuola scivaita fondata da Śvetāśvatara che, discendendo dall'insegnamento dei Pāśupata, considerava Śiva come divinità suprema. Il monte Aruṇa corrisponderebbe quindi ai tre templi più tardi di Khair Khāna, c.a 20 km a S di T. S., da cui provengono due immagini di Sūrya (v.). Il tempio più antico di Khair Khāna, utilizzato come imponente podio per i templi più tardi, è detto nel Suishu (gli «Annali della dinastia Sui») «monte Pamir», dove era collocato il dio Śunā, o, secondo le fonti islamiche dell’VIII sec., Žūn. Tra il 608 e il 629 d.C., in seguito a una lotta politico-religiosa tra un gruppo credente in Aruṇa e uno credente in Śunādeva, Śunā fu trasferito su un monte chiamato Śunā-sīrā all'estremità S dello Zabulistān.
La statua di Umāmaheśvara, alta 81,5 cm, è quella meglio conservata tra le due dozzine di immagini brahmaniche di marmo conosciute (un Sūrya seduto da Khair Khāna, due Gaṇeśa stanti da Gardez e Šakar Dara, tre Durgā da Šakar Dara, Gardez e Tagao, e alcune statue di marmo non ancora identificate), prima della scoperta casuale, nel 1980, di un Sūrya stante a Khair Khāna. L'immagine di T. S. rappresenta Maheśvara, con quattro braccia e tre occhi, seduto sul toro Nandin, con la consorte Umā alla propria sinistra e, ai piedi di lei, un bambino ignudo probabilmente identificabile con Skanda. Sul piedistallo, che si trasforma in basso in un tenone non lavorato, vi è, su tre righe, un'iscrizione sanscrita di ottantaquattro caratteri brāhmī ad angolo acuto di epoca post-gupta. La composizione dell'immagine si rifà a quelle gandhariche di Pāñcika e Hāritī, mentre i particolari hanno parecchie caratteristiche in comune con quelle di altre sculture brahmaniche in marmo e anche con la produzione buddhista di terracotta o argilla di Bāmiyān, Fondukistān, Tapa Sardār in Afghanistan e di Uškar e Akhnur nel Kashmir e nel Jammu. Sulla base di questi confronti, l'immagine di T. S. è assegnata al periodo tra la seconda metà del VII e la metà dell'VIII secolo. Questa data ê confermata dall'esame paleografico dell'iscrizione, da cui risulta che alcuni caratteri cominciano a mostrare le caratteristiche dei successivi caratteri nāgarī.
Le decorazioni ceramiche a stampo si possono classificare in due categorie tipologiche: quelle che rappresentano, iscritti in un cerchio, animali - uccelli, cavalli, cervi e ibex (che a volte portano nastri legati al collo) - e quelle che rappresentano fiori, come il loto entro un cerchio e motivi ad albero liberi. La maggior parte presenta caratteristiche comuni e, molto spesso, è uguale ai motivi attestati nei siti a S dell'Hindukush, cioè Begrām III, Begrām Bāzār, Šotorak, Tapa Maranǰān, Saka, Gul Dara nel Logar, e anche nei siti del Wardak, e a Tapa Sardār a Ghazni. La distribuzione dei motivi suggerisce chiaramente che la T. S. del II Periodo è contemporanea ad alcune fasi di tali siti, le cui datazioni andrebbero pertanto a loro volta riesaminate.
Il sito di T. S., a pianta esagonale allungata e alto c.a 20-30 m rispetto al piano di campagna, è situato alla confluenza di due ruscelli, separati a E dal monte Kandu Sang. Sulle cime dei piccoli colli che si estendono a O del Kandu Sang vi sono dozzine di siti minori non scavati, e al margine Ν del declivio settentrionale si erge ancora una fortezza ottagonale rinforzata a ciascun angolo da una torre rotonda.
Tutti gli edifici fin qui scavati sono costruiti con mattoni crudi di varie misure (il formato più comune è 38 X 38 X 9 cm) impiegati per gli alzati, su podî costruiti sulla roccia. I podî, da un punto di vista tecnico, sono di due tipi: il primo è una struttura massiccia di pietre con paramento di piccole lastre irregolari cavate dai colli circostanti; l'altro è formato delimitando con pareti in muratura uno spazio, poi riempito e pavimentato con mattoni crudi disposti orizzontalmente.
L'ampia terrazza superiore irregolarmente esagonale racchiusa dalle mura (340 X 190 m) è divisa in una parte più bassa a O e in un'imponente parte orientale (c.a 8 m più alta della precedente). Al centro di quest'ultima vi è un'altura artificiale oblunga, limitata all'estremità E da un massiccio muro di contenimento in mattoni crudi; sulla sua sommità piatta si trova, al centro, un forte e all'estremità O il Tempio di Umāmaheśvara.
Il forte, che misura 54x47 m ed è alto 5 m sul lato O, è rafforzato da quattro torri semicircolari sul lato O e da due più grandi all'angolo SE. Aggiunte e riparazioni successive hanno trasformato gli angoli sul lato O in pareti diritte, e hanno protetto l'angolo NE con un muro di contenimento. Sebbene la pianta originale, a causa di tali modifiche, non ci sia nota, sembra aver avuto una forma a T. Contrariamente alla muratura perimetrale dei quattro lati del forte, ben conservata, gli alzati in mattoni crudi si sono degradati, e non è possibile ricostruire la disposizione degli ambienti. Tuttavia dobbiamo proprio a questo degrado la possibilità di capire come era fatto il podio del vasto edificio, che risponde al secondo tipo.
L'area che si estende dal forte verso O fino al Tempio di Umāmaheśvara è affollata dai resti di varie costruzioni suddivise stratigraficamente in tre gruppi e periodi. Nel XVII sec. gli edifici allora esistenti furono gravemente danneggiati dagli abitanti di una fattoria che occupava tutta l'area tra il forte e il Tempio di Umāmaheśvara. Usavano ceramica invetriata dalla decorazione e dalla tecnica di cottura molto simili a quelle della moderna produzione di Istalif, e una piccolissima quantità di ceramiche importate tardo periodo Ming-inizio Qing. L'immagine di Umāmaheśvara era stata posta nel santuario circa mille anni prima del loro arrivo. I seguaci del brahmanesimo costruirono edifici molto ampi, colmando o inglobando con mattoni crudi le più antiche, rovine del sito. I muri più antichi, frammentari, rimasero isolati tra loro, nonostante l'elaborata e bella opera muraria a secco. Essi poggiano sulla roccia accuratamente tagliata.
Il Tempio di Umāmaheśvara, di c.a 16x13 m, ha un ampio vestibolo aperto a O, che un muro notevolmente più spesso separa da un lungo e stretto ambiente rettangolare a E. Entrambi gli ambienti hanno una nicchia poco profonda, dello stesso tipo e proporzioni, nel muro S, in parte salvatosi dal crollo che aveva invece danneggiato la parte Ν dell'edificio. L'immagine di Umāmaheśvara, stante e rivolta a SO, fu rinvenuta nel 1970 al centro del muro divisorio nel vestibolo. La testa di Maheśvara, il busto di Umā e la mano superiore sinistra del dio con un corto triśūla, furono rinvenuti davanti all'immagine, al di sotto del livello dell'iscrizione sul piedistallo. Il contesto del rinvenimento fa supporre che l'immagine non fosse in situ. In origine essa doveva trovarsi presumibilmente dentro la nicchia nel muro divisorio, il cui straordinario spessore fa pensare che servisse da fondazione per piccole cappelle o nicchie. A Ν sono annessi al tempio due edifici quadrati della medesima grandezza, di cui tuttavia rimangono soltanto i podî in muratura di pietre non squadrate con paramento di lastrine (diaper).
A S del tempio si trovano i podi di un altro edificio rettangolare molto vasto, di cui la parte meridionale non è ancora stata scavata, e di un piccolo edificio quadrato sul cui lato O in origine si addossava un'altra struttura, di cui si conserva solo l'estremità E. Non rimane nulla degli alzati, ma la grande importanza di questi podi è costituita dalla testimonianza stratigrafica attestante la presenza di edifìci precedenti il periodo brahmanico. Il podio più grande inglobò i resti di strutture antecedenti, e quello più piccolo fu costruito su una colmata che coprì i resti dei muri più antichi. Per questo scopo fu eretto un lungo muro di contenimento che si estendeva verso S dall'angolo SO del Tempio di Umāmaheśvara per impedire che gli strati di colmata scivolassero verso il basso a O, secondo l'andamento della roccia.
Di fronte a quest'area e a soli 80 cm a E del forte si trova una cappella costruita sullo spesso strato di terra giallastra e compattata gettata sulla roccia. Sullo stesso strato poggia un sottile muro costruito contro il lato E del forte. La sua lunghezza, di c.a 7 m, è la stessa del lato O della cappella, e il muro sembra essere in relazione a esso. Nella fase più1 antica la cappella consisteva di una struttura quadrata massiccia di pietre non squadrate a O, con un vestibolo a E. Nella fase più tarda un ambiente più spazioso con tre pareti, fondato su un podio di pietre non squadrate, fu addossato al fronte del precedente vestibolo, che venne colmato con argilla e frammenti di mattoni crudi. Alla cappella più tarda si accedeva per mezzo di tre scalini composti di blocchi di calcare poroso. Diversamente dalla fase più antica, lungo i muri all'interno, forse dipinti di blu, correva un banco in mattoni crudi intonacati con argilla. Nonostante un successivo ingrandimento, le caratteristiche essenziali della struttura non mutarono. Non vi si è rinvenuto nessun oggetto di culto, ma la pianta dell'edificio indica un uso rituale, cui è connessa probabilmente anche la cenere biancastra molto fine trovata sul lato destro della scala.
Nella parte orientale, più alta, dell'eminenza oblunga si trova un'altra cappella, contemporanea a questi edifici, costruita contro un tratto degradato delle mura e sull'imponente terrazza in pietra, alta c.a 4 m, fondata sulla roccia. In rapporto alla terrazza la cappella appare piuttosto piccola. Coperta con una volta a botte in mattoni crudi, ha una pianta oblunga (5 X 2,6 m), con una porta molto stretta all'estremità E del lungo muro meridionale. In fondo all'ambiente c'è un plinto formato da due corsi di blocchi di crudo (pakhsā), alto 80 cm, e nel muro di fondo sopra il plinto c'è una piccola nicchia ad arco. Il pavimento è coperto di pietre di varia dimensione. Anche qui non è stato rinvenuto alcuno oggetto di culto.
Diversi edifici si trovano anche nella parte bassa. Alcuni sono irriconoscibili, ma due meritano di essere menzionati. Sono costruiti sui due spessi strati di terreno giallastro compatto gettati sulla roccia dopo la costruzione della terrazza della cappella. Uno, di c.a 10 m2, comprendeva, nella fase più antica, un piccolo ambiente a Ν e un ambiente spazioso a S; più tardi quest'ultimo venne diviso simmetricamente da un muro a formare due vani, a E e a O, il primo dei quali coperto con una volta a botte. Nel vano O furono trovati numerosi frammenti di vasellame di ceramica, schiacciato dai crolli. Sono stati ricomposti ventiquattro vasi tra cui diverse giare per derrate e vasi di media grandezza. L'edificio era accessibile solo attraverso le porte nelle pareti E e Ν dell'ambiente settentrionale.
Dopo l'abbandono di questo edificio ne fu costruito un altro di proporzioni simili, contro il suo muro settentrionale. È composto di un unico ambiente quadrato coperto da una cupola su trombe angolari, una delle quali, all'angolo SE, si è in parte conservata. L'unico accesso era dall'ambiente settentrionale dell'edificio precedente. Il nuovo vano a cupola, pertanto, si raggiungeva solo attraverso l'ambiente settentrionale.
Al centro del pavimento più antico era un focolare per uso rituale. Ha un diametro di 1,6 m ed è circondato da tre cerchi di frammenti di mattoni crudi, con al centro un mattone quadrato bruciato, profondamente allettato nel pavimento battuto. Nell'angolo SO dell'ambiente è una bassa piattaforma quadrata sulla quale, e accanto alla quale, erano collocate alcune giare capovolte e prive del fondo. Accanto alla piattaforma un canaletto di scolo di terracotta corre lungo la parete O. Un'altra piattaforma simile è situata contro il muro settentrionale. Accanto alla porta era una brocca dal collo corto, decorata con cordoni a tacche intorno al collo e con elementi d'argilla applicati sulla spalla, che le conferiscono una forma a uccello; era capovolta e unita mediante argilla a pietre disposte a forma di croce sul pavimento. Queste particolari disposizioni avevano di certo un significato rituale.
Sebbene lo scavo non possa ancora fornire un'idea completa delle mura di cinta, la parte che ne è stata riportata alla luce ha consentito l'analisi della tecnica costruttiva. Sulla parte superiore del pendio se ne osservano le fondazioni sulla roccia, consistenti di tre strati sovrapposti di terreno - uno sottile, sciolto, color marrone scuro, compreso tra uno strato compatto bruno-giallastro che poggia sulla roccia e uno strato bruno-nerastro contenente carbone in alto; i tre strati sono contenuti da un muro costruito con blocchi e lastrine di pietra (diaper), simile per tecnica alle strutture del Periodo I. Su questi strati, alti nel loro insieme quanto il muro di contenimento, è un piano di piccoli massi su cui posa il pavimento fatto di alcuni strati di mattoni crudi. Sulle fondazioni sono costruiti due muri paralleli, composti di quattordici strati alternati di mattoni crudi e argilla pressata, che reggono una volta a botte. In tal modo il muro di cinta era attraversato da un corridoio coperto a botte, alto 3,7 m e largo 2 m. È assai curioso che il corridoio in seguito sia stato riempito con mattoni crudi impilati con cura dal pavimento al soffitto, senza aperture.
La ceramica di T. S. può essere classificata in tre gruppi. Il primo, quantitativamente scarso, è costituito da ceramica rossa con spessa ingubbiatura rossa, ottenuta da argilla ben depurata; alcuni frammenti sono decorati con semplici linee dipinte in nero, che richiamano un genere di ceramica, trovato nel secondo periodo di Begrām, attribuito da Ghirshman al periodo dei «Grandi Kuṣāṇa». Il secondo gruppo, che a volte è associato al primo, consiste di frammenti di piccole ciotole di ceramica grigia o nera. Molto comune è la ceramica del terzo gruppo, rossa e compatta, con sabbia o più spesso mica come degrassante e parzialmente rivestita al sommo, con una sottile ingubbiatura rosso-scura o bruna. La caratteristica più notevole di questa ceramica è la decorazione che, ove presente, è solamente del tipo a stampo, per lo più entro cerchio.
I frammenti decorati con medaglioni impressi provengono principalmente dal forte, dal Tempio di Umāmaheśvara, dalla cappella a E del forte e dal grande podio a S del tempio. La ceramica del primo e del secondo gruppo è scarsa e molto fluitata e proviene da sotto il piano di piccoli massi nel corridoio e dagli strati sottostanti il podio quadrato più piccolo. I luoghi di rinvenimento suggeriscono che il primo e il secondo gruppo vadano attribuiti al Periodo I e che siano anteriori al terzo gruppo, contemporaneo agli edifici del Periodo II. Sebbene le condizioni frammentarie e corrose del primo e del secondo gruppo non sempre permettano di ricostruire le forme, alcuni esemplari sembrano importati dal distretto di Jalalabad. Alcune forme del terzo gruppo hanno invece caratteristiche comuni con quelle del terzo periodo di Begrām, che deve essere stato quindi contemporaneo al Periodo II di Tapa Skandar.
Bibl.: Ch. Masson, Narrative of Various Journeys in Balochistan, Afghanistan and the Panjab, 3 voll., Londra 1842; A. Foucher, La vieille route de l'Inde de Bactres à Taxila (MDAFA, I), 2 voll., Parigi 1942-1947; R. Ghirshman, Begram (MDAFA, XII), Il Cairo 1946; Sh. Kuwayama, The First Excavation at Tapa Skandar, in Archaeological Survey of Kyoto University in Afghanistan 1970, Kyoto 1972, pp. 5-14; id., Excavations at Tapa Skandar: Second Interim Report, in Kyoto University Archaeological Survey in Afghanistan 1972, Kyoto 1974, pp. 5-13; Sh. Kuwayama, Sh. Momono, The Third Excavations at Tapa Skandar, in Japan-Afghanistan Joint Archaeological Survey in 1974, Kyoto 1976, pp. 5-15; Sh. Kuwayama, Kapiśi Begram III. Renewing Its Dating, in Orient, X, 1974, pp. 57-58; id., Khair Khaneh and Its Chinese Evidence, ibid., XI, 1975, pp. 93-107; id., The Turki Śāhis and Relevant Brahmanical Sculptures in Afghanistan, in EastWest, XXVI, 1976, 3-4, pp. 375-407; id., The Fourth Excavation at Tapa Skandar, in Japan-Afghanistan Joint Archaeological Survey in 1976, Kyoto 1978, pp. 5-12; id., The Fifth Excavation at Tapa Skandar, m Japan-Afghanistan Joint Archaeological Survey in 1978, Kyoto 1980, pp. 5-15.