Vedi TAXILA dell'anno: 1966 - 1973
TAXILA (v. vol. vii, p. 630)
Gli scavi condotti in passato a T. avevano permesso di risalire solo fino al VI sec. a. C.; recenti ricerche sul terreno (Sarai Khola) dovute al Dipartimento di Archeologia del Pakistan hanno per la prima volta gettato luce sul passato preistorico di Taxila. Lo stesso Dipartimento, nel 1967, ha anche ripreso gli scavi al Bhir Mound, senza peraltro raggiungere risultati degni di nota.
Esaminiamo qui anche alcuni aspetti particolari della produzione artistica di età buddistica.
Sarai Khola. - Il sito così designato si trova a circa 3 km dal Bhir Mound e a breve distanza dal ponte della Grand Trunk Road sulla Kala Nala, prima di raggiungere Sarai Kala da Rawalpindi.
Nel 1967 vi è stato raccolto in superficie abbondante materiale litico accompagnato da ceramica e oggetti di rame. Gli scavi, iniziati nel gennaio del 1968, hanno rivelato l'esistenza di quattro periodi principali, il primo dei quali che si fa cominciare intorno al 3000 a. C. - mostra la occupazione dell'area da parte d'un gruppo etnico tardo-neolitico che si serviva di strumenti litici e di una ceramica bruna brunita, sostituita ad un certo punto (secondo periodo) da una ceramica affine a quella dei livelli prefortificati di Harappā e di Kot Diji. Ciò viene posto in relazione con il sopravvenire di un nuovo gruppo etnico che però non ha lasciato alcun avanzo murario. L'inizio del terzo periodo rappresenta anch'esso una interruzione della continuità dell'occupazione. Esso comprende infatti due sepolcreti sovrapposti che non sembrano presentare analogie sostanziali né con i sepolcreti di Harappā né con quelli dello Swat e del Dir. È stata proposta in via di ipotesi una datazione tra il 1500 ed il 600 a. C. Il quarto periodo, stratigraficamente assai sconvolto, è di età storica.
Oggetti di importazione. - I fiorenti traffici commerciali hanno lasciato a T. una documentazione di grande importanza. Ricordiamo qui soltanto gli oggetti di importazione più significativi (v. anche romana arte, xi B, Esportazione).
1) Nove grani di collana di ambrà, due dallo strato Maurya del Bhir Mound e sette dallo strato shaka-parthico di Sirkap: è probabile che a T. l'ambra giungesse dal Baltico attraverso la Russia meridionale, per il tramite delle tribù scitiche.
2) Tutti i vasi di vetro rinvenuti a T. - che il Marshall data al I sec. d. C. - sono di provenienza occidentale.
3) Una figuretta di bronzo di Arpocrate (Karachi, National Museum), dal II strato di Sirkap è un'opera di artigianato tardo-ellenistico, quasi certamente alessandrino, ed è databile al I sec. d. C. circa.
4) Un emblema d'argento sbalzato raffigurante Dioniso (Karachi, National Museum), da Sirkap, è ritenuto un rozzo prodotto di artigiano occidentale: non è che un aspetto d'un problema più vasto, che involge anche l'attribuzione ambientale delle maniglie di Chārsada (Karachi, National Museum; F. Coarelli, in East and West, xvi, 1966, pp. 94-108 v. vol. vi, fig. 1125), assai simili, per motivi stilistici ed estrinseci, all'emblema di Taxila.
5) Una testina femminile di terracotta (Karachi, National Museum), da Sirkap, è ritenuta dal Marshall un prodotto occidentale del I sec. d. C.
6) Alcuni dei sigilli rinvenuti a T. sono certamente importati dall'Iran o dal Mediterraneo.
7) Alcuni oggetti di arenaria rossa dell'Uttar Pradesh sono, anche per motivi stilistici, da attribuirsi alla scuola di Mathurā per lo più di età kusāṇa. Un fenomeno simile è attestato per lo Swat dal frammento di immagine del Buddha rinvenuto a Butkara I (Roma, Museo Nazionale d'Arte Orientale, inv. n. 1288) e, per Chārsada, da un'altra immagine del Buddha rinvenuta a Shaikhan Dheri (v. chārsada).
Arte. - Sebbene la produzione più interessante documentata dagli scavi di T. rientri nell'ambito dell'arte del Gandhāra (v. vol. iii, p. 776 ss.), tuttavia non si può fare a meno di parlarne anche in questa sede per porre in rilievo taluni dei fenomeni più salienti e per discutere brevemente i problemi che, dalle sculture rinvenute a Taxila, vengono sollevati.
Fra le prime manifestazioni dell'arte del Gandhāra si deve porre la interessante categoria di oggetti noti come "piatti per cosmetici" (toilet-trays). Il Marshall ne elenca trentatrè, tutti provenienti da Sirkap (in prevalenza dagli strati II e III), con una sola eccezione (dal Dharmarājika). La destinazione di questi piattelli non è del tutto chiara, pur se il loro carattere profano (o, meglio, non buddistico) sembra attestato - anche al di fuori di T. - dal fatto che nella stragrande maggioranza essi provengono da zone di abitato. I soggetti rappresentati sono invero assai pochi (il Marshall ne elenca sette: qualcuno se ne può aggiungere se si considerano gli altri esemplari disseminati in varî musei) e tutti mostrano con evidenza la loro derivazione occidentale. Il Marshall ne ha proposto una classificazione cronologica (distribuendoli fra l'età shaka e quella parthica) su basi tipologiche, tenendo ben poco conto delle risultanze stratigrafiche. A ciò si oppone M. Wheeler (Chārsada, Londra 1962), che tende ad abbassarne la data al II sec. d. C., partendo dai dati oggettivi dello scavo di Chārsada. Non si è però ancora in grado di proporre una successione cronologica convincente.
Né è chiaro quale rapporto intercorra tra la produzione dei "piatti per cosmetici" e l'arte del Gandhāra. Questa ultima impiega fin dal suo nascere soggetti molto più complessi e varî di quelli attestati nei piattelli: questi possono ben essere in qualche caso direttamente derivati da esemplari classici importati nella regione; un piattello come, ad esempio, quello con la "punizione d'un amorino" già nella Collezione L. W. Jardine (J. Marshall, The Buddhist Art of Gandhāra, Cambridge 1960, fig. 18), è vicino in modo impressionante, per motivi stilistici e tipologici, a taluni dei tondi di gesso ellenistici rinvenuti a Begrām (per esempio quello con il "sacrificio del porco" al museo di Kabul), di cui riproduce persino la decorazione del bordo; in altri casi si tratta di soggetti classici all'origine ma ormai assorbiti dall'arte parthica. Più che stabilire una successione cronologica sulla base della maggiore o minore "classicità", si dovrebbero forse riconoscere almeno due diverse correnti di gusto. Si aggiunga poi che i toilet-trays sono oggetti che potevano viaggiare facilmente: gli esemplari rinvenuti a T., assai varî anche per i materiali impiegati, possono dunque rispecchiare le tendenze di regioni diverse.
Una problematica del tutto simile è offerta dalle due statuette femminili di schisto: di esse, la più rigida, con il capo sormontato da un pòlos, proviene dal III strato di Sirkap e presenta numerosi punti di contatto sia stilistici sia tipologici con i "piatti per cosmetici" di tipo parthico; l'altra, rinvenuta nel II strato di Sirkap, rappresenta una figura che regge, forse come attributo, un fiore di loto e si drappeggia in un sārī: il carattere indiano si manifesta anche nella mekhalā; la tipica fascia che cinge i fianchi. Il modellato morbido ma come gonfio, gli occhi che, grandi e sbarrati, con le palpebre fortemente rilevate, assumono una funzione decorativa di primo piano nella composizione dell'immagine, ci inducono ad accostare questa statuetta a taluni prodotti dell'ambiente siriaco, quali forse l'emblema di Sirkap, le maniglie di Chārsada, o i recipienti bronzei a forma di busto da Begrām, per cui a stento - e solo per alcuni - potremmo suggerire una datazione anteriore al II sec. d. C.
Caratteri molto simili possono riscontrarsi nella produzione in stucco documentata (in età immediatamente prekusāṇa, secondo il Marshall) dallo scavo del tempio absidato di Sirkap. In queste splendide teste di stucco (Taxila, museo; Karachi, Nationai Museum) si trovano già peraltro tutti gli elementi tipici dell'arte del Gandhāra.
Che le sculture gandhariche di schisto rinvenute a T. fossero prodotte altrove è un luogo comune generalmente accettato. È ben vero che quel particolare schisto micaceo grigio con riflessi serici non si trova nei pressi di T. e che alcune sculture - anche di notevoli dimensioni - di schisto verdastro sono state certamente importate dallo Swat, ma è ben difficile immaginare che un centro dell'importanza di T. non avesse i suoi artigiani capaci di rifornire i numerosi santuarî.
È piuttosto da ritenersi un aspetto episodico la produzione in arenaria (materiale reperibile nella zona) che presenta - è vero - notevoli affinità con certa produzione gandharica, ma è troppo, esiguamente attestata perché la si possa considerare il risultato di una "scuola" locale.
Bibl.: Su Sarai Khola v.: Pakistan Archaeology, V, 1968, pp. 28-40. Sui nuovi scavi del Bhir Mound v.: Pakistan Archaeology, V, 1968, pp. 91-100. Per le fonti letterarie vedi ora anche: F. F. Schwarz, Griechenland und Indien im Spiegel der antiken Literatur, in Fahresbericht des Bundesgymnasiums, Furstenfeld, 1966, pp. 62-87. Sugli oggetti importanti da Mathura v.: M. Ishtiaq Khan, Mathura Objects in Taxila Museum, in Journal of the Asiatic Society of Pakistan, XI, 1966. SUll'arte a T. v.: H. G. Franz, Buddhistische Kunst Indiens, Lipsia 1965; H. Sarkar, Studies in Early Buddhist Architecture, Delhi 1966; J. M. Rosenfield, The Dynastic Arts of the Kushàns, Berkeley-Los Angeles 1967. Sui resti ossei umani del Dharmaarajika Stupa, Berkeley-Los Angeles 1967. Sui resti ossei umani del Dharmaarajika Stupa, già pubblicati in J. Marshall, Taxila, Cambridge 1951, v. ora: D. K. Sen, Ancient Races of India and Pakistan - A Study of Methods, in Ancient India, 20-21, 1964-65 (1967), p. 183 s. Per altri aspetti particolari v.: H. Chakraborti, Trade and Commerce of Ancient India, Calcutta 1966, pp. 158-66 e passim; Nazimuddin Ahmad, N. B. P. Wares from Taxila, in Pakistan Archaeology, III, 1966, pp. 56-64; id., A Fresh Study of the Fire Temple (?) at Taxila, in Pakistan Archaeology, IV, 1967, pp. 153-59; varî contributi in A. K. Narain (ed.), Seminar Papers on the Local Coins of Northern India c. 300 B. C. to 300 A. D. (Memoirs of the Department of Ancient Indian History, Culture, Archaeology, 2), Varanasi 1968; nonché in A. L. Basham (ed.), Papers on the Date of Kaniska Submitted to the Conference on the Date of Kaniska, London, 1960, Leida 1968.