PEUTINGERIANA, TAVOLA
. È una copia di un'antica carta, del tipo delle carte itinerarie militari (v. cartografia; itinerarî), che si conserva in più parti annerita e difficilmente leggibile, nell'ex-biblioteca della corte imperiale di Vienna. Disegnata su una striscia di pergamena di m. 6,80, è divisa in 11 segmenti (in origine erano 12: il primo mancava già nell'esemplare da cui fu ricavato il nostro, come dimostra una riga trasversale che vi si trova al principio del 1° foglio - già 2° - e che manca viceversa dinnanzi agli altri segmenti). Caratteristica in questa carta è la deformazione del disegno: la terraferma, complessivamente, ha l'altezza e la lunghezza nel rapporto di 1 : 21 (normalmente le carte antiche danno 1: 2). Infatti l'autore, preoccupato solo di segnare le strade rispettando i rapporti tra le varie distanze, ha considerato il resto come accessorio, ed ha sviluppato solo la linea ovest-est ripiegando su di essa strade, coste, corsi di fiumi che seguivano altre direzioni, e riducendo così enormemente la linea nord-sud. Ha ridotto anche l'estensione dei mari e l'Oriente non romano. Con questa tecnica, che doveva rappresentare un tipo cartografico regolato da norme coscienti (Kubitscheck) restavano salvi gli elementi "itinerarî".
La carta è dipinta a colori: le terre in giallo, i mari e i fiumi in verde, il rilievo in grigio o giallo o rosa. Le strade sono segnate in rosso, coi nomi delle località di sosta (stationes), indicate generalmente anche da vignette. Lungo il tracciato delle strade è segnato fra una stazione e l'altra un numero che ne indica la distanza in miglia romane (solo per le Gallie in leghe, per la Persia in parasanghe; notevole l'indicazione usque hic legas, al punto ove finiscono le distanze espresse in leghe). Vi sono tre vignette grandi per Roma (figurazione simbolica di Roma in trono racchiusa entro un medaglione; di fianco è il disegno di un edificio con la scritta ad scm Petrum; da un'altra parte è rappresentato, sulla costa, un porto con un faro), Costantinopoli (la città divinizzata e seduta; di fianco una torre sormontata da una statua), Antiochia (la città divinizzata; a lato una divinità fluviale; di fianco al gruppo un tempio e un acquedotto). Per altre città importanti (Nicea, Ravenna, ecc.) vi sono vignette particolari, con mura turrite; per le stazioni minori vi sono tipi che vanno considerati puramente convenzionali, e di cui il più frequente è una coppia di torri cuspidate, quale si ritrova anche in monete imperiali (v., contro K. Miller, W. Kubitscheck in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, coll. 2139-2141). Altri stemmi caratteristici sono: un basso edificio col tetto a schiena d'asino per località denominate da templi (Fanum Fortunae, ecc.), una vasca d'acqua in un recinto quadrangolare per località denominate con Aquae (Aquae Sextiae, ecc.), e altri. Schematico è il contorno delle coste e delle creste di monti; alcuni di questi sono distinti da una corona di alberelli stilizzati. Notevoli alcune didascalie per luoghi famosi, come Desertum ubi quadraginta annis erraverunt filii Israel ducente Moyse, oppure Hic Alexander responsum accepit, ecc.
La prima notizia di questa tavola è del 1507, quando l'umanista viennese C. Celtes (1459-1508), trovatala in una biblioteca, la cedette a Conrad Peutinger, asburgese, perché la pubblicasse (da questi ha preso nome la tavola). Ma questi fece copiare solo due frammenti, pubblicati da M. Welser nel 1591. L'originale, dimenticato, si ritrovò nel 1597: il Welser ne mandò una copia al geografo Ortelio, che la pubblicò nel 1598, mentre l'originale rimaneva di nuovo ignorato fino al 1714: più tardi, passando per più mani, fu in possesso del principe Eugenio di Savoia e infine di Carlo VI d'Austria. In antico la tavola fu creduta ora del Medioevo, ora molto più antica; oggi vi si riconosce una copia medievale (il Miller, su indizî paleografici, la colloca tra la seconda metà dell'XI e il sec. XII) di una carta d'età imperiale. Nel '700, lo Scheyb giudicò l'originale quale opera di una commissione ufficialmente nominata sotto Teodosio; più tardi fu assegnato ora al tempo di Alessandro Severo (Mannert, Frohberger), ora alla metà del sec. IV (D'Avezac, Desjardins) o poco dopo (Miller, che sceglie il 365-6, ravvisando indicate nelle tre vignette di Roma, Costantinopoli, Antiochia, tre residenze imperiali e osservando che appunto in quell'epoca risiedevano contemporaneamente: Valentiniano, almeno ufficialmente, a Roma, Valente ad Antiochia e un antimperatore, Procopio, a Costantinopoli: v. però le critiche di Hirschfeld, Berl. Philol. Wochenschr., 1888, p.632; Kubitscheck, Gött. Gel. Anz., 1917, p. 20 sgg.). Altri (Cuntz) è risalito fino al '70 d. C., mentre ultimamente il Kubitscheck, tenendosi in limiti più cauti, considera l'originale non posteriore a Caracalla. Poca fortuna ha avuto l'ipotesi del Miller che ne identificherebbe l'autore col geografo Castorio citato dal cosmografo Ravennate (sec. VII) come una delle sue fonti principali: dove il Ravennate cita Castorio, si accorda sempre (salvo una volta) con la Tavola Peutingeriana. Che il Ravennate derivi dall'originale della Tavola Peutingeriana, è ammesso anche dal Kubitscheck, il quale però respinge l'identificazione proposta dal Miller (Öst. Jahresb., V, p. 59 segg., 90 segg.; Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, col. 2116). Si devono considerare come indimostrate anche le ipotesi che l'autore fosse cristiano, o che il testo contenga interpolazioni "cristiane" (Desjardins e altri): la Tavola Peutingeriana conosce il cristianesimo e lo mette alla pari col paganesimo, indicando egualmente templi delle due religioni: antichi e autentici sembrano anche gli accenni giudaici, che si accordano con lo spirito della carta e del tempo (Miller). Fonti della nostra carta devono essere state Agrippa (per la geografia fisica), e qualcuno degl'Itinerari; fra i quali, almeno indirettamente, quello che ha servito come fonte anche al cosiddetto Itinerarium Antonini.
Edizioni: Ed. princeps pubblicata ad Anversa (1598). Seguirono quelle dell'Ortelio, in Parergon (Anversa 1612 e 1624), del Bertius, in Theatrum geographiae veteris (Lione 1618-91, del Jansson (Novus Atlas, VI, Amsterdam 1653), del Bergier (Commentarii de publicis et milit. imp. Rom. viis, Bruxelles 1728, X, e Histoire des grands chemins de l'empire Romain, 1736, nuova ed.), del Welser (Opera Velserii, Norimberga 1682), di G. C. Scheyb (Peutingeriana Tabula Itineraria, Vienna 1753), del Mannert (Tabula Itineraria Peut., mit Einleit., Lipsia 1824), quella italiana di P. Christianopulos (Tabula itineraria militaris, Iesi 1809), quella del Katancsich (Orbis antiquus ex tabula itineraria quae Theodosii imperatoris et Peutingeri audit, Budapest 1825), la prima commentata, quella del Des Jardins (La table de Peutinger, Parigi 1869-74) con un commento rimasto interrotto, e quella del Miller (Die Weltkarte des Castorius, genannt die Peutingersche Tafel, Ravensburg 1887-8 (con introduzione).
Bibl.: K. Miller, Die Weltkarte des Castorius genannt die Peutingersche Tafel, Ravensburg 1887 (rielaborato negli Itineraria Romana, v. sotto); O. Cuntz, in Hermes, XXIX, p. 586 segg.; H. Gross, Zur Entstehungsgeschichte der T. P., diss., Berlino 1913; K. Miller, Mappae mundi, Die ältesten Weltkarten, VI, p. 27 (per le relazioni col Ravennate); K. Miller, Itineraria romana, Römische Reisewegen an der Hand der T. P. dargestellt, Stoccarda 1916, specialm. pp. xiii-liii. V. però le critiche del Kubitscheck a questo libro, Gött. Gel. Anz., 1917, pp. 1-117; Zeitschr. für Österr. Gymnasium, 1918, p. 704 segg.; W. Kubitschek, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, coll. 2126-2144. V. anche itinerarî.