TASSONOMIA DEGLI OBIETTIVI EDUCATIVI
In campo educativo e didattico per tassonomia (dal greco τάξιϚ, "ordine", "disposizione" e -νομία, derivato di νέμω, "suddividere", "ripartire") s'intende la classificazione sistematica secondo una gerarchia ascendente, che va dalle abilità elementari a quelle più complesse, basata sulla descrizione accurata di comportamenti pedagogici d'insegnamento-apprendimento: in tal senso si parla di "tassonomia degli obiettivi educativi e didattici". L'educazione come contributo formativo allo sviluppo orientato verso fini personali e sociali ha una chiara connotazione intenzionale. Il conseguimento di fini generali, come lo sviluppo dell'intelligenza e del carattere e la formazione dell'uomo e del cittadino, che si attuano nel corso di anni e di decenni, ha tuttavia bisogno di essere meglio articolato nel tempo su una serie di fini prossimi meglio definiti, e se possibile scadenzati. Tali fini prossimi devono poter essere tradotti in competenze e abilità, ovvero in un ''sapere'' e in un ''saper fare'' manifestabili attraverso prove concrete, valutabili qualitativamente e, se possibile, misurabili quantitativamente.
Il linguaggio pedagogico si avvale largamente di paragoni e analogie. In questo caso ha mutuato la terminologia militare e sportiva: si parla pertanto di obiettivi da ''mirare'' e di ''strategie e tattiche'' per raggiungerli. Nell'intento di evitare ogni equivoca vaghezza, si chiede che gli obiettivi vengano formulati come comportamenti accertabili, come operazioni prevedibili e attese, e un suggerimento pratico è quello di formularli mediante verbi piuttosto che sostantivi, e possibilmente verbi di azione. In quest'impostazione hanno avuto certamente influenza in generale le correnti empiristiche e positivistiche e, in particolare, il comportamentismo nella psicologia dell'apprendimento. Impostazione che può essere tuttavia condivisa sul piano pratico da altre correnti, in primo luogo dal pragmatismo e operazionalismo; e anche dallo stesso personalismo spiritualistico per il quale, nonostante il primato delle ''intenzioni'', la persona si attua nel suo finale agire.
Alla definizione di obiettivi nell'ambito della realtà scolastica organizzata ha dato crescente importanza la teoria della programmazione, che è chiamata a disegnare il curricolo degli studi e a scandirne le fasi. La programmazione si articola in fasi o periodi successivi, ognuno dei quali è costituito da un certo numero di unità didattiche. A sua volta ogni unità comprende dei prerequisiti all'ingresso, dei processi intermedi, e delle previsioni di risultati all'uscita, che coincidono con gli obiettivi. L'unità può dirsi compiuta se gli obiettivi prefigurati sono stati raggiunti nella totalità, o almeno con un criterio percentuale di sufficienza. È chiaro pertanto che la definizione di obiettivi rientra a pieno titolo nelle operazioni di valutazione che devono accompagnare ogni momento dell'attività d'insegnamento. Di fatto le prove che concludono ogni unità didattica, come pure ogni ciclo o corso della scuola, si possono dire con buona approssimazione una ''definizione operativa'' degli stessi obiettivi.
È in uso la distinzione tra obiettivi educativi e obiettivi didattici (o ''istruttivi'' o, con un anglicismo, ''istruzionali''), essendo attinenti i primi a sviluppi generali dell'intelligenza, della creatività della personalità e delle relazioni sociali, i secondi all'acquisizione di determinati contenuti o abilità. Ma tale distinzione, che trova riscontro tradizionalmente nei giudizi di condotta e di profitto, è piuttosto schematica e deve lasciar posto alla consapevolezza che i risultati dell'attività scolastica hanno sempre rilevanza su entrambi i piani.
Per lo più, i sistemi usuali di accertamento scolastico (interrogazioni orali e prove scritte) presentano stimoli complessi e richiedono risposte altrettanto complesse, sicché la loro valutazione non può essere che sintetica, espressa mediante un giudizio; solo in seguito, per brevità e comodità di registrazione e comunicazione, la valutazione può essere tradotta in un voto espresso su una scala ordinale; questa va in teoria dallo zero al dieci (più spesso di fatto dal quattro all'otto), come in Italia nelle scuole superiori; ovvero dall'uno al cinque, come in Germania; o alfabeticamente A, B, C, D ed F (failing; ultimo gradino o ''bocciatura''), negli USA. In vari paesi sono in uso codifiche differenti, e anche da noi si sono succedute varie proposte. Va tenuto presente che nelle scale ordinali (che sono semplici graduatorie) gli intervalli tra i voti non risultano eguali, ed è statisticamente improprio calcolare delle ''medie'', anche se è pratica consueta.
Un esame più attento delle prestazioni degli alunni dev'essere però condotto in maniera più analitica. In altre parole, le risposte di un alunno dipendono da una pluralità di fattori, alcuni non strettamente cognitivi, come le condizioni psicofisiche generali includenti lo stato vigile o di stanchezza, l'ansia o lo stress, le motivazioni, il livello di aspirazioni, la situazione competitiva; e altri invece schiettamente cognitivi, come le capacità percettive e associative, il livello di attenzione, la memoria a breve, medio e lungo termine, le capacità di comprensione e di espressione verbale correlate all'elaborazione logica. Queste ultime (memoria e capacità verbali) giocano un ruolo determinante nella routine scolastica, che è altamente vincolata all'uso di testi scritti o comunque sintatticamente elaborati. La componente verbale sovrasta quindi le altre componenti, e nella scuola essa riesce talvolta ad attenuarle o a esaltarle, quando non a mascherarle o mistificarle. Nella descrizione degli obiettivi è perciò necessario tener conto distintamente della presenza di fattori verbali, e di altri fattori che non vanno confusi con quelli.
Siccome le prove sono il mezzo per manifestare il raggiungimento o meno degli obiettivi, di qui nasce la necessità di conoscere meglio quali siano le abilità mentali coinvolte nelle prove medesime. Per questo occorre rivolgersi alla psicologia dell'intelligenza e dei processi cognitivi. Sono state proposte diverse ''mappe'' delle abilità mentali, dalle prime proposte da L.L. Thurstone a quelle più recenti di J.P. Guilford. Partendo dall'esperienza di base, ogni singolo compito (task) impegna alcuni fattori specifici, ristretti ai compiti della medesima classe (per es. addizione di numeri con virgola ''mobile'') e alcuni fattori di gruppo estesi a diversi compiti che hanno qualcosa in comune (per es. calcoli su numeri in genere); nello sfondo ci sono anche fattori generali, riconducibili all'intelligenza globale che di solito è espressa dall'IQ (Intelligence Quotient).
Alcune tecniche di analisi statistica dette fattoriali permettono di risalire da una batteria di prove (test, composti di solito di parecchi item o ''quesiti singoli'') alle abilità mentali in esse impegnate, fornendo l'indicazione sul ''grado di coinvolgimento'' di tali abilità, in ognuno dei test, detto saturazione. Si dice allora che tali abilità ''rendono conto'' (account for) della varianza constatata tra i soggetti. È interessante notare che se diversi compiti saturano in notevole misura le stesse abilità, risulta più facile il transfer (in senso del tutto diverso da quello psicanalitico) dell'apprendimento dall'una all'altra; per es. la conoscenza del latino facilita quella del greco. Tenendo conto della mappa delle abilità mentali è possibile tentare una ''classificazione sistematica'' (tassonomia) delle tipologie di obiettivi che possono essere perseguiti. Non sono mancate in passato classificazioni dei processi mentali e delle corrispondenti abilità, tentate su basi filosofiche, dai logici antichi ai gnoseologi moderni; così la distinzione tra sapere sensibile e sapere intelligibile ha una lunga storia, da Parmenide e Pitagora in poi, fino a Kant e oltre. Nei secoli 18° e 19° si sviluppano classificazioni su basi psicologiche empiriche, come quelle degli ''ideologi'' francesi, e poi della psicologia scientifica.
Solo nel 20° secolo si comincia a parlare di t., la più nota delle quali è stata prodotta negli anni Cinquanta negli Stati Uniti da un gruppo di lavoro che ha unito alcune decine di psicologi e insegnanti sotto la guida di B.S. Bloom. Partendo da un ingente materiale costituito da migliaia di giudizi formulati da commissioni esaminatrici, sono state individuate le categorie più frequentemente usate e sono state sottoposte a esame critico, ordinandole poi in una scala di crescente complessità. La t. dei processi cognitivi secondo Bloom e collaboratori comprende sei livelli sopraordinati, di conoscenza, comprensione, applicazione, analisi, sintesi e valutazione. Ognuno di questi livelli è poi suddiviso in numerosi sottolivelli, e per ciascuno vengono forniti esempi. Incoraggiati dal successo della loro iniziativa, questi ricercatori (R. Tyler, D.R. Krathwohl, B.B. Masia, A. Harrow e altri) hanno tentato di costituire t. di obiettivi anche nei campi dell'educazione affettiva e di quella psicomotoria, ma con successo assai minore.
La t. bloomiana ha avuto larga diffusione per la sua chiarezza e la sua derivazione espressamente pedagogica. Ricchi esempi ne hanno fornito L. Vandevelde e P. Vander Elst. Ma l'estesa applicazione fattane ha messo in luce anche alcune sue insufficienze. Altre t. sono state elaborate pertanto da J.P. Guilford, R. Gagné, R. Tennyson e M. Merrill, L. d'Hainaut, E. de Corte, N.S. Metfessel, G. de Landsheere, A. de Block e altri. Alcune sono pedagogiche, come quella di Landsheere, altre più marcatamente influenzate dalle teorie psicologiche, come quelle di Gagné e Merrill. Gagné propone una scala di vari gradini consistenti rispettivamente nell'apprendimento di segnali, collegamenti stimolo-risposta, concatenazioni motorie, concatenazioni verbali, discriminazioni multiple, concetti, principi. Ma in realtà questa scala non sostituisce quella bloomiana, impegnandosi a definire in maniera più analitica il primo livello di essa.
Bibl.: B.S. Bloom, Taxonomy of educational objectives, New York 1956 (trad. it. di M. Laeng, Teramo 1983); R.F. Mager, Preparing instructional objectives, San Francisco 1962 (trad. it., Gli obiettivi educativi, Teramo 1972); G. e V. de Landsheere, Définir les objectifs de l'éducation, Liegi 1975 (trad. it., Firenze 1977); M. Pellerey, Obiettivi didattici: il processo decisionale, in Orientamenti Pedagogici, 3 (1975), pp. 471-86; L. Boncori, Un questionario per la formulazione collettiva degli obiettivi educativi, ibid., 5 (1975), pp. 913-58; C. Birzea, Gli obiettivi educativi nella programmazione, Torino 1981; G. Ballanti, La programmazione didattica, Teramo 1989.