Vedi TARANTO dell'anno: 1966 - 1997
TARANTO (v. vol. vii, p. 603)
I risultati conseguiti dalla ricerca negli ultimi anni si fondano sia sulle informazioni fornite dalle nuove scoperte archeologiche, sia sul riesame della documentazione raccolta in un secolo di scavi e rimasta sinora praticamente inedita. Così, nonostante persistano numerose e gravi lacune, la bibliografia recente permette di ricostruire una più concreta fisionomia storica dell'abitato antico.
Preistoria e protostoria. - Di particolare interesse appaiono le nuove informazioni raccolte sullo sviluppo dell'insediamento pregreco. La presenza umana può essere documentata sin dal Neolitico; a questa fase risalgono i rinvenimenti sporadici di industria litica e le tracce di una frequentazione caratterizzata dall'uso di ceramica di impasto a decorazione impressa e graffita dopo cottura (area sulla costa di Mar Piccolo e sepolcreto del Pizzone) o da ceramica figulina a bande rosse (zona occidentale e più alta dell'acropoli: sondaggi di S. Domenico e di Largo S. Martino). I periodi recenziori del Neolitico (facies di Serra d'Alto e di Bellavista) sono sinora attestati soprattutto nell'insediamento costiero di Scoglio del Tonno, di fronte all'estremità O dell'acropoli. Questo sito ha restituito la più importante fase insediativa dell'Età del Bronzo, che tra il XIV e il XII sec. a.C. sviluppa un livello organizzativo protourbano, cingendosi di aggere e fossato e presentando all'interno case a pianta rettangolare. In questo momento è attestata un'abbondante presenza di ceramica d'importazione micenea, soprattutto a partire dalla fase del Tardo Elladico III A, sino alle attestazioni submicenee. Nell'area contigua, dove si svilupperà l'abitato di età classica, invece, la documentazione coeva è praticamente assente, se si escludono alcune tombe a grotticella di tipo «siculo» scoperte in Via Abruzzo.
Dopo il crollo del sistema miceneo, le importazioni dall'area egea scompaiono quasi completamente e si verifica lo sviluppo di nuove forme sociali con le manifestazioni locali delle culture protoiapigia e iapigia. Questo periodo è attestato a Scoglio del Tonno, dove la qualità insediativa sembra decrescere, nell'area dell'acropoli e nel quartiere del Borgo. Qui, alla fine del secolo scorso, furono individuati anche un sepolcreto e un ricco deposito di ceramiche all'interno di un pozzo rinvenuto in Via T. N. D'Aquino. Sull'acropoli l'insediamento iapigio occupava in maniera continua tutta l'altura, essendone state rinvenute cospicue tracce in diverse zone (area di S. Domenico, Largo S. Martino, Seminario, tempio dorico di Piazza Castello). La frequentazione protostorica, quindi, sembra indicare nel sito un'area privilegiata; lo stesso addensarsi di tre comunità distinte (Scoglio del Tonno, acropoli, plateau prospiciente la costa di Mar Piccolo) mostra un intenso livello di sfruttamento del territorio. È evidente che il sito (soprattutto l'acropoli) riveste un ruolo centrale nella pianura costiera e nella fascia meridionale delle Murge, un'ampia area in cui sono stati individuati diversi insediamenti coevi.
Colonizzazione greca. - L'arrivo dei coloni greci provenienti dalla Laconia interrompe drasticamente questa fase di sviluppo: l'impatto con gli indigeni assume quelle caratteristiche distruttive note anche dalla tradizione letteraria. Molte località vengono definitivamente abbandonate, come quella di Scoglio del Tonno; le aree insediative iapigie rioccupate subiscono invece una completa rideterminazione funzionale degli spazî, come si verifica anche sull'acropoli dell'insediamento di Saturo. Alla tesi di un'occupazione in due fasi, a Saturo stessa prima e nel sito di T. poi (Lo Porto, 1976), sembra doversi preferire un'altra soluzione: i coloni Iaconi avrebbero sviluppato sin dall'inizio un processo di espansione in tutta la fertile piana costiera del tarantino, dando origine probabilmente a più comunità di villaggio (p.es. Saturo, L'Amastuola, Monte S. Elia, ecc.) e assegnando solo un ruolo di epicentro all'insediamento dell'acropoli (Greco, 1981). A L'Amastuola, in particolare, scavi recenti hanno evidenziato un'area insediativa con case rettangolari e banchina perimetrale interna.
Le informazioni sulle fasi di vita più antiche della colonia sono ancora molto scarse. L'insediamento originario comprendeva certamente l'acropoli e, forse, anche la parte anteriore del plateau orientale, dove è probabile che sin dall'inizio si trovasse l'agorà. Tale ipotesi deriva dalla possibilità di leggere l'estensione dell'abitato in negativo rispetto alle aree di necropoli meglio note. Dall'inizio del VI sec. a.C. la comunità sembra impegnata in un processo di monumentalizzazione che riguarda principalmente l'acropoli. Questa sembra essere stata difesa sul salto di quota settentrionale e sul fronte orientale da una cinta difensiva in opera quadrata, di cui sono stati rinvenuti settori a Palazzo Delli Ponti e a Largo S. Martino e i cui materiali sembrano essere stati reimpiegati nelle successive fortificazioni medioevali caratterizzate dal medesimo percorso (tratti della Discesa del Vasto e del Castello Aragonese). All'estremità occidentale sorge un complesso monumentale sacro incentrato su un tempio dorico periptero già arcaico, ma ampliato e ricostruito nella prima metà del V sec. a.C.; ne sono visibili le imponenti sostruzioni in opera quadrata notevolmente conservate in altezza e inglobate nel podio di sostegno della chiesa di S. Domenico e nell'area del vicino convento (peristasi settentrionale). A Largo S. Martino è stata rinvenuta una struttura quadrangolare, forse di carattere insediativo, pertinente alle prime fasi di vita della colonia e obliterata in seguito alla creazione di un ampio spazio aperto antistante al tempio dorico di S. Domenico.
Alla fine del primo venticinquennio del VI sec. a.C. viene attribuito il tempio arcaico di Piazza Castello (Gullini). Il deprecabile abbattimento di parte delle strutture medioevali che lo occultavano ha permesso di individuare, per c.a 50 m di lunghezza, lo stilobate della peristasi settentrionale (che sosteneva, quindi, più di tredici colonne), riconoscendone anche l'angolo NO. Del lato meridionale della peristasi, invece, sono state scoperte alcune tracce alla fine del secolo scorso; scavi recenti hanno mostrato cospicui resti dei varî interventi di sistemazione dell'area circostante sino all'abbandono del tempio in età tardoantica. La crescita dell'insediamento coloniale si può agevolmente seguire già in un primo esame della documentazione della necropoli (Lo Porto, 1973). Dopo una fase iniziale, in cui sono sporadicamente attestate anche alcune incinerazioni, si sviluppa in maniera esclusiva la pratica dell'inumazione in tombe a fossa ricavate nel terreno o nel banco roccioso e ricoperte da lastroni. Emerge progressivamente l'affermazione di un ceto aristocratico coloniale che utilizza già in età arcaica la tomba a camera costruita in opera quadrata, manifestando una consuetudine abbastanza singolare nell'ambito della cultura funeraria greca. Tali ipogei, in parte riesaminati di recente (Lo Porto, 1967; Patera, 1986; Maruggi, 1994), privi di dròmos, sono caratterizzati da una copertura litica sostenuta con l'ausilio di colonne doriche (da una a quattro) con un notevole impegno architettonico e un chiaro riferimento alla tipologia dell’andrèion; appare di particolare rilievo nei corredi funerari l'ostentazione dell'attività atletica dei defunti, accompagnati anche da anfore panatenaiche. Sempre nell'area della necropoli si sono rinvenuti numerosi elementi architettonici fittili pertinenti al rivestimento della copertura lignea di piccoli sacelli di incerta funzione, di cui solo in un caso si sono riconosciute le strutture di fondazione (area dell'Ospedale Civile), materiali prodotti in un arco di tempo compreso tra l'ultimo ventennio del VI sec. a.C. e i primi venti o trent'anni del V sec. a.C. (Andreassi, 1972).
Verso il 470/460 sembra delinearsi un sensibile mutamento della situazione precedente, segnalato da varî elementi, come la scomparsa di tali terrecotte architettoniche, l'abbandono quasi completo della tomba a camera e la drastica riduzione del ricco corredo di accompagnamento funerario; nel V sec. a.C. sembrano prevalere, invece, le tombe a sarcofago di carparo o quelle a lastroni, con cuscino deposizionale ricavato sul fondo. Non è improbabile che tali fenomeni di riduzione degli aspetti più rappresentativi dello status sociale dei ceti coloniali emergenti possa essere legato al rivolgimento costituzionale ricordato da Aristotele, che determinò il rovesciamento del governo oligarchico precedente, sostituendolo con una forma di democrazia moderata, probabilmente, come ad Atene, connessa all'imposizione di decreti suntuarî.
Intorno alla metà del V sec. a.C. si verifica un altro evento fondamentale: l'estensione dello spazio urbano verso E, con la creazione di un nuovo ampio quartiere impiantato con uno schema ortogonale; questo diventa ben presto la parte più importante della città ed è documentato soprattutto nella fase romana. Contemporaneamente viene realizzata una nuova linea di fortificazioni sul versante orientale, che racchiude abitato e necropoli urbana in un'ampia superficie. La struttura difensiva, come hanno dimostrato le recenti esplorazioni di ampî tratti (contrade Carmine, Solito e Collepasso), è costituita da un sistema a doppia cortina in opera quadrata, con setti intermedi di collegamento, largo poco più di 4 m e provvisto, in alcuni punti, di torri avanzate. I filari di fondazione presentano numerosi marchi di cava e la cronologia del monumento viene basata principalmente sulla paleografia dei segni alfabetici. Senza voler istituire un collegamento meccanico di causa ed effetto tra la rivoluzione democratica e la costituzione di questa neàpolis (Greco, 1981), è probabile, però, che i due fatti siano tra loro in rapporto. La nuova lottizzazione urbana, infatti, si estende in un'area fino a quel momento occupata dalla necropoli e implica una netta interruzione del precedente rapporto di proprietà e della funzionalità originaria; è verosimile, quindi, che non sarebbe stata possibile se non dopo l'indebolimento dell'aristocrazia arcaica e la ristrutturazione politica in senso democratico. Tale imponente fenomeno di inurbamento è stato riferito anche a un mutamento del sistema insediativo della chòra, essendo collegato, forse, all'abbandono degli originarî villaggi arcaici (Greco, 1981); la frequentazione del territorio, però, resta ugualmente intensa e si organizza probabilmente in maniera diversa. A una prima proposta ricostruttiva di tale impianto urbano (Lo Porto, 1970) è seguito un riesame critico della documentazione che oggi permette di avanzare nuove ipotesi. Il sistema viario sembra essersi articolato su due livelli diversi: una rete formata da alcune platèiai che si incrociano ortogonalmente crea la maglia di base; questa viene integrata da una rete più fitta di stenopòi. L'isolato-tipo delimitato può essere ricostruibile nelle misure di m 32,50 X 54 c.a (Lo Porto proponeva isolati più grandi, di m 71 X 142) e originariamente potrebbe essere stato suddiviso in sei lotti. Nella zona costiera settentrionale fu sistemato un complesso portuale attrezzato, di cui si sono rinvenuti due moli fortificati (Viola, 1881; Lippolis, 1981). Presso di esso, nella metà anteriore dell'ex fondo Giovinazzi pare che si possa ubicare il theatrum maius noto dalle fonti e sede delle celebrate Dionisie locali, monumento probabilmente già individuato dall'arcivescovo Capecelatro alla fine del '700 (Lippolis, 1995). Immediatamente alle spalle di esso la scoperta di numerose stipi, che hanno restituito alcune migliaia di reperti coroplastici votivi, segnala l'esistenza di un importante santuario con un ambito cultuale ancora difficilmente individuabile. Tali stipi, come la maggior parte delle altre, si concentrano oltre il limite massimo di estensione dell'abitato, nell'area in cui incomincia la necropoli. La difficile natura del rapporto tra sacro e funerario è attestata anche dal rinvenimento di una di esse in Via Regina Elena, deposta in una cavità del terreno al di sopra del lastrone meridionale di una tomba a sarcofago, con un corredo databile al terzo venticinquennio del IV sec. a.C. Solo pochi depositi votivi si possono ubicare all'interno dell'abitato: si tratta di un importante ripostiglio di vasi e pìnakes del culto dei Dioscuri, nelle adiacenze della chiesa del Carmine, quindi presso l'area occupata dall'antica agorà (Pirzio Biroli Stefanelli, 1977), dei resti del deposito sacro del tempio dorico di Piazza Castello e forse di un altro, pertinente a un culto femminile, in Via Peripato (Iacobone, 1988). Quest'ultimo, però, essendo anteriore alla metà del V sec. a.C. e trovandosi in un'area che all'epoca non era ancora adibita a funzioni insediative, all'origine probabilmente rientrava anch'esso nella zona occupata dalla necropoli arcaica. La ricognizione del materiale di archivio permette di registrare complessivamente più di sessanta rinvenimenti di stipi votive (Lippolis, 1995). La locale produzione coroplastica relativa al culto, attestata già nel VII sec. a.C. nei santuari del Pizzone e di Fondo Giovinazzi (Borda, 1979) e discretamente documentata in età arcaica, acquista un eccezionale sviluppo qualitativo e quantitativo nel V sec. a.C. e sembra declinare rapidamente poco dopo la metà del IV sec. a.C. (Herdejürgen, 1971). Dopo questa data scompaiono quasi completamente le tradizionali tipologie del recumbente, dell'Artemide Bendìs e tutto il corollario dell'imagerie rituale a essi collegata. Tra la seconda metà del IV sec. e il III sec. a.C. sono documentati pochi tipi coroplastici completamente nuovi come i pìnakes dei Dioscuri, i c.d. Apollo Hyàkinthos e Polỳboia e poche rare attestazioni diverse. È probabile, quindi, che nel corso del IV sec. a.C. i rilevanti fenomeni di trasformazione della comunità tarantina abbiano in parte coinvolto precedenti convenzioni sociali e modi di rappresentazione del privato nell'occasione pubblica del sacro. Un'area sacra connessa forse al culto di Dioniso si estendeva tra Via Anfiteatro e Via D. Acclavio, comprendente un tempio ionico di piccole proporzioni (prima metà del IV sec. a.C.) e scarichi di ceramica rituale (skỳphoi con dediche a Dioniso). In età ellenistica si possono datare due interessanti sacelli. L'uno, al di sotto della chiesa del Sacro Cuore, al centro della necropoli, è completamente ipogeo e si articola in tre vani contigui accessibili da un vestibolo scoperto; uno degli ambienti è diviso in due navate da una fila centrale di colonne. L'esplorazione, rimasta incompleta, ha restituito sinora una notevole quantità di ceramica e di coroplastica votiva e permette di datare il monumento solo in maniera generica, tra il IV e il III sec. a.C. L'altro sacello, rettangolare, rinvenuto nell'area dell'ospedale militare, risale invece a età tardorepubblicana e per il corredo di stele anepigrafi ancora in situ lungo le pareti, sembra essere stato la sede di un culto aniconico (Lippolis,1989 e 1995).
Con il fenomeno della perdita di interesse per la coroplastica votiva sembra verificarsi una vera e propria riconversione dei laboratorî artigianali, in parte legati, almeno topograficamente, ad alcuni dei grandi santuarî esterni all'abitato (area del Pizzone), in parte isolati nella necropoli (Via T. Minniti, Via G. Giusti, Via C. Battisti, Via Lisidia). Nei primi anni di vita della colonia si possono documentare produzioni ceramiche locali che, a parte un gruppo di pìthoi o perirranthèria decorati a rilievo (Borda, 1979) sembrano limitarsi a classi acrome, semplicemente verniciate o con decorazioni geometriche; nel VI sec. a.C. sono attestate imitazioni di ceramica corinzia e di ceramica figurata di tipo attico. Tale artigianato, però, sembra raggiungere un certo impegno qualitativo almeno dalla fine del V sec. a.C., con le produzioni a figure rosse protoitaliote. Nella città infatti si localizzano alcune delle principali officine di ceramica apula a figure rosse, di ceramica sovraddipinta nello stile di Gnathia e di ceramica a vernice nera ellenistica, che non sono volte semplicemente al mercato locale, ma anche a un'attività di esportazione (area adriatica, Egitto, Cirenaica, Italia meridionale), le cui dimensioni effettive, relativamente ridotte, non sono però ancora state chiarite. Il riesame delle collezioni di anfore appartenenti a L. Viola permette, inoltre, di acquisire alcuni dati anche sulle attività commerciali del porto tarantino, soprattutto per il periodo compreso tra la fine del IV e il I sec. a.C. È attestata la presenza di anfore chiote, cnidie, thasie e rodie, all'inizio diffuse in scarsa quantità. Solo dopo la guerra annibalica sembra verificarsi un notevole incremento delle anfore rodie bollate del III e del IV periodo della cronologia relativa di V. Grace. La cospicua attestazione di anfore greco-italiche e magno-greche tra il IV e il II sec. a.C., invece, non permette di ricavare indicazioni utili sulle produzioni, a causa dello stato ancora molto incompleto della ricerca in questo settore.
La documentazione più cospicua per l'età ellenistica proviene comunque dalla necropoli. Sinora sono state rinvenute circa diecimila tombe di varia tipologia appartenenti a questa fase cronologica. Dalla metà del IV sec. si registra la diffusione dell'incinerazione, che subisce un graduale incremento, sino alla fine del II sec. a.C., quando diventa il sistema prevalente (D'Amicis, 1994). La ricomparsa dell'uso costante del corredo funerario nel IV sec. a.C. permette, inoltre, di conoscere un importante settore della cultura artistica e materiale locale. Dopo un caso isolato di reimpiego di una tomba a camera arcaica verificatosi alla fine del V sec. a.C. (ipogeo di Via T. Minniti, cfr. Patera, 1986), a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C. si diffonde l'uso dell'ipogeo funerario, che presenta alcune caratteristiche locali fisse, nel tipo di dròmos e di klìnai ricavate all'interno dell'unica camera sepolcrale (Maruggi, 1974). Contemporaneamente si utilizzano tombe a semicamera, a sarcofago, a lastroni e a semplice fossa. Si distingue in particolare un ipogeo con quattro celle contigue monocline scoperto in Via Polibio (ipogeo Genoviva).
In funzione del rinnovato interesse per l'affermazione individuale tramite l'ambito funerario, si sviluppano alcune forme di artigianato specializzato. La stessa ceramica locale a figure rosse - i grandi vasi, assenti nei corredi, sembrano essere stati utilizzati come sèmata esterni durante il IV sec. a.C. - risponde in buona parte a queste stesse istanze. Ancora più caratteristici sono i settori della coroplastica funeraria a tutto tondo e della decorazione architettonica dei varî tipi di mnèmata e dei naìskoi. Nel primo caso l'uso delle statuette nel corredo funerario, certamente legato a specifici problemi di caratterizzazione del defunto, inizia nella seconda metà del IV sec. a.C. e perdura sino a tutto il II sec. a.C., con una varietà di soluzioni tipologiche messe in luce dai recenti tentativi di ricerca sistematica (Graepler, 1994). Invece, per quanto riguarda i materiali architettonici, realizzati nel carparo locale o nella pietra tenera dell'area di Ceglie-Ostuni, il problema si presenta di soluzione più difficile. I naìskoi veri e proprî, che appaiono forse non prima dell'ultimo quarto del IV sec. a.C., dipendono direttamente dalle rare esperienze, di poco più antiche, individuate in Attica (cfr. il naìskos di Kallithea ad Atene), come avviene anche per le stele in marmo coronate da un grande acroterio vegetale e almeno in un caso arricchite da una raffigurazione a bassorilievo. La cronologia dei numerosissimi reperti, spesso decontestualizzati, oscilla tra un arco di tempo molto ristretto, tra il 340/330 e il 280/270 a.C. (Carter, 1975) e una datazione più ampia, che si estende per lo meno a tutto il III sec. a.C. (Bernabò Brea, 1952) e che in alcuni casi oltrepassa la soglia della guerra annibalica. Ai ceti sociali emergenti sono legate anche le ricche oreficerie restituite dalla necropoli tarantina e oggetto recentemente di una presentazione complessiva, che ha cercato di ricollegare tali materiali ai contesti di pertinenza originarî, con importanti indicazioni per la cronologia e la funzione funeraria.
L'eccezionale quantità dei reperti tarantini di questo settore, comunque, non è di per sé un elemento sufficiente a individuare il carattere della produzione locale e a risolvere il problema dei suoi rapporti con gli altri centri di diffusione e di elaborazione dei modelli dell'oreficeria ellenistica. Le tombe a camera del II e del I sec. a.C., comunque, attestano la continuità nell'uso delle oreficerie funerarie; nel II sec. a.C., in particolare, si diffondono le caratteristiche corone a foglie di quercia ritagliate nella lamina aurea; sintomo che, anche dopo la grave battuta di arresto segnata dalla guerra annibalica, una certa aristocrazia locale mista, greca e latina (una tomba a camera tardorepubblicana rinvenuta di recente presso Via Diego Peluso, p.es., apparteneva alla famiglia dei Cossutii) continua a manifestare prestigio e potere d'acquisto; il fenomeno, però, ora si registra in un quadro sociale molto più impoverito e in preda a veloci e in parte drastici cambiamenti, indotti dal cedimento del sistema tradizionale, di fronte alla nuova situazione culturale dell'Italia romana.
Età romana. - Gli ipogei tardorepubblicani mantengono la tipica soluzione monocellulare e più di sovente, rispetto alla fase precedente, vengono ornati da una decorazione pittorica complessa (finte porte dipinte, Hermes psychopompòs, decorazione a ghirlande e soggetti varî); un tipo caratteristico è costituito dalle tombe a camera quadrangolare con copertura litica sostenuta da un arco a tutto sesto che bipartisce lo spazio del sepolcro. In una ampia superficie, sorta oltre i limiti della città del primo ellenismo, sovrappostasi a un'area di necropoli e caratterizzata da un perimetro rettangolare (misura complessivamente poco meno di 12 ha), si può forse identificare un quartiere o il nucleo principale della colonia Neptunia (tra le vie Regina Elena e T. Minniti). La frequentazione dell'insediamento, che termina in età augustea, si adatta bene ai limiti cronologici della deduzione graccana, sorta nel 123 e confluita nel municipium prima del 62 a.C. Evidentemente l'uso del quartiere può essersi protratto stentatamente dopo l'unificazione nel municipium. Tali vicende avviano in maniera più concreta il processo di romanizzazione dell'antico centro magno-greco, permettendo, a quanto pare, la rivitalizzazione dell'impianto urbanistico regolare di età classica; proprio quest'area, compresa tra la zona dell'agorà sull'istmo e il quartiere tardorepubblicano contrariamente a quanto si pensava sinora, diventa il centro più vitale. La zona intorno all'agorà e la stessa acropoli, invece, sembrano essere state meno curate dal punto di vista urbanistico, pur essendo ancora frequentate in età romana (a questa fase risale, p.es., l'altare marmoreo ora a Copenaghen, da un'area sacra forse dedicata a Venere/Afrodite sull'acropoli). La frequentazione del porto sembra intensa per tutta l'età tardorepubblicana, come mostra la presenza di anfore bollate brindisine, apule e di tipo Dressel 2-4 raccolte nella Collezione Viola. Non ci sono note sinora opere di evergetismo di membri delle famiglie locali, eccetto la dedica ellenistica di un sacello ad Artemide-Diana da parte di un A. Titinio, appartenente a una delle famiglie più importanti attestate nella comunità e un restauro del Tempio di S. Domenico a opera di un Cn. Pompeo. La cultura funeraria dei coloni introduce l'uso del cippo-ritratto in carparo, di esecuzione molto spesso sommaria e di tradizione centro-italica, attestato sino al I sec. d.C. (Pensabene, 1975).
Con Augusto e la dinastia giulio-claudia vengono costruiti diversi monumenti in opera reticolata, come l'anfiteatro; esso viene collocato in maniera marginale rispetto al quartiere romano della città, ma occupa, in modo singolare, un'area contigua all'agorà e ad alcuni monumenti pubblici. Sono coevi l'acquedotto dell'Aqua Nymphalis, che captava le sorgenti di Saturo, anch'esso in opera reticolata, e il nucleo di un complesso su Mar Grande, di cui è stato scavato nel secolo scorso il settore termale (donde la comune denominazione di Terme di Montegranaro), probabilmente una villa suburbana con una facciata sul mare movimentata da un poderoso emiciclo avanzato. Nello scavo del monumento fu recuperato un ritratto attribuito a Marcello che, con la testa di Augusto capite velato (quest'ultima scoperta insieme ad altre statue acefale), i ritratti giulio-claudî forse rinvenuti nel teatro dal Capecelatro (ora a Copenaghen), l'epigrafe di un probabile patronato dell'imperatore sulla comunità (Sordi, 1969) e le numerose dediche ai personaggi della famiglia giulio-claudia (Ga- sperini, 1985), documenta significativamente la diffusione della propaganda augustea. Nel «Foro dei Mercanti», presso Via V. Pupino, dove fu scoperto l'Augusto, numerosi elementi epigrafici e architettonici segnalano l'esistenza di un'area monumentale, in cui poteva anche essere collocato un luogo di culto imperiale. La fase augustea della città sembra, comunque, ancora poco chiara; i numerosi monumenti in opera reticolata, che potrebbero anche essere datati in questo periodo, l'abbandono del quartiere della vecchia colonia Neptunia e lo spoglio di alcune importanti opere scultoree dell'arredo urbano (Europa sul toro, Nike colossale, quest'ultima dedicata nel 19 a.C. nella Curia Iulia) indicano un incisivo intervento dell'imperatore nella storia dell'insediamento. È possibile che esistesse anche una dimora imperiale nella città, che ebbe modo in alcune occasioni di ospitare Ottaviano, e non è inverosimile che possa essere identificata proprio nella villa suburbana di Montegranaro. Sempre nel particolare clima dell'età augustea si può inquadrare, infine, la ricomparsa, limitata nel tempo, dell'uso della coroplastica funeraria che ripristina i soggetti, ormai tratti da una cultura «antiquaria», del recumbente e della figura femminile seduta.
La deduzione coloniale neroniana, che si limitò a un'assegnazione di terre, è stata documentata anche epigraficamente (Gasperini, 1980). Le iscrizioni sepolcrali di alcuni coloni, rinvenute soprattutto nella necropoli di Collepasso, presso il Pizzone, sembrano avvalorare l'ipotesi che il vicino nucleo insediativo a carattere rurale, lungo la costa di Mar Piccolo, possa essere sorto proprio in quell'occasione specifica. Appare di particolare interesse, inoltre, la notizia relativa al rinvenimento di un'epigrafe onoraria dedicata a L. Giunio Moderato Columella, al di sotto del Cappellone della cattedrale, in un'area pubblica al centro dell'acropoli, elemento che integra le conoscenze sulla vita dell'insediamento in età neroniana. Contemporaneamente, nel territorio, dopo una certa diffusione del sistema delle villae, spesso dotate di ampi settori produttivi, si può registrare l'apparizione del latifondo, gestito sia da aristocratici romani, come la Calvia Crispinilla nota dalle fonti (Gasperini ha edito epigrafi funerarie di suoi probabili gregarii), sia della stessa famiglia imperiale. Una ripresa del tono urbano sembra potersi verificare dopo la dinastia flavia. Pare che lo stesso Nerva fosse stato esiliato nella città all'epoca di Domiziano; a Traiano si riferiscono due importanti dediche reimpiegate nel rifacimento tardoantico del complesso delle Terme Pentascinenses, la cui fase principale e parte della decorazione scultorea appartengono proprio a questo periodo. Rimane insoluto il problema della persistenza di una comunità grecofona nella città imperiale; il fenomeno di latinizzazione, senza dubbio molto avanzato già alla fine del I sec. a.C., però, permetteva ancora a quell'epoca la persistenza di forme culturali greche. La documentazione epigrafica non fornisce, comunque, elementi sufficienti a testimoniarne una continuità tra il I e il II sec. d.C. (Moretti, 1973), anche se qualche indicazione suggerisce il mantenimento di alcuni istituti e culti greci (Gasperini, 1980).
Nel II e nel III sec. d.C. è soprattutto l'edilizia privata a restituire la documentazione più interessante, soprattutto per mezzo di alcuni pavimenti musivi che facevano supporre già alla Blake l'esistenza di una scuola locale. Sono invece estremamente scarse le notizie sulla necropoli coeva, alla quale si possono attribuire due sarcofagi di produzione attica, di cui uno a ghirlande e l'altro con una scena omerica di battaglia presso le navi. I bàphia tarantini, legati alla produzione e alla tintura delle lane (Morel, 1978), ubicabili sulla costa di Mar Piccolo, sono menzionati nella Notitia Dignitatum; nel IV sec. d.C. inoltrato si collocano l'impegnativo intervento di restauro delle Terme Pentascinenses e il ripristino dell'Aqua Nymphalis, grazie all'evergetismo di un Furius CI. Togius Quintilius. La città di età tardoantica accoglie una comunità giudaica di cui è noto il sepolcreto, usato per tutto l'Alto Medioevo e sembra conoscere anche una ripresa dell'edilizia privata (domus di Casa Basile e di Casa Baldassarre), almeno fino alla guerra greco-gotica. Questo episodio bellico inaugura la fase medievale dell'abitato, nuovamente cinto da mura difensive erette dal bizantino Iohannes e ridotto contemporaneamente nella sua estensione. In seguito il tessuto urbano sembra essersi progressivamente degradato e le necropoli medievali di S. Lucia, sullo stesso sito di quelle imperiali, sembrano attestare il prolungarsi stentato del quartiere esterno all'acropoli, che era stato il centro vitale dell'insediamento romano (D'Angela, 1977). Le fasi dell'affermazione del cristianesimo nella città sono ancora poco chiare e le prime notizie sull'attività edilizia ecclesiastica si limitano all'indiretta documentazione dell'esistenza di una cattedrale e di un battistero all'epoca di Gelasio I, tra il 494 e il 495, e alla costruzione di un nuovo battistero intorno al 603.
Dopo le sfortunate vicende subite soprattutto nel corso del IX sec., la definitiva distruzione saracena del 927 concluse in maniera definitiva le ultime forme di sopravvivenza dell'insediamento antico. La ricostruzione bizantina forse voluta dall'imperatore Niceforo Phocas, consisté, quarantanni dopo, in un centro fortificato sovrapposto all'antica acropoli, che aprì un capitolo completamente nuovo nella storia della città.
Bibl.: In generale: informazioni annuali sugli scavi effettuati nell'area urbana sono edite nella collana degli Atti dei Convegni di Studi sulla Magna Grecia e, per il 1987 e il 1988, nel Notiziario della Soprintendenza apparso sulle rispettive annate della rivista Taras. Fondamentali sono gli Atti del X Convegno Magna Grecia, Taranto 1970, Napoli 1973, interamente dedicato a Taranto e i volumi del Catalogo del Museo Nazionale Archeologico di Taranto; v. inoltre E. Lippolis, S. Garraffo, M. Nafissi, Culti greci in Occidente, I. Taranto, Taranto 1995. Ricognizione bibliografica fondamentale per la necropoli e le produzioni: A. Dell'Aglio, La documentazione d'archivio e la bibliografia, in Catalogo, cit., III, Ι, Taranto 1994, pp. 14-37.
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