Tartari
Col nome di T. (derivato dal vocabolo turco Tatar, donde Tatari e T.) erano designate in Occidente all'epoca di D. le popolazioni di lingua mongola, originarie dell'Asia Centrale, le quali, sotto la guida di Gengis Khan e dei suoi successori, avevano costituito il grande impero, che si estendeva dalla Cina al mar Nero. Successivamente il nome restò nell'uso degli Europei a tutto il complesso dei popoli turchi che avevano preceduto l'avanzata verso Occidente dei Mongoli o erano venuti al loro seguito nella Russia meridionale e in Crimea.
I T. vengono menzionati da D. sia per la loro fede nell'immortalità dell'anima, sia per la loro abilità nel tessere drappi con arte raffinata.
In Cv II VIII 9 vengono citati, insieme con Giudei, Saracini... e qualunque altri vivono secondo alcuna ragione, fra coloro i quali concordano nel ritenere che in noi sia parte alcuna perpetuale (§ 8). Tale fede in una nuova vita dopo la morte si ritrova nello sciamanesimo dei T. della steppa come nel buddhismo di quelli assimilati alla civiltà cinese. D. ha voluto evidentemente esemplificare anche con i T., dominatori dell'immenso e lontano impero asiatico, l'universalità della fede nell'immortalità dell'anima, insita, secondo lui, nella stessa natura umana e quindi diffusa fino ai limiti della terra. Egli poté conoscere le notizie sulle credenze religiose dei T. dalla lettura dello Speculum maius di Vincenzo di Beauvais, che riporta quanto scrisse Giovanni da Pian del Carpine nella sua Historia Mongalorum III 9 ss.: " credunt tamen quod post mortem in alio seeculo vivant ".
In If XVII 17, inoltre, D. paragona l'aspetto di Gerione, tutto cosparso di nodi e di rotelle, alle variopinte tessiture di drappi fatte dai T. e dai Turchi: Con più color, sommesse e sovraposte / non fer mai drappi Tartari né Turchi. Qui per T. si potrebbe addirittura intendere Cinesi, perché essi soprattutto, e non già i loro dominatori, producevano ed esportavano broccati. I due termini sommesse e sovraposte infatti servono a designare un tipo particolare di drappi, caratteristico per la doppia ornamentazione, consistente nella varietà dei colori e dei disegni del fondo, cioè del tessuto vero e proprio (‛ sommessa ') e quindi delle parti applicate sopra a esso a ricamo o a rilievo (‛ sovraposte '). Si tratta dei drappi che nel Medioevo erano chiamati anche ‛ tartareschi ' o ‛ indiani ', come spiega il Boccaccio nelle Esposizioni (ediz. Padoan, XVII 8: " drappi tartareschi, li quali veramente sono sì artificiosamente tessuti, che non è alcun dipintore che col pennello gli sapesse fare simiglianti, non che più belli ") e in Dec. VI 10 23 " con più macchie e di più colori che mai drappi fossero tartareschi o indiani ". Tali drappi erano esportati fino in Europa, dov'erano assai apprezzati, come ha dimostrato il Toynbee; e certamente D., nominandoli nella similitudine, faceva riferimento a oggetti ben noti ai suoi contemporanei. Forse egli stesso aveva avuto occasione di ammirarli alla corte di Cangrande della Scala, che teneva assai care simili stoffe. Ce lo conferma il ritrovamento, avvenuto il 27 luglio 1921 nella sua tomba, di broccati di origine orientale (attualmente conservati nel museo Civico di Verona), in uno dei quali si son voluti identificare motivi tipici dell'arte cinese.
Bibl. - P. Toynbee, Dante's reference to Tartar cloths, in " Romania " XXIX (1900) 560-564 (rist. in Dante's studies and researches, Londra 1902, 115-120); G. Sangiorgi, Le stoffe e le vesti tombali di Cangrande I della Scala, in " Bollettino d'Arte del Ministero Pubbl. Istruz. " s. 2, II (1922) 443-457; L. Olschki, D. e l'Oriente, in " Giorn. d. " XXXIX (1938) 65-90; ID., Marco Polo, D. Alighieri e la cosmografia medioevale, in Oriente Poliano, Roma 1957, 45-65.