Tatuaggio
Per tatuaggio si intende genericamente un segno permanente, che viene impresso sulla pelle attraverso l'introduzione nel derma di pigmenti accuratamente distribuiti secondo le linee di un disegno; quando le ferite causate dall'operazione si cicatrizzano, i pigmenti danno forma all'immagine definitiva. L'ingresso nelle lingue europee del termine tatuaggio si deve al capitano J. Cook, il quale nei suoi diari trascrisse nella forma tattow la parola onomatopeica tahitiana ta-tau, che riproduceva il suono di uno strumento a percussione, con il significato di "colpire, segnare" e quindi "marcare". Tattow successivamente si trasformò in tattoo, vocabolo inglese che ancora oggi definisce i disegni sulla pelle, un tempo caratteristici di alcune popolazioni di interesse etnografico e attualmente assai diffusi anche in Occidente.
di Marco Aime
1.
Esistono diversi sistemi, tradizionali e moderni, per realizzare un tatuaggio. Tra questi viene talvolta inclusa anche la pittura, sebbene tale pratica non possa essere considerata una reale tecnica di tatuaggio, in quanto una delle caratteristiche fondamentali di quest'ultimo è la sua indelebilità (v. decorazione). Le tecniche adottate, siano esse tradizionali o meccanizzate, si basano tutte sulla puntura. Una di esse, in uso fino a pochi anni fa presso alcune popolazioni artiche, come i ciukci della Siberia o i cree del Canada, fissava il pigmento con un filo intriso di colorante fatto passare sotto la pelle grazie all'ausilio di un ago. Erano soprattutto le donne a praticare tale tecnica per realizzare disegni sul mento, sugli zigomi e sulle braccia, utilizzando come pigmento il nerofumo, che sotto la pelle assumeva tonalità tendenti al blu; gli aghi erano solitamente ricavati da spine di pesce, punte d'osso o di conchiglia. Con il passare del tempo e con il diffondersi dell'uso del tatuaggio anche nel mondo occidentale, la tecnica, pur mantenendo intatti i principi originali, si è via via sempre più meccanizzata; nel 1880 un tatuatore americano di nome S. O'Really, modificando il meccanismo di una suoneria elettrica, inventò un dispositivo a più aghi in grado di eseguire disegni sulla pelle più nitidi di quelli manuali (Gnecchi Fercioni 1994). Negli ultimi anni si è assistito a un crescente espandersi della moda del tatuaggio, che ha portato alla proliferazione di centri nei quali si eseguono tali pratiche, nel rispetto di norme igieniche assai rigide. In genere, per realizzare un tatuaggio, la prima operazione che si compie è quella di tracciare il disegno su carta trasparente con una matita grassa. Successivamente si spalma con vaselina la pelle dove si vuole eseguire il disegno e si fa aderire il foglio in modo che i contorni della figura si trasferiscano sulla pelle. In alcuni casi, invece, il disegno viene eseguito direttamente sul corpo. A questo punto il tatuatore inizia a perforare, seguendo le linee, prima con il colore nero, procedendo poi in successione verso i colori più chiari. Terminata l'operazione, occorre una settimana circa perché la ferita si cicatrizzi. Una variante del tatuaggio classico è la pratica che prevede l'incisione della pelle e la sua successiva cicatrizzazione, che viene resa in alcuni casi il più evidente possibile con tagli ripetuti oppure con l'introduzione sotto il derma di piccoli grani o semi. In tale modo si realizza sul corpo una sorta di bassorilievo, solitamente formato da motivi geometrici. Tale tecnica è adottata in particolar modo dalle popolazioni di pelle scura, sulla quale risulterebbe difficile far risaltare il colore dei pigmenti. Al tratto e al colore si sostituisce così il rilievo, ottenendo però sempre un disegno corporeo indelebile.
2.
Senza dubbio l'area dove la pratica del tatuaggio è più diffusa e ha raggiunto complessità maggiori è quella delle isole del Pacifico e in particolare della Polinesia: in passato esistevano scuole di tatuaggio assai rinomate, i cui maestri venivano chiamati nelle varie isole dell'arcipelago. La tipologia dei disegni fissati sulla pelle varia da zona a zona, così come la funzione simbolica che essi rivestono. Esistono, per es., tatuaggi riservati alle donne fidanzate, come tra i koita della Nuova Guinea, che coprono il corpo dal collo all'ombelico. Dopo il matrimonio le spose aggiungono un tatuaggio a forma di V in mezzo ai seni, con funzioni propiziatorie. Nelle Isole Palau alle ragazze nubili veniva tatuato un piccolo triangolo sul pube, mentre nella Nuova Caledonia le donne praticavano un particolare tatuaggio in rilievo, sollevando i lembi delle cicatrici ottenute con le nervature delle foglie di cocco. Nell'Isola di Yap e nelle Marianne la pratica era un'esclusiva dei capi i quali si facevano tatuare di notte, dopo avere ricevuto un segnale divino. In alcune culture l'utilizzo del tatuaggio era particolarmente diffuso. Nelle Isole Marchesi, per es., tutta la popolazione era tatuata: mentre però le persone comuni limitavano i disegni alla zona dei lombi, gli appartenenti ai gradi sociali più elevati estendevano i tatuaggi all'intero corpo, incluse le palpebre e le gengive. La pratica del tatuaggio si riscontra anche nel Sud-Est asiatico, presso alcuni gruppi della Cina meridionale e nel Sud dell'India dove, tra i toda, le donne si decorano spalle e dorso. Anche in Giappone, nelle Isole Ryu-Kyu, sono diffusi tatuaggi molto colorati raffiguranti animali fantastici e draghi, mentre tra gli ainu dell'isola di Hokkaido le donne perpetuano l'antichissima tradizione di tatuarsi attorno alle labbra con sfumature che vanno dall'azzurro al nero e sulle mani e le braccia con disegni geometrici. Tatuaggi dal significato magico-simbolico, perlopiù legati alle avventure di caccia, sono presenti tra i popoli artici, i quali riportano gli stessi segni, incisi sulla loro pelle, su arpioni e lance. Tra gli arumà e gli ararà dell'America Meridionale è diffuso un tatuaggio a linee turchine che collegano gli occhi alla bocca, mentre assai originali sono i disegni dei mundurucu costituiti da lunghe linee parallele che attraversano l'intero corpo dal viso alle gambe. In molti casi l'operazione del tatuaggio è legata a rituali di passaggio, che modificano lo status dell'individuo, e il dolore da essa provocato fa parte dell'iniziazione. Il corpo disegnato, indicando il cambiamento avvenuto, diventa quindi "un visto d'ingresso alla vita sociale" (Serra 1995, p. 23). Talvolta la pratica (soprattutto nel caso dei capi) è legata a un segnale divino, molte altre volte è invece un'espressione del senso di appartenenza a un gruppo; portare determinati segni significa identificarsi in una comunità e l'indelebilità del tatuaggio non fa che rendere ancora più forte il messaggio trasmesso da tali segni. In ogni caso dipingersi il corpo è un'operazione culturale di grande rilievo, un tentativo di allontanarlo dallo stato naturale nel quale nasce e di renderlo in qualche modo più 'umano'.
3.
Il tatuaggio non è un'esclusiva delle società di interesse etnografico; la storia ce ne propone numerosi esempi anche nell'Occidente antico. I Fenici, per es., tracciavano sul corpo linee che venivano chiamate 'segni di Dio', mentre Erodoto racconta che presso i traci l'essere tatuati significava appartenere alla nobiltà. Il tatuaggio, segnando la differenza tra un corpo muto e indistinto e uno disegnato, esprimeva quindi valori elitari o meriti sociali (Serra 1995). Nell'antica Roma, invece, la pratica assunse un significato quanto mai negativo, diventando il segno distintivo di schiavi e malfattori, chiamati per questo inscripti, e spesso al disegno sul corpo si sostituiva una marchiatura a fuoco. In questo caso la prospettiva si ribalta: da un segno volontario, che immetteva l'individuo in un circuito sociale con un determinato status, il tatuaggio diventava un marchio d'infamia imposto dal potere. I romani, infatti, avevano delegato all'abbigliamento la funzione di inviare messaggi sociali, e il corpo nudo e tatuato divenne via via per gli abitanti dell'Urbe un segno tipico delle culture più arretrate, come viene testimoniato da numerosi commenti dei cronisti dell'epoca a proposito dei popoli conquistati, come i britanni, usi a tingersi di blu, i geloni, che abitavano l'attuale Polonia, e gli scoti che i romani chiamavano appunto picti, dal latino pingere, "dipingere". Il tatuaggio e il marchio a fuoco tornarono a essere atti volontari presso i primi cristiani, i quali si imprimevano sulla pelle il segno della croce oppure il nome di Cristo. Il tatuaggio cristiano rievocava le stimmate del Crocifisso e riconduceva la scrittura del corpo verso il mistero della divinità (Serra 1995). In realtà l'atteggiamento delle gerarchie cristiane nei confronti del tatuaggio non fu sempre conciliante. Infatti, la religione cristiana ereditava la visione negativa del tatuaggio tipica dell'ebraismo (Dio marchiò Caino sul corpo perché nessuno osasse ucciderlo e affinché egli fosse costretto a vivere l'intera vita tra i rimorsi del fratricidio). Quando, dopo il crollo dell'Impero Romano, il cristianesimo lo sostituì nel ruolo di unificatore dei popoli, i fedeli non ebbero più bisogno di marchiarsi per testimoniare la propria fede e rispetto al tatuaggio tornò a prevalere la visione negativa che lo relegava a pratica pagana. Il tatuaggio come segno volontario scompare dalla storia dell'Occidente per tutto il Medioevo e i marchi sul corpo diventano una prerogativa del potere, una forma particolare di tortura. Fino al 1789 i disertori dell'esercito inglese venivano tatuati con una D, mentre nei primi anni dell'Ottocento in Francia i malfattori erano marchiati con una P. Il tatuaggio diviene quindi un segno che discrimina ed emargina, come avverrà successivamente nei campi di sterminio nazisti, dove ai prigionieri venivano tatuati su un braccio il nome e il numero di matricola. Un'eccezione era costituita dall'usanza, in voga fino al 19° secolo, di tatuare con una figura religiosa i pellegrini che si recavano al santuario di Loreto.
L'idea dei tatuaggi volontari tornò ad affacciarsi in Europa all'epoca delle grandi scoperte geografiche e dei successivi viaggi, in particolare nell'area polinesiana, nel corso dei quali gli esploratori incontrarono popolazioni che ne praticavano l'arte. Fu in quell'epoca che molti marinai iniziarono a tatuarsi, dando avvio a un'usanza destinata a diventare una tradizione assai diffusa in marina. In seguito si diffuse la triste abitudine di 'prelevare' indigeni tatuati e di esporli al pubblico come fenomeni da baraccone. Verso la fine dell'Ottocento e all'inizio del Novecento il tatuaggio veniva considerato dagli studiosi una sorta di residuo di barbarie e di mentalità primitiva. Il diffondersi della scienza positivista, l'influenza delle teorie di Ch. Darwin e, in Italia, gli studi di C. Lombroso, contribuirono a rafforzare tale visione. Il tatuaggio veniva pertanto messo in relazione con la debolezza psichica. Se nei 'selvaggi' il farsi tatuare il corpo rappresentava il segno della loro 'infantilità', presso gli occidentali era indice di devianza e il fatto che spesso il tatuaggio fosse frequente tra criminali e prostitute rendeva ancora più credibili tali ipotesi. Tuttora, nel campo della psichiatria alcune teorie sostengono che il tatuaggio costituisce un sostegno psichico, una sorta di esoscheletro che protegge e difende il corpo canalizzando, come un'antenna, le energie psichiche disordinate. Paradossalmente, tra il 19° e il 20° secolo, il tatuaggio si diffuse anche tra la nobiltà e l'alta società e personaggi come Edoardo VII, lo zar Nicola e successivamente W. Churchill si fecero fare dei tatuaggi dagli artisti dell'epoca. In questi contesti il tatuaggio assumeva un carattere diverso: andava via via distaccandosi da quella dimensione iniziatica, connessa alla prova del dolore, che ne caratterizzava l'esistenza presso le culture di interesse etnografico, e si trasformava sempre di più in una forma di cosmesi, legata solamente a un vezzo estetico. In tempi più recenti il tatuaggio ha recuperato una sua valenza 'selvaggia': negli anni Sessanta e Settanta del 20° secolo molti divi della musica rock, espressione della contestazione giovanile dell'epoca, utilizzarono i segni sul corpo come manifestazione di trasgressione nei confronti della società contemporanea. Se il tatuaggio della contestazione esprimeva una divisione tra chi si ribellava e l'establishment sociale, nei decenni successivi la globalizzazione economico-culturale e il crollo delle grandi ideologie portarono a una perdita di identità specifiche. Ed è forse in seguito a questo processo di appiattimento e omologazione che molti giovani hanno riscoperto il tatuaggio quale mezzo per distinguersi, sia come individui sia come gruppi o bande. Il segno sul corpo lo rende unico e pertanto diverso. "Il tatuaggio si rivela una simbolica barriera intesa ad arginare i progressi dell'indistinto, e un personalissimo percorso sentimentale che garantisce dell'unicità della propria coscienza" (Serra 1995, p. 81).
di Franco Buttafarro
Il tatuaggio può essere di tipo professionale, amatoriale, traumatico, cosmetico. Quello di tipo professionale è caratterizzato da maggiore uniformità e densità del pigmento e spesso dalla presenza di più colori che vengono depositati a una profondità piuttosto regolare. Gli inchiostri usati sono a base di carbone (nero), mercurio (rosso), cadmio (giallo), cobalto (blu), cromo (verde) o da una commistione di pigmenti organici e inorganici di composizione non sempre nota. Il tipo amatoriale è praticato con tecniche approssimative e da operatori perlopiù inesperti o è autotatuato. In genere è di colore blu, nero o rosso, perché ottenuto utilizzando inchiostro di penne a sfera. Il tipo traumatico è circoscritto alle zone esposte ed è di colore bluastro o nero poiché è ottenuto con particelle di carbone o asfalto; è importante, in questo tipo di tatuaggio, che venga eseguita immediatamente un'accurata, ripetuta detersione delle regioni traumatizzate e, nell'eventuale successivo trattamento, che sia valutata la profondità di penetrazione delle particelle nel tessuto. Il tipo cosmetico, di recente introduzione, ha avuto una grande diffusione per la rifinitura del bordo rosso del labbro, il trucco definitivo palpebrale o delle sopracciglia, ma anche per tatuare piccole zone colpite da vitiligine o nella ripigmentazione dell'areola mammaria dopo mastectomia. È comprovato che la pratica del tatuaggio comporta rischi di infezioni batteriche e soprattutto virali. Specialmente nei tatuaggi amatoriali vi è, infatti, il pericolo di trasmissione dei virus dell'AIDS e dell'epatite. Vanno inoltre considerate le complicanze dermatologiche, quali le dermatiti allergiche da ipersensibilità ai componenti dei coloranti, che possono provocare sulla zona tatuata e sulla cute circostante fenomeni di rossore, gonfiore, vescicolazione, spesso accompagnati da prurito intenso e desquamazione. Il quadro descritto si può complicare ulteriormente con il ripetuto grattamento, di frequente nel sonno, che può sfociare in esiti cicatriziali, neurodermiti escoriate, infezioni. Le infezioni batteriche si possono instaurare sia durante il tatuaggio sia nella successiva fase di guarigione crostosa, e in seguito possono residuare infezioni granulomatose croniche dalle quali può originare una fistolizzazione del tessuto trattato. Infine non bisogna dimenticare la possibilità di esiti cicatriziali ipertrofici e di cheloidi, veri e propri tumori fibroblastici di difficile trattamento. Il successo del tatuaggio nel mondo attuale è controbilanciato dalla forte richiesta di eliminare le decorazioni così ottenute sia per motivi di carattere estetico o psicologico, sia per indicazioni mediche dovute alle varie possibili complicanze.
Le tecniche di rimozione dei tatuaggi sono molteplici, ognuna con pregi, difetti e limiti precisi. I metodi disponibili sono di natura chimica, chirurgica, fisica. Tra i metodi chimici figurano: salabrasione, peeling e abrasione chimica, metodo francese e tatuaggio aggiuntivo. La salabrasione consiste nell'applicare sulla zona da trattare cloruro di sodio cristallino (comune sale da cucina), effettuando un vigoroso sfregamento con garza o con uno spazzolino fino a ottenere un'erosione rosso brillante omogenea che poi viene medicata con pomate antibiotiche. L'applicazione viene ripetuta fino a ottenere un risultato soddisfacente, determinato dalla ripetuta infiammazione pilotata del tessuto. Nel peeling e nell'abrasione chimica vengono utilizzate diverse sostanze, quali acido acetico, acido citrico, acido urico, acido tricloroacetico e fenolo. Questa tecnica è indicata solo per i tatuaggi di piccole dimensioni sia per l'intenso dolore suscitato, sia per la possibilità di esiti discromici e atrofici. Il metodo francese consiste nell'asportare l'epidermide con una dermoabrasione superficiale, applicando poi sull'area essudante una soluzione a base di acido tannico, acqua distillata, glicerina. Segue un'accurata detersione e quindi l'applicazione della matita di nitrato d'argento che provoca un'ustione chimica; la crosta nera che si forma si distacca dopo tre settimane, mentre il pigmento si elimina in circa tre mesi. Il tatuaggio aggiuntivo consiste nel camuffare un tatuaggio o una parte di esso. Si può procedere coprendo l'immagine con lo stesso colore, generando una macchia imprecisa ma molto evidente, o eliminando una parte del tatuaggio con il metodo più idoneo e mascherando la parte trattata con un nuovo tatuaggio.
I metodi chirurgici consistono nella dermoabrasione, nel curettage e nell'escissione chirurgica. Nella dermoabrasione viene abrasa la parte pigmentata fino alla rimozione del pigmento, utilizzando una fresa diamantata montata su un microrotore. È una tecnica semplice e di basso costo, ma presenta molti limiti legati al rischio di complicanze infettive, di esiti discromici e cicatriziali ipertrofici. Il curettage può rappresentare un utile complemento alla dermoabrasione superficiale, poiché con la curette (piccolo cucchiaio tagliente) si possono rimuovere gli accumuli di pigmento depositati più profondamente rispetto al livello raggiunto con la dermoabrasione stessa. Per l'escissione chirurgica si possono usare varie tecniche in funzione della dimensione e della forma del tatuaggio, del tipo di cute e dell'elasticità della stessa. Si può asportare il tatuaggio con sutura immediata, oppure utilizzare una ricostruzione plastica mediante lembi o innesti, si possono eseguire asportazioni parziali ripetute, nei tatuaggi traumatici ci si può avvalere del punch (bisturi circolare), nel caso di grossi tatuaggi si possono utilizzare gli espansori cutanei. I metodi fisici consistono in elettrofolgorazione, coagulazione con l'infrarosso, crioterapia, terapia laser. L'elettrofolgorazione è preferita ad altre tecniche elettrochirurgiche perché l'insulto termico è limitato agli strati più superficiali. Utilizzando energie di bassa intensità è possibile distribuire il danno termico in modo molto uniforme, asportando con una garza uno strato dopo l'altro e tralasciando la parte più profonda che si distaccherà gradualmente con le medicazioni. La tecnica della coagulazione con l'infrarosso è fondata sul danno termico indotto da radiazioni infrarosse tra 900 e 960 nm, che provocano una necrosi compresa tra 0,25 e 1,16 mm. Nei 2/3 dei trattamenti si ottengono buoni risultati già alla prima applicazione. I tempi di riparazione sono rapidi, le medicazioni semplici. Nella crioterapia in genere si usa azoto liquido con tempi di congelamento compresi tra 25-30 s per superfici di 2 cm2. I risultati riportati in letteratura sono poco soddisfacenti e non omogenei. Nella terapia laser (che fa uso di un fascio di luce caratterizzato da una precisa lunghezza d'onda che ne condiziona la capacità di assorbimento da parte dei tessuti e la profondità di penetrazione nella cute) si impiegano diversi tipi di laser: ad argon, ad anidride carbonica e i laser Q-switched. Quello ad argon è di notevole interesse per le caratteristiche di assorbimento proprio nella fascia di pigmento dei tatuaggi, ma l'esperienza ha dimostrato che questo trattamento determina esiti cicatriziali marcati e la persistenza del fenomeno del fantasma del tatuaggio. Con il laser ad anidride carbonica si ottiene un'abrasione attuata attraverso una vaporizzazione dei tessuti per l'assorbimento selettivo di questa lunghezza d'onda da parte dell'acqua tessutale. Il danno ai tessuti circostanti è molto limitato soprattutto da quando si sono resi disponibili laser superpulsati. La guarigione dell'area trattata si accompagna a esiti cicatriziali atrofici e spesso ipertrofici. Per ridurre al minimo queste sequele cicatriziali alcuni utilizzano urea al 50% in vaselina, che applicata ripetutamente avrebbe lo scopo di asportare il pigmento residuo permettendo una riepitelizzazione con scarsi esiti cicatriziali. In questo campo, i più moderni laser utilizzano il sistema Q-switched, a rubino, ad alessandrite, o a Nd:Yag (neodimio in granato di ittrio e alluminio); esso genera un impulso di potenza molto elevata, ma di breve durata, che provoca la frammentazione fotomeccanica dei pigmenti senza effetti collaterali sui tessuti circostanti, riducendo al minimo gli esiti cicatriziali. Il trattamento è di facile esecuzione e di elevata tollerabilità; gli impulsi singoli su tutta la superficie da trattare determinano uno sbiancamento iniziale che si traduce poi in esiti crostosi, che eliminandosi determinano una progressiva scomparsa del tatuaggio. Per i tatuaggi amatoriali sono sufficienti da 3 a 6 applicazioni, per quelli professionali da 6 a 12. Questa tecnica è poco invasiva, non richiede anestesia, ha tempi di guarigione rapidi, comporta raramente cicatrici permanenti. Gli svantaggi dei laser Q-switched sono rappresentati dalla necessità di trattamenti multipli, dal costo elevato, dalla resistenza di alcuni tatuaggi multicolori. Si deve sottolineare che per i tatuaggi estetici la rimozione è spesso problematica sia per la sede molto delicata, sia perché perlopiù i pigmenti introdotti contengono ossido di ferro che sotto l'irradiazione laser si può trasformare in ossido ferroso, non più removibile.
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