TAPPETO (τάπης e δάπις, tapetum)
Per l'antichità il termine t. va inteso in un senso più esteso dell'attuale, perché indica le stoffe in genere, che largamente si impiegavano per l'arredamento della casa, dette anche peristròmata, parapetàsmata, auleae, stragula, vela e si estendeva talora anche ai capi di vestiario. Si rinvia pertanto alla voce tessuti, limitandosi qui ad alcune indicazioni particolari e tecniche.
L'uso del t. fu originario dell'Asia Centrale dove era connesso con la vita nòmade sotto le tende. Queste potevano essere coperte di t. nelle loro strutture, oltre che rendere quasi indispensabile il t. steso sulla terra, sovente sabbiosa o umida, del pavimento. La pastorizia praticata dai nòmadi forniva la materia prima del t., la lana. Dovette però il t. estendersi presto all'ambiente colto iranico. Famosi i t. di Babilonia (babylonica peristròmata), di Sardi, di Tiro e di Sidone. La Persia cominciò ad esser celebre, in Grecia, per i t., solo a partire dall'età ellenistica. Per l'innanzi essa li importava dall'Assiria e dalla Lidia. Larga diffusione e rinomanza ebbero sui mercati in epoca ellenistica e romana i t. di Alessandria, ornati anche con figure di animali: Plauto li ricorda come beluata tapetia. (Un esempio interessante è costituito dal tessuto riprodotto in pittura nella Tomba del Padiglione di Caccia, a Tarquinia, quale copertura del padiglione stesso, costituito da un t. a grossi riquadri di varî colori con un bordo a figure di animali, di stile ancora arcaizzante. Questa pittura, sinora medita, è databile forse nella metà del V sec. a. C.). Si ha anche la denominazione di ψιλοτάπιδες che equivale ai tonsilia tapetia (Plauto, Stych., ii, 2, 54; Pseud; i, 2, 14), di Sardi; i tipi pesanti sono indicati come ἑτερό μαλλοι o ἀμϕί μαλλοι. Del Miceneo tardo è un soffitto nella thòlos di Orchomenos (vol. v, fig. 867), simile a un t. e, come tale è intesa anche la decorazione pittorica del soffitto di una tomba della necropoli di Anfusci ad Alessandria, le cui pareti mostrano degli alberi di un giardino, che figura visto dall'interno di un padiglione. Omero parla di τάπητες che ornavano i letti e servivano anche da cuscini. Agamennone, tornato da Troia, rifiuta di camminare sulle ricche stoffe (Aeschyl., Agam., 910-960). Senofonte (Cyrop., viii, 8, 16) indica come caratteristica della mollezza dei Medi e dei Persi l'uso di t. nelle sale da pranzo. Con la conquista macedone si diffonde l'uso di t. per terra; ma già Euripide descrive un t. con figure di divinità (Jon, v. 1116). In epoca romana si usano sui letti e sui cavalli: l'editto dei prezzi di Diocleziano distingue τάπης ἀκκουβιτᾶρις e τάπης καβαλλαρικός; Ovidio (Metam., vi, 1-145), descrive il metodo di tessitura.
Il più antico esemplare conservatoci di t. iranici è quello rinvenuto in uno dei kurgan ghiacciati dell'Altai (v. altai; pazyryk) e risale al V-IV sec. a. C. Le sue dimensioni sono m 2 × 1,83. Gli arazzi parietali e le gualdrappe figurate con intarsio di feltri colorati, degli stessi trovamenti, non possono esser considerati t., anche se usati come tali. Frammenti di t., forse di fabbricazione greca, sono stati trovati nelle tombe della Russia meridionale (IV-III sec. a. C.). Un altro t. quasi delle stesse dimensioni, con gruppi di animali in stile animalistico scitico, databile però attorno all'inizio dell'èra cristiana, fu trovato sul pavimento di una tomba a Noin-Ula nella Mongolia settentrionale. Sui vasi dipinti dei V-IV sec. non si hanno riproduzioni di t.; ma deve essere interpretato come un t. la stoffa riprodotta sopra un'anfora geometrica del Dipylon (Buschor, Griech. Vasen, Monaco 1940, figg. 19-20).
L'uso di t., come arazzi, per dividere un ambiente da un altro è attestato per la scenografia (v.) e inoltre nella descrizione della tenda di parata o padiglione di Tolemeo II Filadelfo per una festa datata dalla tradizione al 279 a. C. (Kallixeinos di Rodi presso Athen., v, p. 196 A. 25 = Overbeck, Schriftquellen, n. 1990). Ciò che rende questo genere di t. più simile all'arazzo, è il fatto che vi si trovano riprodotti quadri famosi. Una eco di questo uso si può scorgere nei motivi ornamentali frequenti nelle pitture parietali romane classificate al cosiddetto III stile (v. pompeiani, stili), chiaramente ispirati a stoffe fra montanti sottili (di legno), come appunto si dovevano usare per le tende e i padiglioni. Anche altri motivi di pitture pompeiane, con un tondo figurato inserito in un rettangolo allungato e stretto di colore unito, appaiono ispirate alla riproduzione di t. murali.
I moralisti greci e romani biasimano, generalmente l'uso dei t. come mollezza orientale. Catone Maggiore, rigidamente coerente, giunse persino a non voler conservare in casa un pezzo di t. babilonese da lui ereditato (Plut., Cat., iv, 5); e con ciò si documenta la diffusione di tale suppellettile nella Roma del III-II sec. a. C. Fabbriche di t. sorsero anche in Grecia: a Corinto sembra che ve ne fossero già in età arcaica; sicuramente ve ne furono in età ellenistica a Corinto stessa e, oltre alla già citata Alessandria, a Pergamo (Plin., Nat. hist., viii, 48, 196). In Occidente abbiamo notizia dei t. di Siracusa (Sil. Ital., xiv, 656 ss.) e dei peristròmata campanica, a figure policrome (Plaut., Pseudol., i, 2, 13). Fabbriche, anche di carattere statale si ebbero in età tardo-romana (si veda sotto tessuti la questione di Eraclea-Perinto).
In discussione rimane la questione se si possa attribuire il termine t. alle stoffe figurate che costituiscono la copertura dei letti riprodotti sui sarcofagi a kline di età romana e di fabbricazione attica, con ornamenti a strisce geometriche e a strisce figurate. Si ha talora l'impressione che si tratti piuttosto di trapunte. Analogamente potrebbe essere interpretata come un t. la stoffa riprodotta fra i sostegni della kline del noto sarcofago conservato nell'atrio della basilica di S. Lorenzo fuori le Mura a Roma; ma si potrebbe trattare anche della riproduzione di una stoffa leggera, tessuta a colori vivaci, o ricamata e forse addirittura di seta.
Altra questione non approfondita con indagine particolare è quella della eventuale riproduzione di t. su mosaici pavimentali, e del rapporto reciproco fra t. e mosaico. Certamente riproducono piccoli t. a motivo semplice, geometrico, e come tali sono intesi per la collocazione di un complesso di motivi geometrici entro un rettangolo inserito in un ampio campo bianco, due mosaici rinvenuti a Brescello e altri ad Ancona, a Bologna, ad Altino, tutti databili al I e IIl sec. d. C. I mosaici a ciottoli, del IV sec. a. C., da Olinto, potrebbero indicare una derivazione da motivi esistenti anche su t. (v. mosaico, tav. a colori). Lo stesso concetto ellenistico di imitare in mosaico pitture famose, che non erano certo state create per esser poste orizzontali sul suolo, potrebbe esser giunto al mosaico mediatamente attraverso il tappeto. Con l'autonomia che il mosaico pavimentale acquista in età imperiale romana, il rapporto col t. si perde; ma esso sembra riapparire in età tarda e specialmente protobizantina. Il mosaico con la Fenice, da Dafni di Antiochia (inizi del V sec. d. C.) e i mosaici laterali al grande pavimento giustinianeo di Sabratha (v. mosaico, fig. 329) sono esempi evidenti della recezione, da parte del mosaico, di motivi tipici della tessitura dei tappeti.
Tecnica. - La colorazione delle lane era data da diversi vegetali: la rubia tinctorum, o robbia, detta anche garanza, un'erba dal cui rizoma si ricava un rosso mattone di varie gradazioni; lo zafferano selvatico, o croco, una gigliacea dai cui stami si ha una materia colorante giallo-rossastra e dal vero zafferano che dà il giallo; dalla scorza dell'indaco che dà l'azzurro. Il rosso carminio era di origine animale, da una cocciniglia, e il nero, assai raramente usato, di natura minerale (ossido di ferro) che facilmente inaridisce e corrode il filo. Questi colori, più o meno diluiti, danno tutte le tonalità volute. Per il bianco o per talune tonalità brunorossastre si può usare la lana naturale. I fili di lana venivano (e vengono tuttora) immersi nel colore vegetale uno a uno, poi asciugati al sole; essi acquistano di per sé gradazioni diverse. Nel t. tessuto al telaio si ha come fondo la combinazione di fili longitudinali (detti catene d'ordito) intrecciati con fili orizzontali (detti trama). Su questo tessuto di colore grezzo, usato come struttura di fondo, si introducono tra i fili di trama delle serie di nodi, fissati sull'ordito. L'annodatura più comune si inizia passando il filo di lana guidato da un ago sotto il primo filo libero della catena d'ordito; si riporta passandolo sopra al filo successivo e lo si riconduce al primo filo. I due fili della catena saranno chiusi da questo nodo che si ripeterà nei due fili seguenti della catena e così via, lasciando una specie di occhiello ogni due fili. Il filo di trama verrà poi ad essere compresso sulla linea dei nodi muovendo un apposito bastone orizzontale connesso al telaio. La superficie pelosa del t. si ottiene tagliando gli occhielli e rasando i nodi e i ciuffi che sporgono dai tessuto. La concentrazione dei nodi stabilisce la finezza tecnica del t. (nei t. persiani di buona epoca moderna, sec. XV-XVII, si va da una concentrazione, per centimetro quadrato, di 10-15 nodi, che danno già una buona qualità, sino a 150-200 in casi di qualità assolutamente eccezionale). Il lavoro si comincia sempre dal basso e si segue, in genere, da destra verso sinistra. Nei telai grandi possono lavorare anche più persone contemporaneamente.
Bibl.: A. Riegl, Altorientalische Teppiche, Lipsia 1891; M. Besnier, in Dict. Ant., V, 1912, p. 43 ss., s. v. Tapes; Fr. Sarre-H. Trenkwald, Alt-orientalische Teppiche, Vienna-Lipsia 1929; Enc. It., XXXIII, 1937, p. 246 ss., s. v.; W. v. Bode-E. Kühnel, Vorderasiat. Teppiche aus alter Zeit, Lipsia, I ed. 1913; 4a ed. 1955; Fr. Sarre-E. Fleming, Die Ägyptischen Teppiche, in Jahrbuch d. asiatischen Kunst, I, 1924, p. 19 ss.; C. Trever, Discoveries in Northern Mongolia 1924-25, Leningrado 1932, (t. di Noin-Ula); K. Erdmann, Der oriental. Knüpfteppich, Tubinga 1955; A. E. Hangeledian, Tappeti d'Oriente, Milano 1959; I. Schlosser, Tapis d'Orient et d'Occident, Friburgo 1962; S. I. Rudenko, La culture des Huns et les kourghanes de Noin Oula (in russo), Mosca 1962; Dictionnaire archéologique des techniques, II, Parigi 1964, p. 941, s. v. Tapis. Per il rapporto fra mosaico e t.: E. W. Anthony, A History of Mosaic, Boston 1935; D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, Princton 1947, pp. 446-453; J. Lavin, in Dumbarton Oaks Papers, XVII, 1963, p. 199 ss.