tautologia
Figura retorica, che Cicerone, seguito da Quintiliano, designava come " commoratio una in re ", e che Isidoro spiegava come " idemloquium ", ossia ripetizione di un medesimo concetto in più parole e frasi equivalenti. Goffredo di Vinsauf la cataloga fra le figure dell'ornatus facilis denominandola " interpretatio ", ossia parafrasi esplicativa, e " commutatio " (Poetria nova 1173-1175). In D. la t. rientra nel procedimento di amplificazione che caratterizza il suo stile secondo l'uso retorico medievale, ma, a parte l'eloquenza cui generalmente essa tende, è nell'impianto logico, raziocinante e didascalico del linguaggio dantesco che va cercata la ragione del largo impiego di questa figura retorica, specie quando assume la forma della perissologia.
Quest'ultima, più frequente nella prosa dottrinale, dov'è un elemento costitutivo del parallelismo (v.) e quindi della struttura legata del periodo, s'incontra anche nella Commedia in funzione di chiarimento logico, come in Pd II 43-44 (ciò che tenem per fede, / non dimostrato).
Ma più spesso è evidente l'intento amplificativo al fondo di certa meticolosa precisione o puntigliosa insistenza: non gliel celai, ma tutto gliel'apersi (If X 44); qua giù dimora e qua sù non ascende (Pg XI 129); tien alto lor disio e nol nasconde (XXIV 111); e non voglio che dubbi, ma sia certo (Pd XXIX 64). Altra volta la perissologia sostiene il tono affettivo, come in questi casi di discorso diretto: deh, perché vai? deh, perché non t'arresti? (Pg V 51); perché tanta viltà nel core allette, / perché ardire e franchezza non hai...? (If II 122-123); " Non aver paura ", / mi dice, " di parlar; ma parla e digli ... " (Pg XXI 118-119). Altrove essa può assolvere la funzione inversa di condensare icasticamente un concetto, come in quella reminiscenza biblica di Pg XXXIII 34-35 ('l vaso che 'l serpente ruppe, / fu e non è). E vi son casi in cui lo schema perissologico è appena avvertibile, piegato a una funzione narrativa (Né 'l dir l'andar, né l'andar lui più lento / facea, ma ragionando andavam forte, XXIV 1 ss.).
Una delle funzioni più notevoli della t. è quella di aggiungere un chiarimento, come talora avviene nella dittologia (v.), che per molti aspetti si accosta allo schema tautologico. A parte il caso in cui D. lo fa esplicitamente, in modo prosastico (si veda la spiegazione di una perifrasi in Pd XVI 5-6 là dove appetito non si torce, / dico nel cielo), generalmente lo spunto didascalico si scioglie in vigore espressivo, non solo dove l'anafora e il parallelismo concorrono allo stile tragico (si vedano i primi versi di If III, dove l'esplicazione è dosata in un crescendo, o Pd XXXI 37-38 ïo, che al divino da l'umano, / a l'etterno dal tempo era venuto), ma in una serie di più modeste t.: tal che mi vinse e guardar nol potei (Pg XXVII 60); Però salta la penna e non lo scrivo (Pd XXIV 25). Una t. analoga è quella di Pg XXXIII 143-144 (come piante novelle / rinovellate di novella fronda), se ‛ novella ' va inteso nel senso di " rinnovata " (che ricorda il fatto di pietra e, impetrato, di XXXIII 74).
Affine a questo genere di t. è l'interpretatio, che tiene più dell'amplificazione esornativa, e che si vale generalmente della metafora: Li occhi a la terra e le ciglia avea rase / d'ogne baldanza (If VIII 118-119); non viv'elli ancora? / non fiere li occhi suoi lo dolce lume? (X 68-69); oppure non fa che sciogliere il significato di alcune parole rilevandone il senso: Or superbite, e via col viso altero (Pg XII 70); Beati / pacifici, che son sanz'ira mala (VII 68-69).
Così tutta una serie di t. si limita a ribadire un'espressione, come nel caso comune alla poesia epica, allorquando viene introdotto un discorso diretto (Allor sicuramente apri' la bocca / e cominciai, Pg XXV 19-20; tal voce usci del cielo e cotal disse, XXXII 128), e in concomitanza col tono esortativo: Drizza le gambe, lèvati sù, frate! (Pg XIX 133); Dì, buon Cristiano, fatti manifesto (Pd XXIV 52). Altrove il ribadimento ha una ragione retorico-persuasiva (Ancor vo' che mi 'nsegni, / e che di più parlar mi facci dono, If VI 77-78), o risponde all'esigenza di far soffermare il lettore su un particolare notevole (E qual è quei che disvuol ciò che volle / e per novi pensier cangia proposta, If II 37-38; a pena ebbi la voce che rispuose, / e le labbra a fatica la formaro, Pg XXXI 32-33), o sull'intrinseco significato di un concetto teologico, come in questa esemplare t., in cui scolasticamente la seconda proposizione, dedotta dalla prima, è in essa implicita: però che 'l ben, ch'è del volere obietto, / tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella / è defettivo ciò ch'è li perfetto (Pd XXXIII 103-105).
Analogamente talora la t. aggiunge, senza rispondere a esigenze di carattere dottrinale, ma al gusto analitico proprio di D., un particolare implicito: Io sarò primo, e tu sarai secondo (If IV 15); Fatto avea di là mane e di qua sera (Pd I 43); Lo sol sen va... e vien la sera (Pg XXVII 61; cfr. la perifrasi di Pd XXVII 138); Come la scala tutta sotto noi / fu corsa e fummo in su 'l grado supremo (Pg XXVII 124-125). Che è, accanto alle varie figure della ripetizione, uno dei modi più caratterizzanti dello stile dantesco.