TEATRO e ODEON (ϑέατρον, theatrum)
1. - La parola ϑέατρον, derivata quasi sicuramente dal verbo ϑεάομαι ("guardo, sono spettatore"), indicò in origine soprattutto la massa degli spettatori, e solo mediatamente il luogo in cui essi convenivano per assistere alle rappresentazioni (Herod., vi, 21); ma, con il IV sec. a. C., essa indicò prevalentemente l'area destinata agli spettacoli (Thouk., viii, 93; cfr. Polyb., iii, 91, 10).
Grecia. - Origini. - Nel mondo minoico si conoscono alcune aree che, dal confronto anche con rappresentazioni figurate, possono ritenersi destinate a sacre cerimonie e a rappresentazioni corali e a feste (v. minoico-micenea, civiltà; cnosso; festo; poliochni). Oltre a Cnosso e Festo gradini disposti a squadra si hanno nell'area teatrale di Gurnià (del XIV sec. a. C.), di Drero (dell'VIII sec. a. C.), di Amniso. A Latò i gradini sono disposti secondo uno schema a doppia squadra. Queste forme si ritrovano in Attica nel primo telestèrion eleusinio del VII sec. a. C., dove era una sistemazione a doppia squadra, e nel demo attico di Torico, il più importante t. arcaico attico, dove la cavea, pur addolcendo l'angolo della squadra in una stretta curva, conserva chiara traccia dell'influenza del t. cretese. Da simili esempi alcuni studiosi (Caputo, Anti) hanno concluso che la primitiva orchestra teatrale dovrebbe la sua origine alle aree monumentali cretesi. Fino a che punto, tuttavia le scalinate monumentali di Cnosso e di Festo devono considerarsi destinate ad assemblee e non ad ingressi monumentali, non è stato ancora dimostrato ed occorrerà prudenza nel ritenerle davvero delle cavee primitive.
L'osservazione di tracce rettilinee nella cavea primitiva di Atene, di Siracusa e di altri teatri posta in rapporto con gli esempî citati della civiltà cretese, ha fatto formulare la tesi (Anti) dell'esistenza di un'orchestra e di una cavea primitive a schema trapezoidale almeno fino agli ultimi decenni del V sec. a. C., tesi che, peraltro non ha trovato, e non trova, unanimità di consensi.
Parti del teatro. - Le parti principali del t. sono: l'ὀρχήστρα (da ὀρχέομαι, danzare), orchestra; il κοἷλον (cavea), la σκηνή (scaena) con i relativi accessori.
Orchestra (ὸρχήστρα). - È quello spazio circolare, o trapezoidale, o poligonale, dove si svolgono le danze del coro e che è situato dinanzi alla cavea. In età storica l'orchestra ha forma semicircolare verso i sedili, cioè verso la collina alla quale generalmente si appoggia la cavea, ed è delimitata da un canale destinato al deflusso delle acque, che scendono dalla cavea, coperto di lastre per permettere l'accesso ai sedili, chiamato euripo. Ad Atene, come a Tegea, intorno all'orchestra girava un passaggio che fiancheggiava il canale; ad Oropos, Thera, Nea Pleuron e Segesta esso manca completamente. In generale, l'orchestra non è delimitata dalla parte della scena, ad eccezione dei t. di Omiadai e di Epidauro dove un anello in pietra segna il cerchio dell'orchestra destinato alle evoluzioni del coro. La forma comune dell'orchestra greca è di poco più di un semicerchio, delimitato nei teatri di Oropo e di Priene, da una fila di sedili d'onore, impostati in quest'ultimo t. sull'euripo coperto. Il piano dell'orchestra era di terra battuta, come si deduce anche da alcune testimonianze antiche (I. G., xi, 2, 203 A 79; Aristot., Probl., xi, 25). Al di sotto erano talora praticati dei passaggi; quello di Eretria, che ha una scaletta di accesso sul lato O e termina al centro, era forse destinato a scopi scenografici, mentre altri, nei t. di Atene, Taormina, Sicione, Segesta, avevano soltanto funzioni idriche, a meno che non si debba pensare, a Siracusa, alla possibilità dell'esistenza di χαρώνιοι κλίμακες, cioè di apparizioni dell'Oltretomba.
Ai lati dell'orchestra erano due accessi laterali, compresi tra le ali del kòilon e la scena, detti πάροδοι ovvero εἴσοδοι. Aperti fin verso il III sec. a. C., da quest'epoca in poi essi appaiono generalmente chiusi da porte, come a Segesta, Delo, Epidauro e Pergamo. Questi passaggi servivano in età classica non soltanto per gli spettatori che raggiungevano i sedili, ma per gli attori che recitavano dinanzi al fondale scenico e per il coro. Secondo Polluce (Onomast., iv, 127) dalla destra entravano gli attori provenienti dal centro, e cioè dall'agorà e dal porto, mentre dalla sinistra entravano i personaggi provenienti dall'esterno. Con la creazione del proscenio ellenistico gli attori apparivano sul proscenio dalle porte superiori della scena e non dalle pàrodoi.
Cavea (κοῖλον). - Secondo uno schema che risale alla teoria sulla costruzione dei t. espressa da Vitruvio (v, 7, 1 ss.) la cavea del t. greco doveva avere la forma di un semicerchio abbondante; uno schema un po' diverso si trova nei t. di Megalopoli, Sicione, Argo, Efeso, Dodona e Nea Pleuron, dove i muri obliqui delle pàrodoi intralciavano il passaggio, mentre ad Atene, a Eretria, al Pireo, a Oiniadai, ad Assos, a Egira, ad Acre, a Termesso e a Pompei le due ali laterali della cavea sono rettificate in modo da consentire una visibilità migliore agli spettatori; infine, ad Epidauro le ali sono incurvate al di fuori del semicerchio abbondante. Alcune cavee di t. antichi sono iscritte entro mura non curvilinee ma rettilinee, per vari motivi: ad esempio, ad Atene l'anàlemma occidentale della cavea è poco curvo, mentre quello orientale è a tratti rettilineo, (per le limitazioni che gli sono state imposte dal vicino odèion di Pericle), ad Egina il profilo esterno della cavea è irregolarmente triangolare, a Priene il t. è inserito nel sistema urbanistico e quindi la cavea è iscritta in un rettangolo, a Thera entro un quadrato, a Nea Pleuron essa è di nuovo entro un rettangolo a causa dell'inserzione parziale della scena entro le mura della città. A proposito della forma della cavea si dovrà anche ricordare la teoria (Anti) che, fondandosi principalmente sul taglio rettilineo di roccia del t. di Siracusa per un canale di scolo delle acque, ricostruisce una cavea trapezoidale primitiva, non soltanto a Siracusa, ma ad Atene ed in moltissimi altri t. greci. La cronologia di tale euripo di forma trapezoidale non è affatto sicura e non è improbabile che esso sia posteriore all'altro semicircolare.
Il kòilon è la parte destinata agli spettatori; in età classica esso è diviso in senso verticale in più settori da scalette che salgono dall'orchestra verso l'alto, verso la summa cavea o, con termine greco l'ἐπιϑέατρον (I.G., xi, 2, 287 A, 99, 120); le scalette, o κλίμακες, dividono la cavea in settori che prendono il nome di κερκίδες o cunei (F. Dürrbach, Inscr. Délos, 290, 179); il διάζωμα (I.G., ii, 2755), che è un corridoio tra i sedili, divide orizzontalmente la cavea in due e, talora, in tre settori.
In età arcaica lo spazio destinato ai sedili era occupato da banchi lignei detti ἴκρια (Pauly-Wissowa, s. v. Ikrion) prima della formazione della vera cavea (Suda, s. v. Ikria; Poll., Onomast., iv, 122); banchi, che potevano servire sia per sedersi che per accrescere la visuale stando in piedi, che crollarono secondo la Suda (s. v. Pratinas; Aischylos) nel 467 e nel 458 a. C. e che sono documentati epigraficamente talvolta come in un iscrizione di Gythion (E. Kornemann, in Abhandl. Schles. Gesellsch. Vaterl. Kultur, 1929, p. 8 ss.). Rappresentazioni figurate di sedili lignei si hanno in un noto frammento a figure nere di Sophilos (580-70 a. C.) raffigurante un insieme di spettatori (V. Béquignon, in Mon. Piot, xxxiii, 1933, p. 43, tav. vi), in un cratere corinzio di Cerveteri ora a Berlino (H. G. Payne, Necrocorinthia, Oxford 1931, p. 329, n. 1471) con spettatori che assistono ad una corsa di carri ed in un affresco etrusco dove gli spettatori sono in uno stadio (F. Weege, in Jahrbuch, xxi, 1916, p. 118). Nella cavea lignea di Atene sembra che soltanto la prima fila di sedili fosse stabilita su fondazioni in pietra; comunque cavee lignee sono probabili ad Atene, ad Eretria fino al 320, ad Ikaria dove peraltro si sono trovati due sedili profondi a sezione semicircolare in pietra, a Delo (H. Bulle, Untersuch. gr. Theat., Monaco 1928, p. 174 ss.) ad Oiniadai a Tegea (J. Vallois, in Bull. Corr. Hell., l, 1926, p. 135) a Tespie, Micene, Elide e forse a Tanagra, Demetriade, Coronea e Tebe Ftiotide. La maggior parte dei sedili in pietra sono costituiti da un piano superiore su cui lo spettatore si siede e da un piano inferiore, lievemente incavato, sul quale si posano i piedi, con alcune varianti, raggruppate in quattro tipi fondamentali che fanno capo ad Argo, Delo, Eretria e Megalopoli.
La προεδρία è la fila dei sedili d'onore che esisteva anche prima degli edifici teatrali, nell'agorà ed in genere negli edifici pubblici. Una proedria lignea, oltre che ad Atene, esisteva a Cheronea, Pireo, Cefalo nell'isola di Coo. Quando i t. ebbero una cavea in pietra anche la proedria fu costruita in sedili di pietra, che possono classificarsi secondo una disposizione più o meno complicata, e cioè con l'appoggio per la schiena e le braccia, per la sola schiena, ovvero in troni talora accoppiati (Icaria) o separati ovvero uniti con semplici banchi (Priene e Tegea); questi sedili d'onore, destinati soprattutto ai sacerdoti (per esempio ad Atene dove è il trono del sacerdote di Dioniso Eleuterio) ed in genere ai personaggi ufficiali ed anche ai capi delle tribù, vennero in età romana disposti addirittura nell'orchestra. Iscrizioni per lo più di età ellenistica o romana c'informano sulla destinazione dei singoli sedili.
La scena (σκηνή, scaena). - La parola è collegata con il greco skià (ombra) e significa originariamente un edificio privo di pareti stabili, una costruzione provvisoria tra cui son tese reti o stoffe, od una tenda sorretta da pali lignei (Hesych., s. v.). In Eschilo (Eumen., v. 686) appare per la prima volta l'uso di questo termine nel senso di tenda. Dato questo significato s'intende anche il carattere provvisorio che possiede la scena teatrale fin dall'inizio.
Non è possibile, per la mancanza di dati monumentali e di testimonianze letterarie, avere un'idea della scena anteriore a Tespi, come del resto del t. in genere di questo oscuro periodo. Con Tespi un profondo interesse dovette sorgere anche per i vari tipi di allestimenti teatrali; l'istituzione dell'attore dovette portare con sé una tecnica teatrale più complessa. E l'affermazione oraziana plaustris vexisse poëmata Thespis ha indubbiamente un valore. Le evoluzioni corali nell'orchestra esigevano appunto un luogo dove si conservassero i costumi e dove i coreuti potessero ritirarsi negli intervalli.
Quando la scena, da elemento provvisorio destinato unicamente al ricovero dei costumi e degli attori, assume valore decorativo, già agli inizi del V sec. a. C. diventa una costruzione lignea con linee architettoniche e valore monumentale nonostante la debole natura dei materiali usati, ma soprattutto, con la sua esile trama lignea, deve nascondere il lungo corridoio che serve da deposito. Sembra che nelle prime tragedie eschilee la scena avesse l'aspetto di un altare ligneo di notevole altezza; così nelle Supplici, almeno, e nei Sette a Tebe, mentre nei Persiani la tomba costituiva il drammatico sfondo che rammentava agli spettatori in ogni momento l'apparizione ultraterrena di Atossa. Nel Prometeo invece l'orchestra era limitata su di un lato da una grande roccia sulla quale era incatenato l'eroe protagonista. In sostanza, dunque, non era ancora stabilito un tipo costante di scena; ma già si aveva la sensibilità dello sfondo scenico e cioè di una necessaria collaborazione tra la tecnica dello spazio intorno all'azione drammatica ed il testo drammatico. Nella Orestiade di Eschilo (Agamennone, Coefore, Eumenidi) in generale gli studiosi vedono uno scenario uguale per le prime due tragedie e due cambiamenti per quello delle Eumenidi, dove si avrebbe il tempio destinato a due usi, prima come santuario di Delfi e poi come allusione all'acropoli ateniese. Gli attori non agiscono nell'orchestra, ma su di un lieve rialzo, che ha come sfondo o il palazzo reale o i templi. Ultimamente l'Anti ha compiuto un interessante esame del testo in rapporto alla scena dell'Orestiade ed ha confermato l'esistenza d'una gradinata che collega palcoscenico ed orchestra, mentre il fondale è costituito dalla facciata del palazzo reale. L'azione dell'Agamennone si svolge dentro il cortile del palazzo reale, mentre quella delle Coefore ha luogo nell'area pubblica, davanti al muro di cinta del palazzo, e quella delle Eumenidi avviene davanti ad un muro che collega due templi, da un lato quello di Delfi dall'altro uno dell'acropoli ateniese.
La scenografia classica si serviva di accorgimenti tecnici per dare l'illusione di uno sfondo reale. Oltre alle solite tre porte, che sono l'elemento fisso della scena a partire dal VI sec. a. C in poi, si può dire che, sino dalla fine del IV sec. a. C. si ha la prova monumentale di alcuni accorgimenti scenici. Il documento più notevole è il t. di Delo, iniziato con elementi lignei, nel 305 a. C. e, a poco a poco, trasformato in t. di pietra; se ne può seguire, passo passo, la storia nelle iscrizioni che ci sono giunte (Th. Homolle, in Bull. Corr. Hell., xviii, 1894, p. 162; Dürrbach, Choix d'inscr. de Délos, 1921, p. 110 ss.). La parola ϑυρώματα conservata sull'epistilio della parte superiore del proscenio di Oropos (I. G., vii, n. 423; E. Fiechter, Das Theater von Oropos, p. 15) si riferisce ad ampie aperture destinate, appunto, ad essere occupate da tavole o pìnakes (v.) dipinti con elementi di paesaggio o false prospettive.
Anche nel t. di Priene esistevano certamente questi pinakes nei thyròmata. Altri importanti sistemi scenografici consistevano in pannelli mobili, come nel t. di Megalopoli dove un'intera scaena ductilis lignea scorreva su rotaie in pietra, ed era custodita in una skenothèke a fianco del proscenio.
Ad Elide, è possibile rintracciare nel proscenio i blocchi destinati a fissare i pali per i perìaktoi, cioè per una specie di prismi girevoli (Vitr., v, 6, 8; Poll., Onom., iv, 126, 130) sulle cui pareti erano diverse località di città o di campagna. I perìaktoi erano ai lati della scena e fronteggiavano le pa'rodoi, cioè gli accessi laterali. Anche a Pergamo e, forse, ad Atene, esistevano tali sistemi.
Non si sono, invece, trovate tracce di un altro sistema scenico, descritto ampiamente da Polluce (iv, 128), cioè quello dell'enkỳklema; si tratta di piattaforme girevoli che servivano per aprire, alla vista degli spettatori, l'interno delle case dove era, ad esempio, avvenuto un assassinio (cfr. ad esempio l'Ippolito di Euripide). Altro meccanismo, usato particolarmente da Euripide- e, per la prima volta, proprio nella stessa tragedia- era quello del deus ex machina del quale, evidentemente, non restano tracce monumentali. Si trattava di una specie di gru lignea destinata alle apparizioni divine dall'alto.
L'Anti ha anche cercato di ricostruire idealmente l'edificio scenico siracusano di particolare importanza perché nel 476 a. C. Eschilo vi fece rappresentare le Etnee e nel 472 a. C. i Persiani; esso consisteva in una costruzione alta circa m 3 con una fossa profonda per gli scenarî davanti, e con tre porte simmetriche destinate ai movimenti degli attori; nella fossa erano piantate quattordici antenne lignee che erano trattenute in appositi incastri; il palcoscenico consisteva di una pedana di m 22 di lunghezza, m 3 di profondità e m 0,50 di altezza sul piano dell'orchestra. Quest'ultima ricostruzione è fondata su di un approfondito studio del problema della scena di Siracusa e di Atene, che sono le due località indubbiamente più vicine al t. di Eschilo. In sostanza, l'Anti ha concretato quanto già altri studiosi avevano intuito più che dimostrato: e cioè che con la rappresentazione dell'Orestiade ci fu una trasformazione scenica fondamentale, e si ebbe un edificio scenico vero e proprio. Naturalmente ci sono diverse spiegazioni e ricostruzioni di questo edificio; per il Bethe la scena serviva, ancora ai tempi di Eschilo, unicamente al travestimento degli attori, mentre gli attori recitavano su di una bassa pedana accessibile dall'orchestra davanti ad una parete costituita da un fondo a pareti mobili. La stessa mobilità dei pannelli della parete davanti alla quale recitano gli attori è confermata dal Fiechter, il quale ammette l'esistenza, già nel V sec. a. C., di due corpi laterali poco sporgenti che sono i così detti parasceni. Per il Frieckenhaus l'edificio scenico è costituito da due piani, sul primo dei quali si recita mentre il secondo serve da sfondo scenico e per le apparizioni ultraterrene. Il Bulle, partendo da un punto di vista ottico, ha ritenuto che lo sfondo scenico dovesse essere costituito dall'altare che sarebbe stato adottato fino dai tempi di Tespi.
Quanto alle scene per le commedie, si sono potuti stabilire alcuni fatti essenziali: anzitutto, che non esistono dislivelli tra orchestra e scena e quindi che gli attori giungono addirittura a contatto del pubblico; che non c'era scena stabile, ma elementi posticci, che dovevano raffigurare contemporaneamente località assai disparate tra di loro: l'azione che si svolge in un determinato settore (ad esempio casa di Eracle o palude dell'Acheronte o città infera, nelle Rane di Aristofane) ignora l'esistenza degli altri elementi scenici, pur visibili anch'essi dagli spettatori. Ma non esiste, in sostanza, una costruzione omogenea che veramente costituisca la scena fissa della commedia antica. Tuttavia, dai numerosi ed abbastanza precisi accenni topografici delle cinque commedie di Aristofane rappresentate nel Leneo, cioè nel recinto vicino al colle della Pnice in Atene, si ricava l'idea di un edificio scenico complesso che nulla ha da fare con quello tragico, come hanno voluto alcuni studiosi, che variava da commedia a commedia, ed era costituito da elementi mobili.
Dalle rappresentazioni vascolari dell'Italia meridionale ci è stato spesso tramandato un tipo di scena, evidentemente lignea, che ha suscitato il vivo interesse degli studiosi del t. antico; siccome la riproduzione di questa scena, assai semplice e rozza, si accompagna sempre a temi della commedia popolare e farsesca così detta fliacica (v. fliacici, vasi) si è giustamente ritenuto che quel primitivo edificio sia quello della commedia fliacica e anche di quella siceliota che risale ad Epicarmo ed a Formide. La scena, con qualche lieve variante, è in genere formata di una bassa pedana con scala di accesso al centro od ai lati, e con una parete anteriore a colonnine ioniche; talora c'è un tetto obliquo; spesso la parete di fondo ha una finestra o due porte. L'importanza di questa semplice impalcatura lignea sta nel fatto che, quando il dramma venne perdendo l'aspetto corale e si allontanò sempre di più dalla forma classica per assumere un carattere, potremmo dire, moderno, e cioè lontano dal mito e dalla primitiva ispirazione religiosa, anche l'edificio scenico venne innalzandosi e staccandosi dall'orchestra e dalla cavea. Soltanto così si può spiegare la nascita del proscenio ellenistico, cioè di quella pedana, talora profonda fino a 3 m. e più, sostenuta da colonne e semicolonne, e compresa entro parasceni sempre più schiacciati, sulla quale recitavano gli attori. È qui che dovette certamente farsi sentire l'esperienza del t. siceliota e italiota con la sua rozza impalcatura lignea. La parola proscenio che entra ormai a far parte della scenotecnica alessandrina, ha inizio proprio negli anni intorno al 340 a. C. (cfr. Athen., xiii, 587 b). Anche nel t. ellenistico la scenografia continua ad evolversi secondo le più complesse leggi della prospettiva: in alcune famose iscrizioni di Delo (I.G., xi, 2, n. 158, 67) vengono elencati importanti lavori di decorazione della scena del t. locale (decorazione pittorica di quattro pinakes per cui si spesero 100 dracme nel 282 a. C., riparazioni ed allestimento di skenài e di paraskènia lignei nel 274 a. C.) che ci rivelano l'esistenza di vaste aperture nella parete che fa da fondale scenico, nelle quali erano adattate, appunto le tavole dipinte.
Anche per il t. ellenistico, tuttavia, la questione del luogo dove si recitava non è pacifica; alcuni studiosi ad esempio, come il Frickenhaus, non ritengono che il luogo di recitazione mutasse da quello che era nel V sec. a. C., e cioè appena poco al di sopra del livello dell'orchestra. In realtà sembra che col IV sec. a. C. gli elementi per credere ad una scena elevata siano molti.
Gli edifici delle scene fino a noi pervenute ci danno, per l'epoca classica, ben pochi elementi sicuri. Comunque, le due scene meglio conservate- e cioè quella di Atene, del t. di Dioniso, e quella di Siracusa con la profonda fossa dove erano i meccanismi del sipario e delle antenne destinate a sostenere il fondale posticcio, che doveva nascondere il vero edificio stretto e lungo destinato agli attori ed ai costumi- confermano che prima della seconda metà del V sec. a. C. la scena consiste appunto in un edificio lungo e stretto per gli artisti con un fondale manovrato mediante pali infissi nella fossa antistante; verso la fine del V sec. a. C., e cioè circa al 425, una radicale innovazione si ha nel t. di Dioniso con una scena a parasceni, le cui fondazioni in breccia sono state identificate dagli studiosi. È questa la scena di Euripide, nata evidentemente sotto l'influenza non soltanto di nuove esigenze acustiche ma per ispirazione monumentale, come dimostrano i richiami già fatti sopra alle stoài ed alle case signorili del V-IV sec. a. C. A Siracusa il t. di Eschilo, con tipo di scena identico a quello di Atene, è preceduto da quello dei tempi di Epicarmo e di Formide, cioè della fine del VI sec. a. C. in cui doveva essere un palcoscenico ligneo forse con un fondale; vien fatto proprio di pensare alla nota testimonianza di Suda sull'uso da parte di Formide di pelli fenicie (phoinikikà dèrmata) per scene avvolgibili. Il t. dei tempi delle Etnee e dei Persiani è invece fornito di un edificio scenico stabile a lungo corridoio con fondale manovrabile mediante antenne e di natura provvisoria.
In età ellenistica, tutti i t. già esistenti- come quelli di Atene e di Siracusa- subiscono trasformazioni notevoli nelle scene; in base alle piante di questi edifici si sono distinte scene con proscenio chiuso senza portico (ad Atene III fase, a Magnesia sul Meandro), scene con proscenio a portico con colonne (Eretria I in Eubea e Tindari in Sicilia) e con rampe (Epidauro, Sicione, Elide, Eretria II) e con proscenio coi lati posticci (Priene I, Delo, Assos, Efeso). Nuove costruzioni si notano nel tardo ellenismo a Pergamo, Oropos, Pireo, Pompei, Babilonia, Nea Pleuron, Thera e Mantinea, dove il proscenio e l'edificio scenico diventano veri e propri edifici monumentali con tre o cinque larghe aperture per i pannelli dipinti inseriti tra colonne e nicchie, i quali assumono, nel succedersi dei diversi piani, un aspetto di prospettive pittoriche.
È noto che le rappresentazioni delle tragedie, delle commedie e dei drammi satireschi avevano luogo durante le feste Dionisie cittadine e le Lenee nel santuario di Dioniso in Atene, sulla pendice meridionale dell'Acropoli, mentre in un periodo primitivo della storia ateniese esse si svolgevano nell'agorà ateniese dove era l'orchestra più antica di Atene; secondo Fozio (s. v. Orchestra) "anzi tutto fu così chiamata quella dell'agorà poi anche l'emiciclo del t." cioè la zona antistante alla scena. Questa orchestra, celebre per le feste pubbliche, dove si trovavano le statue di Armodio e di Aristogitone (Tim., lex. Plat., s. v. orchestra; Aristot., Athen. Polit., 58), di Antigono e Demetrio Poliorcete, mentre Eustazio ci dice che ivi si svolgevano gli agoni dionisiaci "prima che fosse costruito il t. nei santuario di Dioniso" (ad Odyss., iii, 350, p. 1472), essa sarebbe da identificare sulla strada dall'Agorà alla Enneakroùnos, ma nulla ancora si può dire in attesa delle relazioni di scavo.
L'edificio fondamentale per la conoscenza del t. greco è quello di Dioniso Eleuthàrios, situato sulla pendice meridionale dell'Acropoli entro il sacro tèmenos di Dioniso. Il primo elemento teatrale in questa zona, fino al 1935, si credeva fosse un'orchestra circolare di 27 m di diametro di cui il Dörpfeld supponeva di avere identificato alcuni elementi di sostegno, che in realtà il Fiechter attribuisce a mura di rinforzo per una strada che attraversava l'orchestra; questa in età arcaica (e cioè ai tempi di Tespi, il primo autore di embrionali composizioni drammatiche), doveva press'a poco essere dell'ampiezza stessa di quella conservata fino a noi. Al centro doveva essere la thymèle con l'ara dove la statua del dio Dioniso era tratta dal tempio nei giorni festivi. Circa alla fine del VI sec. fu costruito un edificio scenico che consisteva in una lunga costruzione rettangolare tangente all'orchestra, di cui si sono rinvenute fondazioni di breccia; il muro verso l'orchestra serviva di sfondo alle rappresentazioni, mentre una larga porta centrale dava accesso a questo grande vano nel quale dovevano essere riposti i pali lignei che sostenevano le impalcature primitive per i sedili, i banchi per gli ospiti, i pannelli lignei per i fondali scenici davanti ai quali si recitava. Forse esisteva anche un secondo ingresso laterale a questo edificio, dal lato occidentale, mentre le pàrodoi, cioè gli accessi laterali alla fronte scenica situati fra questa, l'orchestra e lo spazio occupato dagli spettatori, erano in lieve pendio; di qui le espressioni che si trovano spesso nelle tragedie e nelle commedie di "salire" e di "scendere" dalla scena (ἀναβαίνειν - καταβαίνειν). Il rinvenimento di tracce di pali in corrispondenza dell'apertura centrale di questo edificio fa pensare effettivamente all'esistenza di fondali scenici destinati alle varie tragedie. Durante il V sec. a. C. questo edificio si trasformò e divenne una skenothèke (σκηνοϑήκη), cioè una specie di magazzino di materiale destinato alla scena che diventò poi in età ellenistica un portico post scaenam aperto verso la parte meridionale del recinto di Dioniso. Agli inizi del V sec. a. C. l'orchestra si sposta verso l'interno del pendio dell'Acropoli, e davanti alla scenoteca si costruirono un edificio scenico rettangolare con avancorpi o parasceni lignei di cui restano fondazioni in breccia e le pàrodoi laterali con mura di sostegno della cavea; c'è quindi già una sistemazione dei sedili naturalmente lignei entro una concavità della collina. Il momento più importante del t. si ha quando la scena da lignea diventa edificio stabile in pietra con parasceni laterali a due piani, e la cavea viene sistemata in 13 cunei mediante scalette, mentre le pàrodoi si restringono da 8 m di larghezza che avevano prima a 3 m. Probabilmente ciò avviene in età periclea; nell'orchestra si delinea un anello in pietra e vengono costruiti i primi sedili della proedria. Una maggiore distanza tra la scena e la cavea si manifesta nell'età dell'arconte Licurgo, nel 338 a. C. e l'orchestra assume la forma che ha ancora oggi a ferro di cavallo mentre un canale viene sistemato intorno ad essa; si costituisce la proedria marmorea distanziata dal resto della cavea mentre i parasceni si abbassano ad un solo piano sul quale si accede dal piano superiore dell'edificio scenico ormai marmoreo; la scenoteca è trasformata in un portico di cui restano alcuni elementi della trabeazione, e finisce il suo ufficio di ripostiglio. La scena licurgica corrisponde bene alla profonda trasformazione della tragedia attica in cui la funzione del coro è ormai cessata. Finalmente in età ellenistica piena, nel II sec. a. C. si trasformano la scena ed i parasceni; questi vengono schiacciati e la scena è costituita nella parte superiore da un portico a pilastri che si apre sul proscenio a colonne, alto m 3,40 circa. Ad età post-sillana appartiene la proedria marmorea neoattica che possediamo, che sopprime una fila di sedili della cavea; in questo periodo tra il 63 ed il 52 sono innalzate tre colonne onorarie, di cui una ad Ariobarzane II e ad Ariobarzane III. In età romana, nel 6o-61 d. C., ad opera di Tiberio Claudio Novio, liberto neroniano, si costruisce una fronte scenica di tipo romano rivestita di marmo con un podio alto m 1,45 e si sistema il pavimento marmoreo dell'orchestra mentre si erigono monumenti onorari e coregici. Nel II sec. d. C. si trasformano ancora alcuni elementi decorativi tra cui due colossali sileni. In età adrianea si innalzano statue e basi onorarie, si allestisce una balaustra marmorea nell'orchestra mentre il podio è decorato di altorilievi figurati relativi al mito di Dioniso (nozze del dio con Basilinna, guarigione di Tyche, Teseo e Basilinna dinnanzi al dio in trono). Il t. poi decade, e tra il V e VI sec. d. C. l'orchestra è trasformata in un bacino destinato alle naumachie.
Un altro t. di grande importanza per la storia dell'edificio teatrale in genere è quello di Siracusa che è ricavato nella roccia: alla seconda metà del VI sec. a. C. risalgono alcuni fori nella roccia a S della fossa della scena nel lato occidentale che denoterebbero l'esistenza di un palco ligneo per rappresentazioni di farse popolari. Un secondo t. con cavea si ha nei primi venticinque anni del V sec. a. C. a Siracusa; di questo, secondo l'Anti, resterebbero tracce rettilinee in un antico canale di deflusso delle acque che farebbe pensare ad una cavea trapezoidale; ma è stato osservato dal Dilke ed altri che le tracce di cui sopra sono più tarde, e che in età romana le file più basse dei sedili furono tolte per collocarvi sedili marmorei. A questo t. dei tempi di Epicarmo fiorito sotto Gelone, segue un altro t. a cavea, secondo l'Anti, sempre trapezoidale, di cui resterebbero tracce nell'euripo o canale, mentre la fossa in corrispondenza della scena ha davanti tracce di tagli per l'impostazione del palcoscenico e delle antenne per manovrare gli scenari; è il t. di Gerone I eseguito dall'architetto Damokopos ai tempi di Eschilo che continua dal 475 fino al 335 quando, nel rinnovamento politico di Timoleone, il t. assume la forma circolare con scena spostabile dalla scenoteca, ispirata dalle necessità dei mimi locali. Tuttavia la probabile tarda età dell'euripo trapezoidale rende assai precaria questa ipotesi. Successivamente, si ha una scena a proscenio fisso fino a Gerone II quando la cavea viene ingrandita fino al limite attuale e si costruisce una scena stabile monumentale con cinque porte sulla fronte, in stile dorico, terminante in un frontone. Nel I sec. d. C. davanti alla scena viene innalzato un pulpitum ligneo di tipo romano con sipario; nel II sec. d. C. si innalza un colonnato dinanzi al fondo della scena con nicchie e si chiudono le pàrodoi, mentre la cavea si abbassa ed è ridotta a sole dodici file di gradini nella parte inferiore. Un restauro si verifica nel IV sec. d. C. ad opera di Nerazio Palmato e l'orchestra è trasformata per naumachie.
Non tutti i t. antichi erano dedicati alle rappresentazioni drammatiche: alcuni di essi, come quelli di Icaria, Ramnunte e Torico in Attica, di Megalopoli e Sparta nel Peloponneso, furono fin dall'inizio costruiti per esecuzioni corali e liriche, e non per tragedie, come si può dedurre dall'esistenza- a Sparta ed a Megalopoli- di una scenoteca destinata a ricoverare il legname di improvvisati palchi per la recitazione.
Il t. greco, secondo Vitruvio (v, 7) deve rispondere a queste esigenze: non sorgere in luogo malsano, non essere rivolto a S, e non essere costruito in località piana. Ci sono delle eccezioni che oggi conosciamo, come Eretria e Mantinea, i cui t. sono addossati ad un terrapieno artificiale; ma sono casi rari. Per quanto riguarda l'orientamento, parecchi t. antichi sono orientati a S come Atene, Torico, Eretria, Ramnunte e Siracusa. Vitruvio prescrive che nell'orchestra circolare sia iscritto un quadrato, il cui lato inferiore costituisca la fronte del proscenio, mentre le scalette devono trovarsi sulla linea dei raggi di questa circonferenza e quelle della summa cavea, al di sopra del diàzoma, devono essere negli spazi intermedi fra le prime; per ampliare la cavea vengono iscritti in questo cerchio altri due quadrati disposti obliquamente rispetto al precedente in modo che un angolo inferiore di ciascuno di essi tocchi la fronte della scena. Il t. dello schema vitruviano è quello ellenistico con otto scalette e sette cunei; e trova i confronti più stretti nei t. di Priene e di Delo, mentre alcuni particolari vitruviani si ritrovano qua e là nei t. di Pergamo, Delo, Mantinea, Segesta e Pompei. L'importanza dell'acustica per il t. è sottolineata da Vitruvio che ricorda gli ἠχεῖα, o vasi bronzei di risonanza, che aiutavano la diffusione della voce; sembra che nel t. ellenistico-romano di Aizanoi in Frigia alcune nicchie, che si trovano ad intervallo nella cavea, possano avere avuto funzione acustica.
Roma. - Il primo tentativo di t. stabile in Roma risale al 179 a. C. quando fu costruito il theatrum et proscaenium ad Apollinis (Liv., xl, 51) e poi nel 174 a. C. sotto i censori Q. Fulvio Flacco e Q. Postumio Albino (Liv., xli, 27, 5); ancora nel 154 a. C. fu creato un t. sotto i censori Valerio Messalla e Cassio Longino (Val. Max., ii, 4, 2). Ma di questi t., come di quelli costituiti da scene lignee destinate alla rappresentazione di farse osche, non sappiamo nulla; i codici di Terenzio sono importanti per i costumi e per l'azione delle singole commedie, ma non per le scene, che ignoriamo. Dalle commedie plautine e terenziane si deduce l'esistenza di una scena con tre porte nel fondo e di un fanum dove è necessario (ad esempio nell'Aulularia e nel Rudens) mentre davanti alle case era un vestibulum, cioè una specie di portichetto con colonne. Questo tipo di scena si connette direttamente con la scena fliacica. Varie fonti ricordano delle scene dipinte già nel 99 a. C., ad opera di Claudio Pulcro (Plin., Nat. hist., xxxv, 23; Val. Max., ii, 4, 6) e poi nel 58 a. C. ad opera dell'edile Scauro nel suo grande teatro ligneo (Plin., Nat. hist., xxxvi, 114).
Per quanto riguarda la cavea, secondo Valerio Massimo (ii, 4, 2) nel 154 a. C. si proibì di usare sedili per gli spettatori; è probabile che nel 179 il t. presso il tempio di Apollo fosse soltanto uno spazio senza ordine davanti alla scena; e per parecchio tempo forse i sedili furono disposti in senso parallelo a questa. Il piccolo t. di Pompei del I sec. a. C. ha però già la cavea semicircolare, e così sembra circolare il teatrino ligneo di Curione del 53 a. C. (Plin., Nat. hist., xxxvi, 117). A Q. Catulo nell'8o si fa risalire l'uso di coprire la cavea con tende per riparare gli spettatori dal sole (Plin., Nat. hist., xix, 23; Val. Max., ii, 4, 6).
I primi t. stabili del periodo romano sono quelli di Pompei; quello grande di tipo ellenistico con pàrodoi coperte, e quello piccolo, con cavea semicircolare, inserito entro una costruzione rettangolare, destinato per audizioni musicali (Vol. vi, figg. 329, 330).
Ma tre grandi edifici della fine del I sec. a. C. segnano l'inizio della serie dei t. stabili in Roma. Quello di Pompeo, del 55 a. C. secondo Plutarco (Pomp., 42) era stato imitato dal t. di Mitilene che Pompeo aveva visitato, e probabilmente aveva nell'edificio scenico una ricca serie di colonne che decoravano il prospetto ed una cavea semicircolare, come risulta dalla Forma Urbis (30); oggi il t. è identificato perfettamente fra Campo dei Fiori e S. Andrea della Valle con scena a due esedre laterali semicircolari fra le quali si svolge una ricca columnatio; quello costruito da L. Cornelio Balbo nel 13 a. C., sorgeva nel Campo Marzio, nel lato settentrionale dell'Isola Tiberina, e forse fu distrutto nel grande incendio dell'80 d. C. (Cass. Dio, 66, 24). Un lato della cavea è stato oggi identificato in via Arenula. Il t. di Marcello iniziato da Cesare ed ultimato da Augusto nell'11 a. C. (Cass. Dio, liii, 30, 5; lxiii, 49, 2), oggi ancora ben conservato e restaurato, aveva pure un'orchestra semicircolare ed una cavea circondata da tre ordini di arcate, tuscanico, ionico e corinzio, che preludono a quelli del Colosseo, mentre la scena venne ampiamente restaurata dopo l'incendio neroniano in età flavia.
La scena in età romana si trasforma in un fondo costituito da un'altissima parete decorata di colonne a parecchi piani con nicchie rettangolari e semicircolari simmetricamente alternate; il podio o pulpitum abbastanza basso, che secondo Vitruvio non dev'essere superiore a cinque piedi (v, 6, 2), è la continuazione del logèion ellenistico, ha un prospetto a nicchie rettangolari e semicircolari con scalette di accesso all'orchestra. Questi prospetti scenici si ritrovano nella pittura ellenistico-romana; basta per tutti citare la parete della casa di Pinario Ceriale dove è rappresentata la scena dell'Ifigenia in Tauride. Quanto alla origine del pulpitum, più che risalire al proscenio ellenistico, per lo più decorato di colonne nella sua fase estrema, bisognerà ricordare le primitive scene lignee con podio elevato che sono servite per le farse fliaciche e per l'atellana; l'idea di un palco sul quale si recita è essenzialmente italica ed è penetrata anche nella scena imperiale romana. La quale poi deve alla casa romana, con la sovrapposizione di vari piani, l'origine del suo fondo con prospettiva architettonica complessa.
La scena così diventa un elemento decorativo lontano dall'opera teatrale, dovuto alla prevalenza delle rappresentazioni mimiche. In generale la scena della parte occidentale del mondo romano è chiusa sui fianchi, Africa compresa (Djemila, Dhugga, Timgad), coperta da un breve tetto (come ad Orange) e legata alla cavea mediante sottopassaggi laterali che occupano le pàrodoi greche; varî sottopassaggi sono anche praticati sotto la cavea sia in senso normale ad essa, in corrispondenza delle scalette che dividono i vari cunei, sia, talora, esternamente, quasi a costituire una specie di diàzoma inferiore. Nell'orchestra poi stavano i senatori ed i personaggi ufficiali su file di sedili per lo più distinte da quelle comuni. L'orchestra era semicircolare come la cavea la quale, secondo Vitruvio, doveva avere la stessa altezza della scena. La scena era chiusa da un sipario (aulaeum) che scendeva durante le rappresentazioni e saliva al termine di esse (Ovid., Metam., iii, 111; Verg., Georg., iii, 24), riccamente decorato; il sipario si arrotolava in un canale profondo spesso identificato davanti alle scene antiche (ad esempio a Siracusa, Pompei, Ercolano, Arles, Orange). Si possono in sostanza distinguere nel teatro occidentale romano tre tipi di scena, che variano poco fra di loro: a) il podio o pulpitum è decorato da nicchie e la parete di fondo della scena è diritta, come a Timgad in Africa, ed a Minturno, Falerona e Tuscolo in Italia; b) il fondale scenico è costituito da una esedra semicircolare centrale con esedre rettangolari ai lati, come a Gubbio, Verona, Pola, Ferento; c) il fondale scenico è animato da esedre rettangolari e semicircolari che alternativamente spezzano la parete come ad Orange e da Aizanoi.
Il tipo orientale del t. romano è costituito da un podio, più alto che nei t occidentali (raggiunge m 2,50 a Patara e m 2,77 a Sagalasso), e da un fondo scenico a parecchi piani, decorato di colonne ma senza nicchie, come a Sagalasso, Aspendo, Termesso e Patara. Non è improbabile che questa scena si colleghi a quella ellenistico-asiatica di Magnesia sul Meandro, come ha osservato il Bulle.
La terza varietà teatrale si trova nei t. misti, cioè teatri-anfiteatri; molti sono in Gallia, uno in Britannia a Verulamium, un altro a Cirene in Africa; essi nascono là dove l'esistenza di spettacoli gladiatori si fa naturalmente sentire più di quella drammatica. La scena è a semplici vani rettangolari con vani laterali che richiamano i parasceni ellenistici, come a Libarna in Piemonte. Sono t. di legionari, destinati a spettacoli ginnici ed a mimi.
Molti t. greci in età romana hanno subito trasformazioni profonde, sia nella scena che nella cavea; in quest'ultima la sistemazione di sedili per i personaggi ufficiali nell'orchestra, separati dal resto della cavea talora mediante un muretto, porta alla soppressione delle file inferiori dei sedili, mentre il proscenio ellenistico viene trasformato in un podio o, addirittura, il podio si applica davanti al proscenio (ad esempio, bèma dell'arconte Fedro ad Atene) e si costruisce una parete di fondo della scena con prospetto architettonicamente decorato secondo gli schemi già noti. Le pàrodai vengono chiuse da passaggi attraverso archi che collegano l'edificio scenico alla cavea, e nella cavea si sopprimono al centro alcune file di sedili per stabilire tribune speciali; l'orchestra poi è recinta di muri continui là dove si esige la creazione di naumachie e di spettacoli gladiatori o di belve; tale è il caso del grande t. di Pompei in Italia, o dei t. di Atene, Taso, Corinto, Magnesia, Tralles ecc.
Per la costruzione di un t. romano Vitruvio (v, 6) avverte che si devono iscrivere in un cerchio quattro triangoli equilateri, i cui vertici toccano la circonferenza in dodici punti; la base del triangolo il cui vertice tocca il centro della cavea corrisponde alla fronte della scena, mentre il diametro del cerchio dell'orchestra parallelo alla precedente base corrisponde al pulpitum. L'orchestra è dunque semicircolare e la scena avanza fino a metà del cerchio citato. Anche per questo tipo di t. descritto da Vitruvio una perfetta corrispondenza con t. esistenti non si trova; tuttavia sembra che egli abbia tenuto presente speaalmente i t. del tipo orientale.
Bibl.: F. Wieseler, Theatergebäude und Denkmäler des Bühnenwesens bei den Griechen und Römern, Gottinga 1874; A. Müller, Lehrbuch der griechischen Bühnenaltertümer (Lehrbuch der griechischen Antiquitäten), III, Friburgo 1886; W. Dörpfeld-E. Reisch, Das griechische Theater, Atene 1896; A. E. Haigh, A. W. Pickard-Cambridge, The Attic Theatre, Oxford 1907; E. Fiechter, Baugesch. Entw. ant. Theaters, Stoccarda 1914; J. T. Allen, The Greek Theater of the Fifth Century, Univ. of California 1919; M. Bieber, Denkmäler zum Theaterwesen, Berlino-Lipsia 1920; A. von Gerkan, Das Theater von Priene, Monaco 1921; G. E. Rizzo, Il teatro greco di Siracusa, Milano-Roma 1923; A. Frickenhaus, in Pauly-Wissowa, III A, 1929, cc. 470-492, s. v. Skene; C. Fensterbusch, ibid., V A, 1934, cc. 1384-1422, s. v. Theatron; H. Bulle, Untersuchungen an griechischen Theatern, Monaco 1928; E. Fiechter, Antike griechische Theatergebäude, Stoccarda 1930-37 (I. Das Theater in Oropos; II. Die Theater von Oiniadai und Neu Pleuron; III. Das Theater in Sikyon; IV. Das Theater in Eretria); P. E. Arias, Il teatro greco fuori di Atene, Firenze 1934; R. C. Flickinger, The Greek Theater and its Drama, Chicago 1936; H. Bulle, Das Theater zu Sparta, in Sitzungsber. bayer. Ak. der Wissensch. Phil.-Hist. Abt., Heft 5, 1937; M. Bieber, History of the Greek and Roman Theater, Princeton 1939; A. W. Pickard-Cambridge, The Theatre of Dionysus in Athens, Oxford 1946; C. Anti, Teatri greci arcaici, Padova 1947; R. E. Wicherley, in Journ. Hell. Stud., LXVIII, 1948, pp. 152-155; O. A. W. Dilke, The Greek Theatre Cavea, in Ann. Brit. Sch. Athens, XLIII, 1949, pp. 125-193; W. B. Dinsmoor, The Athenian Theater of the Fifth Century, in Studies... to D. M. Robinson, St. Louis 1951, p. 309 ss.; H. Bulle-H. Wirsing, Szenenbilder zum griech. Theater, Berlino 1956; A. Neppi-Modona, Gli edifici teatrali greci e romani, Firenze 1961; M. Bieber, The History of Greek and Roman Theater, Princeton 1961; L. Polacco, Campagne archeologiche in Grecia 1960 e 1962. Nuovi contributi alla storia del teatro antico, in Atti Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, CXXI, 1962-63, pp. 199-208; T. B. L. Webster, Le théatre grec et son décor, in Ant. Class., XXXII, 1963, pp. 562-570.
Per un elenco topografico dei teatri e odei antichi menzionati dalle fonti o conservati nei resti monumentali si veda l'Enciclopedia dello Spettacolo, vol. ix, 1962, s. v. Teatro. (Un elenco, completato con aggiornamenti, sarà dato qualora la Direzione dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana decida di far seguito con Appendici alla nostra Enciclopedia dell'Arte Antica).
2. - odeon (ᾦδεῖον, odeum). - L'odeon è l'edificio destinato ad audizioni musicali e poetiche in genere. Mentre Fozio e la Suda (s. v.) alludono esclusivamente all'odèion di Pericle come al tipico edificio destinato ad audizioni musicali, Esichio, alla stessa voce annota che l'odèion era il luogo dove gareggiavano i rapsodi ed i citaredi prima che il t. fosse stato costruito, ed Aristide (i, p. 791 Dind.) accenna agli odèia come ad edifici teatrali, legittimando così l'ipotesi che nella tarda antichità questo termine sia stato usato indifferentemente anche per i teatri. Ma nell'antichità mancano descrizioni dell'odeon; Vitruvio nel v libro del De Architectura, ha completamente trascurato questo tipo di edifici. In alcune iscrizioni (I. G., ii2, 1688, 3; 968, 47) degli inizî del IV sec. a. C. e di tarda età ellenistica, il termine odeion si trova già usato. In sostanza essi non differivano per la forma dai t.; in un iscrizione palestinese del II sec. d. C. (C. I. G., 4614) si parla di un ϑεατροειδὲς ᾠδεῖον; e l'odèion di Erode Attico, così chiamato da Pausania (vii, 20, 3), è un edificio teatrale. La differenza essenziale col t. stava nella copertura quasi completa mediante un tetto; in età romana il termine equivalente è theatrum (si veda, per Napoli, Stat., Silv., iii, 5, 91 geminam molem nudi tectique theatri: t. scoperto e t. coperto o odeon).
Il primo odeon conosciuto in Atene è quello esistente nell'agorà, nella via che saliva verso l'Acropoli, e da non confondere con quello di Pericle; in esso avrebbe suonato e vinto le gare panatenee Frinico di Mitilene sotto l'arcontato di Callia (Schol. Aristoph., Nub., 971) cioè nel 456-55 a. C.; ma nessun resto sicuro si è potuto oggi rintracciare.
Grazie alle ricerche del Thompson condotte accuratamente nell'agorà di Atene si è potuto stabilire che la prima sistemazione in Atene di un'area teatrale risale alla fine del VI sec. a. C., e probabilmente si può riconnettere al tentativo di Tespi che si suole attribuire al 534 a. C. (Marm. Par., ep. 58, cfr. Suda, s. v. Thespis); è infatti al tempo di Pisistrato o poco prima che risale l'organizzazione del corteo delle Panatenee (Thouk., vi, 57, 1) che aveva inizio dal Ceramico, il noto quartiere dei vasai ateniesi (Hieron., 1451 Abr. 566 a. C.), mentre a questo rinnovamento della vita religiosa e delle forme più solenni delle cerimonie risale anche la costruzione dell'orchestra che le fonti attribuiscono proprio a questo periodo (Paus., i, 8, 5; Tim., lex. Plat., s. v. Orchestra).
Il Thompson ha recentemente contribuito in modo essenziale sia all'identificazione dell'orchestra che a quella dell'odeion citato da Pausania (i, 8, 5) e ricordato da Filostrato (Vita Soph., ii, 5, 4; ii, 8, 4) come "il t. esistente nel Ceramico detto Agrippèion"; si è così conclusa, con la revisione dello scavo, una lunga e complicata discussione per fissare questi monumenti in qualche parte dell'agorà. L'odeon costruito circa nel 15 a. C., fu collocato sull'asse di una zona quadrangolare dove sorgeva l'orchestra, in una posizione elevata; grazie al rinvenimento di statue e di elementi architettonici si è potuto ricostruire con sufficiente esattezza l'elevato di questo edificio assai singolare. Coperta da un tetto, la cavea era esternamente fiancheggiata su tre lati da una balconata che serviva forse alla visione del corteo delle Panatenee che saliva all'Acropoli; il tetto centrale era più alto del resto della costruzione, in modo da consentire un'illuminazione indiretta dell'auditorio interno attraverso una colonnata che era sul lato meridionale. L'auditorio dell'età augustea era quadrato, con undici file di sedili e un'orchestra pavimentata ad opus sectile ed un palcoscenico basso adorno di erme; la costruzione era di tipo misto, in quanto era da un lato ispirata al tipo ellenistico dell'auditorio coperto (come nel bouleutèrion ellenistico di Mileto) e nello stesso tempo aveva caratteristiche attinte alla basilica romana. Nel II sec. d. C. il tetto crollò, ed allora gli architetti approfittarono per ridurre la capacità dell'auditorio e quindi la portata del tetto; la scena si aprì in un portico costituito da sei pilastri quadrangolari con rilievi rappresentanti Tritoni e Giganti ispirati ai frontoni del Partenone. È probabile che in questo secondo periodo l'edificio non servisse più per audizioni musicali ma soltanto, come appunto sembra indicare Filostrato, per letture e discussioni filosofiche; la funzione musicale era stata assunta dall'odèion di Erode Attico costruito dopo il 160 d. C. sulla pendice meridionale dell'Acropoli a fianco dell'Asklepieion e non lontano dal teatro di Dioniso Eleuthèrios. L'odèion dell'agorà venne distrutto dall'incendio che si sviluppò nel 267 d. C. durante l'invasione degli Eruli.
Più informati siamo sull'odèion di Pericle, rimasto intatto fino quasi all'età imperiale; innalzato da Pericle nel 442 a. C. (Plut., Per., 13) fu incendiato durante la guerra mitridatica e ricostruito ad opera degli architetti C. e M. Stallius e Melanippos a spese del re Ariobarzane II Filopatore di Cappadocia (I. G., iii, 541; Vitr., v, 9, 1); secondo Vitruvio si trovava exeuntibus e theatro sinistra parte, ciò che significa in sostanza che era ad oriente del t. di Dioniso Eleuthèrios (v. Sez. 1). L'edificio in gran parte ligneo, aveva colonne in pietra, e serviva non soltanto per audizioni musicali, ma come auditorio in genere e magazzino (Schol. Aristoph., Vesp., 1109; Ps. Dem., xxxiv, 37).
Gli scavi della Società Archeologica Greca hanno definito l'esistenza di un edificio che, secondo la comune interpretazione, avrebbe m 62 di lato e sarebbe simile al telestèrion eleusinio, al thersìlion di Megalopoli ed ai bouleute'ria di Priene e di Mileto e cioè con doppie file di colonne sui quattro lati e relativi sedili rettilinei; per qualcuno le dimensioni andrebbero ridotte in quelle di un rettangolo di m 63,40 × 41,50, ed in questo caso le colonne su doppia fila andrebbero immaginate soltanto sul lato dove effettivamente se n'è trovata traccia e non sui quattro lati.
Una recente teoria (Anti) ha voluto stabilire un rapporto fra i varî odèia arcaici, e cioè quelli di Taso, di Delfi, di Argo, ricostruendo una cavea trapezoidale; occorrerà tuttavia essere prudenti su questi confronti, dato che di quello di Taso restano documenti miseri, e cioè muri con andamento rettilineo e sedili rettilinei: di quello di Delfi una tutt'altro che sicura integrazione, sepolti come sono i muri, in parte, dall'edificio del t., di quello di Argo soltanto alcuni gradini rettilinei sotto i resti dell'odeon romano. Sicché gli attuali dati di scavo non confermano quella teoria. D'altra parte non si dovrà dimenticare che gli antichi definirono l'odèion di Pericle simile alla tenda di Serse, con tetto conico, come ci dicono anche i versi di Cratino riferiti da Plutarco (Per., 13, 6) e ci attesta una rappresentazione monetale (Arch. Ephem., 1914, p. 147); ciò induce a pensare ad una pianta quadrata più che rettangolare, (le attuali condizioni di scavo non consentono una maggiore precisione). Conosciamo anche un altro edificio con copertura conica che poteva essere stato forse un modello dell'odèion pericleo, la skiàs di Sparta (Paus., iii, 12, 8) costruita nel VII sec. a. C. dall'architetto Theodoros di Samo.
Il tipo comune dell'odeon di età romana è identico al t. sia nella cavea che nel pulpitum, salvo l'aggiunta di un tetto al disopra dei sedili (Philostr., Vita Soph., ii, 551 ϑέατρα ὑπωρόϕια). Cronologicamente il più antico di questi theatra tecta è quello di Pompei, databile al 75 a. C.; la cavea ha forma semicircolare e nell'orchestra erano basi per sedili mobili destinati ai magistrati ed a persone di riguardo. Le ali laterali della cavea erano brevi, così che nell'insieme l'edificio sembrava iscritto in un rettangolo. In tutto era capace di 1.500 spettatori ed era completamente coperto. Il muro di fondo della scaenae frons aveva dipinti di tipo architettonico, del così detto II stile; il podio della scena era basso. Anche i piccoli t. di Taormina, Epidauro e Napoli avevano tetti lignei, ed erano per lo più inseriti in una costruzione rettangolare; come del resto gli edifici di Efeso, di Gortina nell'isola di Creta. Una specie di odeon era pure, forse, il t. coperto di Aosta. Ma l'esempio più illustre di odeon romano è quello di Erode Attico in Atene, di cui restano tuttora imponenti rovine: costruito fra il 161 ed il 165 d. C. sulla pendice meridionale dell'Acropoli, l'odeon era in fondo il logico contrapposto del t. di Dioniso ricavato sul lato sud-orientale dell'Acropoli.
La cavea era ricavata nel fianco della roccia dell'Acropoli e circondata da un portico semicircolare; essa si estendeva al disopra delle pàrodoi come nei t. romani, mentre il podio della scena era collocato fra le versurae (parasceni) con aperture laterali. Esistevano inoltre due passaggi sotterranei al di sotto della cavea; la parte frontale del podio scenico ed i lati interni dei parasceni erano decorati di colonne su alta base, pilastri e nicchie nel piano inferiore; il piano superiore della scena aveva una nicchia centrale ed aperture arcuate ai lati. Filostrato ricorda il tetto in legno di cedro (Vita Soph., ii, 1, 5); è probabile che fossero ricoperte dal tetto soltanto, la parte curva della cavea e la fronte della scena, mentre il centro dell'orchestra e i due bracci della cavea dovevano essere scoperti, come sembra dimostrare l'esistenza di due rose, per lo scolo delle acque, praticate nel pavimento dell'orchestra.
Un poco meno splendido dell'odeon ateniese era quello di Corinto, a detta di Filostrato (ibid., ii, 551) costruito pure da Erode Attico; senonché, accurati studi ne hanno fissato l'originaria costruzione in pòros nell'ultimo trentennio del I sec. d. C. ed identificano l'opera di Erode Attico nella ricostruzione in marmo distrutta poi agli inizî del III sec. d. C., stabilendo la trasformazione in arena al 225 d. C. Ricavato nella collina del tempio di Apollo, l'odeon fu riconosciuto nel 1907 là dove Pausania (ii, 3, 6) lo indicava, cioè dietro la fontana Glaukè a poca distanza dal tempio di Apollo.
La prima costruzione era in gran parte in pòros, con piccole parti interne rivestite di marmo; la cavea, capace di 3.000 sedili, era divisa in quattro sezioni da tre scalette che terminavano in un vomitorium all'altezza del secondo piano di gradini; i vomitoria si aprivano in un corridoio sotterraneo semicircolare che girava da una pàrodos all'altra. Del tempo di Erode, e cioè di età antoniniana, sembrano essere i pilastri con capitelli corinzi, fregi, cornici, portici a colonne tra il t. e l'odeon, ed in genere le decorazioni in marmo della scena e quelle musive dei pavimenti e della vòlta del corridoio semicircolare sottostante alla cavea. Anche questo odeon aveva il tetto, ma non si può stabilire se fosse interamente o soltanto in parte coperto. La ricostruzione di Erode, che in sostanza lascia inalterata la pianta dell'edificio precedente, sembra che si possa collocare nel 175 d. C. in base alla menzione dell'odeon di Patrasso e di Atene nel vii libro di Pausania. Nel III sec. d. C. la scena fu decorata di statue e varie file di sedili furono abolite per salvaguardare gli spettatori durante le esibizioni nell'arena, creando così una parete alta m 2 circa intorno alla orchestra. Interessante è pure l'esistenza di una fossa destinata al sipario, forse anch'essa della ricostruzione di Erode.
Numerosi odèia si trovano nell'Africa settentrionale a Cartagine (Tertull., Resurr. carn., 42), in Asia Minore a Patara ed a Smirne (Paus., ix, 35, 2; C. I. G., 4286) a Nikopolis di Epiro, a Filadelfia Amman in Transgiordania, a Efeso, a Cretopolis nella Pisidia, ad Aperbe, nella Licia, a Canatha nell'Arabia, a Termesso, a Cnido, a Coo e Gortina nell'isola di Creta.
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