Vedi TEBE Ftie dell'anno: 1966 - 1973
TEBE Ftie (Nea Anchialos) (v. vol. vii, pp. 657 ss.)
Fiorente cittadina costiera di 3500 abitanti dell'eparchia di Volos, nel nòmos di Magnesia. Si trova ad una distanza di circa 18 km da Volos e sulla strada Volos-Almiros-Lamias-Atene; il nome Nea Anchialos risale al 1906-7, quando si trasferirono qui i profughi greci da Anchialos di Bulgaria. Prima la regione si chiamava Kainourio o Kokkina.
La località sulla quale è stata costruita la nuova cittadina presenta, dal punto di vista archeologico un grande interesse, perché qui sono esistite due importanti città cioè la Pyrasos omerica e la T. paleocristiana. Pyrasos, la cui acropoli, come si è constatato, si trovava sulla bassa collina all'estremità della città, era una delle tre città menzionate da Omero nell'Iliade, come appartenenti a Protesilaos (Il., ii, 695). Tracce di questo periodo sono state messe in luce da scavi fatti durante gli ultimi anni soprattutto sulla collina dell'acropoli di Pyrasos. Durante i secoli classici e posteriori, Pyrasos, sotto lo stesso nome, fu il porto di Tebe Ftie che si trova su di una collina ad una distanza di pochi km verso O, accanto al villaggio attuale di Mikrotebe. Dopo la distruzione di T. da parte di Filippo V, nel 217 a. C., gli abitanti sopravvissuti si trasferirono nel porto della loro città che aveva subito la stessa sorte. Pyrasos col tempo ritrovò il suo regolare ritmo di vita. In seguito, secondo le testimonianze epigrafiche, assunse, al massimo dal II sec. d. C., il nome T.; la città arrivò durante l'età paleocristiana e fino alla fine del VII sec. circa ad un altissimo livello dal punto di vista culturale e politico. Questo è dimostrato dal gran numero degli edifici trovati che a causa delle loro grandi dimensioni e della loro ricca decorazione sono stati classificati tra le migliori creazioni dell'arte cristiana. Molte lastre di terracotta con epigrafi ἐκκλεσίας Θηβῶν trovate durante gli scavi testimoniano il nuovo nome della città antica; alla fine del VII sec. d. C. o al massimo all'VIII sec. cessa la vita nella regione di T. cristiana, indubbiamente a causa della totale distruzione della città da parte di invasioni barbariche. Ritrovamenti posteriori a questa epoca non sono stati fatti in questa regione.
Durante l'epoca del trasferimento dei profughi bulgari in Nea Anchialos (1906-7) le rovine di molti edifici paleocristiani e, soprattutto, grandi parti delle fortificazioni dell'antica città si vedevano ancora in superficie. Sfortunatamente queste rovine furono usate come materiale da costruzione per le esigenze della nuova città.
Sulla base dei resti delle fortificazioni che si vedevano allora e di quelli trovati durante i lavori per le nuove fondamenta, si è tentata una ricostruzione topografica, di una certa esattezza, dell'andamento delle mura dell'antica città. Queste mura circondavano l'acropoli della Pyrasos omerica e gran parte della città paleocristiana ad O e a S dell'acropoli fino al mare e al piccolo porto. Tenendo presente che nel periodo romano, durante la pax romana, la fortificazione della città era una cosa inutile possiamo accettare l'ipotesi che le mura della T. cristiana fossero costruite o almeno avessero preso la loro forma finale durante la prima metà del VI sec. d. C. all'epoca di Giustiniano I (527-565 d. C.). È noto che sotto questo imperatore molte città e importanti località furono fortificate mentre molte mura anteriori furono restaurate. Notevole è il numero delle costruzioni dell'età tardo-romana e paleocristiana, accertato entro il peribolo delle mura. Di queste, otto parzialmente o totalmente sono state scavate finora. Oltre alle mura esistono importanti edifici appartenenti a questi due periodi, come la Basilica D a NO della città, un'altra basilica verso la campagna ad O, una villa accanto al mare, pavimenti a mosaico ad E della Basilica B, ecc. Gli scavi sistematici che durano da anni, finanziati soprattutto dalla Società Archeologica di Atene, mettono gradualmente in luce i bellissimi monumenti dell'antica città della T. cristiana. Questi scavi durante il periodo dal 1924 al 1956 si sono svolti sotto la direzione del Prof. G. Sotiriou, mentre durante il periodo che va dal 1960 ad oggi sono diretti dall'eforo alle antichità bizantine P. Lazaridis. Va segnalata anche la campagna di scavo eseguita durante il 1956 da D. Theocharis sulla collina della Pyrasos omerica.
Durante queste ricerche sono state aperte tre trincee, una sul pendio S-E della collina e due in quello O e si è constatato che un terzo di questa collina era artificiale con una stratificazione di circa m 9, formata da stanziamenti successivi. Ad una piccola profondità esistevano tracce di edifici e resti ceramici e architettonici di età classica e geometrica; lo strato immediatamente inferiore appartiene all'Età del Bronzo. In questo strato è stata trovata parte di una costruzione in pietra sotto il pavimento della quale era una tomba di bambino. Sono stati raccolti frammenti ceramici di questa epoca. Ancora più in basso è stato accertato uno strato di età neolitica dello spessore di m 2,60. Questo strato presenta quattro fasi successive, e ci ha dato frammenti ceramici dipinti, vasi monocromi, vasi del periodo di Sesido, idoletti di terracotta, un sigillo di steatite e un frammento di vaso neolitico, del tipo Urfirnis. Alla fine del periodo neolitico appartiene una phiale del tipo di Raclunani (crusted-ware).
Sul pendio orientale della collina una stipe ha dato molti frammenti di vasi, conchiglie e ossa animali. Un ritrovamento casuale e un saggio nella regione della Basilica li hanno messo in luce frammenti dell'epoca micenea e anche molti frammenti monocromi indigeni di stile mesoelladico.
Il ritrovamento ha grande importanza perché conferma la tradizione omerica che menziona Pyrasos come una delle città del regno di Protesilaos.
Basilica A: si trova ad O dell'acropoli di Pyrasos, all'angolo della strada Volos-Almyros; fu scavata durante gli anni 1924-28; più tardi, altri lavori hanno messo in luce diversi edifici aggiunti. È una basilica a tre navate, di tipo ellenistico (dimensioni m 60 × 34), con una grande abside semicircolare nello hieròn, un nartex e un grande atrio con una serie di colonne, il lato O del quale forma un semicerchio (cfr. pianta, vol. vii, fig. 777). Lungo il lato O è stato scoperto uno stilobate sul quale si vedono ancora basi di colonne. Questo stilobate apparteneva ad un portico usato come pròpylon della basilica. A N dell'atrio vi è un ambiente, in funzione di battistero, che in pianta ha la forma di un parallelogramma rettangolare con un'abside semicircolare iscritta sul lato O, e una vasca battesimale ottagonale, mentre a S un altro ambiente disposto simmetricamente e della stessa forma in pianta era uno skeuophylakèion. Da una terma con ipocausti, le rovine della quale sono state trovate sull'angolo NO, proveniva l'acqua, mediante tubi di terracotta, al battistero e alla fontana (phiàle) che si trova addossata al muro orientale dell'atrio. Il corpo longitudinale (lungo m 29 e largo 20), era diviso da due serie di colonne che arrivando fino al muro orientale riducevano il bèma all'ampiezza della navata centrale. Sfortunatamente il bèma è stato trovato in cattivo stato di conservazione; da certi elementi scoperti in situ è stato possibile il disegno ricostruttivo. La traccia a forma di croce nel mezzo dell'ambiente testimonia il posto dell'altare coperto da un ciborio. Inoltre i banchi a gradini dei presbiterî a N e a S dell'altare, in forma di Ø e le tracce, nel mezzo del diametro dell'abside, della cattedra del vescovo, determinano la forma del sỳnthronon. Infine grandi blocchi (altezza 0,27; larghezza 0,70) di marmo bianco, con il lato esterno decorato da kymàtion ci danno la forma della solea, cioè della divisione del sacro berna, l'ingresso della quale, la "Porta bella", aveva un arco marmoreo su colonnine. Sono stati trovati molti pezzi di pilastrini e frammenti della solea: di questi, come anche di tutte le membrature marmoree della basilica è stato cominciato sistematicamente il restauro dal 1959. Davanti alla solea accanto alla serie di colonne meridionali è stata trovata in situ la base marmorea di forma semicircolare (altezza m 0,25) dell'ambone. Con l'aiuto degli altri pezzi raccolti tra le rovine è stato possibile ricostruire la forma rotonda sopra sei colonnine con base, e con un ciborio circolare, appoggiato sopra tre colonnine tortili.
La ricca decorazione scultorea lavorata con particolare cura e finezza, fa dell'ambone della Basilica A un eccezionale esempio della scultura del V sec. d. C.
Il pavimento della basilica era coperto da lastre marmoree rettangolari di grandi dimensioni; in certe parti però, come per esempio la navata settentrionale, il battistero, lo skeuophylakèion e altrove, il pavimento aveva anche mosaici con grandi tessere, soprattutto di pietra, e a disegni geometrici; questi pavimenti sono stati restaurati e rafforzati nel 1969.
Va sottolineato che i pavimenti della Basilica A appartengono al secondo periodo, perché durante i lavori di sistemazione del monumento nel 1969, è venuto in luce davanti alla solea un altro pavimento più basso di m 0,25/0,30 rispetto a quello attuale. Dal numero delle colonne e da altri elementi ritrovati si può dimostrare che la chiesa aveva anche un matroneo.
Dalla basilica provengono moltissime membrature marmoree, architettoniche e decorative, così come altri oggetti, vasi di terracotta, lampade, monete, oggetti di piccole dimensioni, di metallo, vetro, ecc. Va sottolineato che questo materiale presenta una grande varietà di soggetti (con prevalenza di quelli di tradizione ellenica) il che testimonia della fioritura della vita culturale della città; la creatività, il plasticismo, che ricorda l'arte classica, accanto al linearismo tipico dell'età teodosiana oltre ai quattro tipi di capitelli e ad altri elementi che non hanno niente in comune con l'arte di età giustinianea, ci permettono di datare la Basilica A alla metà del V sec. d. C. e la classificano tra i più importanti elementi di età paleocristiana, allo stesso livello con le costruzioni di Salonicco e di Costantinopoli.
Terme: ad una distanza di 6 m circa dall'angolo NO della basilica A sono state messe in luce, come abbiamo già detto, rovine di terme con ipocausti, costituite, a quanto si vede oggi, da cinque ambienti dei quali uno circolare, coperto sicuramente da una cupola. Questi ambienti corrispondono a quelli di terme romane. sono cioè il tepidarium, il calidarium, il laconicum, il frigidarium, il praefurnium, ecc. L'importanza di questa costruzione è evidente, da una parte perché costituisce un esempio ben conservato di terme paleocristiane, dall'altra perché è collegata, nella Basilica A, al battistero, alla fonte e allo skeuophyiakèion, dove trasportava acqua calda e fredda.
Case: rovine di case sono state scoperte ad una distanza di 50 m a N della Basilica A. Sono costituite da un cortile con pròpylon e due colonne a fusto liscio, ambienti ai lati del cortile, soglie, un pozzo ben costruito, con una trave marmorea con l'epigrafe ΟΡΕΣΤΟΥ ΠΙΓΙ ΖΟ[Ω]ΝΤΟΣ (si riferisce all'acqua), pezzi di una tavola marmorea, pìthoi ecc.
costruzioni ad oriente della basilica A: ad E della basilica è stato scoperto un grande portico formato da colonne e muri sul lato orientale. La lunghezza di questo portico è di circa m 36 mentre la larghezza è asimmetrica. Il portico è in collegamento con i recinti laterali della basilica. A N di questo portico è stato trovato un cimìtero che contiene tombe familiari e individuali coperte da lastre o da frammenti di membrature architettoniche provenienti dalla basilica. Quelle familiari sono costruite al livello del pavimento della basilica. Per conseguenza queste tombe ad inumazioni appartengono a due epoche: prima della distruzione della basilica (tombe familiari) e dopo la distruzione (tombe singole), le quali arrivano fino all'VIII secolo. Davanti al muro occidentale delle tombe di famiglia era una stele con una croce scolpita e un buco quadrato sulla sua superficie superiore. Davanti alla stele c'era un bacino marmoreo rotondo. Si tratta probabilmente di usi funerarî dell'epoca (banchetti funebri ecc.). Delle epigrafi raccolte la più importante (Praktikà, 1955) è databile al VI sec. d. C.
La sistemazione dell'ambiente che si vede oggi ad E della Basilica A deve appartenere al secondo periodo perché durante gli scavi del 1969 è stato scoperto immediatamente prima dell'abside dello hieròn, e alla profondità di m 1,50, un altro pavimento di lastre di terracotta (dimensioni 0,43 × 0,43).
Ancora più ad E, cioè fuori di questo complesso, è stata scoperta (lunghezza m 120 e larghezza media m 3,40) una strada lastricata con lastre di pietra rossiccia disposte regolarmente. Lungo i lati di questa strada, sono venute in luce le rovine di magazzini con portici e serie di colonne nella facciata, pozzi, fognature ecc. Un grande tubo di fognatura di sezione quadrata e di un'altezza interna di m 0,90, coperto da lastre simili a quelle della strada, inizia da O, parallelamente con il lato meridionale della Basilica A, si piega al suo angolo N-E e continua sotto la pavimentazione della strada, dirigendosi verso il mare. Si tratta di una parte del sistema centrale delle fognature della città paleocristiana.
edifici a sud della basilica A: circa m 50 a S della Basilica A sono state scoperte le rovine di un gruppo di edifici; sono state identificate due sale di terme con ipocausti (calidaria) con il forno ad O, il frigidarium e probabilmente il laconicum. Altre rovine si susseguono alle terme e appartengono probabilmente alla palestra, al ginnasio o ad altri edifici pubblici. Dalla tecnica costruttiva e dai ritrovamenti queste terme risalgono ad età tardo-romana, conservate e usate però anche in età tarda, all'epoca della fioritura della basilica.
Basilica B: si trova circa 200 m a N-E della Basilica A sulla strada Volos-Almyros tra l'acropoli di Pyrasos e il piccolo porto. L'esistenza della Basilica B è stata verificata da un saggio fatto nel 1926; fu scavata durante gli anni 1928-29 da G. Sotiriou, mentre durante il 1960 fu completato lo scavo del lato settentrionale del Dakaris.
La Basilica B ha tre navate di tipo ellenistico, di lunghezza complessiva di m 45,70 e larghezza di m 24 con nartex, atrio e battistero ad O di questo, pròpylon, skeuophylakèion e un focolare appoggiato al lato meridionale e costruzioni, probabilmente case dei sacerdoti, ad E dello hieròn; lungo il muro settentrionale e ad una distanza di m 1,80, è stato scoperto un tubo di fognatura di m 44 di lunghezza di sezione quadrata e di altezza di m 0,70 e larghezza di m o,6o coperto da lastre grezze di granito e schisto. Dagli oggetti ivi rinvenuti risulta che questo era più antico della basilica perché durante la sua costruzione furono obbligati a cambiare la direzione del muro settentrionale nella sua metà occidentale, per non distruggere il tubo che era ancora in uso. Tra la conduttura e la basilica esisteva una strada di terra battuta con piccoli pezzi di tegole, che conduceva alla porta recentemente scoperta dell'ambiente settentrionale dell'atrio. Il battistero, che occupa tutta la lunghezza del lato O della costruzione, è contemporaneo a questa ed è diviso in due parti disuguali: l'ampio katecumenèion verso N con un ingresso a due porte dall'ambiente settentrionale dell'atrio, e il più piccolo photistirìon con la sua vasca battesimale verso S. Le membrature architettoniche e decorative sono state trovate distrutte e quasi calcificate, il che dimostra che questa costruzione è stata distrutta dal fuoco. Cambiamenti e aggiunte fatti dopo la distruzione mutarono la pianta originale del monumento; si nota la sistemazione dell'ampio pròpylon (m 7,40 × 4,10) con tre colonne sul lato meridionale della basilica, che era stata imposta certamente dal desiderio di creare una facciata verso il porto. Probabilmente l'epigrafe con il nome del ben noto vescovo di T., Elpidio, e del suo diacono Stefano, dell'anno 538 d. C., si riferisce a restauri della basilica o alla costruzione di annessi.
Mediante un maestoso ingresso a tre aperture si passa dal nartex alla navata centrale; le due serie di 8 colonne sopra un alto stilobate (altezza m 0,42 nella navata centrale e m 0,50 ai lati), ricoperto da lastre di marmo, arrivano fino al muro orientale, e così riducono anche qui come nella Basilica A il bèma alle dimensioni della navata centrale. Dalle grandi dimensioni delle colonne (altezza m 3,70, diametro o,6o), come anche dal mancato ritrovamento di colonne più piccole si deduce che la Basilica B non aveva matroneo al secondo piano. Il pavimento della navata centrale è ricoperto da lastre marmoree di grandi dimensioni (m 2,20 × 0,87) mentre quello delle navate laterali, da lastre di terracotta (dimensioni m 0,50 × 0,50 × 0,05). La parte meglio conservata della Basilica B è, fortunatamente, il bèma. Dallo studio degli elementi ritrovati è stato possibile ricostruire la pianta. Particolare importanza ha la disposizione delle parti del bèma e soprattutto del sýnthronon, che ha la forma abituale semicircolare tipica dell'abside delle chiese paleocristiane (e anche della Basilica F che vedremo) ma ha la forma rettangolare ricavata nel diametro dell'abside, su pavimento sopraelevato, come abbiamo visto anche nella Basilica A.
Due alte basi circondate da balaustre alle quali si accedeva mediante quattro gradini, costruite lungo le serie di colonne ai due lati dell'altare, erano riservate ai presbiteri. Così il sỳnthronon formava una grande Π nel mezzo della quale si elevava, sopra quattro colonne con capitelli corinteggianti, il ciborio che copriva l'altare. Il pavimento dello hieròn era coperto da piccole lastre marmoree bianche e blu scuro che formavano semplici disegni geometrici. Su una di queste piccole lastre è stato trovato inciso il nome Onesimos, probabilmente colui che aveva finanziato il pavimento. La solea (cioè l'elemento separatorio) formata da stilobate, piccoli pilastri e balaustre, racchiude uno spazio rettangolare (m 6,40 × 4,50), al lato O del quale si trova una grande porta, probabilmente a forma di ciborio con quattro colonne di bel marmo rosso.
Molte membrature della decorazione marmorea e scultorea della Basilica B, pare che provengano da altre costruzioni più antiche della fine del IV sec. o dell'inizio del V sec. d. C. Per esempio capitelli ionici di buona fattura con il proskephalèon a foglie d'acqua scolpite a rilievo bassissimo, kymàtion ionico nella stessa tecnica e volute profondamente incise secondo i modelli romani. Esistono però anche capitelli di un lavoro meno accurato senza plasticità, e con una forte schematizzazione, tecnica usata durante il VI secolo. Però sono stati usati anche capitelli corinzî e alti pulvini, che possono essere distinti in quattro specie: semplici, senza decorazione; con il monogramma entro una corona di foglie di alloro in forte rilievo, simili a quello del V sec.; con croci a braccia uguali, iscritte in un cerchio ad ogni parte del quale due pseudo-acanti con foglie rotonde oppure con due semifoglie di acanto. Importante decorazione scultorea presentano anche le balaustre marmoree, le quali dallo stile, dai motivi decorativi e dalle dimensioni si possono classificare in tre specie.
Dal tipo della costruzione, dalla disposizione delle membrature e della decorazione scultorea la Basilica B può essere datata alla fine del V secolo. È però indubbio che essa ha subito restauri durante il VI secolo probabilmente sotto il vescovo Elpidio intorno al 588, come apprendiamo dall'epigrafe sopra citata.
gruppo di edifici pubblici: le rovine di un gruppo di edifici di pubblico uso, certamente appartenenti all'agorà della città antica, sono stati scoperti sul pendio S-O della collina dell'acropoli di Pyrasos, tra le Basiliche A e B. Lo scavo di questo complesso, cominciato nel 1960, continua ancor oggi sotto la direzione del Lazaridis.
Ci si soffermerà solo sui punti più generali dei risultati finora acquisiti.
Il risultato più importante che si ricava dall'esame delle rovine messe in luce è che qui abbiamo una serie continua e senza lacune di fasi costruttive disposte in strati successivi, o isolati (quando si tratta di nuove costruzioni indipendenti da quelle anteriori), o in relazione ad altri - quando si tratta di zone con continuità di vita. Almeno otto fasi costruttive sono state individuate fino adesso; bisogna però notare, come osservazione generale, che per la continuità costruttiva e a causa della piccola acropoli micenea soprastante, i materiali di piccole proporzioni non sono elementi sicuri per la datazione di ciascuna di queste fasi. Per esempio sono stati trovati frammenti micenei in strati più alti di quelli romani o paleocristiani. Si potrebbe dire che questo complesso, in corso di scavo, costituisce un archivio della vita dell'antica città dall'epoca in cui essa era il porto della vicina Tebe Ftie, fino alla sua distruzione, durante l'VIII sec. circa d. C.
Poiché gli scavi sono ancora in corso, mentre gli elementi scoperti non sono sufficienti, è difficile dare una pianta completa e particolareggiata della zona in ciascuna delle sue fasi; però si può accennare con molta certezza ad una costruzione termale appartenente probabilmente alla terza fase costruttiva, databile al III sec. a. C.; ad una costruzione innalzata sopra la precedente e che potrebbe essere datata ai primi secoli d. C. e ad un enorme edificio quadrato costruito durante il V o VI sec. d. C., sopra le rovine di edifici delle fasi precedenti. Al primo edificio trovato ad una profondità di m 2,70 appartiene un edificio termale circolare e una stanza a N-E di esso con pavimento a mosaico. Dalla tecnica costruttiva, dalla disposizione delle sue membrature e da diversi altri elementi, risulta che questa costruzione appartiene alla ben nota categoria delle terme circolari, esempî delle quali sono stati scoperti in Grecia, per esempio a Gortyna d'Arcadia, Eleusi, Eretria, ma anche fuori della Grecia (Italia, Egitto). Le terme circolari (diametro esterno m 6,8o e quello interno m 2,75-2,89) sono separate da due porte in due parti disuguali: 18 vasche di forma trapezoidale sono disposte a raggiera, 7 si trovano nella parte più piccola, a O, mentre nella parte più grande cioè ad E, II segnano la disposizione interna delle terme.
Queste erano coperte da cupola, esternamente protetta da grandi tegole, mentre le sue superfici interne portavano una decorazione a colori, come risulta dai frammenti raccolti con stucco liscio e lucidato, sul quale si conserva ancora colore a volte rosso a volte bianco.
Ciascuna vasca è formata da tre parti: un sedile di altezza di m 0,22 e larghezza m 0,33 sul quale si sedeva il bagnante; il pavimento; una cavità semicircolare ricavata nel punto più basso del pavimento. Il pavimento dell'ambiente circolare interno e dell'esterno così come quello delle 15 vasche era formato da frammenti di tegole messi a coltello, cioè fissati su di uno dei loro lati piccoli (opus incertum). Un'apertura al centro serviva per l'evacuazione sotterranea delle acque. Il pavimento della stanza quadrata a N-O dell'ambiente circolare, era ricoperto da mosaici. Nonostante la sovrapposizione dei muri dell'edificio della seguente fase costruttiva, si sono conservate grandi parti di mosaici, per cui è stata possibile la ricostruzione del disegno. Al centro della sala interna circolare, gran parte della quale è occupata dal pavimento a frammenti di tegole di cui si è detto sopra, esisteva sicuramente un emblema figurato, analogamente ad altri pavimenti simili. La bicromia delle tessere - in bianco e nero - la loro forma regolare, la loro fattura accurata, l'esattezza del disegno, e la sensibilità nella resa dei girali, sono elementi che fanno datare il mosaico alla stessa epoca di costruzione delle terme circolari, cioè prima della distruzione della città nel 217 a. C. L'ingresso a questa stanza con il mosaico avveniva attraverso una porta aperta nell'angolo S-E.
All'edificio della fase seguente, che si è sovrapposta all'edificio circolare e all'ambiente a mosaico, appartiene un complesso di muri che sfortunatamente, dagli elementi finora scoperti, non è stato possibile ricostruire in pianta; dalla tecnica costruttiva e dagli oggetti raccolti è datato ai tre primi secoli d. C.
Infine all'edificio costruito durante il V o VI sec. d. C. appartiene un grande spiazzo quadrato delimitato da muri; ai quattro lati di questo quadrato si trovano quattro portici a colonne rivolti verso l'interno. Del portico meridionale si conserva il pavimento formato da grandi lastre di terracotta; per l'accesso all'edificio di questo periodo fu costruito, sul lato meridionale - messo in luce finora per circa m 67 - una scala di sei grandi scalini monolitici.
Questo edificio che pare fosse usato come agorà della città ha subito molti restauri e cambiamenti fino alla sua distruzione finale per incendio. Durante l'ultima fase della sua esistenza furono abolite le serie di colonne che davano verso l'atrio e furono sostituite da un muro continuo sul quale furono incorporate le basi marmoree rimaste in situ. Va notata infine la fitta rete di condutture di fognatura che si stendeva in ogni parte della costruzione.
Mègaron del Vescovo: si trova a circa 100 m a O della Basilica A, verso il lato E della strada Volos-Aemyros; fu scavato da G. Sotiriou, negli anni 1935-39. Si tratta di un edificio a due piani, come risulta dalle scale e da altre membrature architettoniche e decorative messe in luce, volto verso E, cioè verso la Basilica A e racchiuso entro un recinto a pianta trapezoidale, all'interno del quale si formarono ambienti usati senz'altro come abitazione del personale domestico o per altri usi domestici. Un cortile lastricato conduce ad un ingresso pavimentato a lastre di marmo attraverso un'entrata a tre porte, al centro del quale è stata scoperta una phiàle di calcare (atràkios); ai lati dell'ingresso si dispongono simmetricamente ambienti quadrati dei quali quello a sinistra era provvisto di un altro ingresso a tre porte; dall'ingresso centrale si entrava in una grande sala rettangolare con due colonne sul suo asse e con due stanze sui lati lunghi. Dal grande numero dei frammenti di pavimento a mosaico raccolti, si suppone che molte di queste stanze del primo piano e probabilmente anche quelle del piano superiore fossero coperte di mosaici. L'edificio portava una ricchissima decorazione scultorea, come dimostrano frammenti scoperti durante lo scavo, gli stipiti e l'architrave delle porte, le balaustre, i capitelli ecc., mentre il grande numero di frammenti di fini lastre, dimostra che i muri ne erano rivestiti. Molti degli elementi raccolti potevano essere datati alla fine del V o al principio del VI sec. d. C.; alcuni si datano anche al VII secolo. Questo fatto, come anche la differenza notata nella tecnica costruttiva dei muri in una parte dell'edificio, ci fa pensare che il primo monumento apparteneva all'epoca tardoromana e in seguito, mediante cambiamenti e aggiunte fu conservato. fino al VII secolo. Questo mègaran, che segue piuttosto il tipo dei mègara ellenistici con alcune variazioni, doveva essere usato probabilmente come abitazione del vescovo della città paleocristiana di T., ipotesi convalidata anche dalla decorazione a croce di certe membrature marmoree appartenenti a questo edificio.
Basilica Γ: questa basilica, la più grande e la più ricca di tutte quelle conosciute a Nea Anchialos, si trova circa m 120 a S-O della Basilica A entro una zona abitata, appartenente a privati; a questo fatto sono dovute la lentezza e le interruzioni dello scavo, diretto da G. Sotiriou, dal 1929 fino al 1954, che ha messo in luce parti della navata meridionale, dell'atrio, di un doppio nartex e della estremità O della navata centrale. È stata possibile, nel 1969 la continuazione dello scavo sotto la direzione di Lazaridis. La lunghezza totale del monumento scavato finora è di m 68, con una larghezza di m 39. È stata messa in luce la maggior parte del portico lungo il lato meridionale con una sala d'ingresso a quattro porte verso O e una serie di ambienti successivi ed inoltre un ambiente destinato alla fabbrica di tessere da mosaico, per le quali un forno è stato trovato nella parte S del portico. Dalla disposizione generale e dalla tecnica costruttiva risulta che questi ambienti appartengono ad un edificio anteriore alla basilica, datato al IV e V sec. d. C.; furono però annessi ad essa e divennero gli avancorpi del battistero; quest'ultimo può essere identificato con molta probabilità a S dell'atrio. A N di questo complesso è stato messo in luce il portico meridionale dell'atrio, del quale la serie di colonne settentrionale è stata trovata incorporata in un muro posteriore, cosa che spiega come durante l'ultimo periodo, prima della distruzione, quando l'atrio aveva cessato di essere un elemento organico della basilica, questo portico possa essere stato isolato e usato per altri scopi. È stato liberato anche lo spazio quadrato dell'atrio, tranne l'angolo N-O, i due nartex e la metà O delle tre navate. Infine, è stata messa in luce la maggior parte dello hieròn con l'abside semicircolare. La basilica, almeno nella sua ultima forma, portava serie di colonne, delle quali si può intuire con esattezza la ricchezza e la disposizione generale, poiché tutti gli elementi, cioè basi ioniche, colonne, capitelli raddoppiati, e archi a doppia ghiera di mattoni, caduti sul pavimento della navata settentrionale si sono conservati nella loro forma completa. Si nota anche che su di un mattone degli archi è stato inciso con un oggetto pungente, quando esso era ancora crudo, l'epigrafe: ΝΗΚΑ Η ΤΥΧΗ|ΠΡΑCΙΝΩΝ ΤΩΝ ΟΡ|ΘΟΔΟΞΩΝ fatto collegato con la famosa rivoluzione di Nikas, del 532 d. C. Particolare importanza ha lo hieròn che, nonostante non sia stato scoperto completamente, mostra una disposizione con sỳnthronon semicircolare e l'abside diversa da quella delle basiliche A e B con corridoio tra il sỳntheonon e l'abside; con i gradini dei sedili dei sacerdoti paralleli alla serie di colonne; il ciborio sopra l'altare, del quale è stata trovata in situ una delle basi, l'enkaìnion a forma di croce alla base dell'altare; la pavimentazione a lastre di marmo a grandi dimensioni, ecc.
Se esaminiamo tutti gli elementi enumerati, la grande quantità di pavimenti a mosaico, ricchissimi di temi tratti dal mondo animale e vegetale, eseguiti in ottima tecnica, possiamo attribuire almeno a tre periodi le molteplici membrature architettoniche, ricchissime per forma e decorazione. Si può affermare con certezza che la Basilica Γ è in realtà la più grande e più ricca delle altre e che è costituita da edifici di diversi periodi costruttivi, i più antichi dei quali possono essere datati al IV e V sec. d. C.; essa ha subito molti rifacimenti fino alla fine del VII sec., quando fu distrutta per un incendio. Dall'enorme numero delle tessere vitree, soprattutto dorate, ma anche di altri colori, si deduce che questa basilica aveva anche una decorazione murale a mosaico.
Basilica Δ: si trova fuori delle mura della città, circa 300 m ad O, sopra una piccola collina, che porta il nome di H. Demetrios. Fu scavata da G. Sotiriou, durante gli anni 1933-36. Si tratta di una basilica a tre navate con otto colonne in ciascuna fila, sopra alti stilobati, di altezza m 0,50, ricoperti di lastre marmoree. Queste file di colonne arrivano fino al muro orientale e limitano lo hieròn all'ampiezza della navata centrale, come nella basiliche A e B. Essa presenta però alcune differenze; le più notevoli sono la pianta quasi quadrata del corpo longitudinale, gli ambienti rettangolari lungo i muri longitudinali su ciascun lato dell'abside, che danno alla pianta la forma di croce, e le camere funerarie che si sono create nei quattro ambienti orientali. È notevole lo strano modo di comunicazione degli ambienti all'estremità delle navate laterali, mediante ingressi con tre porte. Dalla disposizione della pianta e dagli elementi venuti in luce, risulta che la basilica era fornita di matronei, o di un secondo piano. Dei pavimenti, quelli della navata centrale e del nartex erano ricoperti da lastre marmoree di colore bianco e blu, con la tecnica dell'opus sectile, che creava grandi e piccole croci, mentre i pavimenti delle navate laterali e dei quattro ambienti quadrati erano ricoperti da mosaici. I mosaci delle navate laterali sono geometrici, cerchi con quadrifogli, inquadrati in trecce. La tecnica è abbastanza accurata, i colori sono pochi e cioè bianco nero rosso e giallo; le tessere sono grandi (0,015-0,02 m) irregolari e qualche volta disposte con un certo disordine. Di una migliore tecnica sono i mosaici dei due ambienti quadrati a ciascun lato del nartex. In quello meridionale una cornice quadrupla circonda dodici quadrati (0,55) divisi per tre in quattro serie, dentro i quali sono raffigurati animali, uccelli pesci e vasi con colori vivaci e ricchi, circondati da rami. Qui, oltre alle tessere di marmo ne esistono anche in pasta vitrea di colore verde vivace. I contorni sono ben segnati, ma nel rendimento delle figure si nota la mancanza di grande finezza. Questi mosaici sono inferiori all'altro mosaico con lo stesso tema della Basilica Γ datato al V sec. d. C. Nell'ambiente N domina un'altra concezione: una larga inquadratura restringe il campo centrale, che racchiude sei rettangoli entro i quali sono figurati animali variamente disposti. Lo spirito della decorazione e l'esecuzione sono gli stessi dell'ambiente meridionale.
Nel mosaico dell'ambiente quadrato che si apre nel muro esterno della navata settentrionale domina un grande cerchio circondato da piccoli quadrati entro i quali si formano trecce, quadrifogli, cerchi, ecc. L'aspetto del mosaico nel suo insieme è una imitazione di un mosaico pavimentale più antico, trovato dentro uno degli ambienti meridionali aggiunti alla Basilica Γ. Importanza per gli usi funerarî paleocristiani presenta lo studio delle camere funerarie, che sono a thòlos.
Delle membrature architettoniche e della decorazione scultorea della basilica si sono conservati pochi pezzi; dall'esame di questi risulta che esisteva un ambone, un trono episcopale, un ciborio e che le balaustre erano scolpite su ambedue i lati.
Dalla disposizione generale dell'edificio, dal modo costruttivo, dalla tecnica musiva e dalla decorazione scultorea si deduce che la Basilica Δ, appartiene all'ultimo momento della città paleocristiana, datata al VII sec. d. C. Dall'esistenza di tombe nella basilica e dal ritrovamento di tombe nella stessa regione si può dedurre che la basilica costituiva la chiesa funeraria della città paleocristiana.
Oltre ai monumenti finora descritti esiste ancora un gran numero di resti archeologici, dentro e fuori le mura dell'antica città. Questi monumenti o erano stati identificati da saggi o erano stati scoperti durante lavori pubblici o privati e soprattutto durante le costruzioni di nuove case. I più importanti sono: una basilica paleocristiana, la quinta della serie, le rovine della quale sono state identificate ad una distanza di 2 km circa ad O di Nea Anchialos dentro un vigneto alla sinistra della strada verso Almyros; una villa del III o IV sec. d. C., parzialmente scavata nel 1962, che si trova accanto al mare e ad una distanza di un km a S-O delle mura dell'antica città; un edificio termale entro le mura ad una distanza di m 70 a N-O del complesso degli edifici pubblici, databile al IV-V sec. d. C. Rovine di un edificio o, forse, di terme, con absidi, pavimentato a mosaici, ora sotterrati, alla curva orientale delle mura del porto; una terma con ipocausto, ad una distanza di 15 m a S-E del bèma della Basilica Γ, della quale certamente costituiva un annesso, scoperta nel 1969.
Una parte di strada coperta da un lastricato di pietra rossiccia - simile a quella che passava ad E della Basilica A - e accanto ad essa uno stilobate con basi ioniche appartenente ad un edificio attualmente sconosciuto, che potrebbe essere datato alla prima età paleocristiana; queste rovine sono state messe in luce nel 1968. Oltre alle tombe isolate che si vanno scoprendo in diversi punti della città, si sono messi in luce gruppi di tombe in quattro località, due dentro le mura e due fuori. Uno di questi gruppi, dentro le mura era la già menzionata necropoli ad E della Basilica A; l'altro gruppo, si trova ad O dell'acropoli di Pyrasos e ad una distanza di m 50 circa a N del complesso degli edifici pubblici; di questo gruppo sono state studiate otto tombe, trovate ad una profondità di 3 m, delle quali tre sono costruite, a cassone una è a semplice fossa e tre sono del tipo molto noto "a cappuccina"; inoltre un sarcofago di pietra tessalica rossiccia (trakìtis), con coperchio monolitico a doppio spiovente. Su uno dei lati lunghi (m 2,05) vi è la tabula ansata mentre sul lato opposto si trova un kàntharos capovolto. La decorazione ricorda i piccoli altari a bucrani e ghirlande di età anteriore con una forte schematizzazione, tra i molti ritrovamenti degni di nota sono un braccio bronzeo, dal polso alla spalla, e una mano sinistra fino al polso, ambedue appartenenti ad una statua femminile, probabilmente di dea, databile alla metà del III sec. a. C.; invece le tombe di cui si è parlato potrebbero essere attribuite al IV e V sec. d. C.
Dei due gruppi di sepolcri fuori le mura uno si trova ad una distanza di m 300 ad E della Basilica B, in località Dòdeka, mentre l'altro è a N del palazzo vescovile, nei dintorni della odierna scuola elementare. Appartengono al primo gruppo cinque sarcofagi con solo tre coperchi, scoperti da tempo nella parte meridionale del pendio della collina; mentre nel 1968 sul pendio N-E della stessa collina sono state rinvenute quattro camere a thòlos, scavate nella collina, contenenti diverse sepolture, due sarcofagi di terracotta, quattro tombe a cappuccina e un'inumazione entro un pìthos. Questo cimitero databile al IV sec. d. C. era abbandonato completamente all'epoca della fioritura della città paleocristiana. Infine nel gruppo di sepolcri situato nei dintorni della odierna scuola elementare, sono stati scoperti: una camera sotterranea costruita a mattoni, con tre arcosoli, di età tardo-romana; cinque tombe a cappuccina, una tomba semplice coperta con lastre, un gruppo di tombe a cassone - sicuramente cimitero familiare - con recinto, una tomba coperta a vòlta, molte tombe di fanciulli a cappuccina, ecc.
Secondo le iscrizioni ritrovate, queste tombe sono state datate al V e VI sec. d. C. Per conseguenza intorno alla prima tomba tardoromana si dovette costituire un cimitero paleocristiano. La chiesa di questo cimitero sarebbe la Basilica B. Si contano a migliaia gli oggetti ritrovati durante gli scavi, nei diversi luoghi. Proveniente da questo ultimo gruppo di sepolture, possiamo menzionare un capitello ionico di età imperiale e un capitello ionico cristiano con ricca decorazione, datato al VI sec. d. C. Gli oggetti raccolti che rappresentano tutte le espressioni dell'arte nei diversi materiali, coprono un periodo cronologico di 11 secoli, cioè dal IV sec. a. C. fino alla fine del VII sec. d. C. Questi oggetti, restaurati, costituiranno tra breve una importante collezione a Nea Anchialos.
È da notare che in nessuna parte fino ad ora sono state trovate tracce di murature che possano essere identificate con il famoso Demetrion, cioè il tempio della dea Demetra, che è menzionato da antichi scrittori (Hom., Il., ii, 695; Strabo, ix, 435; Liv., xxviii, 6).
Bibl.: Per gli scavi: Πρακτικά, 1910, p. 163-201; 1927, pp. 44-50; 1929, p. 63-68; 1930, p. 30-35; 1931, p. 37-43; 1933, p. 46-57; 1934, p. 58-66; 1935, p. 52-69; 1936, p. 57-67; 1937, p. 53-58; 1938, p. 49-52; 1939, p. 53-72; 1940, p. 18 ss.; 1954, p. 143-152; 1955, p. 132-139; 1956, p. 110-118; II, p. 39-41; 1959, II, p. 37; 1960, p. 60-63; 1961, p. 55-62; II, p. 24-30; 1962, p. 36-41; II, p. 14-23; 1963, p. 45-54; II, p. 33-40; 1964, p. 5-23; II, p. 3-10; 1965, p. 10-23; II, p. 3-+6; 1966, p. 8-23; II, p. 3-7; ῎Εργον, 1954, p. 19-21; 1956, p. 41-43; 1960-61, p. 61-67; 1962, p. 49-55; 1963, p. 35-41; 1964, p. 8-14; 1965, p. 9-17; 1966, p. 5-12 e) 179; 1968, p. 3441 e p. 148-149; ᾿Αρχ. Δελτίον, XVI, 1960, parte II, p. 195, fig. 156 a; XVII, 1961-62, parte II, p. 179-182, fig. 199-205; XVIII, 1963, parte II, i, p. 145-147, fig. 176-96; XIX, 1964, parte II, 2, p. 268-273, fig. 308-310; XX, 1965, parte II, 2, p. 326-334; fig. 393-396; XXI, 1966, parte II, 2, p. 264; XXI, 1965, parte II, 2, p. 317; Φιλ. Δελτίον, 1899, VII-X, p. 22-32; 1906, XXI, p. 27-29, 31-35; VII-X, 18, p. 12-14; 1911, p. 32-33, 3, 4, 34, 5, 7, 8-35, 9, 10, 36, 11-37; 10; Bull. Corr. Hell., XIII, 1889, VII-X, p. 22-32; 1906, XXI, p. 27-29, 31-35; VII-X, 18, p. 12-14; 1911, p. 32-33, 3, 4, 34, 5, 7, 8-35, 9, 10, 36, 11-37, 10; Bull. Corr. Hell., XIII, 1889, p. 405, 23, 24; XIV, 1890, p. 243, XV, 1891, p. 562, i; XVIII, 1894, p. 310; XXVI, 1902, p. 380, 76, 77, 78. Inoltre: Dodwell, Classical and topographical tour through Greece, Londra, II, 1802; N. Gheorghiadis, Θεσσαλία Βόλος, 1894; Byzant. Zeitsch., XXI, 1912, pp. 152-168; Byzantinische Neugriechische Jahrbuch, I, 1920, pp. 386-394, 1-18 (in particolare per l'iscrizione del vescovo Steano); Zeitschrift für Gesch. d. Architektur, Beiheft, XIV, 1916, p. 43; B. Doúsmanis, ῾Ιστορία τῆς Θεσσαλίας, Atene 1925; G. Sotiriou, Αἱ Χριστιανικαὶ Θῆβαι τῆς Θεσσαλίας, Atene 1931; D. Theocharis, Πύρασος ἐν Θεσσαλικά, Volo 1959; P. Kizeridis, Iscrioni paleocristiane della Tessaglia che si riferiscono agli ecclesiastici, Atene 1963.