FRANCESCO (Francescus, Francisius), Tebaldo
Nacque probabilmente nell'ultimo decennio del sec. XII, in uno dei possedimenti dalla famiglia in Terra di Lavoro, che si estendevano soprattutto nelle zone di Monteforte e Aversa. Quasi certamente i suoi genitori furono Giovanni Francesco, morto dopo il luglio 1204 (cfr. Arch. dell'Abbazia di Montevergine, perg. 1199) e Mabilia, i quali risultano già sposati nel febbraio 1172 (Codice diplomatico verginiano, VI, a cura di P.M. Tropeano, Montevergine 1982, p. 166 n. 544). In un documento del luglio 1232, il F. viene menzionato, insieme col nipote Riccardo, quale erede di suo fratello Giacomo, succeduto al padre Giovanni nella signoria di Monteforte.
Con ogni probabilità il F. venne allevato alla corte di Federico II. Non se ne hanno, comunque, precise attestazioni fino al marzo 1232, quando lo troviamo tra i testimoni di un privilegio sottoscritto a Venezia dall'imperatore; nell'ottobre 1237 compare di nuovo come testimone in documenti emanati a Montechiaro dal sovrano svevo. Accompagnò Federico II nella seconda campagna contro i Lombardi, che culminò con la vittoria di Cortenuova (27 nov. 1237). Continuò anche in seguito a seguire l'imperatore e dovette distinguersi per la sua fedeltà, dato che gli vennero affidate cariche di grande rilievo. Infatti, nel periodo compreso tra il 15 giugno 1238 e il 6 apr. 1239, fu nominato podestà di Vicenza succedendo a Enrico da Eboli. Il 1° maggio dello stesso anno venne nominato podestà di Padova e vicario generale della Marca Trevigiana e dal fiume Oglio fino a Trento, uffici, normalmente tenuti uniti, che egli resse fino all'aprile 1242, data in cui dovette verificarsi un riordinamento generale dell'amministrazione dell'Italia settentrionale. Tuttavia fu presente al raduno dei vicari generali tenuto a San Germano, nell'agosto 1242, presso l'imperatore. In seguito lo troviamo ancora accanto all'imperatore nei suoi spostamenti all'interno del Regnum Siciliae; nell'aprile 1243, a Capua, fece da testimone in un atto di Federico II.
Il F. accompagnò l'imperatore anche nella spedizione dell'estate 1243 contro Roma, nel periodo in cui, ad Anagni, erano riuniti i cardinali che attendevano all'elezione del pontefice: nel giugno, "in castris in depopulatione Urbis" il F., con la qualifica di Regni marescalcus, testimoniò per un privilegio concesso dall'imperatore. Nel marzo 1244 è ancora vicino a Federico, come anche nel giugno e nell'agosto. Nel 1245, poi, il F. è ricordato come podestà di Parma.
Il F. fu dunque a più riprese utilizzato da Federico II per riportare ordine nelle regioni dell'Italia settentrionale. La rapidità delle operazioni, nei pochi mesi della terza campagna contro i Lombardi, rese indispensabile la creazione di nuove strutture amministrative utili ad assoggettare i Comuni riottosi all'autorità imperiale. In un torno di tempo brevissimo furono creati tutti i nuovi vicariati generali (tranne quello "da Pavia in su" già istituito dopo la vittoria di Cortenuova). Quello della Marca Trevigiana, che fu affidato al F., fu uno dei primi. Per garantire la stabilità del nuovo ordinamento statale, messo su così in fretta, Federico aveva bisogno di persone fidate; e infatti le cariche più elevate andarono di preferenza a notabili del Regno cresciuti nell'ambiente imperiale, come sottolineava lo stesso imperatore. Federico II necessitava infatti di funzionari posti alle sue dirette dipendenze, ai quali concedeva poteri assai ampi. In seguito, anche ai vicari generali furono estese le norme relative alla brevità della carica (già applicate in Sicilia) e ai frequenti trasferimenti, onde evitare il loro radicamento nel territorio; allo stesso modo, per l'ufficio di podestà, ricoperto dal F. più di una volta e in diverse città, vigeva, di norma, il divieto di rielezione una volta scaduto l'anno di carica.
Data l'estrema fiducia che Federico II nutriva nei funzionari da lui insediati ai vertici della nuova struttura amministrativa settentrionale, non c'è da stupirsi per la sua reazione quando ricevette la notizia che alcuni di essi, tra i quali anche e soprattutto il F., nel marzo 1246, gli si erano ribellati ordendo una congiura tesa a destituirlo. Federico II tacciò il F., Guglielmo di Sanseverino, Andrea di Cicala, Pandolfo di Fasanella e Giacomo da Morra di ingratitudine e li accusò di parricidio: lui che li aveva allevati "veluti filios dulcedine paterna" era stato tradito da "parricidi" immemori della generosità e dei benefici ricevuti. La congiura fu scoperta dal conte Riccardo di Caserta, come ci viene tramandato da una lettera del maestro Terrisio di Atina, che, in gara contro il tempo, tramite Giovanni da Presenzano, trasmise la notizia all'imperatore, che si trovava a Grosseto (Acta Imperii, I, n. 725; Collenuccio, p. 136). La congiura prevedeva l'assassinio di Federico II, di suo figlio Enzo e, durante un banchetto, anche di Ezzelino da Romano. Parma, di cui il F. era podestà, doveva, contemporaneamente, ribellarsi.
Frattanto il cardinale Raniero Capocci di Viterbo, chiamato in soccorso da uno dei congiurati, Giacomo da Morra, venne sconfitto a Spello dal vicario generale imperiale del ducato di Spoleto, Marino da Eboli. I congiurati rifugiatisi nel Regno diffusero la voce della morte di Federico e riuscirono a impossessarsi delle rocche di Scala e di Capaccio e, in seguito, della città di Altavilla. Tuttavia, già prima dell'arrivo di Federico, che accorreva da Grosseto, i fedeli dell'imperatore avevano espugnato Scala; poi fu presa anche Altavilla, che fu rasa al suolo. Solo la rocca di Capaccio, dove si erano rifugiati il F. e altri congiurati, resistette fino al luglio, quando fu costretta ad arrendersi per mancanza d'acqua e per l'intensificarsi dell'azione delle macchine da getto degli assedianti.
L'imperatore aveva pensato che i rivoltosi - a Capaccio ne furono catturati oltre centocinquanta - si sarebbero sottratti alla punizione con il suicidio, ma ciò non avvenne. Essi subirono invece una punizione commisurata alla colpa commessa: alcuni furono impiccati, altri trascinati da cavalli, altri bruciati, altri annegati. Soltanto con il F. Federico II si concesse una macabra variazione, quasi a riconoscimento del ruolo fondamentale da lui avuto nella congiura. Accecato e mutilato del naso, delle mani e delle gambe, avrebbe dovuto, con cinque altri traditori, essere trascinato per tutti i "climi" della terra come perentorio esempio per chi avesse osato rivolgere la mano sacrilega contro l'imperatore: "guardate quest'uomo mostruoso e fate in modo che la pena inflitta a questo folle… ammaestri il vostro animo e la vostra mente, perché non abbiate mai a dimenticare ciò che vedeste e conserviate a lungo il ricordo di un giusto giudizio", si dice nel bando dell'imperatore che doveva accompagnare il traditore (Huillard-Bréholles, VI, p. 441). Sulla fronte del F. fu poi legata una bolla papale, rinvenuta presso i congiurati, per rivelare a chiunque che Innocenzo IV era stato non solo l'ispiratore ma l'organizzatore dell'attentato. Effettivamente il papa, il 26 aprile, aveva scritto lettere in cui incoraggiava i prelati e i nobili del Regno a sottrarsi al giogo del "secondo Nerone" e a tornare in seno alla Chiesa (ibid., VI, pp. 411 ss.).
È difficile stabilire quali siano stati i motivi reali che spinsero il F. a tramare contro Federico, contro colui che effettivamente lo aveva innalzato fino alle cariche più alte. È difficile anche ricostruire quali progetti vagheggiasse una volta che il complotto avesse avuto esito favorevole. Gli Annales Placentini (p. 492) ci tramandano la notizia, da taluni reputata non inverosimile, che al F. fosse stato promesso da parte di Innocenzo IV il trono del Regno di Sicilia. Forse la notizia è inattendibile, ma bisogna tener presente che gli Annales Placentini vennero composti sotto il forte influsso della propaganda imperiale, e quindi ne riflettono in pieno le opinioni. Del resto anche un'altra fonte, sia pure adorna di spunti novellistici, la cronaca dello Pseudo Yâfi î (in M. Amari, Biblioteca arabo-sicula. Vers. ital., Torino-Roma 1880-1881, II, p. 256), riferisce che marinai siciliani avevano portato ad Alessandria la notizia che tre notabili del Regno assai prossimi a Federico II - evidentemente il F., Pandolfo di Fasanella e Giacomo da Morra - erano stati indotti dal papa a organizzare una congiura contro l'imperatore svevo con la promessa della Toscana, della Puglia e della Sicilia. Questo permette di capire quali voci, fomentate evidentemente dai sostenitori dell'Impero, circolassero sui partecipanti al complotto. In ogni caso la punizione inflitta al F. rimase a lungo impressa nella memoria degli abitanti del Regno: alla fine del secolo Bartolomeo de Neocastro la ricorda ancora come esempio emblematico della crudeltà di Federico (Hist. Sicula, p. 4).
Il F. dovette morire tra la fine di luglio, data a cui risale il menzionato bando imperiale con cui si annuncia la pena inflittagli, e l'inizio di settembre del 1246. Non lasciò eredi diretti: il 22 marzo 1247 Innocenzo IV concesse a Guglielmo e a Riccardo Francesco, nipoti del F., e a Ottone di Laviano, di subentrare nella sua eredità.
Fonti e Bibl.: Bartholomaeus de Neocastro, Historia Sicula, a cura di G. Paladino, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XIII, 3, p. 4; Petri de Vineis… Epistolarum… libri VI, a cura di J.R. Iselius, Basileae 1740, II, 20, pp. 276 ss.; J.L.A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Friderici II imperatoris, Paris 1852-61, IV pp. 312, 365; V, pp. 122 s., 214, 276, 316; VI, pp. 65, 85, 88, 134, 139, 166, 181, 197, 223, 227, 229, 352 s., 395 s., 403, 411, 413, 438-441, 458; Annales Placentini gibellini, a cura di G.H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Script., XVIII, Hannoverae 1863, p. 492; Rolandinus Patavinus, Chronica, a cura di P. Jaffé, ibid., XIX, ibid. 1866, pp. 70, 73, 77-79; Annales S. Iustinae Patavini, a cura di P. Jaffé, ibid., pp. 157 s.; Matthaeus Parisiensis, Chronica maiora, a cura di H.R. Luard, in Rerum Britannicarum Scriptores, LVII, 4, London 1877, pp. 107, 570, 575 s.; Acta Imperii inedita saeculi XIII, a cura di E. Winkelmann, Innsbruck 1880-85, nn. 367, 370 s., 379, 725; P. Collenuccio, Compendio de le istorie del Regno di Napoli, a cura di A. Saviotti, Bari 1929, p. 136; J.F. Böhmer, Regesta Imperii, a cura di J. Ficker - E. Winkelmann, V, 1-3, Innsbruck 1881-1901, nn. 1947, 2436b, 3359, 13283, 13284b; V, 4, a cura di P. Zinsmaier, Köln-Wien 1983, nn. 1947, 3359, 3362, 3418, 3430, 3438, 3443, 3551, 3565, 3579; J. Ficker, Forschungen zur Reichs- und Rechtsgeschichte Italiens, Innsbruck 1868-74, ad Indices; K. Krauth, Die Verschwörung von 1246 gegen Friedrich II. und die damaligen Zustände im sizilischen Königreich, phil. Diss. (dattiloscritto), Heidelberg 1922, passim; K. Hampe, Papst Innozenz IV. und die sizilische Verschwörung von 1246, in Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, phil.-hist. Kl., 1923, n. 8; M. Schipa, Sicilia e Italia sotto Federico II di Svevia, in Archivio storico per le province napoletane, LIII (1928), pp. 100 ss.; M. Ohlig, Studien zum Beamtentum Friedrichs II. in Reichsitalien von 1237-1250, unter besonderer Berücksichtigung der süditalienischen Beamten, Kleinheubach 1936, pp. 61, 63, 66 s.; E. Kantorowicz, Federico II imperatore, Milano 1976, pp. 521 s., 638, 693, 740, 743; E. Cuozzo, La nobiltà dell'Italia meridionale e gli Hohenstaufen, Salerno 1995, p. 159.