Vedi TARANTO dell'anno: 1966 - 1997
TARANTO (gr. Τάρας, lat. Tarentum)
Oggi capoluogo di provincia sul golfo omonimo del Mar Ionio; in antico, città tra le più importanti della Magna Grecia.
La colonia greca di T. fu fondata da genti laconiche alla fine dell'VIII sec. a. C. La data tradizionale del 706 a. C. dataci da Eusebio (Hieronym., Chron. ad a. 706, p. 91 ed. Helm) non sembra debba essere anticipata, essendo confermata anche dalla datazione delle tombe più antiche. Sulla personalità del fondatore (considerato normalmente Falanto, duce dei Partenî) e sulle circostanze della fondazione, la tradizione era incerta già in antico: le due notizie più dettagliate, di Antioco e di Eforo, riportate insieme a confronto da Strabone (vi, 278-280-3, 2-33) divergono in alcuni particolari anche importanti. Le fonti accennano a un abitato prelaconico fondato dall'eponimo Taras, figlio di Posidone (Serv., ad Aen., vi, 773: Taras fecit, auxit Phalantus) ed abitato sia da barbari, cioè, con ogni probabilità, da Iapigi, sia da Cretesi (Antioch., apud Strab., vi, 279 = 3,2). L'insediamento preistorico (ritenuto un tempo una terramara) dello Scoglio del Tonno nella zona dell'attuale parco ferroviario, importante nell'Età del Bronzo, sembra abbandonato dalla fine del Il millennio a. C., ma nell'area della Città Nuova si sono trovate tracce di insediamenti indigeni precoloniali (vasi detti D'Eredità in un pozzo in via De Cesare; tombe in piazza del Carmine). Secondo altra tradizione T. sarebbe stata fondata dai Partenî stanziati prima a Satyrion oggi Saturo sulla costa a SO di Leporano, che recentissimi trovamenti sembrano confermare come il più antico stanziamento laconico in Puglia.
L'area occupata dai coloni greci è ben determinabile dal materiale archeologico prettamente greco (vasi corinzî ed attici a figure nere) di alcune necropoli (Leporano, Pulsano, S. Giorgio, Carosino, Monteiasi, Crispiano, Statte) disposte quasi ad arco intorno alla città, mentre le necropoli poco più lontane di S. Marzano, Montemesola, Grottaglie, Villa Castelli, Ginosa e Laterza sono di tipo indigeno, anche se con inclusione di qualche vaso greco; né sembra che, anche in età posteriore, il dominio diretto di T. si sia esteso maggiormente verso l'interno, anche se l'influenza artistica e commerciale di T., in tutta quella che è l'odierna regione pugliese, fu notevolissima.
La politica estera di T., dalla sua fondazione sino al IV sec. a. C., è basata essenzialmente sui suoi rapporti con gli indigeni e con le altre città della Magna Grecia.
Per il VII e il VI sec. a. C. mancano notizie di avvenimenti particolari, ma la floridezza di T. è dimostrata dai ricchi corredi tombali della sua necropoli, attestanti anche l'intensità dei rapporti con le città della Grecia e le isole dell'Egeo. Delle lotte di T. con gli lapigi- cioè con gli Apuli- e più specificatamente con i Messapi e i Peucezi, abbiamo ricordi storici nella presa di Carbina (attuale Carovigno in provincia di Brindisi) intorno al 470 a. C. e in due donari che i Tarantini eressero a Delfi: il primo, opera di Hageladas di Argo (Paus., x, 10,6), e quindi databile alla fine del VI o ai primissimi anni del V sec. a. C., il secondo, di Onatas di Egina (Paus., x, 13, 10), forse databile intorno al 460 a. C. Una grave sconfitta di T., alleata di Reggio, probabilmente nel 467 a. C., provocò nelle due città la caduta del regime aristocratico chiamato da Aristotele (Pol., v, 2,8,1303 a) politèia e alla instaurazione di un regime democratico.
La lotta decennale per la conquista della Siritide tra T. e la colonia panellenica di Turi, appoggiata da Atene, si concluse nel 433 a. C. con la fondazione comune della colonia di Eraclea (attuale Policoro), in cui l'elemento predominante, come hanno dimostrato anche scavi recenti, è quello tarantino.
La prima metà del IV sec. a. C. è dominata, a T., dalla figura di Archita, filosofo pitagorico, uomo politico e scienziato, stratego autocrator probabilmente dal 367 al 361 e capo della confederazione italiota, che, con capitale Eraclea, comprendeva Metaponto e Turi, e giungeva sino a Crotone, Velia e Napoli; è questa l'epoca in cui è più forte l'influenza dell'arte e della civiltà di T. sulle popolazioni indigene di tutta la regione pugliese, le cui città imitano molte volte anche tipi monetali di T. e di Eraclea.
Morto Archita verso la metà del secolo, i Tarantini, nel tentativo di conservare la loro eccezionale fioridezza- documentata anche dai ricchi corredi tombali- sono costretti ad invocare l'aiuto di generali mercenari greci contro le popolazioni àpule e lucane: Archidamo di Sparta, figlio di Agesilao, sbarcato a T. probabilmente nel 344 o 343, che morì nel 338 combattendo sotto le mura di Manduria; Alessandro il Molosso (335-330 a. C. circa) re d'Epiro, le cui azioni contro Lucani e Apuli furono soprattutto ispirate dal desiderio di crearsi un regno personale nella Magna Grecia; Cleonimo di Sparta (300 a. C. circa) che combatté soprattutto contro i Lucani. Essendosi i Lucani alleati con Roma, Tarantini e Romani si trovarono per la prima volta di fronte: è di quest'epoca (secondo altri del tempo di Alessandro il Molosso) il patto per cui le navi romane non dovevano oltrepassare il promontorio Lacinio (Capo Colonna).
Pirro re d'Epiro fu chiamato da T. non più contro le popolazioni dell'interno, ma contro Roma, che nel frattempo aveva posto anche una guarnigione a Turi. La distruzione di una piccola flotta romana penetrata nel golfo di T. nel 282 contrariamente agli accordi, e la presa di Turi da parte dei Tarantini, avevano infatti portato alla guerra con Roma, nel 281 a. C. ed il console L. Emilio Barbula devastava il Salento ed il territorio di Taranto. Nelle battaglie di Eraclea e di Ascoli del 279 a. C. Pirro non riuscì ad ottenere una vittoria decisiva sui Romani, mentre la vittoria romana presso Benevento, nel 276 a. C., lo costrinse ad abbandonare poco dopo l'Italia. Nel 272 a. C., a seguito di trattative tra il luogotenente di Pirro Milone ed il console Sp. Carvilio Massimo, T. si arrese ai Romani divenendo città federata, e conservando quindi una certa indipendenza, ma perdendo gran parte della sua importanza politica ed economica, anche in seguito alla fondazione, nel 244 a. C., della colonia latina di Brindisi.
Durante la guerra annibalica T., in un primo tempo piazzaforte romana, si diede ad Annibale nel 213 a. C. ed altre città greche seguirono il suo esempio; la guarnigione romana, rifugiatasi nell'acropoli al comando di M. Livio Macato, vi resistette per quasi cinque anni (nonostante che una piccola flotta inviata in suo soccorso nel 210 a. C. fosse sconfitta dinanzi al porto di Satyrion) fino a che Q. Fabio Massimo nel 209 a. C. non conquistò nuovamente la città, traendone eccezionale bottino soprattutto d'argento e d'oro, e lasciando a T. solo i suoi "dèi irritati" (Liv., xxvii, 16, 8), tra cui il colossale Zeus di Lisippo e l'Europa di Pythagoras. T. riprese la sua funzione di piazzaforte romana nelle operazioni contro Annibale, e fu sottoposta, a guerra finita nel 202 a. C., a gravi condizioni, quali la confisca di una parte del territorio, e il divieto di battere moneta, ma conservando la sua autonomia di città federata ed il suo carattere greco, che rimase tale certo sino al tempo di Strabone (vi, i, 253 1,2), e forse anche sino ad età imperiale avanzata. Nell'età dei Gracchi, forse nel 123 a. C., fu dedotta nel territorio confiscato la colonia marittima Neptunia, ripopolata già da Pompeo intorno al 6o a. C., mentre la città greca, divenuta municipio dopo la guerra sociale nell'89 a. C. (si sono trovati alcune parti della lex municipalis tarentina), assorbì probabilmente, in data imprecisata, la colonia Neptunia; un nuovo invio di veterani nel 6o d. C., ad opera di Nerone, sembra da interpretare come assegnazione di terre a carattere individuale.
In età romana T. sembra aver conservato una certa importanza, se non più militare e commerciale (in queste due funzioni il suo porto fu sostituito in pieno da quello di Brindisi), agricola, con produzione di lana, frutta, porpora, frutti marini, e anche culturale.
Il rinvenimento di resti di abitazioni di notevole ampiezza e ricchezza di decorazione fa supporre che T. romana fosse considerata- anche per la bellezza della sua posizione e la dolcezza del clima, spesso esaltato dai poeti come centro residenziale, sede di case-ville signorili.
Il più antico insediamento della colonia greca ebbe luogo, secondo la comune opinione, nell'attuale Città Vecchia, lunga penisola tra il Mar Grande (Tarentinus sinus) e il Mar Piccolo (Tarentinus portus), mentre la necropoli, all'esterno della città, era nell'area dell'attuale Città Nuova. Più tardi, forse alla fine del V sec. a. C., divenuta l'area della penisola insufficiente, la città si estese, sopra la più antica necropoli, sino alla zona dell'Arsenale, mentre le nuove tombe si costruirono ancor più ad E.
Ben poco sappiamo della topografia dell'antica città perché nella zona dell'acropoli, dove la Città Vecchia conserva ancora in parte la sua fisionomia medievale, non si sono effettuati scavi, e nella Città Nuova (chiamata un tempo il Borgo Nuovo) l'intensissimo sviluppo edilizio alla fine del secolo scorso ha distrutto gli avanzi rinvenuti, di pochissimi dei quali esistono relazioni, disegni o fotografie.
L'acropoli, definita paeninsula già in antico (Liv., xxv, ii, i), era in età classica limitata alla parte meridionale dell'attuale Città Vecchia, sino all'odierna via di Mezzo: tutta la fascia lungo il Mar Piccolo è dovuta a un riempimento di età bizantina. Era difesa verso la terraferma da mura precedute da un profondo fossato, quest'ultimo sul percorso dell'attuale Canale Navigabile, costruito dagli Aragonesi nel 1480: delle mura, demolite già al tempo di Annibale (Liv., xxvii, 16, 9), numerosi blocchi sono reimpiegati nelle mura medievali della discesa del Vasto. È incerto se l'acropoli fosse difesa da mura anche lungo le rive dei due mari.
Unico importante monumento di cui ci siano giunti avanzi è un tempio dorico arcaico- la sua attribuzione a Posidone è del tutto ipotetica- di cui è tuttora visibile una colonna col suo capitello (alt. totale m 8,50) e resti di un secondo capitello, incorporati nella chiesetta della SS. Trinità dei Pellegrini. La forma e le proporzioni della colonna (altezza = diametri 41/2) e la sagoma del capitello con il singolare profilo dell'echino formato da una doppia curva datano il monumento alla prima metà del VI sec. a. C.
La città greca, corrispondente all'attuale Città Nuova occupa, nella parte delimitata dalle sue mura, un'area amplissima (più o meno quella della città moderna che conta 200.000 abitanti), ma le costruzioni erano limitate alla zona più occidentale (Polyb., viii, 28,5: τὸν οἰκούμενον τόπον τῆς πόλεως) sino all'altezza dell'Arsenale e dell'attuale via Leonida, mentre la vasta area restante era destinata a necropoli.
Le mura più volte ricordate dalle fonti antiche, e che al tempo di Strabone (vi, 278 = 3,1) erano già in gran parte distrutte, erano attraversate da varie porte, una delle quali aveva il nome di Temènide (Polyb., viii, 28,2; cfr.: Liv., xxv, 9, 9). Il loro percorso è ben individuato sul terreno, dalla Torre d'Ayala sul Mar Grande alla zona di Collepazzo sul Mar Piccolo. Sono oggi visibili, per lungo tratto verso il Mar Grande, i filari di base in blocchi isodomici, alcuni dei quali recano gruppi di lettere di cava; resti di torri quadrate; avanzi di una porta presso la Masseria del Carmine. Non vi sono qui tracce di fossato, mentre invece, verso il Mar Piccolo, un ampio taglio, detto Canalone, pare corrisponda al fossato delle antiche mura. La datazione più probabile sembra alla fine del V sec. a. C. Mura di difesa correvano probabilmente anche lungo le rive dei due mari limitatamente almeno ad alcune zone: qualche avanzo è ancora visibile, sul Mar Piccolo, nella zona dell'Ospedale Militare.
Non conosciamo l'impianto urbano, che doveva però essere razionalmente concepito- pur nella necessità di avere spesse volte insieme tombe e case- se sono ricordate alcune strade importanti, come la via Βαϑεῖα, cioè Bassa (Polyb., viii, 29, I e 33, 6) probabilmente lungo la riva del Mar Piccolo e la via Σώτειρα, in onore di Posidone Sotèr (Polyb., viii, 33, 6), di incerta ubicazione. Non sappiamo se la Πλᾶτεια (Polyb., viii, 29, i e 34, 9), lungo la quale Annibale trasportò le navi tarentine dal Mar Piccolo al Mar Grande, corrisponda ad una strada vera e propria esterna alle mura, o semplicemente ad una zona piana dall'uno all'altro mare. È probabile che alcune strade romane siano sul percorso di più antiche strade greche, ciò che indicherebbe una sistemazione di tipo ippodameo.
Dei monumenti e delle abitazioni della città greca nulla ci è pervenuto, a parte una serie di canali intagliati nella roccia, spesso collegati a pozzi, utilizzati in età ellenistica per scarico di materiale. Alcuni quartieri erano destinati a particolari attività commerciali: le officine dei figuli erano, per la gran parte, nella zona del Nuovo Ospedale lungo il Mar Grande, quelle dei tessitori o dei tintori negli attuali giardini del Peripato lungo il Mar Piccolo, dove si sono trovati notevoli ammassi di mùrici.
Le fonti classiche nominano diversi monumenti pubblici: l'agorà spaziosa (εὐμεγεϑης) che doveva trovarsi nella zona della citta piu vicma all'acropoli (Strab., vi, 278 = 3,1) con la statua colossale di Zeus, opera di Lisippo (Plin., Nat. hist., xxxiv, 7, 18); il Mouseion, vicino all'agorà (Polyb., viii, 25, ii); un ginnasio di particolare magnificenza (Strab., vi, 278 = 3,1); il Pritaneo (Athen., xv, 700 d); il teatro maius, ricordato come prospiciente il Mar Grande (Flor., i, 13,3; cfr.: Liv., xxv, 10, 4), che un'ipotesi moderna, senza particolare fondamento, vorrebbe collocare nel luogo dell'anfiteatro romano; un αὐλητήριον (Hesych., s. v.); forse il teatro minore. Le fonti ricordano anche alcuni templi, che però potevano essere anche sull'acropoli: di Vesta, con la statua di Satyros, forse un eroe indigeno (Cic., in Verr., iv, 6o, 135); di Hera (Iambl., De vita Pyth., 61; Porphyr., Vita Pyth., 24); un naìskos (aedicula) di Artemide (C.I.L., 12 1696 = Dessau, 3237); forse ad un tempio di Eracle sull'acropoli apparteneva la statua colossale di Lisippo poi portata a Roma (Plut., Fab. Max., 22, 8; Strab., vi, 278=3,1; Plin., Nat. hist., xxxiv, 7, 18). A un tempio di Hera o di Afrodite appartiene un acrolito della metà del V sec. a. C. oggi al Museo Nazionale di T.; ad un tempio di Kore-Persefone la notissima Dea in Trono di Berlino, ritrovata però nascosta in un pozzo antico: un santuano di Kore-Persefone era al Pizzone, dove si sono rinvenute, oltre ad una dedica in lettere greche arcaiche, migliaia di immagini fittili della dea; un tempio dei Dioscuri sembra ubicato, dai rinvenimenti di alcuni βόϑροι poi con tavolette fittili e vasi sacri, nella piazza del Carmine; uno di Apollo, forse, da statuette della divinità nell'area del Castel Saraceno sul Mar Grande (presso l'attuale "grattacielo" al viale Virgilio). Infine fuori della Porta Temènide era il tumulo di Apollo Hyakìnthios (Polyb., viii, 28,2), forse sul luogo detto oggi l'Erto di Cicalone.
Poco di più conosciamo della città romana, che sembra aver conservato, nella sua estensione, i limiti dell'abitato greco. Romano, augusteo anzi secondo il Kahrstedt, era con ogni probabilità il ponte, su cui passava la Via Appia, che congiungeva l'acropoli alla terraferma ad occidente (Strab., vi, 278=3,1), bloccando così l'ingresso del Mar Piccolo, dove era l'antico porto militare.
Resti di strade sono stati trovati in più punti: della stessa Via Appia sotto la via Duomo a T. vecchia e, nella Città Nuova, di un lungo tratto di una larga strada sul percorso di via Pitagora. Un'altra strada antica, lungo la moderna via Nitti, vista in diversi tratti, andava da mare a mare incrociando ortogonalmente la precedente. È interessante notare che l'orientazione delle costruzioni romane risponde esattamente al moderno reticolato della Città Nuova, per cui si ha motivo di ritenere che anche T. romana avesse, come la città moderna, un impianto urbanistico regolare.
Di due acquedotti rimangono avanzi: del primo, che dalla masseria del Triglio presso Statte portava l'acqua alla Città da occidente, è certamente antico lo speco tagliato nella roccia e ancor oggi in parte utilizzato dal moderno acquedotto, mentre la lunga serie di archi di sostegno del condotto a pelo libero lungo la via di Statte, comunemente designati come "acquedotto romano", è in gran parte moderna. Di un secondo acquedotto, che arrivava da oriente, dalla zona di Leporano, restano ampî tratti del muro di sostegno dello (peco in opera reticolata lungo corso Italia (già via Murivetere) e sono state individuate sotto la masseria Vaccarella (oggi via Umbria) due ampie vasche di raccolta: si tratta forse dell'aqua [ny]mphalis ricordata dall'iscrizione delle Terme Pentascinensi (v. oltre).
L'anfiteatro, con strutture in opera reticolata e laterizio, fu scavato in parte alla fine del secolo scorso nella via omonima e poi reinterrato sotto l'attuale mercato coperto comunale. Di un grande stabilimento termale presso l'antico Castel Saraceno rimangono scarsi avanzi di un portico e di strutture in opera reticolata sotto il grattacielo di viale Virgilio; un secondo stabilimento termale, di cui nulla rimane, fu in parte scavato sotto la Piazza del Carmine; un terzo più ampio, probabilmente da identificarsi con le Thermae Pentascinenses ricordate da un'iscrizione del IV sec. d. C., era tra via Principe Amedeo e via Mazzini all'altezza di via Duca di Genova; di esso faceva forse parte una piscina, con ampia scalinata di accesso, trovata nella stessa zona.
Resti di costruzioni private signorili di varia epoca (dal I al IV sec. d. C.) si sono trovate a più riprese nella parte occidentale della città, e soprattutto nella zona di piazza Maria Immacolata, via Nitti, via Duca di Genova: da esse provengono numerosi mosaici e opere di scultura, sia copie di originali greci che ritratti romani. Gli unici resti visibili sono quelli rinvenuti nel 1961 in via Nitti 35: avanzi notevoli di una casa signorile tarda con ampie sale, portici e ambienti termali; resti di un calidario intravvisto in via Cavallotti appartengono forse allo stesso complesso. Tra le vie Di Palma, Pupino e corso Umberto furono scoperti e distrutti (1943-46), resti di costruzioni romane con mosaici e sculture, sovrapposti a murature greche, sotto alle quali era una necropoli proto corinzia. Resti di una villa tarda con cortili e porticati furono scavati in piazza Roma avanti ai Giardini del Peripato. Forse ad una villa fattoria appartengono resti di costruzioni in corso Italia-via Argentina, di cui rimane in via Argentina 35 una conserva d'acqua intonacata, costruita utilizzando materiali di edifici precedenti.
Importante è stato il rinvenimento nel 1913 di un gruppo di case di abitazione di età romana nella zona dell'Arsenale, distrutte poi per la costruzione del secondo bacino di carenaggio; si tratta di un complesso di edifici affacciantisi sui mare, appartenenti, a quanto pare, a un quartiere portuale.
Necropoli. - La necropoli di T., eccezionale per la sua vastità e la ricchezza dei corredi funerarî, ha dato decine di migliaia di tombe, dall'inizio del VII sec. a. C. all'età romana, e soprattutto dal VI al III sec. a. C.; ed è di tanto maggior interesse nella mancanza quasi assoluta di altri resti antichi superstiti.
Tombe, in gruppi più o meno numerosi, si sono trovate e si continuano tuttora a trovare in tutta la vasta area della Città Nuova, sino alle antiche mura ed anche oltre; nessuna tomba è stata rinvenuta sinora nella Città Vecchia, cioè nell'acropoli. Come si è già detto, nella parte occidentale del Borgo le tombe del VI e V sec. vennero a trovarsi, in seguito all'espansione della città, sotto e accanto alle case, e ciò aveva già destato la meraviglia di Polibio (viii, 28, 6-7) che l'attribuiva ad un antico oracolo che avrebbe raccomandato ai Tarantini di abitare insieme "ai più". Un'area molto ampia ad oriente dell'abitato (circa due terzi dell'area totale racchiusa dalle mura) era invece destinata, come si è già detto, esclusivamente a necropoli. Un gruppo di tombe del VI e V sec. a. C. era anche dalla parte opposta, a NO della stazione ferroviaria.
Le tombe greche sono ad inumazione, sia nel più comune tipo a fossa, che nel monumentale tipo a camera; rare le urne di cremati (3 tombe arcaiche e alcune tombe ellenistiche). Le tombe più antiche, con materiale protocorinzio e corinzio del VII sec., sono distribuite in varie zone del Borgo, con particolari addensamenti nelle contrade Vaccarella e Corti Vecchie; sono a fossa rettangolare scavate nel banco di arenaria che costituisce il sottofondo della zona, ricoperte da un solo lastrone, con corredi talvolta anche abbondanti, in parte fuori tomba.
Dalla fine del VII sec. e per tutto il VI sec. le tombe, molto più numerose e ricche delle precedenti (con pregevoli ceramiche corinzie, laconiche e poi attiche a figure nere, mentre non mancano prodotti di Rodi, Chio, Samo, ecc.) sono sparse per tutta l'area, e particolarmente nelle contrade Montedoro e S. Lucia, più vicine all'acropoli. Alle tombe a fossa semplicemente scavate nella roccia e ricoperte, in genere, da due lastroni, si aggiungono tombe con le pareti rivestite da lastre di pietra locale (càrparo o màzzaro) ed eccezionalmente anche da lastre di terracotta (via Iapigia). Rari i sarcofagi di pietra locale inornati: da via Nitti viene (1961) un sarcofago della fine del VI sec. a. C. con, all'interno, fregio di foglie e fiori di loto.
Probabilmente alla metà del VI sec. risalgono le prime e rare tombe monumentali, con cella rivestita da lastre di pietra, anche senza dròmos di accesso, con una o più colonne monolitiche reggenti un architrave su cui poggia la copertura displuviata, e sepolture in sarcofagi di pietra locale. La più antica (intorno al 550 a. C.) in via Nitti angolo via Di Palma, con colonna e capitello dorico, ha dato varie coppe dei "piccoli maestri" e due vasi firmati da Antidoros. La tomba detta "dell'anfora panatenaica", i cui resti ancora si conservano in via Crispi, è della seconda metà del VI sec., ed aveva diversi sarcofagi, più volte riadoperati. Alla fine del VI sec. appartengono probabilmente (mancano i corredi) un ipogeo di via Nitti, con tre sarcofagi, senza dròmos di accesso, e con pilastro centrale reggente l'architrave, e una grande tomba quadrata di via Oberdan (tra via Duca degli Abruzzi e via Duca di Genova) con dròmos irregolare di accesso e quattro colonne con capitelli dorici reggenti la copertura; all'interno erano quattro sarcofagi.
Forse solo alcune di queste tombe a camera più arcaiche erano sormontate da piccole edicole funerarie (naìskoi) con decorazione fittile: ad una di esse possono appartenere due figure acroteriali di Nikai in volo, della seconda metà del VI secolo. Ma delle edicole, o anche semplicemente dei segnacoli delle antiche tombe, che pur ci sono attestati in mezzo alle case (Athen., XII, 522 f) non abbiamo, per quest'epoca e per tutto il V sec., documentazioni sicure; probabilmente erano, come quelli di età ellenistica, a forma di colonna, di pilastro, oppure di tempietto: alcune antefisse arcaiche possono appartenere, oltre che a edifici pubblici o privati, anche a questi più antichi naìskoi.
Le tombe del V sec. a. C. sinora ritrovate sono meno numerose: è caratteristica la particolare cura tecnica della costruzione, e insieme la relativa povertà dei corredi. Continua la forma tradizionale delle tombe scavate nella roccia, e divengono meno rari i sarcofagi monolitici. Alcune tombe, particolarmente curate nei perfetti incastri delle lastre, hanno sarcofago con duplice copertura (corso Italia, via Di Palma). In un gruppo di tombe con triplice copertura, il sarcofago (la suppellettile è costituita solo da un alàbastron e da uno strigile) è sormontato da un vano riempito di pietrame, cui sovrasta un altro vano completamente vuoto (via Iapigia). La tomba di un atleta del 500 a. C. circa, rinvenuta nel 1961 in via Genova, aveva un sarcofago monolitico coperto da tetto a doppio spiovente, con decorazione dipinta imitante quella fittile dei templi, racchiuso in una più ampia camera di lastroni in cui, insieme al sarcofago, erano quattro anfore panatenaiche.
Qualche rara tomba a camera continua il tipo della seconda metà del VI: della seconda metà del V sec. a. C. (materiale attico a figure rosse e protoitaliota), ma reimpiegata più volte forse fino al III-II sec. a. C., è la tomba di via Dante, angolo Via Mezzacapo, senza dròmos di accesso (sotto il lastrone di copertura, da cui si accedeva, era una piccola scaletta) con colonna centrale con capitello dorico, un sarcofago e due tombe a fossa scavate, forse in epoca posteriore, nel pavimento.
Nella prima metà del IV sec. a. C. le tombe continuano la tradizionale forma a fossa rivestita di lastroni (mancano per questo periodo tombe a camera), con materiale pròtoitaliota e àpulo. Della fine del IV sec., del III sec. a. C. e, in minor misura, anche del II è la maggior parte delle tombe di T. costituenti la grande necropoli ellenistica, che si sviluppa in vari nuclei (spesso anche su aree tombali di età precedente come a piazza Sardegna) nella vasta area libera tra le case e le mura. Accanto ai vasi, di tipo àpulo e di Gnathia, che permangono in forme povere e rozze- limitati ad una tazzetta e ad una oinochòe- anche oltre il III sec. a. C., diventano abbondanti le oreficerie e gli altri oggetti di corredo, le figurine fittili, gli alàbastra fusiformi: nel III-II sec. a. C. si ha anche ceramica ellenistica a rilievo o dipinta, tipo Centuripe; rari i prodotti "campani" o "caleni", mentre gli unguentarî acromi costituiscono importante elemento di datazione.
Le tombe a fossa sono spesso di grandi dimensioni (del tipo cioè detto a "semicamera"), rivestite di stucco dipinto a fasce o a riquadri o a festoni e con nicchiette alle pareti, ricoperte da lastroni con coperture generalmente in piano di grosso spessore (contrada Tesoro, zona Tre Carrare). Le tombe a camera, sempre più volte riadoperate, riprendono ad essere usate alla fine del IV sec. a. C., e sono soprattutto abbondanti nel III; hanno dròmos di accesso a scalinata e porta di chiusura di pietra locale: nelle più antiche è un solo letto isolato al centro (corso Italia, via Oberdan), poi uno, due o tre letti appoggiati alle pareti, talora aggiunti all'architettura originaria della tomba. Si hanno anche tombe abbinate (via Umbria).
La copertura era con lastroni in piano, spesso ornati all'interno da cassettonato (via Polibio, angolo via Dante); in diversi casi le lastre di copertura sono sorrette da un arco (quartiere Italia, contrada Corvisea); una tomba tarda della zona dell'Arsenale era a vòlta ribassata: all'interno erano due klìnai e, al centro, una base o un'ara; anche la porta a due battenti è arcuata. Le pareti sono intonacate e spesso ornate da pitture, prima con semplici fasce, poi (III-II sec. a. C.) con riquadri ornamentali o motivi di ghirlande e festoni dalla elegante policromia, infine, in qualche tomba ancora più tarda (II-I sec. a. C.) anche con scene figurate (zona di piazza d'Armi, oggi via Crispi, via Regina Elena sino all'Arsenale). Di stucco dipinto sono ornati anche i cassettoni della vòlta, le porte delle tombe, le fronti dei letti funebri.
Sopra le celle funerarie (anche su qualche tomba a semicamera) erano le edicole a forma di tempietto, ornate nelle metope, nei fregi continui, nei frontoni, da rilievi di pietra tenera locale, e con all'interno la statua a tutto tondo del defunto; accanto a questi monumenti funerarî più ricchi e complessi non mancavano (anche per le più comuni tombe a fossa) monumenti più semplici, come vediamo nella ceramica àpula e come è confermato da rinvenimenti di singoli elementi decorativi (nessun naìskos è stato sinora trovato intatto o ricomposto): basi quadrangolari ornate, sormontate dalla statua del defunto, pilastri, colonne con capitello o altro coronamento, stele decorative (raramente iscritte) di varie forme.
Una serie di tombe a camera con eleganti naìskoi lungo l'attuale via Crispi e via Leonida, al limite della zona anticamente abitata, costituiva l'inizio monumentale della grande necropoli ellenistica.
Sono oggi visibili solo poche tombe a camera ritrovate negli ultimi anni (le altre, comprese quelle dipinte, sono state distrutte o reinterrate). Le più importanti sono in via Umbria 162: tomba doppia con due gradinate di accesso, porta in unico blocco a saracinesca e un letto funebre modanato e con tracce di pittura in ognuna delle due tombe (seconda metà IV sec. a. C.); via Umbria 145: grande tomba con due letti funebri (IV sec. a. C.); via Polibio 5: tomba con gradinata di accesso, porta dipinta, due letti funebri decorati, elementi della copertura a cassettonato con rosoni e tracce di pittura.
In età ellenistica tarda sono anche sempre meno rare le sepolture ad incinerazione, per la sempre maggiore influenza del costume romano: nell'area dell'Ospedale Civile una tomba a fossa rivestita di lastroni conteneva una diecina di urne cinerarie. Non si sono trovati ustrini; in un caso (via D. Peluso) una tomba sembra essere stata usata come ustrino.
Numerosi pozzi nell'area della necropoli contengono materiale tombale dal VII al III sec. a. C., ma con prevalenza del IV sec. o della fine del V, denotando nuove sistemazioni di alcune zone, che hanno implicato la distruzione di precedenti aree tombali.
Le tombe di T. romana sono anch'esse entro le mura, nella stessa area della necropoli ellenistica. Sono ad incinerazione, con urne di terracotta o di vetro, molto più raramente di marmo, e scarsa suppellettile (oggetti di corredo personale, vetri, qualche terracotta, qualche avorio o osso; scarsa ceramica non decorata).
I due nuclei più notevoli sono nella zona dell'Arsenale e sotto la Casa del Mutilato al viale Virgilio, cioè lungo le due strade che costeggiano il Mar Grande e il Mar Piccolo, al termine degli edifici cittadini. Le lapidi, piuttosto numerose, si riferiscono quasi tutte a liberti, schiavi o coloni della colonia Neptunia; molte volte le tombe sono sormontate da busti-ritratto di pietra locale.
Probabilmente un tempietto funerario- sepolcro di una famiglia o di un collegio- è l'edificio conservato nell'area dell'Ospedale Militare, ornato all'interno da fasce dipinte, con un banco lungo le pareti per l'impostazione di pilastri onorari o votivi (uno, all'ingresso, ha una torcia a rilievo); ha una base di un altare o di una statua al centro ed un'urna appoggiata ad una parete.
Arte tarantina. - Nel quadro dell'arte magnogreca, l'arte di T. è la più vicina a quella della madrepatria, e per la maggior vicinanza geografica di T. alla Grecia, e perché a T. era meno caratterizzante che altrove (ad esempio in Sicilia) l'apporto degli indigeni dell'interno; tanto più che le stesse popolazioni indigene àpule vantavano anch'esse, ed erano, probabilmente, almeno in parte, di antica origine ellenica. Ciò spiega la difficoltà, in molti casi, di stabilire la "tarantinità" di determinate opere d'arte, e quindi le differenti opinioni, sull'ampiezza dell'arte tarantina, dei varî studiosi che si sono occupati di arte magno-greca.
Lo studio dell'arte di T. può essere basato, infatti, non tanto sulle opere di sicura provenienza tarantina, dato che alcune o molte di esse erano importate direttamente dalla Grecia, ma soprattutto su quelle che, anche per le loro caratteristiche tecniche, erano certamente di fabbricazione locale, come i monumenti d'architettura, le sculture di calcare e di pietra tenera, le terrecotte figurate.
Pur tenendo presenti le lacune della nostra conoscenza dell'archeologia tarantina, è notevole a T. la predilezione per determinate forme artistiche: le tombe a camera ellenistiche con naìskoi riccamente decorati da rilievi di pietra tenera e ornati da statue funerarie; la ricca produzione coroplastica, dalla fondazione della colonia all'età romana, sia di uso sacro che funerario; le oreficerie e le argenterie, soprattutto ellenistiche, numerose e raffinate. Meno caratteristica la ceramica che, per il IV sec. a. C., si inserisce nel più ampio quadro della ceramica àpula (v. apuli, vasi), mentre precedentemente e, per i vasi figurati, pressoché tutta di importazione.
Nel campo dell'architettura, la colonna del cosiddetto tempio di Posidone, della seconda metà del VI sec. a. C., che è oggi l'unico avanzo di un grande edificio monumentale, mentre conferma l'originaria grandezza del tempio (che si avvicina pertanto nelle dimensioni più agli edifici templari della Magna Grecia e della Sicilia, che non ai templi della Grecia) presenta, come si è già detto, un capitello dall'echino di forma locale particolare, diversa dalla forma canonica.
Si è già accennato, nella parte topografica, alle grandi tombe a camera, sia del tipo arcaico (dalla seconda metà del VI sec. al V sec. a. C.) con cella rivestita di lastroni, sia del tipo ellenistico, particolarmente elaborato, in cui l'architettura si unisce alla scultura e alla pittura oltre che alla plastica fittile. Le edicole funerarie ellenistiche sono raffigurate su alcuni tipi di vasi àpuli, che sembrano però di produzione canosina o ruvestina e non tarantina; ma è probabile che anche gli ipogei di tipo canosino, pur essendo, con le loro numerose celle funerarie, diversi dalle tombe a camera di T., avessero tempietti di forma simile.
Ai naìskoi arcaici possiamo attribuire le antefisse con Gorgoni e Sileni, altri elementi di decorazione fittile dipinta (cornici, gocciolatoi a protome leonina) e due grandi figure acroteriali di Nikai in volo, della seconda metà del VI sec. a. C., tra i più antichi esempi di grande scultura tarantina in terracotta, in cui la squadratura "dorica" dell'impostazione risente già forti influenze "ioniche" nelle pieghe delle vesti e nei particolari, nel gusto eclettico, che appare proprio dell'arte tarantina di quest'epoca.
Molto più abbondantemente documentata è naturalmente la decorazione architettonica delle tombe monumentali ellenistiche, che abbiamo già esaminato nella parte topografica. L'ornamentazione è sovrabbondante, ma non stucchevole, nei tipici capitelli figurati con teste di divinità, Eroti, Satiri, Sfingi, ecc.; nei rilievi fitomorfi o zoomorfi delle lastre di rivestimento, che trovano confronti con la contemporanea ceramica àpula e di Gnathia; e soprattutto nei noti rilievi figurati di pietra locale, tanto importanti per la conoscenza dell'arte tarantina. La pietra tenera locale, facilissima a lavorarsi appena estratta dalla cava, si prestava ottimamente alle movimentate scene raffigurate nelle metope, nei fregi, nei frontoni delle edicole funerarie. Nei rilievi, il cui repertorio è spesso ispirato al culto funerario, gli influssi di Timotheos, di Prassitele, e soprattutto di Skopas e di Lisippo sono rielaborati ed accentuati negli aspetti più congeniali al gusto artistico di T.: l'eleganza, il vivace movimento, spesso con torsioni ad S, la forte ricerca espressiva. L'isolamento della figura dal fondo del rilievo, che crea una notevole profondità spaziale, si accentua in epoca tardo-ellenistica dando origine a figure isolate a giorno di gusto quasi rococò.
Delle statue funerarie che ornavano le edicole, rimangono numerose teste marmoree anche con tracce di colore: il corpo era spesso eseguito in calcare locale, ed abbiamo anche casi di tasselli di calcare su teste di marmo. La mancanza, nella zona di T., di marmo statuario, che ne rendeva necessaria l'importazione dalla Grecia (l'utilizzazione di cave in Calabria è ancora in discussione) spiega la circostanza: il rivestimento di stucco dipinto uniformava le superfici dei due diversi materiali. Anche in queste teste marmoree, sia maschili che femminili, si riconoscono, pur in una comune impostazione a grandi masse e in una sempre presente chiarezza di linee, le derivazioni dalle varie scuole artistiche greche del IV sec., e particolarmente scopadee, nell'accentuazione del pàthos e dell'incisività di espressione, e le opere, sempre di buon livello artistico, dimostrano l'esistenza a T. di artisti valenti, di cui purtroppo ignoriamo i nomi: tra gli esempi migliori una testa della prima metà del IV sec., appartenente ad un gruppo funerario (Langlotz, Kunst der Westgriechen, 132), di lontana derivazione ionica, e la bella testa velata femminile di Kansas City (Langlotz, op. cit., 135), di poco posteriore, che si è pensato anche appartenere ad una divinità. Sono significativi i confronti con la coroplastica e con i rilievi in pietra tenera e, per il IV sec., anche con la ceramica àpula.
Più complesso è il problema della scultura tarantina anteriore al IV sec. a. C., per cui è da tener presente sia l'importazione diretta di opere d'arte dalla Grecia (anche per la mancanza, cui si è già accennato, di marmo locale), sia il fatto che operarono a T. artisti greci di diverse scuole e tendenze, sia infine che gli stessi artisti tarantini, o perché perfezionati in vari centri artistici greci o perché seguenti le scuole dei diversi maestri greci operanti a T., non potevano non derivare, da questa molteplicità e diversità di rapporti, un'arte forse meno pura, ma più varia ed eclettica, cui non era estraneo, come abbiamo detto, l'apporto indigeno delle popolazioni dell'interno. Questo eclettismo è evidente soprattutto nelle opere del VI e V sec., quando al substrato dorico, o più specificatamente peloponnesiaco, si aggiungono e si sovrappongono, senza compenetrarsi compiutamente, le influenze ioniche. Che però di scultura tarantina si possa parlare già alla fine del VI sec. sono prova una testa di calcare locale, purtroppo in parte abrasa, di un Apollo, acrolito di un tempio, e soprattutto il Posidone bronzeo di Ugento- il migliore esempio a noi rimasto della grande statuaria bronzea magno-greca- in cui gli influssi ionici sono evidenti e contrastanti sul fondo peloponnesiaco. Quest'opera ci sembra anzi confermare, pur nella sua apparente diversità, la "tarantinità" della nota Dea in trono dei Musei di Berlino, del 460 a. C. circa, della quale ora conosciamo l'esatto luogo di trovamento a T., in cui era stata anticamente nascosta. Di essa sono state già notate le analogie con statuine fittili tarentine. La grande Kore incompiuta da Monte Granaro, dal corto peplo italico, può forse indicare che alcune sculture di marmo erano importate solo abbozzate dalla Grecia per essere finite in luogo.
L'impostazione non perfettamente organica di queste opere, la discordanza tra singoli elementi espressivi, la pienezza e la squadratura dei volti, la chiarezza delle linee di contorno, l'amore per l'ornamentazione raffinata, sono caratteristiche che proseguiranno, sempre evidenti, nelle sculture funerarie sicuramente locali cui abbiamo già accennato. Queste caratteristiche portano a ritenere tarantine anche altre opere del V sec., come un acrolito femminile di Hera o Afrodite del museo di T., la testa di Atena, un tempo con elmo bronzeo, pure del museo di T., opera di un artista greco della stessa officina del Maestro dei Niobidi (che secondo il Langlotz sarebbe poi divenuto caposcuola della scultura magno-greca) e probabilmente anche l'acrolito colossale Ludovisi del Museo Nazionale Romano.
Ricchissima è, come si è già detto, la produzione coroplastica, favorita dall'abbondanza e dalla bontà dell'argilla locale. Accanto ai numerosi pezzi prodotti in serie a mezzo di matrici, pure fittili, sono molti pezzi unici; spesse volte, del resto, anche nei pezzi di serie i particolari erano aggiunti a mano con argilla liquida.
Le terrecotte figurate tarantine possono considerarsi, in genere, opere di artigianato di altissimo livello. La loro derivazione dalla grande statuaria è, in molti casi, evidente ma, come è già stato notato, esse anticipano spesso- anche per la facilità della modellazione dell'argilla- soluzioni, soprattutto nel passaggio dall'arcaico al classico, che solo più tardi faranno la loro comparsa nella scultura di marmo: questo appare anche nelle poche sculture fittili di grandi dimensioni, come una bella testa di divinità femminile dell'inizio del IV sec. a. C. (Langlotz, op. cit., tav. XII). La produzione coroplastica tarantina si collega, all'inizio, direttamente a Sparta, ma già alla metà del VI sec. nei prototipi laconici e poi connzî si avverte una forte penetrazione ionica. Soprattutto caratteristiche, per il modellato chiaro e sicuro, per la intensità espressiva e per il realismo fisiognomico sono alcune teste del V e IV sec. appartenenti in genere al tipo del dio o del defunto sdraiato sulla klinè. La esuberanza, la fantasia, la ricchezza, la raffinatezza di T. ellenistica si esplicano infine nelle statuine di tipo tanagrino che costituiscono, soprattutto per il III sec., parte importante dei corredi tombali; i vivaci e movimentati tipi creati a T. sono ripetuti, anche se spesso immiseriti, in altre località della Puglia, come Canosa, Ruvo ed Egnazia.
L'oreficeria ellenistica è, come la coroplastica contemporanea, prova evidente della elegante raffinatezza che valse a T. l'appellativo di molle Tarentum. Ellenistici sono gran parte dei molti preziosi trovati, oltre che a T., in altre località àpule, ma appartenenti evidentemente ad una medesima scuola tarantina, in cui possiamo riconoscere anche varie officine artistiche. Per diversi tipi (anelli con castoni allungati, orecchini ad elice, a navicella, a cerchio, a protome leonina, collane con chiusure a protome animali) l'invenzione può essere attribuita già al V sec., ma la datazione esatta di molti pezzi è ancora incerta e non sempre determinabile dal corredo di accompaguamento. Il diadema fiorito di Canosa (al museo di T.) è nel delicato e sapiente impiego degli smalti e delle pietre preziose in aggiunta all'oro, tra le oreficerie più eleganti e raffinate dell'antichità (v. tav. a colori e fig. 736). Caratteristiche dei rinvenimenti tombali di T. sono le corone di foglie di lamina d'oro stampata (che negli esemplari più poveri diventano lamine di argento, di bronzo, o bacche di terracotta dorata) e le terrecotte rivestite di sfoglia d'oro o dipinte, con figure di animali o di divinità, connubio tra coroplastica e oreficeria, che costituivano l'ornamentazione di letti funebri (piuttosto che di sarcofagi lignei, come si è recentemente supposto) di alcune tombe della seconda metà del IV sec. a. C.
Nel campo della toreutica, altrettanto raffinata, l'opera importante più antica è forse il rhytòn d'argento a testa di cervo del Museo Civico di Trieste (400 a. C. circa), in cui si sono viste influenze tracie. La coppa d'argento dorato con soggetto erotico, già al museo di Bari (prima metà del III sec. a. C.) faceva probabilmente parte del Tesoro di Taranto (Parigi, Collezione Rotschild), comprendente alcuni oggetti di varia epoca ellenistica, dei quali i più noti sono una pisside, uno snello ed elegante kàntharos ed un bruciaprofumi con coronamento a pigna.
Anche la produzione vascolare figurata inizia a T. in età ellenistica o poco prima; in epoca precedente i corredi tombali, pur ricchi, contengono vasi di importazione che dai protocorinzi, ai corinzî, ai laconici (la produzione locale di alcuni prodotti corinzî e laconici è ancora in discussione), giungono ai vasi attici a figure nere e ad un gruppo molto limitato di vasi attici a figure rosse. Sicuramente locali sono solo i vasi di uso domestico che, anche per le scarse qualità artistiche, non sono ancora studiati. Anche i vasi protoitalioti non sembrano, se non in piccola parte, di produzione tarantina, ed è probabile che T. li abbia importati da Eraclea che, pure sua colonia, ne aveva appresa la fabbricazione dall'altra sua madrepatria, Turi, legata artisticamente all'Attica. I primi artisti tarantini sono forse il Pittore di Sisifo e quello della Danzatrice, dell'inizio del IV sec. a. C., o, più probabilmente, il Pittore di Tarporley ed i suoi seguaci dello stile piano. Ma è ancora difficile, anché per il IV sec. - pur dovendosi supporre a T. importanti officine vascolari- distinguere la produzione tarantina dalla restante ceramica àpula; e lo stesso può dirsi, anche per il III sec., per la ceramica detta di Gnathia, pur essa certamente fabbricata anche a Taranto. Sicuramente locali sono alcuni vasi a rilievo del III-II sec. a. C. con colorazione sovradipinta in rosa e azzurro, che solo genericamente si confrontano con i consimili prodotti ellenistici di Canosa o, in Sicilia, di Centuripe.
Per l'età romana non si può parlare più di arte tarantina, essendo la città, diminuita grandemente d'importanza, inquadrata ormai nel mondo artistico romano. E però da ricordare un gruppo di ritratti, di rozza ma espressiva arte popolare, che, opera di artigiani italici venuti a T. come coloni, costituiscono un gruppo omogeneo- dal I sec. a. C. al I sec. d. C. - che trova riscontro altrove solo per confronti singoli, e che è di notevole interesse per lo studio del ritratto italico. Una "scuola tarantina" del mosaico è stata già supposta dalla Blake (Mem. Amer. Acad., xiii, 1936, p. 116 ss.) ed attribuita all'inizio del II sec. d. C., ma, per i suoi caratteri ellenistici, è forse da considerarsi anteriore.
Museo nazionale. - Il museo di T., oggi uno dei maggiori musei archeologici italiani, è sorto alla fine del secolo scorso, per merito di L. Viola, ed è stato successivamente ampliato, ad opera di Q. Quagliati e di C. Drago, sino alla recente sistemazione di N. Degrassi (1963). In venti ampie sale disposte su tre piani sono esposte 240 opere di scultura di marmo e pietra locale, 4.650 vasi, 900 pezzi di oreficeria, bronzi, avorî, vetri, 930 terrecotte figurate, circa 4.000 oggetti preistorici; molte altre decine di migliaia di pezzi sono conservati nei depositi.
La Sezione di T. greca e romana raccoglie materiale proveniente in gran parte dalle tombe della ricca necropoli. Tra le opere di scultura esposte nelle prime sale sono notevoli, per l'arte arcaica e classica, le due Korai del 500 a. C. circa (la piccola di ambiente ionico, la grande, incompiuta, probabilmente tarantina); una testa di Atena elmata, forse della officina del Maestro dei Niobidi; un acrolito femminile di Hera o Afrodite. Eccezionale il Posidone bronzeo degli ultimi anni del VI sec. a. C., trovato nel 1962 ad Ugento (Lecce) ma, con ogni probabilità, di scuola tarantina.
La maggior parte delle opere esposte sono pero del IV secolo od ellenistiche. Oltre ad alcune statue di tipo prassitelico (Eros, Dioniso, la nota testa di Afrodite o Artemide) o lisippeo (un Eracle cubans ed una bella testa barbata, derivazione forse dell'Eracle di T., ultima opera di Lisippo) sono numerose le teste marmoree appartenenti a statue funerarie sia maschili che femminili: tra esse una femminile del tipo delle Ercolanesi, del II sec. a. C. (meno probabile l'attribuzione alla metà del IV sec. a. C.).
Le sculture romane sono rappresentate da alcuni buoni ritratti (teste di Augusto velato e di altri personaggi giulioclaudi; un eccellente ritratto flavio ed uno del III sec. d. C.) e da poche copie di originali greci, tra cui copia adrianea di un grande sarcofago ellenistico a klìne con scene omeriche, il più completo e il migliore del tipo. Una ricca serie di ritratti funerarî in calcare locale, dalla necropoli romana a incinerazione, è opera di artigiani italici dal I sec. a. C. al I sec. d. C.
I mosaici esposti sono in genere buone opere decorative dall al IV sec. d. C.: eccelle un grande mosaico ornamentale a tappeto con rosone centrale, attribuito ad una "scuola tarantina" dell'inizio del II secolo.
La sala dedicata alla scultura e alla pittura tombale raccoglie elementi provenienti dalle tombe monumentali della necropoli di T.; della fine del VI sec. a. C. sono le due grandi Nikai di terracotta dipinta, cui si è già accennato. Intorno al 500 a. C. va datato il sarcofago dipinto dell'atleta, con copertura a doppio spiovente ornata di motivi a greca in rosso, verde e oro, e con acroteri a palmetta.
Tra gli elementi decorativi provenienti dalle tombe a camera ellenistiche: due porte di pietra locale rivestite di stucco dipinto, di cui una forse già degli inizî del I sec. a. C. con Hermes Psychopompòs che guida il defunto agli Inferi; due fronti diletti funebri, con ornati policromi e a rilievo (III-II sec. a. C.); un frammento di pittura con decorazione a festoni, unico avanzo delle decorazioni policrome delle camere funerarie tarantine.
Della ricca serie di rilievi in pietra tenera di Carovigno o di Ostuni che ornavano i naìskoi, solo qualche raro pezzo si può ricollegare all'arte del V sec., anche se probabilmente è di datazione più tarda; gli altri sono dell'avanzato IV sec., del III e anche in parte del II sec.; i più antichi hanno scene mitologiche o funerarie, quelli più recenti scene dionisiache o anche figure di genere. Frequenti le scene di combattimento (alcuni rilievi con due figure, più che metope di un fregio, sembra fossero lastre di ornamento della base di un pilastro funerario), e quelle di ratto, tra cui elementi di un frontone con Hades che rapisce Persefone. In una serie di metope recentemente scoperte sono rappresentati combattimenti tra Greci e barbari, di influsso pergameno: in una metopa è la figura di Alessandro a cavallo. Una serie di antefisse (le più arcaiche, del VI sec., con Gorgoni e Sileni; le più recenti, dal IV sec. all'età ellenistica, con notevole varietà di figure: Io, Afrodite, Omphale, ecc.) appartengono probabilmente sia ai nazìskoi che a case signorili.
Le sale seguenti espongono le ricche suppellettili tombali della necropoli di T., dalla fondazione della colonia all'età romana, seguendo quindi tutta la vita della città.
Ricchissime le collezioni di ceramica protocorinzia e corinzia: tra i vasi protocorinzi- in cui si può seguire lo sviluppo della forma degli aröballoi- è degno di nota un aröballos del Pittore dell'aröballos Macmillan con tre teste femminili plastiche e gara equestre per un tripode. Grande la varietà dei prodotti corinzi (kölikes, oinochòai, anfore, stàmnoi, sköphoi, pissidi, ecc.) dal paleo al tardocorinzio: si associano spesso balsamarî plastici greco-orientali, calici chioti, lèkythoi samie, vasetti di bucchero grigio, kölikes ioniche e, per i materiali più recenti, anfore, oinochòai e kölikes attiche a figure nere. Notevoli le coppe mesocorinzie del Gruppo del Gorgoneion, gli anforischi del Gruppo degli Uccelli retrospicenti, i vasi del Pittore di Dodwell e del Pittore della Chimera, un'hydria del Pittore di Damon, gli stàmnoi tardocorinzî che giungono alla metà del VI sec. a. C.
Dell'abbondante gruppo di vasi laconici, che conferma i rapporti di T. con la madre patria, sono celebri le due coppe con pesci del pittore omonimo (6oo a. C.), la kölix con Zeus e l'aquila (primo venticinquennio del VI sec. a. C.), quella bellissima del Pittore della Caccia con elegante figura di stambecco (v. laconici, vasi).
Anche la collezione di ceramica attica a figure nere è estremamente abbondante, con corredi, per ogni singola tomba, anche di 30 o 40 pezzi. Pochi vasi sono firmati (Cheiron, Tleson, Antidoros), ma molti appartengono a ceramografi noti. Ben rappresentato il Gruppo dei Comasti, e- soprattutto con coppe di Siana- il Pittore C (Corinzieggiante), il Pittore del Grifone alato, il Pittore di Heidelberg; molto numerose le coppe di Lydos, forse da identificarsi con Sakonides. Tra i prodotti più pregevoli, oltre ai vasi dei pittori ricordati, l'anfora del Pittore Rycroft, altra del gruppo di Exekias, alcune anfore panatenaiche. Di un periodo più tardo (intorno al 500 a. C.) è un notevole gruppo di bellissime kotölai del Pittore di Teseo. Molte, e pregevoli, anche le lèkythoi a fondo bianco, soprattutto dei Pittori di Atena e di Edimburgo, tra cui quella, notissima, con Edipo e la Sfinge.
Scarsi invece i vasi attici a figure rosse, tra cui alcuni delle scuole dei Pittori di Pan e di Berlino.
Non molto numerosi i vasi protoitalioti: sono rappresentati, tra gli altri, i Pittori di Pisticci e di Amykos. Numerosi invece i vasi dello stile piano del Pittore di Tarporley e dei suoi seguaci e del gruppo di Lecce (Pittori di Lecce, di Truro, del Tirso, ecc.), coi consueti motivi tratti dal mondo dionisiaco (Dioniso, Satiri, Menadi, Eroti androgini) e con le spesso stereotipate scene di offerta, che continuano sino alla fine del IV sec. ed oltre. Interessante un gruppo di vasi con soggetti teatrali: oltre ad un frammento di cratere con scena di tragedia, sono numerosi i vasi con personaggi della farsa fliacica.
La ceramica di Gnathia è testimoniata da numerosi esemplari, sia con semplice decorazione fitomorfa, sia con figure animali e umane (noto il frammento della Konnakis) e talora con maschere e personaggi teatrali. I vasi baccellati sono in genere i più tardi, perdurando per tutto il III sec. ed oltre. Notevole anche un gruppo di vasi tardo-ellenistici (III-II sec.) con colorazione sovraddipinta rosa e azzurra ed elementi a rilievo sovrapplicati.
Corredi funerari di età romana hanno figurine fittili, bronzi, oggetti di osso e avorio, ceramiche invetriate e grezze.
La sala degli ori contiene oggetti provenienti, oltre che da T., anche da altri centri pugliesi. Pochi pezzi aurei da Ruvo- grandi fibule a sanguisuga, reggibalsamari ornati a filigrana- comunemente datati al VI sec. a. C., ma probabilmente più tardi, sembrano inquadrarsi in un gruppo di oreficerie di evidente influenza etrusca, forse di una fabbrica campana. La massima parte degli altri oggetti che, anche se non trovati a T., sembrano di fabbrica tarantina, sono di età ellenistica: abbondante l'impiego della filigrana. Caratteristiche di T. sono le corone di lamina di oro stampata (soprattutto del III e II sec. a. C.) a foglie di alloro, di vite, di olivo, di rosa, spesso prodotte in serie, come del resto si verifica anche per altri tipi di oreficeria, come anelli e orecchini: tipici due corredi tombali di Ginosa con oggetti (orecchini e diadema da capelli con nodo erculeo) di uguale forma e decorazione ma di diversa grandezza. Tra i complessi più notevoli quello di Crispiano (inizio IV sec.) con elegantissimo diadema frontale di lamina aurea in cui compare, come elemento decorativo, un cespo di acanto, e due orecchini a disco con pendagli a testa femminile; il complesso di Mottola (IV sec. a. C.) con grande anello d'oro inciso con testa femminile di profilo e braccialetto d'oro a tortiglione con protome di ariete; e l'eccezionale corredo della tomba degli ori di Canosa (III sec. a. C.: una recente datazione al II sembra eccessivamente bassa) di cui fanno parte, tra l'altro, il noto diadema fiorito con foglie, viticci e fiorellini di pietre e smalti fermati ad un robusto sostegno circolare aureo; un portagioie a forma di conchiglia col nome della proprietaria: Opakas Sabaleidas, ornato da lamine d'argento dorato con Nereidi su mostri marini; una teca di specchio con Afrodite tra piccoli Eroti musicanti; uno scettro di lamina d'oro traforata con figure di Vittoria.
Un gruppo di terrecotte traforate e dorate, con figure di divinità e di animali, e spesso con il motivo della lotta tra Grifoni e Arimaspi, costituivano la decorazione di alcune tombe della seconda metà del IV secolo.
La coroplastica tarantina è eccezionale per il numero e, in molti casi, anche per la qualità dei suoi pezzi, esposti in quattro corridoi. Numerose le matrici, alcune con il nome del figulo o del proprietario dell'officina; di misure eccezionali una bella matrice dell'eroe sulla kline. I tipi più arcaici risalgono al VII e VI sec. a. C. e sono di carattere sacro. Ampia la serie di immagini dell'eroe sdraiato sulla klìne (interpretato, oltre che come il defunto eroizzato, anche come Dioniso) in numerosissime varianti che dal VI sec. giungono al IV, conservando talora tipologia arcaica. Tra le altre immagini di divinità: Demetra, Persefone, Hera, Artemide; più recenti le figure ellenistiche di Apollo e delle Muse e i pìnakes coi Dioscuri.
La maggior parte dei pezzi serviva come ex voto dei santuari e riproduceva quindi la divinità custodita nel tempio; altre terrecotte sacre erano deposte nelle tombe. Dalla metà del IV sec., in concomitanza con i vasi àpuli dello stile piano, le tombe sono sempre più ricche di figurine fittili derivanti da un analogo repertorio, sia con figure del ciclo dionisiaco (Satiri, Menadi, ecc.) sia in genere, con figure del pantheon minore (Afrodite, Muse, Vittorie, ecc.). Le graziose figurine di tipo ellenistico- le più belle appartengono al III sec. - conservano spesso tracce di colori originari. Non mancano, come nei vasi, figure e maschere teatrali, soprattutto della farsa fliacica.
La produzione coroplastica continua anche in età romana con figure di genere, sportive e di animali, talora di buona fattura, ma spesso malamente abbozzate.
La Sezione regionale preistorica del museo contiene un'ampia raccolta di materiali provenienti, oltre che dalla Puglia, da regioni finitime, dal Paleolitico all'età dei metalli. Notevoli le amigdali paleolitiche o di tradizione paleolitica del Gargano, le industrie lamellari della Grotta della Scalòria (Foggia) e di Monteparano (Taranto), la ceramica neolitica sia dipinta che impressa del Foggiano e di Ostuni. L'abbondante materiale dello Scoglio del Tonno documenta l'importanza di T. nel periodo anteriore alla colonizzazione, soprattutto nella seconda metà del II millennio a. C.: numerose le ceramiche micenee. Ben rappresentati anche gli insediamenti analoghi di Torre Castelluccia e di Porto Saturo, l'antica Satyrion.
La Sezione regionale classica è importante per la conoscenza della civiltà àpula e della diffusione della civiltà greca nella Puglia (più completo è però, al riguardo, il Museo Archeologico di Bari). Caratteristiche, nel Salento, le associazioni di materiale indigeno (il vaso tipico è la "trozzella", con le rotelle sulle alte anse a nastro) con materiale importato dalla Grecia; la relativa abbondanza di prodotti attici a figure rosse del V sec. fa pensare a una importazione diretta dalla Grecia e non attraverso T., dove la ceramica a figure rosse è quasi assente. Nella sala destinata alla Peucezia, cioè la Terra di Bari, sono rappresentate numerose località archeologiche come Canneto, dalla tipica ceramica monocroma indigena, Monte Sannace (v.), Ruvo (v.) e soprattutto Canosa (v.), con ceramica plastica e ceramica a figure rosse molto tarda (III sec. a. C.). Molto ricchi i corredi di Ceglie del Campo (l'antica Caeliae) con i due celebri vasi delle Carnee e della Nascita di Dioniso, tra i più bei prodotti protoitalioti del 400 a. C. arca. La Daunia (provincia di Foggia) è rappresentata da materiale di Ordona, di Ascoli Satriano, di Lucera; alcune rozze teste femminili e frammenti di scudi di pietra sembrano appartenere a segnacoli di un sepolcreto del VI sec. a. C. a Monte Saraceno. Numerosi i vasi provenienti da Roccanova in Lucania (dell'omonimo Pittore di Roccanova) e la Collezione Candida con materiale di Persefone, di Locri Epizefiri, tra cui alcuni noti pìnakes del santuario del V sec. a. C.
Il Lapidario ha poche iscrizioni greche, alcune messapiche (non da Taranto) ed un piccolo gruppo di tarde iscrizioni ebraiche. Abbondanti (circa 300) le epigrafi romane, in gran parte di carattere sepolcrale.
Bibl.: Per T. greca (storia, topografia, monumenti) è fondamentale il volume di P. Wuilleumier, Tarente des origines à la conquête romaine, Parigi 1939, con buon corredo bibliografico. La bibliografia sino al 1939 è inoltre raccolta in J. Bérard, Bibliographie topographique des principales cités grecques de l'Italie meridionale et de la Sicile dans l'antiquité, Parigi 1941. Per T. romana soprattutto U. Kahrstedt, Die wirtschaftliche Lage Grossgriechenlands, Wiesbaden 1960 (Historia, Heft 4), pp. 108-120 con bibliografia precedente. Si citano pertanto solo le opere uscite successivamente o alcune, precedenti, di importanza particolare: a) Opere generali e storia: M. Mayer, Apulien vor und während der Hellenisierung, Lipsia- Berlino 1914; G. Giannelli, Culti e miti della Magna Grecia, Firenze 1924; 2a ed. 1963; E. Ciaceri, Storia della Magna Grecia, 3 voll., Milano-Roma, I (2a ediz.), 1928; II, 1927; III, 1932; G. Giannelli, La Magna Grecia de Pitagora a Pirro, Milano 1928; E. Langlotz, Die bildende Kunst Grossgriechenlands, in Critica d'Arte, VII, 1942, pp. 89-106; T. J. Dunbabin, The Western Greeks, Oxford 1948, pp. 28-33; 87-93 e passim; C. Drago, Autoctonia del Salento, Taranto 1950; G. Giannelli, Alla fondazione di Taranto parteciparono, insieme con gli Spartani, coloni di altre nazionalità?, in Atti del II Congresso Storico Pugliese e del Convegno internazionale di Studi Salentini, Bari 25-31 ottobre 1952; L. Pareti, Storia di Roma e del mondo romano, Torino, I, 1952; II, 1952; III, 1953; F. Sartori, Problemi di storia costituzionale italiota, Roma 1953, pp. 84-96 e passim; J. Bérard, La colonisation grecque de l'Italie Meridionale et de la Sicile, 2a ediz., Parigi 1957, tradotto in italiano col titolo La Magna Grecia. Storia delle colonie greche dell'Italia meridionale, Torino 1963; L. von Matt-U. Zanotti Bianco, La Magna Grecia, Genova 1962; N. Degrassi, La documentazione archeologica in Puglia, in Greci e Italici in Magna Grecia, Atti del primo Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 4-8 novembre 1961, Napoli 1962, pp. 223-237; E. Langlotz, Greco-occidentali centri e tradizioni,in Encicl. Univ. Arte, VI, 1962, coll. 783-838; E. Langlotz-M. Hirmer, Die Kunst der Westgriechen, Monaco 1963; N. Degrassi, La documentazione archeologica in Puglia, in Metropoli e colonie, Atti del III Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Napoli 1946, p. 149 ss.; F. G. Lo Porto, Satyrion, in Not. Scavi, 1964, pp. 177-279. - b) Topografia e necropoli: Non esiste un'opera complessiva sulla topografia antica di Taranto. Molti dati riportati nel testo sono tratti da notizie d'archivio della Soprintendenza alle Antichità della Puglia: L. Viola, Taranto, in Not. Scavi, 1881, pp. 376-436; R. Pagenstecher, Unteritalische Baundenkmäler, Strasburgo 1912; R. Oehler, in Pauly-Wissowa, IV A, 1932, coll. 2302-2313, s. v. Tarentum; R. Bartoccini, La necropoli romana di Taranto, in Taranto, Rivista del Comune, 1934; id., Rinvenimenti e scavi (1933-34), in Not. Scavi, 1936, pp. 107-232; F. von Duhn-F. Messerschmidt, Italische Gräberkunde, II, Heidelberg 1924, pp. 323-4; C. Drago, Rinvenimenti e scavi 24 agosto-17 novembre 1934, in Not. Scavi, 1940, pp. 314-354; L. Bernabò Brea, Rinvenimenti nella necropoli dal 12 novembre 1938 al 31 maggio 1939, in Not. Scavi, 1940, pp. 426 ss.; B. Pace, Note sul tempio arcaico di Taranto, in Palladio, 1951, pp. 53-59; B. Neutsch, Archäologische Grabungen und Funde im Bereich der Unteritalischen Soprintendenzen, in Archäol. Anz., 1956, coll. 193-247; F. G. Lo Porto, Vasi attici a figure nere da una tomba tarantina, in Boll. d'Arte, XLIV, 1959, pp. 6-18; id., Ceramica arcaica della necropoli di Taranto, in Annuario Scuola Atene, N. S., XXI-XXII, 1959-60, pp. 7-230; id., Recenti scoperte di tombe arcaiche in Taranto, in Boll. d'Arte, XLVI, 1961, pp. 268-281; N. Degrassi, Le recenti scoperte archeologiche in provincia di Taranto, in La ricerca archeologica nell'Italia Meridionale, Napoli 1961, pp. 109-123; F. G. Lo Porto, Tombe arcaiche tarentine con terrecotte ioniche, in Boll. d'Arte, XLVII, 1962, pp. 153-170; F. Blois-D. Dell'Amore, Antichità romana nell'Ospedale Militare Marittimo di Taranto, in Annali della Medicina Navale, LXVII, 1962, pp. 113-120; F. Tinè Bertocchi, Monumenti della pittura funeraria apula, Napoli 1964. - c) Scultura in marmo e pietra tenera: H. Klumbach, Tarentiner Grabkunst, Reutlingen 1937; G. Lippold, Die Plastik, (Handbuch der Archäologie), Monaco 1950; L. Bernabò Brea, I rilievi tarantini in pietra tenera, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, N. S. I., 1952, pp. 5-241; M. Santangelo, Kore marmorea di Taranto, in Boll. d'Arte, XXXVIII, 1953, pp. 193-202; E. Paribeni, Di una piccola Kore del Museo di Taranto e della scultura in marmo in Magna Grecia, in Atti e Mem. Soc. Magna Grecia, N. S., I, 1954, pp. 61-70; J. Dörig, Lysipps letztes Werk, in Jahrbuch, LXXII, 1957, pp. 19-43; G. Schneider-Herrmann, Statue des Dionysos in Tarent, in Bulletin van de Vereeniging tot Bevordering der Kennis van de Antieke Beschaving, XXXV, 1960, pp. 71-76. - d) Coroplastica: F. Winter, Die Typen der figürlichen Terrakotten, I- II. Teil (R. Kekulé von Stradonitz, Die antiken Terrakotten, III i u. III 2), Berlino-Stoccarda 1903; G. Schneider-Hermann, Trauernde Götter in Tarent, in Bulletin van de Vereeniging tot Bevordering der Kennis van de Antieke Beschaving, XXXII, 1957, pp. 54-59; B. Neutsch, Der Heros auf der Kline, in Röm. Mitt., LXVIII, 1961, pp. 150-161. - e) Terrecotte dorate: R. Lullies, Vergoldete Terrakotta-Appliken aus Tarent, Röm. Mitt. 7. tes Ergänzungsheft, Heidelberg 1962. - f) Antefisse: C. Laviosa, Le antefisse fittili di Taranto, in Arch. CLass., VI, 1954, pp. 217-250. - g) Ceramica: A. D. Trendall, Frühitaliotische Vasenmaler, Lipsia-Berlino 1938; C. V. A., Taranto, Museo Nazionale, I, 1940 (C. Drago); II, 1942 (C. Drago); III, 1962 (C. Drago); P. Pelagatti, La ceramica laconica del Museo di Taranto, in Annuario Scuola Atene, XXXIII-XXXIV, 1955-1956, p. 7-44; L. Forti, Uno psyker tarantino, in Rend. Accad. Napoli, XXXIII, 1958, pp. 219-231; P. Mingazzini, Tre brevi note di ceramica ellenistica, in Arch. Class., X, 1958, pp. 218-226; K. Schauenburg, Göttergeliebte auf unteritalischen Vasen, in Antike und Abendland., X, 1961, pp. 77-101; A. D. Trendall, South Italian Red-figured Pottery: a revew and a reclassification, in Atti VII Congr. Internaz. Archeol. Class., II, Roma 1961, pp. 117-141; A. Cambitoglou-A. D. Trendall, Apulian Red-figured Vase-Painters of the Plain Style, Vermont-Tokyo 1961. - h) Soggetti teatrali: C. Drago, Vasi fliacici nel Museo di Taranto, in Iapigia, VII, 1936, pp. 377-395; A. D. Trendall, Phlyax Vases, Bulletin Institute of Classical Studies, Supplement n. 8, Londra 1959; T. B. L. Webster, Monuments Illustrating Old and Middle Comedy, ibid., Supplement n. 9, Londra 1960; id., Monuments Illustrating New Commedy, ibid., Supplement n. 11, Londra 1961. - i) Oreficerie: G. Becatti, Oreficerie antiche dalle minoiche alle barbariche, Roma 1955; B. M. Scarfì, Restauro della teca di specchio di Canosa, in Boll. d'Arte, XLIV, 1959, pp. 166-170; N. Degrassi, Oreficerie greche ed ellenistiche, in Ori e argenti dell'Italia antica, Torino 1961, pp. 77-85; B. M. Scarfì, ibid. (schede degli ori del museo di Taranto). - k) Museo: Q. Quagliati, Il Museo Nazionale di Taranto, Roma 1932 (Itinerari dei Musei e monumenti d'Italia, n. 20); C. Drago, Il Museo Nazionale di Taranto, Roma 1956 (Itinerari dei Musei e monumenti d'Italia, n. 20); T. C. I., Guida Puglia, 3a ediz. 1962, pp. 311-339 (descrizione aggiornata del museo); N. Degrassi, Il Museo Naz. di Taranto, in Musei e Gallerie d'Italia, VIII, 19, Roma 1963, pp. 9-27.