tatto
Il sostantivo ha tre occorrenze nell'opera dantesca. Nel caso di Cv II V 18 (La forma nobilissima del cielo... gira, toccata da vertú motrice che questo intende: e dico toccata, non corporalmente, per tatto di verbi la quale si dirizza in quello) è in più diretto rapporto con la base etimologica (tangere): è quindi affine all'odierno " contatto ", ma dal punto di vista semantico si deve precisare che si tratta di un " contatto " non statico, bensì dinamico, un " toccare " che imprime movimento.
Nell'altra occorrenza (Cv III III 10 questo amore [passionale] ne l'uomo massimamente ha mestiere di rettore per la sua soperchievole operazione, ne lo diletto... del gusto e del tatto) l'unione col termine gusto denuncia il valore, che corrisponde al " senso del tatto "; il diletto... del tatto è ovviamente il piacere carnale.
A questo punto s'inserisce l'occorrenza di Pg VIII 78 in cui Nino Visconti afferma che sua moglie Beatrice è prova dell'incostanza dell'affetto femminile se l'occhio o 'l tatto spesso non l'accende (" amor mulierum non durat nisi continuetur oculo, vel tactu accendatur ", Serravalle). Il valore è più pregnante che nel caso precedente: non solo " senso del tatto " ma forse, come afferma il Buti, almeno in accenno, l'" atto venereo " di per sé; il che è in accordo con il tono amaro del discorso di Nino.