TASSI, Bartolomeo detto Triachini
– Nacque presumibilmente a Bologna nel secondo decennio del Cinquecento da Antonio, architetto. Il nome della madre è ignoto. Il 1516 come anno di nascita non ha finora trovato riscontri (Roversi, 1974; Ravaioli, in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011).
Appartenne a una nutrita famiglia di architetti e costruttori ed ebbe tre fratelli: Sebastiano, Lucia e Giovanni Francesco, anch’egli attivo nel settore. Sposò in seconde nozze Margherita Mamellini, da cui ebbe almeno cinque figli. Oscura è l’origine del soprannome, già appartenuto al padre e forse derivante da voci lombarde (alla cui area pare risalire il cognome), oppure legato alla tradizione della teriaca (Ravaioli, in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011).
Le prime notizie di Bartolomeo si hanno tra il marzo e l’aprile del 1534, e ancora all’inizio del 1535, quando sottoscrisse insieme al padre diversi accordi con gli olivetani di S. Michele in Bosco per la costruzione del dormitorio dei novizi, subentrando a Tibaldo di Cristoforo Tibaldi (Malaguzzi Valeri, 1895). In questi documenti Bartolomeo è detto «filiolo» di Antonio, quindi probabilmente ancora in giovane età (Ravaioli, in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011, p. 63).
Le collaborazioni tra padre e figlio si ripeterono ancora fino al decennio successivo. Nel dicembre del 1538 Antonio stipulò una serie di convenzioni con Camillo Fantuzzi senior per lavori nelle parti interne del palazzo di quest’ultimo in via S. Vitale, attorno al cortile occidentale (Ricci, 1993-2000), ma da documenti più tardi risulta che anche Bartolomeo avesse lì lavorato nello stesso anno. Il cantiere rimase a lungo incompiuto e solo nel 1561 Bartolomeo fu incaricato del suo completamento. I rapporti tra i Fantuzzi e l’architetto furono di lungo corso: nel 1540 il secondo ricevette pagamenti per lavori nelle tenute di Vedrana e al Belriposo di Viadagola, e nel 1576 gli fu richiesta una stima del palazzo di città (Ravaioli, in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011).
Nel 1545 Bartolomeo venne registrato nell’arte dei muratori di Bologna subentrando in via eccezionale al padre mentre questi era ancora in vita (morì tra il 1551 e il 1557; ibid.), a segnare una probabile raggiunta autonomia. I due lavorarono ancora insieme nel 1546 nel convento della monache gesuate della Trinità (Malaguzzi Valeri, 1899), dove il solo Bartolomeo operò ristrutturazioni nel 1559 con l’aiuto del parente Pietro Triachini, figlio di Lorenzo e fornitore di materiali edili (Ravaioli, in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011). Proprio a Lorenzo, morto nel 1552, e sempre con il supporto di Pietro, Bartolomeo subentrò nel complesso di S. Giovanni Battista dei Celestini, intervenendo sulla chiesa e sul convento tra il 1554 e il 1560 (Fanti, 1970; Ravaioli, in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011). Dei lavori nei due conventi non restano tracce riconoscibili per via dei rimaneggiamenti successivi.
Tra il 1553 e il 1554 Bartolomeo ricevette dal Senato bolognese i primi incarichi pubblici documentati, riparando un ponte sul fiume Idice a Castenaso, dove vent’anni prima aveva già lavorato il padre insieme ad Andrea da Formigine (Ravaioli, in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011).
La Graticola di Bologna di Pietro Lamo, contemporaneo di Bartolomeo, accosta il suo nome alla costruzione di tre importanti palazzi di metà secolo, la cui questione attributiva è però ancora aperta. Della grande dimora di Giovanni Poggi in strada S. Donato, Lamo (1560 circa,1996) scrive che «fece fare il cardinale Pogio, è de bona architatura, de man [de] Bartolomeo Triachino, bologneso» (p. 94). La presenza di Bartolomeo nel cantiere è documentata il 4 luglio 1554 dall’annullamento di una precedente convenzione con lo scalpellino Francesco Gasparini, che aveva promesso «alcune sorte di pietre che al p[rese]nte no’ fano di bisog[n]o» (Zucchini, 1933; Ravaioli, in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011, p. 66). Per Francesco Cavazzoni (1603, 1999) Bartolomeo fu «architetto del cardinale Poggio» (p. 82) ed ebbe certamente un ruolo direttivo nel cantiere, probabilmente già avviato nel 1549. Forti disparità stilistiche fanno propendere per attribuire a Bartolomeo solo il corpo di facciata più tradizionale, mentre il cortile è stato ricondotto dalla storiografia a Pellegrino Tibaldi e Galeazzo Alessi (Lenzi, 1988 e in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011; Ravaioli, ibid.). Il legame tra i Poggi e i Triachini è ulteriormente suffragato dai lavori di Lorenzo nella cappella Poggi in S. Giacomo Maggiore nel 1549 (Steen Hansen, 2001).
Questione affine per palazzo Vizzani in via S. Stefano, databile tra il 1559 e il 1566. Lamo (1560 circa, 1996) riferiva di «una bela fabrica molte laudabile. L’architeto è Bartolomeo Triachino bologneso» (p. 60). Ancora nessun documento è emerso sulla fabbrica, ma i rapporti tra Bartolomeo e i Vizzani furono certamente stretti, per alcuni lavori minori commissionati più tardi all’architetto su altre proprietà, e per la scelta di Giasone Vizzani junior sia come padrino di battesimo di due figli di Bartolomeo nel 1565 e nel 1570, sia come suo esecutore testamentario (Ravaioli, in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011). Alcuni dettagli secondari dell’edificio richiamano elementi di palazzo Poggi, ma la forte personalità della facciata ha suggerito ancora il nome di Alessi, oltre all’antica attribuzione a Tommaso Laureti (Adorni, 1977; Righini, in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011).
Palazzo Malvezzi de’ Medici in strada S. Donato è l’ultimo nominato da Lamo (1560 circa, 1996): «un palacio di bona architatura per man de Bartolomeo Triachino» (pp. 99 s.). Il cantiere fu lungo e travagliato: già nel 1530 Bartolomeo Malvezzi chiese il permesso per trasportare materiali da costruzione, e solo nell’agosto del 1559 si ottenne la concessione per occupare una porzione di terreno, mentre la fronte prospicente la chiesa di S. Giacomo rimase incompiuta (Guidicini, 1868-1873, I; Roversi, 1987b). Anche in questo caso la particolarità del palazzo rende problematica un’attribuzione (con proposte per Sebastiano Serlio e Girolamo da Carpi), mentre alcuni dettagli poco riusciti contrastano con l’ambizione del progetto. Date le dissonanze tra i palazzi nominati dalla Graticola è inverosimile assegnarne l’invenzione a Triachini se non in porzioni o dettagli, e, se è indubbia la sua responsabilità in determinate fasi dei cantieri, egli poté anche eseguire e rielaborare progetti altrui, come era prassi diffusa.
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta Bartolomeo ebbe diverse commissioni da Ludovico Beccadelli, nunzio apostolico poi arcivescovo a Ragusa in Dalmazia, con il quale ebbe in comune la conoscenza di Giovanni Poggi. A partire dal 1555 ne ristrutturò i palazzi di famiglia su piazza S. Stefano a Bologna e la villa di Pradalbino, dove dal 1564 rifece anche la parte presbiteriale della chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta, mentre al 1569 data la cappella di famiglia nella chiesa della Trinità nella basilica di S. Stefano. Di tutti questi lavori restano minime tracce (Trška, 2014).
Bartolomeo è documentato nel gennaio del 1557 per modesti lavori a villa Isolani a Minerbio (che tradizione vuole del Vignola), ma non si escludono sue maggiori responsabilità nel cantiere (Zucchini, 1908). Nel 1566 risulta iscritto alla Compagnia del Ss. Sacramento nella sua parrocchia di residenza dei Ss. Vitale e Agricola, insieme a Prospero Fontana (Fanti, 1993).
Altri incarichi pubblici confermano indirettamente il suo ruolo di ingegnere del Comune (Malaguzzi Valeri, 1899), seppure in mancanza di nomine ufficiali. Insieme ad altri architetti e muratori si occupò di alcune riparazioni all’Archiginnasio nel gennaio del 1569 (Roversi, 1987a), mentre il 16 novembre 1580 fece parte della commissione per stabilire il disegno definitivo per completare la facciata di S. Petronio (Lenzi, 2001). Ad anni non lontani deve risalire il parere che egli diede per l’altezza delle volte della stessa basilica (M. Oretti, Notizie de’ professori..., sec. XVIII, p. 401).
Per la ricostruzione di un secondo e più impegnativo ponte sull’Idice, nel 1581 Bartolomeo presentò il suo progetto al concorso indetto dal Comune di Bologna l’anno precedente, cui parteciparono anche Domenico Tibaldi, Scipione Dattari, Tommaso Laureti, Francesco Terribilia e forse altri (Foschi, 1986). A questa vicenda risale l’unico disegno autografo certo di Bartolomeo, che tuttavia, confrontato a quelli degli altri architetti, denota incertezze grafiche e compositive tali da far emergere interrogativi sulle sue reali doti progettuali. Visti i cospicui incarichi, le sue qualità di architectus e di murator dovettero comunque essere apprezzate e gli guadagnarono epiteti lusinghieri, come «ingeniosus, praticus et expertus in faciendo fabricas domorum et aliorum edificiorum pariterque in estimando illas» (così in una stima dei beni dell’abbazia di S. Stefano del 31 ottobre 1551; cfr. Ravaioli, in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011, p. 73).
La questione dell’attribuzione resta aperta anche per il piccolo palazzo Conti in via Castiglione, per la cui costruzione Bartolomeo si impegnò con il committente, Giulio Conti, il 15 settembre 1581. Se da un lato la convenzione stipulata tra i due è dettagliatissima, dall’altro un disegno di Ottaviano Mascherino databile ante 1574 fa pensare a Bartolomeo come esecutore con proprie modifiche autonome (Ravaioli, in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011). Il palazzo, di struttura molto essenziale, è tuttora esistente e richiama infatti dettagli dai palazzi Poggi e Vizzani.
Il 18 gennaio 1585 Bartolomeo citò un suo «libro di recordi», al momento non rintracciabile, e il 14 luglio dello stesso anno fece testamento (non particolarmente ricco, peraltro). Il 23 febbraio 1587 dettò un codicillo in cui per motivi non chiari escluse la figlia Cecilia dall’eredità (Ravaioli, in Domenico e Pellegrino Tibaldi..., 2011).
Morì il 24 febbraio 1587 e il giorno seguente fu sepolto nella basilica di S. Maria dei Servi, dove il 19 agosto 1552 era stato concesso «ali Triachini et ali Tasse di fare dua sepulture», anche se già all’inizio di quell’anno vi era stato seppellito Lorenzo (ibid., p. 61).
Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B.123: M. Oretti, Notizie de’ professori del Disegno, Bologna (sec. XVIII).
P. Lamo, Graticola di Bologna (ms., 1560 circa), a cura di M. Pigozzi, Bologna 1996, pp. 60, 94, 99 s.; F. Cavazzoni, Pitture et sculture et altre cose notabile che sono in Bologna, e dove si trovano (1603), in Id., Scritti d’arte, a cura di M. Pigozzi, Bologna 1999, p. 82; A. Masini, Bologna perlustrata (1650), 2ª ed. accresciuta, Bologna 1666, p. 616; A. Bolognini Amorini, Vite dei pittori ed artefici bolognesi, V, Bologna 1843, p. 398; G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, I-V, Bologna 1868-1873, ad ind.; F. Malaguzzi Valeri, La chiesa e il convento di San Michele in Bosco, Bologna 1895, p. 49; Id., L’architettura a Bologna nel Rinascimento, Rocca San Casciano 1899, passim; A. Longhi, Il palazzo Vizani (ora Sanguineti) e le famiglie illustri che lo possedettero. Cenni di storia bolognese, Bologna 1902, p. 8; G. Zucchini, Il Vignola a Bologna, in Memorie e studi intorno a Jacopo Barozzi..., Vignola 1908, pp. 217 s.; Id., L’architetto del palazzo dell’Università, in Il Resto del Carlino, 13 dicembre 1933; J. Wasserman, Ottaviano Mascarino and his drawings in the Accademia nazionale di San Luca, Roma 1966, pp. 164 s.; M. Tafuri, L’architettura dell’Umanesimo, Bari 1969, p. 216; M. Fanti, Sei secoli di storia ai «Celestini», 1369-1970, in S. Giovanni Battista dei Celestini in Bologna, Bologna 1970, pp. 24-30; G. Cuppini, I palazzi senatorii a Bologna. Architettura come immagine del potere, Bologna 1974, passim; G. Roversi, T. (Via Bartolomeo), in M. Fanti, Le vie di Bologna, Bologna 1974, p. 696; B. Adorni, L’architettura dal primo Cinquecento alla fine del Settecento, in Storia dell’Emilia Romagna, a cura di A. Berselli, II, Imola 1977, pp. 701-729 (in partic. p. 708); P. Foschi, Un concorso di idee del 1581 per la ricostruzione del ponte sull’Idice della via Emilia, in Il Carrobbio, XII (1986), pp. 163-180; G. Roversi, Palazzi e case nobili del ’500 a Bologna. La storia, le famiglie, le opere d’arte, Bologna 1986, passim; Id., Il palazzo delle «Scuole» dal sec. XVI alla fine del Settecento, in L’Archiginnasio. Il Palazzo, l’Università, la Biblioteca, a cura di G. Roversi, I, Bologna 1987a, p. 230; Id., La costruzione del palazzo «da S. Giacomo», in Palazzo Malvezzi tra storia arte e politica, 2ª ed. ampliata e aggiornata, Bologna 1987b, pp. 30-37; D. Lenzi, La fabbrica nel Cinquecento: il palazzo di Giovanni Poggi, in Palazzo Poggi, da dimora aristocratica a sede dell’Università di Bologna, a cura di A. Ottani Cavina, Bologna 1988, pp. 40-57; Ead., Le trasformazioni settecentesche: l’Istituto delle scienze e delle arti, ibid., pp. 58-78; M. Fanti, La parrocchia dei Santi Vitale e Agricola dal Medioevo al Settecento, in Vitale e Agricola. Il culto dei protomartiri di Bologna attraverso i secoli nel XVI centenario della traslazione, a cura di G. Fasoli, Bologna 1993, pp. 217-240; M. Ricci, Palazzo Fantuzzi uno e trino. Progetti e realizzazione di una residenza senatoria bolognese (1498-1587), in Notizie da Palazzo Albani, XXII-XXIX (1993-2000), pp. 135-160; D. Lenzi, Da Girolamo Rainaldi a Mauro Tesi: i progetti del Seicento e del Settecento, in La Basilica incompiuta. Progetti antichi per la facciata di San Petronio (catal., Bologna 2001-02), a cura di M. Faietti - M. Medica, Ferrara 2001, p. 45; M. Steen Hansen, The Poggi Chapel in S. Giacomo Maggiore, Bologna. New documentation, in Analecta Romana Instituti Danici, XXVII (2001), pp. 161-168; G. Cuppini, L’architettura senatoria. Bologna tra Rinascimento e Illuminismo, Bologna 2004, pp. 29 s.; Domenico e Pellegrino Tibaldi. Architettura e arte a Bologna nel secondo Cinquecento. Atti del Convegno..., Bologna 2006, a cura di F. Ceccarelli - D. Lenzi, Venezia 2011 (in partic. D. Lenzi, Bologna 1550. Palazzo Poggi, una «fabbrica che non ha eguali», pp. 19-32; D. Ravaioli, Indagini su Bartolomeo Triachini, pp. 59-73, con indicazione delle fonti d’archivio e ulteriore bibliografia precedente; D. Righini, Tommaso Laureti architetto e ingegnere idraulico: aggiunte e precisazioni, pp. 109-120); T. Trška, Lodovico Beccadelli e le arti visive, tesi di dottorato, Scuola normale superiore di Pisa - Università di Zagabria, Pisa 2014.