TARANTO
La città che Federico II visitò per la prima volta il 1221 era dal punto di vista urbanistico quella racchiusa sull'isola tra Porta Napoli e Porta Lecce alla confluenza dei due mari, il piccolo e il grande, che, tra la fine dell'XI e per tutto il XII sec., aveva conosciuto il suo assetto definitivo. Si aggiunga che con l'avvento dei normanni e sino alla metà del XV sec. Taranto aveva acquisito una particolare posizione all'interno della struttura politica prima ducale e poi regia dell'Italia meridionale, divenendo con l'istituzione del principato quasi uno stato nello stato di cui l'antica metropoli poteva considerarsi a tutti gli effetti una vera e propria capitale.
Con il castello a ridosso della zona istmica, con la cattedrale ampliata mediante la sostituzione del braccio longitudinale con la navata basilicale tripartita da colonnati, con il monastero di S. Pietro Imperiale ubicato sull'acropoli si era creata una sorta di continuità urbana di cui l'antico asse viario, rinvenuto su Via Duomo, rappresentava l'infrastruttura di collegamento. Entro le antiche fortificazioni e le strutture castellari insistevano numerose chiese e luoghi di culto: il monastero di S. Giovani Battista, le chiese di S. Teodoro, di S. Simone, di S. Pietro detta del prete Theogaristo, dei SS. Simone e Giuda, di S. Procopio, di S. Maria del Porto, mentre fuori del perimetro urbano erano ubicate le chiese di S. Maria di Guaranci, dei SS. Lorenzo e Giorgio, e i monasteri di S. Agata, di S. Vito del Pizzo, di S. Maria del Galeso, dei SS. Pietro e Andrea "de insula parva". Non sappiamo se la società multietnica e la vivacità economica imperniata sul mare, di cui parla il geografo al-Idrīsī intorno alla metà del XII sec., fossero in pieno sviluppo anche nei primi decenni del XIII sec.: ciò che è certo è che il porto situato nel mare grande era ancora efficiente e funzionante se ad esso si volsero le attenzioni di Federico II.
Va subito rilevato come Federico II avesse ben chiara la natura giuridico-amministrativa del principato di Taranto: ne è riprova la lettera indirizzatagli da Innocenzo III il 3 luglio del 1201 (Historia diplomatica, I, pp. 79-85), dove il pontefice ricordava al suo pupillo le vicende del principato promesso nel 1194 da Enrico VI, secondo gli accordi di Caltabellotta, a Guglielmo III, figlio del defunto re Tancredi, come contropartita per la rinunzia a qualsiasi diritto sul Regno: è ben noto che Enrico disattese i patti, sì che il principato rimase nella piena disponibilità della Corona almeno sino alla fine del lungo regno di Federico, quando l'imperatore inserì in una delle clausole del testamento la concessione del feudo al figlio Manfredi. L'anno prima, il 1249, va registrata l'ultima azione di disturbo messa in atto dalla Curia romana, che rivendicò il "principatum Tarenti cum tota terra Idronti" (M.G.H., Epistolae saec. XIII, 1887, nr. 735, p. 542) a Enrico Frangipane in ragione di una pretesa concessione dello stesso feudo disposta dalla madre di Federico, Costanza d'Altavilla, in favore dell'avo paterno Ottone Frangipane.
Il primo intervento di Federico II nei confronti di Taranto è abbastanza precoce: nel mese di aprile del 1210 confermava all'arcivescovo Bernardo (1205-1211), definito "fidelis noster", e alla "Tarentina ecclesia" tutti i privilegi e i diritti concessi dai suoi parenti, a cominciare da Ruggero II, da Guglielmo II e da Enrico VI e sua moglie Costanza per finire a Sibilla "tunc domina Appii"; i predecessori di Bernardo, destinatari delle precedenti concessioni richiamati nell'atto, erano Angelo (1194-1202) e Gervasio (1183-1193; Historia diplomatica, I, pp. 165-167).
Comunque passarono oltre dieci anni prima che Federico II mettesse piede nella città dei due mari: si trovava tra le sue mura nell'aprile del 1221, quando emanava una serie di documenti a favore dell'ospedale gerosolimitano di S. Maria dei Teutonici (ibid., II, pp. 156, 157-159, 159-160, 160-163, 163-165, 165-166), del "civis" messinese Pagano Balduino "magistrum monetae" della zecca di Brindisi (ibid., pp. 169-171), della chiesa di S. Maria di Anglona (ibid., pp. 171-173), della chiesa di S. Nicola di Bari (ibid., p. 173), dell'abate e del monastero cistercense di S. Maria del Sagittario (ibid., pp. 173-178); quest'ultimo documento portava l'indicazione "post curiam Capue celebratam".
Il secondo soggiorno di Federico a Taranto dell'ottobre 1225 fu di breve durata e solo come tappa verso Brindisi, dove nel mese di novembre successivo avrebbe sposato Iolanda, figlia del re di Gerusalemme Giovanni di Brienne (Riccardo di San Germano, 1868, ad annum 1225). Comunque vi emanò un diploma di conferma di beni a favore del monastero di Peterhausen (Historia diplomatica, II, pp. 524 s.).
Altrettanto breve fu il terzo passaggio da Taranto dell'imperatore, tra maggio e giugno 1228, durante il quale indirizzò due documenti, uno a favore dell'abbazia di Montevergine (ibid., III, pp. 63 s.) e l'altro del monastero certosino di S. Stefano e di S. Bruno del Bosco a Serra S. Bruno, in Calabria (ibid., p. 65).
Nel febbraio 1231 era ancora in viaggio verso Taranto per organizzare la curia generale (Riccardo di San Germano, 1868, ad annum 1231). Da Taranto lo Svevo rispondeva il 28 febbraio a papa Gregorio IX circa il suo impegno per estirpare i moti ereticali che si erano manifestati a Napoli e ad Aversa (Historia diplomatica, III, pp. 268 s.); scriveva ancora il 9-10 marzo al comune di Siena per congratularsi per la fedeltà della città alla causa imperiale e per disporre l'invio di propri rappresentanti alla curia generale del prossimo mese di aprile astenendosi da ogni azione ostile (ibid., pp. 271-273).
Non si conoscono altre presenze dello Svevo a Taranto, anche se non mancano documenti che attestano l'interessamento dimostrato da Federico nei confronti della città, in particolare del castello ‒ del quale gli è attribuita la costruzione del rivellino ‒, del porto e del monastero di S. Pietro Imperiale.
Il primo documento, dell'ottobre 1239, riguardava la grande inchiesta affidata ai provisores castrorum (v.) sullo stato delle strutture castellari del Regno: quella relativa al castello di Taranto era affidata a Guidone de Guasto (ibid., V, p. 413). L'altro, del 29 agosto del 1249, concerneva il custode addetto alle fortificazioni di Taranto, il quale "propter senectutem" era incapace di assolvere ai suoi compiti; a tal fine l'imperatore affidava l'inchiesta ad Andrea de Acquaviva giustiziere di Terra d'Otranto (ibid., p. 697). Subentrava in questo compito al vecchio custode, Bartolomeo de Bessis, che l'8 febbraio 1240 lo Svevo presentava al suo giustiziere (ibid., pp. 740 s.).
Ma il documento più importante che ci informa sul castello di Taranto è lo Statutum de reparatione castrorum (v.), attribuito agli anni tra il 1239 e il 1246, anche se, come notava Sthamer sulla scorta di un'antica commissio datata da Winkelmann al 1230 e del mandatum pro reparatione castrorum imperialium citato da Riccardo di San Germano all'ottobre 1231, esisteva una forma primitiva codificata proprio in quegli anni, sì che lo Statutum nell'articolazione a noi pervenuta altro non sarebbe che il risultato della riforma portata avanti da Federico II nel 1239 (Statutum, 1995, p. V). Ebbene, da questo documento di natura sostanzialmente fiscale è possibile ricavare interessanti elementi attinenti la manutenzione e il restauro del castello di Taranto.
Alle riparazioni del castello dovevano provvedere: gli "homines Tarenti", cioè l'intera comunità, alla "sala magna", alle quattro torri rettangolari "quae sunt a parte civitatis", cioè prospicienti la città vecchia, inserite nella cinta muraria; gli "homines archiepiscopatus" alla "sala principis"; gli "homines Castellaneti et Motule" al muro di cinta; i priori di Fragagnano e di S. Oronzo (un priorato dipendente da S. Lorenzo di Aversa) al barbacane del muro portante "ex parte muri magni"; il priore di Casalrotto alla porta di S. Benedetto; gli abitanti delle isole di S. Pietro e di S. Paolo e, in parte, gli "homines Mutulani" e il monastero di S. Pietro Imperiale alla "porta de Celo"; mentre gli appartenenti al ceto feudale erano gravati degli oneri di manutenzione della torre che insisteva sulla "magna porta" del castello e che aveva un ponte da entrambi i lati, della torre detta di Pilato e della cappella di S. Maria (ibid., p. 106).
Lo stato di degrado del castello di Taranto doveva essere particolarmente accentuato se si pensa all'elencazione così precisa e minuta degli oneri, ma anche delle parti abbisognevoli di immediati interventi di restauro; basti notare l'imperiosità del linguaggio "debent reparare grongum [...], sunt necessarie trabes quattuor [...], porticus est tabulandus [...], turre sunt astracande et scale lignee faciende [...], facies muri facienda lapidibus et cementanda" (ibid., p. 107), ecc.; di qui l'esigenza di disporre di travi, di calce, di canne, di conci tufacei e via numerando.
Per quanto riguarda le strutture portuali, Taranto era inclusa nel mandatum del 3 marzo 1240 relativo agli accessi e ai diritti doganali, anche se le lacune dell'edizione del documento non consentono una puntuale lettura (Historia diplomatica, V, p. 955).
Un documento del 30 aprile 1248 concerneva invece il monastero di S. Pietro Imperiale e riguardava un'inchiesta relativa ai rapporti del cenobio tarantino con l'abbazia di Montecassino di cui era una dipendenza (ibid., VI, pp. 619-621).
L'ultimo documento relativo a Taranto è il testamento (v.) di Federico raccolto il 10 dicembre 1250 dal notaio "magister Nicolaus de Brundusio", nel quale, oltre a provvedere all'investitura del feudo a suo figlio Manfredi, troviamo definiti i confini del principato: "a porta Roseti usque ad ortum fluminis Brandani, comitatus Montis Caveosi, Tricarici et Gravine, prout comitatus ipse protenditur a maritima Terre Bari usque ad Polinianum, et ipsum Polinianum cum terris omnibus a Poliniano per totam Maritimam usque ad dictam portam Roseti, scilicet civitatibus, castris et villis infra contentis, cum omnibus justiciis, pertinentiis et rationibus omnibus tam ipsius principatus quam comitatuum predictorum" (ibid., p. 740): una grande realtà territoriale che si estendeva dallo Ionio all'Adriatico, dalla Terra d'Otranto alla Calabria, alla Basilicata, alla Terra di Bari.
Alcuni giorni più tardi il corteo funebre con il corpo dell'imperatore "in una lettica coperta di velluto carmesino", come annota Matteo da Giovinazzo (I Diurnali, 1868, p. 634), attraversò la Capitanata e la Terra di Bari per giungere a Taranto, dove si sarebbe concluso l'ultimo viaggio di Federico II prima dell'imbarco della salma per Messina.
Fonti e Bibl.: Historia diplomatica Friderici secundi, I, pp. 79-85, 165-167; II, pp. 156-166, 169-178, 524 s.; III, pp. 63-65, 263, 268 s., 271-273; V, pp. 413, 697, 740 s., 797, 955; VI, pp. 619-621, 740, 806, 813; I Diurnali di Matteo Spinelli di Giovinazzo (1247-1268) pubblicati dappresso il Codice della Biblioteca imperiale di Francia con note storiche e cronologiche tratte dall'Opera del Conte de Luynes, in Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi ed inediti, a cura di G. Del Re, II, Napoli 1868, p. 634; Riccardo di San Germano, Chronicon, ibid., pp. 49, 70; L'Italia descritta nel "Libro del Re Ruggiero" compilato da Edrisi, testo arabo pubblicato con versione e note da M. Amari-C. Schiaparelli, Roma 1883, pp. 74 s.; M.G.H., Epistolae saec. XIII e regestis pontificum Romanorum selectae, a cura di C. Rodenberg, II, 1887, nr. 735, p. 542; Statutum pro reparatione castrorum, in E. Sthamer, L'amministrazione dei castelli nel Regno di Sicilia sotto Federico II e Carlo I d'Angiò, a cura di H. Houben, Bari 1995, pp. V, 106, 107. G.C. Speziale, Storia militare di Taranto negli ultimi cinque secoli, ivi 1930; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I, Prosopographische Grundlegung. Bistümer und Bischöfe des Königreiches 1194-1266, 2, Apulien und Kalabrien, München 1975, pp. 696 s.; C.D. Fonseca, Dal porto all'arsenale: il destino mediterraneo di Taranto, in Il Mediterraneo. I luoghi e la memoria, catalogo della mostra archivistica, archeologica e numismatica promossa in occasione del primo centenario dell'Arsenale Militare Marittimo di Taranto (Taranto, Castello Aragonese, 13 ottobre-15 novembre 1989), Roma 1989, pp. 19-22; Id., "In ampliorem firmiorem formam instituit": la ricostruzione aragonese del Castello di Taranto, in Il Castello di Taranto. Immagine e progetto, catalogo della mostra documentaria promossa in occasione del quinto centenario della ricostruzione aragonese del Castello di Taranto (Taranto, Castello Aragonese, 25 novembre-18 dicembre 1992), Galatina 1992, pp. 25-40; G. Carducci, Il Principato di Taranto, in La Provincia di Taranto tra l'Occidente e il Mediterraneo. Storia, cultura, società, a cura di C.D. Fonseca, Taranto 1997, pp. 133-160; C.D. Fonseca, Taranto nell'età medievale, ibid., pp. 83-130; Id., "Castra ipsa possunt et debent reparari": attività normativa e prassi politica di Federico II, in "Castra ipsa possunt et debent reparari". Indagini conoscitive e metodologie di restauro delle strutture castellane normanno-sveve. Atti del Convegno internazionale di studio promosso dall'Istituto internazionale di Studi Federiciani-CNR (Castello di Lagopesole, 16-19 ottobre 1997), a cura di Id., I, Roma 1998, pp. 13-22.