MICROSCOPICA, TECNICA
. È l'insieme delle operazioni che si richiedono per potere osservare al microscopio i minuti organismi, o parti di animali o di piante, di minerali, di rocce, o di altre sostanze organiche e inorganiche.
Cenni storici. - I più antichi microscopî erano costituiti da semplici lenti, montate su sostegni adatti, e l'oggetto da esaminare veniva per lo più sostenuto da un ago o da una pinzetta che potevano essere inseriti sul sostegno e mantenuti alla distanza opportuna. Alcune di queste lenti potevano dare ingrandimenti considerevoli, fino a 250 diametri, come quelle tagliate da A. van Leeuwenhoeck, che fece, col loro aiuto, molte importanti scoperte.
Le prime osservazioni microscopiche sono quelle di F. Cesi e di F. Stelluti, lincei, che ebbero dal Galilei un "microscopio" da lui costruito. Alla voce entomologia sono riprodotte alcune figure di parti di insetti viste al microscopio fatte eseguire dal Cesi per il suo Apiarium. L'oggetto di osservazione preferito era costituito dagl'insetti, e specialmente dalla pulce, tanto che al microscopio si dava anche comunemente il nome di vitrum o conspicillum pulicare. L'osservazione microscopica cessò di costituire una semplice curiosità e divenne un prezioso ausilio delle discipline biologiche, soprattutto per opera di M. Malpighi, N. Grew, A. v. Leeuwenhoeck, J. Swammerdam, i quali, con accurate osservazioni sulla fine struttura degli animali e delle piante, gettarono le basi dell'anatomia microscopica e dell'istologia animale e vegetale. Nel sec. XVIII il microscopio composto divenne di uso comune, e buoni apparecchi furono costruiti, sostituendo agli stativi di legno e di cartone quelli metallici. Vetrini portaoggetti, aghi, pinzette, che potevano essere adattati sul tavolino del microscopio, erano gli accessorî più usati, che venivano forniti insieme all'apparecchio. La tecnica microscopica era tuttavia rudimentale, riducendosi a fare sezioni con l'aiuto di coltelli comuni, di quei materiali, vivi o morti, che più si prestavano. L'esame a luce incidente era il più usato per gli oggetti opachi e varî sistemi di lenti e di specchi erano forniti a questo scopo dai costruttori.
Lo sviluppo della microscopia e la creazione di una tecnica complicata, per rendere osservabili le minute strutture degli organismi, avvenne nel secolo XIX, quando anche la costruzione degli strumenti si perfezionò notevolmente, sia per la parte ottica (lenti acromatiche, obiettivi a immersione), sia per la parte meccanica (viti micrometriche, stativi). Già durante la metà del secolo esistevano buoni testi di micrografia vegetale: fra gli altri quelli di U. v. Mohl (1846), di Th. Hartig (1848) e un poco più tardi quelli di K. W. Naegeli (1867) e di L. Dippel (1867). Durante questo periodo, in continuazione dell'opera dei microscopisti secenteschi, si svilupparono quei rami delle scienze biologiche che nel microscopio hanno il principale strumento di ricerca: l'anatomia microscopica, l'istologia, la citologia, la microbiologia, ecc.
La tecnica delle ricerche microscopiche si perfezionò, sostituendo all'esame degli oggetti interi e viventi, o alle grossolane sezioni, l'osservazione di oggetti uccisi e opportunamente conservati, o tagliati in sottilissime sezioni, e colorati in modo da differenziare i varî elementi costitutivi. A seconda della natura dell'oggetto e delle necessità della ricerca, metodi diversi furono elaborati dagli osservatori (metodi per il tessuto nervoso, per il tessuto connettivo, ecc.; metodi istologici, destinati a mettere in evidenza le differenze fra i varî tessuti, o citologici, destinati a svelare l'intima struttura delle cellule e i loro componenti, ecc.), che sarebbe assolutamente impossibile passare qui in rassegna. Ci limiteremo perciò ad accennare alle manipolazioni più importanti e generali e di uso più comune nella tecnica istologica.
Tecnica istologica. - I microscopî e gli accessorî. - Della costruzione e delle caratteristiche di questi strumenti è detto alla voce microscopio (v.). Qui accenniamo ai tipi principali di microscopî oggi usati nei laboratorî biologici. Il microscopio semplice, o microscopio da dissezione, è tuttora usato molto utilmente per un primo esame del materiale e per la dissezione di piccoli organismi, dai quali si vogliono isolare organi o parti, a cui far subire i trattamenti necessarî per l'esame istologico. Il microscopio composto monoculare è lo strumento di gran lunga più usato: se ne costruiscono moltissimi modelli, dotati di sistemi ottici o meccanici più o meno perfetti e potenti. Obiettivi acromatici sono generalmente usati; gli apocromatici dànno immagini più luminose e hanno maggiore potere di penetrazione. Per i forti ingrandimenti (oltre gli 800-900 diametri) si usano gli obiettivi a immersione omogenea, con oculari compensatori. Gli obiettivi a immersione ad acqua servono soprattutto per lo studio dei minuti organismi viventi nell'acqua (infusorî, plancton). Obiettivi speciali, molto luminosi e in cui l'aberrazione di sfericità è corretta con cura particolare sono usati per la microfotografia.
I microscopî binoculari con un solo obiettivo sono oggi entrati nell'uso comune, e tendono a sostituire l'apparecchio monoculare. Si può osservare con i due occhi, ottenendosi, mercé il giuoco di prismi e la regolabilità dei due oculari, la sovrapposizione perfetta delle due immagini.
I microscopî binoculari da dissezione hanno due obiettivi, dànno un'immagine diritta e stereoscopica, e hanno una grande distanza frontale. Sono perciò molto usati non soltanto per la dissezione, ma per tutte quelle operazioni su piccoli oggetti (embrioni, larve, piccoli insetti, ecc.) che richiedono l'uso d'ingrandimenti abbastanza notevoli e che, per la loro opacità, devono essere esaminati a luce incidente.
Al microscopio possono poi essere adattati altri apparecchi ottici, come polarizzatori (apparecchio di Nicol), spettroscopio, ecc., che servono per ricerche particolari. Di molta importanza è il condensatore paraboloide, che trasforma il microscopio in ultramicroscopio (v. microscopio), con cui si possono studiare i corpi che sono al disotto del limite di visibilità del microscopio, come le micelle colloidali. Questo strumento ha reso utilissimi servizî nelle ricerche fisico-chimiche.
Numerosi e varî apparecchi accessorî servono a facilitare l'osservazione. Oltre a quelli che sono sempre annessi al microscopio stesso e portati dallo stativo (come specchio e apparato condensatore, revolver portaobiettivi, ecc.), si possono ricordare: lampade per l'illuminazione, apparecchi per il disegno (camera lucida, proiettori) o per la fotografia, apparecchi per segnare un punto sui preparati, micrometri (v.), ecc.
Esame a fresco. - L'osservazione di un oggetto può essere fatta "a fresco", o su preparati fissati e colorati. Per le osservazioni a fresco le operazioni preparatorie si riducono a porre l'oggetto da osservare su un vetrino portaoggetti (lastrina rettangolare di vetro spesso1-2 mm. e delle dimensioni, per lo più, di circa 7 × 2,5 centimetri), ad aggiungere una goccia di un liquido atto a mantenerlo in vita (acqua per gl'infusorî, liquidi organici per i tessuti di metazoi, o soluzioni saline a vario titolo, chiamate soluzioni fisiologiche, ecc.) e a ricoprire il tutto con un vetrino coprioggetti. Sono questi lastrine di dimensioni generalmente molto minori dei portaoggetti (i formati più usati sono di mm. 18 × 18; 24 × 32, ecc.) e dello spessore di pochi decimi di millimetro. Per le osservazioni con obiettivi forti, aventi piccola distanza frontale, i vetrini devono essere calibrati, e di spessore tale da permettere una perfetta messa a fuoco.
I liquidi organici (sangue, linfa), le sospensioni, i campioni di acqua, ecc., possono essere facilmente esaminati in tal modo, senza ulteriori manipolazioni. Per mantenere in vita più a lungo piccoli organismi, conviene adottare il sistema della "goccia pendente", che consiste nel porre la goccia su un vetrino coprioggetti, che poi si capovolge su un porta-oggetti munito di un incavo. Frammenti di tessuti non troppo duri possono parimenti essere studiati a fresco, purché vengano "dissociati" con due aghi in modo da ridurli in frammenti abbastanza piccoli da essere trasparenti. I tessuti dissociati, o le gocce di liquidi possono poi essere sottoposti ai trattamenti che descriveremo in seguito, per la fissazione e la colorazione.
L'esame a fresco dei tessuti vivi fu trascurato, quando lo studio dei preparati fissati e colorati rivelò l'intima struttura dei tessuti e delle cellule. È oggi nuovamente valorizzato e molto usato, appunto per controllare sul vivo i reperti ottenuti su materiale fissato, e rende inoltre utilissimi servizî per lo studio della fisiologia cellulare. Si può dire che tutta la complessa e perfetta tecnica delle colture dei tessuti in vitro (v. espianto), sia una derivazione di questo metodo.
Fissazione. - Per ottenere preparati permanenti, non alterabili, occorre innanzi tutto "fissare" i tessuti o gli organi, cioè ucciderli rapidamente e in modo che le strutture e i rapporti fra le varie parti si conservino il meglio possibile. Un buon fissatore deve penetrare rapidamente, per non dare tempo alle cellule di alterarsi, deve coagulare o precipitare i colloidi organici senza troppo alterare la struttura delle cellule e i rapporti fra gli organi, e renderne possibili gli ulteriori trattamenti, cioè la colorazione ed eventualmente la sezione.
I liquidi fissatori sono quelli che precipitano i colloidi organici e li rendono insolubili nei liquidi usati per i trattamenti successivi. Alcool, formalina, sali diversi (sublimato, bicromato di potassio, ecc.), acidi (acetico, picrico, nitrico, cromico, ecc.), tetrossido di osmio (acido osmico) e molte altre sostanze hanno le proprietà richieste, quale più, quale meno accentuata. Per ottenere che i vantaggi e gli svantaggi offerti dalle diverse sostanze si compensino a vicenda, si usano generalmente miscele di parecchi reagenti, e centinaia e centinaia di formule furono consigliate da moltissimi autori, di cui ancora portano il nome (liquidi del Flemming, del Carnoy, del Bouin, del Meves, ecc.). Oltre ai fissatori cosiddetti generali (come miscele sublimato-acetica, sublimato-cromica, cromo-acetica, cromo-osmio-acetica, picro-formolo-acetica), che servono per le comuni ricerche istologiche, si hanno numerosi fissatori indicati per ricerche speciali: per il tessuto nervoso, per il connettivo, per il condrioma, per l'apparato di Golgi, ecc. La scelta del fissatore è inoltre condizionata dalla colorazione che si vuole fare subire al pezzo; per alcuni metodi di colorazione certi fissatori si addicono meglio di altri.
Il pezzo, che deve essere il più possibile fresco, perché la morte altera rapidamente i tessuti, rimane nel fissatore, per un tempo variabile (da pochi minuti a 24-28 ore, fino a settimane o mesi) che dipende dalle dimensioni e dalla durezza del tessuto e dalla natura della miscela. Viene poi lavato in acqua o in altri solventi delle sostanze che compongono il fissatore, in modo da asportarne l'eccesso, affinché non sia pregiudicata la buona riuscita della colorazione, e viene poi sottoposto, quando sia necessario, a quei trattamenti che lo rendono suscettibile di essere sezionato in fette sottili. La colorazione può precedere o seguire quest'operazione.
Sezionamento. - Si usano a questo scopo strumenti speciali chiamati microtomi. Perché il pezzo possa venire tagliato in sezioni sufficientemente sottili (si richiedono in genere spessori che vanno da 5 millesimi di millimetro [μ] a 10-20 μ, raramente meno o più) deve avere una consistenza tale da offrire presa alla lama.
Ciò si può ottenere con la congelazione, che si produce facendo arrivare sotto al pezzo un getto di anidride carbonica, e usando microtomi speciali per tagliarlo. Il metodo della congelazione è utilissimo quando occorra esaminare il materiale nel più breve tempo possibile (diagnosi cliniche, ecc.) e quando non si possa sottoporlo ai trattamenti che si richiedono per l'inclusione, i quali sciolgono alcuni prodotti dell'attività della cellula, e i coloranti vitali (v. appresso). Molto più generale è l'uso d'includere il pezzo da tagliare in una sostanza che si presti a essere sezionata. Si usano soprattutto la paraffina e il collodio (celloidina). Per l'inclusione in paraffina occorre disidratare gradatamente e completamente il pezzo senza indurirlo molto e senza che trattamenti troppo energici lo alterino; ciò si ottiene facendolo passare per la serie ascendente degli alcool (dall'acqua all'alcool a 70°, a 80°, a 90°, a 95°, a 100°). Dall'alcool assoluto il pezzo viene trasportato in un solvente della paraffina (xilolo, toluolo, benzolo) e di qui in paraffina fusa. Lo si lascia nel bagno di paraffina, entro apposite stufette a temperatura costante, per alcune ore, affinche s'impregni bene e il solvente si evapori, e si fa poi solidificare la paraffina col pezzo, dopo averla colata in una formetta. L'inclusione in celloidina si fa invece tenendo il pezzo per vari giorni in una soluzione di celloidina in alcool ed etere, che si fa poi solidificare con alcool a 80°.
I più semplici microtomi a mano hanno oggi un uso assai limitato e servono soltanto ai botanici. Constano di un cilindro metallico cavo, in cui scorre un pistone, che può spostarsi lentamente, avvitandosi a un'estremità del cilindro. All'estremità opposta vi è un piatto, metallico o di vetro, forato. Il pezzo da tagliare viene racchiuso fra due pezzetti di midollo di sambuco o di fegato cotto e introdotto nel cilindro. Avvitando, il pistone può venire innalzato di frazioni di millimetro. Facendo scorrere un rasoio a faccia piana sul piatto, si ottengono sottili sezioni del pezzo. I microtomi oggi esclusivamente usati nella tecnica istologica sono di diversi tipi. I moderni microtomi a slitta constano di un pesante sostegno metallico, che porta una slitta orizzontale, sulla quale scorre un blocchetto di acciaio, il portacoltello, al quale si fissa la lama. Il pezzo da tagliare, incluso, come si è detto, in un blocchetto di paraffina o di celloidina, è fissato su un portaoggetti, che può venire innalzato di frazioni di millimetro (pochi millesimi). Ciò si ottiene o con una vite verticale che spinge il portaoggetti e che si manovra con una manovella graduata, oppure adattando il portaoggetti su un carrello, che scorre su un'altra slitta, obliqua rispetto alla prima. Una vite che sposta il carrello su questa slitta, fa sì che l'oggetto s'innalzi rispetto al filo della lama. L'operatore innalza l'oggetto manovrando con la sinistra, e fa poi scorrere la lama movendo il portacoltello con la destra. I microtomi rapidi, o rotativi, hanno invece la lama fissa, per lo più orizzontalmente; il pezzo viene spostato manovrando con la destra un volante, il quale fa sì che il porta oggetti si sposti per lo spazio voluto e discenda poi sul filo della lama, che ne taglia una fetta. Con questi strumenti si ottengono facilmente serie di sezioni attaccate "a nastro". Nei microtomi a congelazione, che si usano anche per le inclusioni in celloidina, la lama ha un movimento obliquo sul pezzo, e l'innalzamento di questo è pure ottenuto automaticamente, col movimento di una manovella, che sposta la lama.
Le sezioni staccate o a nastro che siano state ottenute col microtomo vengono attaccate su un comune vetrino portaoggetti. Per le sezioni in paraffina gli osservatori usano a tale scopo spalmare il vetrino stesso con albumina, mettere alcune gocce di acqua distillata tiepida, in cui le sezioni si distendono, e lasciare poi evaporare l'acqua a una temperatura capace di fare rapprendere l'albumina, senza che venga disciolta la paraffina. Le sezioni in celloidina invece devono sempre essere trattate con alcool. Si ottengono così serie di vetrini, con le sezioni attaccate, che occorre sottoporre a colorazione.
Colorazione. - La colorazione può essere fatta sui pezzi interi, quando questi siano piccoli e trasparenti a sufficienza per poter essere osservati senza venire sezionati: così si possono colorare minuti organismi (Protozoi, piccoli vermi, Crostacei, Insetti) o piccoli frammenti di tessuti dissociati. Quando invece i pezzi devono venire tagliati, la colorazione può essere fatta prima (in toto) o dopo quest'operazione; in genere l'operazione viene fatta sulle sezioni. La colorazione si basa sull'affinità, più o meno elettiva, che alcune sostanze hanno per certi costituenti cellulari, che rende possibile differenziarli. Anche le molte formule escogitate per la colorazione dei pezzi sono, come quelle per la fissazione, frutto più che altro di tentativi e di ricerche empiriche.
Fra i colori più anticamente usati è il carminio, che si usa sciogliere in acqua e allu̇me o acqua e borace. Colora in rosso i nuclei e in rosa il plasma; dà colorazioni durevoli ed è molto raccomandabile per colorare in toto. Un colorante molto usato, che ha una spiccata affinità per il nucleo, è l'ematossilina, per le cui soluzioni si hanno numerosissime ricette; colora il nucleo in azzurro, tingendo talvolta anche il citoplasma; in preparati mordenzati con allume ferrico (ematossilina ferrica), colora in nero la sostanza cromatica ed è ottima per le ricerche citologiche. Con l'ematossilina e con altri coloranti nucleari si usa quasi sempre dare una colorazione di contrasto per il citoplasma (per lo più con colori di anilina: fucsina acida, eosina, rosso Congo, arancio G, ecc.). Molti colori di anilina sono usati nella tecnica microscopica, se acidi (come quelli ora citati) colorano per lo più il citoplasma, se basici (blu di metilene, verde di metile, saffranina, vesuvina, ecc.) il nucleo; dànno colorazioni brillanti, ma talvolta poco durature. Si usano spesso miscele di due o tre colori (metodi del Mallory, del Pianese, dell'Ehrlich, del Giemsa, ecc.) che hanno affinità per strutture o sostanze diverse, per ottenerne il differenziamento.
Un metodo che ha dato risultati importantissimi, specialmente nello studio dei tessuti nervosi e connettivi, e, generalmente, per mettere in evidenza le strutture fibrillari, è l'impregnazione metallica con sali d'argento o d'oro (nitrato d'argento, cloruro d'oro) che si fanno poi ridurre alla luce, o con miscele riduttrici (formalina, idrochinone, acido pirogallico). Mercé questi procedimenti fu scoperto l'apparato di Golgi, e fu reso possibile lo studio delle ramificazioni ultime delle fibre nervose. Per l'applicazione di questi metodi particolarmente delicati si richiede però una tecnica tutta speciale.
Per la scelta del metodo di colorazione o d'impregnazione, si può ripetere quanto già è stato detto per la fissazione: per ogni sorta di materiale, e soprattutto per ogni genere di ricerca si devono adottare metodi appropriati a mettere in evidenza le particolarità che interessano il ricercatore.
Per colorare la serie di sezioni attaccate sui vetrini, occorre sciogliere la paraffina che le riveste e portare le sezioni nel liquido solvente del colorante (di solito questi sono in soluzioni acquose). Per fare ciò, senza alterare troppo i tessuti, occorrono passaggi graduali per la serie discendente degli alcool. Vengono usati di solito serie di vasetti cilinòrici, contenenti i seguenti liquidi: toluolo (o altro solvente della paraffina), alcool assoluto, a 95°, a 90°, a 80°, a 70°, acqua distillata, e si passano i vetrini dall'uno all'altro vaso, lasciandoli alcuni minuti in ciascuno. Recipienti simili contengono le miscele coloranti.
Dopo la permanenza nel colore nucleare e in quello plasmatico, la cui durata può variare da pochi minuti a molte ore, e dopo il "differenziamento" o decolorazione parziale, che talvolta si richiede (colorazioni regressive), i preparati sono ormai pronti per venire "montati", o chiusi, in modo da costituire preparati permanenti.
Chiusura dei preparati. - Si tratta d'imbevere l'oggetto da osservare, opportunamente colorato, con una sostanza atta a favorire l'osservazione e di coprirlo poi con un vetrino coprioggetti, che deve essere dello spessore adatto agl'ingrandimenti che si vogliono usare.
Fra le molte sostanze che furono usate, la glicerina, le miscele gliceriche gommose, e le resine hanno dato i migliori risultati. Occorre che le sostanze abbiano un indice di rifrazione non troppo dissimile da quello del vetro fra cui vengono interposte, per evitare la dispersione di troppi raggi luminosi, e devono inoltre rendere trasparente il materiale, ma non così che esso divenga difficilmente visibile. Talvolta si usa anche schiarire o "diafanizzare" i preparati molto opachi con glicerina od olî, prima di chiuderli in gomme o resine.
La glicerina, liquido conservatore e rischiarante, ha il difetto di diafanizzare troppo i preparati, rendendoli a lungo andare quasi invisibili, e inoltre richiede che il coprioggetti venga fissato sul portaoggetti con un mastice. Le soluzioni gommose, le gelatine e le resine evitano quest'operazione: solidificando esse fanno aderire i due vetrini, senza bisogno di mastice. Fra tutte la migliore e la più usata è il balsamo del Canada, resina che si estrae da alcune conifere. Deve avere reazione neutra (altrimenti può decolorare i preparati) e si usa sciolto in toluolo o xilolo. Le soluzioni acquose (gelatine, gomme o sciroppi) sono poco raccomandabili, perché di minore durata, e altre resine (sandracca, resina Dammar) non presentano i vantaggi del balsamo. Una miscela di resine sciolte in alcool, messa in commercio sotto il nome di Euparal, è oggi molto usata, perché evita la necessità della disidratazione completa.
Per venire chiusi in balsamo, che non si mescola con l'acqua, gli oggetti devono venire nuovamente disidratati, con il passaggio per la serie ascendente degli alcool, indi rischiarati in xilolo o toluolo. Tolti da questo, si mettono alcune gocce di balsamo sul vetrino, e si ricopre poi con il coprioggetti, badando a non lasciare bolle d'aria fra i due. Non appena il balsamo si solidifica ai margini del coprioggetti e lo ferma, il preparato è pronto per lo studio. Può conservarsi così per molti anni.
Metodi speciali. - Non è possibile accennare agl'innumerevoli metodi creati per ricerche speciali, alcuni dei quali hanno usi piuttosto limitati. Devono tuttavia essere ricordate alcune operazioni, di carattere più generale, come la decalcificazione, l'iniezione, le colorazioni vitali, ecc.
La decalcificazione e il rammollimento sono indispensabili per studiare i tessuti impregnati di sali o difficilmente penetrabili ai fissativi, come le ossa, la chitina, la sostanza cornea, che non si potrebbero tagliare, se non venissero sottoposti all'azione di reagenti capaci di sciogliere i sali e di renderli più morbidi (soluzioni diluitissime di acido cloridrico o nitrico; acqua di Javelle; Diaphanol, ecc.).
Per mettere in evidenza vasi o sistemi di canali o di lacune, si ricorre spesso all'iniezione di sostanze coloranti, sciolte per lo più in un "veicolo" che poi si rapprende (v. iniezione).
Per fare preparati di liquidi organici (sangue, linfa, ecc.) e di tessuti molto lassi e che si possono spappolare (milza, fegato), si usa il metodo degli strisci, consistente nel disporre la goccia di liquido in un sottilissimo velo sul vetrino, strisciando con un altro vetrino o con un ago. Si favorisce l'evaporazione del liquido con il calore; si può poi fissare in alcool o altri liquidi e si colora il vetrino, operando come se portasse le sezioni. In generale non è necessario ricoprire tali preparati con il coprioggetti. I preparati per striscio sono ottimi per lo studio del sangue e dei suoi parassiti, della milza, delle colture di microbî, ecc.
Per fissare e colorare in toto organismi minuti, come Infusorî, Rotiferi, piccoli vermi, occorrono metodi adatti a farli aderire al vetrino, come gli strisci, oppure si può, quando si abbiano a disposizione grandi quantità di materiale (che si raccoglie con la centrifugazione), includere e tagliare.
Le reazioni microchimiche, intese a studiare la composizione chimica dei varî costituenti delle cellule e dei tessuti, richiedono l'uso di reagenti speciali, ad alcuni dei quali si fa cenno nella tecnica vegetale (v. appresso).
Un metodo di somma importanza, soprattutto per lo studio della fisiologia cellulare, è quello delle colorazioni vitali. S'immergono i piccoli organismi in soluzioni diluitissime di alcuni coloranti (colori vitali) o s'iniettano soluzioni più concentrate di questi negli animali più grossi; alcune cellule hanno la proprietà di assumere certi colori, spesso localizzandoli in vacuoli e precipitandoli, e, con osservazioni a fresco, o su materiale tagliato con il microtomo congelatore, o con fissazioni opportune, che non sciolgano il colore, si possono così studiare i processi di escrezione e di secrezione, l'acidità del succo dei vacuoli, la permeabilità delle membrane e altre proprietà fisico-chimiche delle cellule viventi, nonché mettere in evidenza sul vivo strutture (condrioma, apparato di Golgi) che altrimenti sarebbero invisibili. Non di rado però i coloranti cosiddetti vitali sono più o meno tossici, e si parla perciò spesso di colorazioni "supravitali".
Un buon ausilio a queste ricerche microfisiologiche sul vivo è dato dalla tecnica micrurgica, resa possibile dal micromanipolatore.
Il micromanipolatore è uno strumento introdotto di recente nella tecnica microscopica per eseguire, anche a forti ingrandimenti, manipolazioni varie su oggetti microscopici, sia organismi (cellule di Metazoi, Protozoi, batterî, uova, ecc.), sia anorganismi (piccole quantità di sostanze chimiche, minutissimi cristalli, ecc.), i quali vengono sottoposti per mezzo di aghi, pipette o altri microstrumenti, movibili con estrema finezza, a operazioni di dissezione, di iniezione, oppure a influenze diverse chimiche o fisiche. Si suole anche indicarlo con il nome di apparecchio per la microdissezione o "microdissettore" e la sua applicazione ha dato origine a un fecondo nuovo campo di studî di morfologia e fisiologia cellulare: ricerche sul pH in cellule viventi, sul vacuolo contrattile delle amebe, sugl'innesti nei Protozoi, ecc., e a una nuova tecnica assai difficile, che gli specialisti denominano "micrurgia".
I microstrumenti del micromanipolatore vengono spostati nelle tre direzioni dello spazio mediante sistemi di viti finissime, nel campo del microscopio, dove si può quindi operare la dissezione o l'iniezione in cellule o parti delle stesse.
I micromanipolatori più in uso nei laboratorî biologici sono quelli di Janse e Péterfi (C. Zeiss) e di Chambers (Leitz). Il primo, al quale si riferisce la nostra descrizione, consta di una piattaforma pesante ove poggia e si fissa il microscopio e dove poggiano anche i due stativi ausiliarî della micromanipolazione, disposti ai lati del tavolino del microscopio. Su questi stativi due viti principali guidano i grandi movimenti di spostamento; quattro altre viti guidano i movimenti più fini dei microstrumenti. Ogni stativo ausiliario regge i portaaghi, sui quali vengono fissati i microaghi (fabbricati in vetro duro con estremità appuntita per pungere, tagliare, stirare, di spessore variante all'estremità da 1 μ a pochi μ), le micropipette (30 μ), le microspatole, i microstrumenti elettrici (termocauterî, ecc.). Le operazioni si compiono nella maggior parte dei casi in goccia pendente, in una camera umida poggiata sul tavolino traslatore del microscopio, operando quindi con i microstrumenti, che debbono avere la loro estremità piegata dal basso in alto, sugli oggetti resi immobili, in genere per aderenza, sul coprioggetti. È inutile dire che la principale condizione per la buona applicazione del metodo risiede in una preparazione perfetta, quanto a finezza e forma, dell'estremità degli aghi e micropipette. Nelle micromanipolazioni a ingrandimenti elevati o in campo oscuro, o per riprese cinematografiche, è necessario l'uso di apparecchi d'illuminazione e di condensazione speciali.
Bibl.: Numerosissimi manuali e trattati di tecnica microscopica furono pubblicati nelle principali lingue; fra i più recenti e completi ricordiamo: A. Bolles-Lee, The microtomist's vade mecum, Londra 1885, che ebbe numerose edizioni, traduzioni e rifacimenti, di cui il più recente è quello curato da J. B. Gatenby e E. W. Cowdry, Londra 1928; P. Mayer, Zoomikrotechnik, Berlino 1920; R. Krause, Enzyklopädie der mikroskopischen Technik, Berlino 1926-27, 3ª ed., voll. 3; T. Péterfi, Methodik der wissenschaftlichen Biologie, Berlino 1928, I. In italiano esiste l'ottimo trattato di D. Carazzi e G. Levi, Tecnica microscopica, Milano 1916 (3ª ed.) e varî manualetti, fra cui segnaliamo quello di N. Beccari, Elementi di tecnica microscopica, Milano 1916. Sul micromanipolatore, v.: R. B. Howland e M. Belkin, Manual of Micrurgy, New York 1931; T. Péterfi, Die mikrurgische Methodik, in Handb. d. biol. Arbeitsmethoden di Abderhalden, V, ii, Berlino 1924; R. Chambers, A simple apparatus for micromanipulating under the highest magnifications of the microscope, in Science, LIV (19217.
Tecnica microscopica Vegetale. - La tecnica microscopica vegetale possiede in comune con quella animale i metodi fondamentali di ricerca; ma oltre questi ne ha dei proprî che specialmente si applicano allo studio microchimico della membrana cellulare e dei numerosi prodotti di elaborazione della cellula. Le osservazioni al microscopio si possono eseguire su piante vive o anche morte.
Esame su materiale vivo. - Si prestano bene a questo esame gli organismi inferiori, costituiti di una o poche cellule, trasparenti (batterî, mixomiceti, alghe verdi, diatomee, peridinee), nei quali si vogliano osservare i varî tipi di movimento per ciglia, flagelli, pseudopodî, oppure i processi di scissione, di gamia, la formazione dello zigoto, delle spore, dei conidî e la loro germinazione. Per l'esame di questi organismi si adopera l'acqua stessa in cui essi vivono (non l'acqua distillata, che è dannosa) e un portaoggetti per preparati a goccia pendente, perché più adatto per un'osservazione prolungata del materiale. Aggiungendo all'acqua una goccia d'inchiostro di China, secondo il metodo suggerito dall'Errera, gli organismi, specie se incolori come i batterî, spiccano meglio sul fondo oscuro del campo microscopico e lasciano scorgere, oltre agli apparecchi di moto, altre particolarità non rilevabili nella semplice acqua.
L'esame a fresco si pratica anche su tessuti e organi interi di piante superiori, purché trasparenti, per seguire fenomeni importanti, come il movimento del protoplasma nell'interno delle cellule (peli staminali di Tradescantia), lo spostamento dei cloroplasti sotto l'influenza della luce (foglie di Elodea, di Vallisneria), la plasmolisi, la deplasmolisi, ecc. Il metodo della plasmolisi, introdotto dal De Vries fino dal 1877 nella tecnica vegetale, trova molte applicazioni nel campo della fisiologia della cellula: esso ci offre un modo semplice per calcolare il valore osmotico del succo cellulare, per giudicare se un tessuto è vivo o morto, perché col sopraggiungere della morte le sue cellule, modificando le condizioni di permeabilità, non sono più capaci di plasmolizzarsi; inoltre, per stabilire dove si localizzano diverse sostanze (tannini, alcaloidi, ecc.) nell'interno della cellula, se nei vacuoli o nel citoplasma; per compiere infine osservazioni sui rapporti di dipendenza fra i costituenti principali della cellula, citoplasma, nuclei, plastidî.
Anche nella tecnica vegetale, come in quella animale, è stato applicato utilmente il metodo delle colorazioni vitali, impiegando colori varî di anilina, che in soluzioni molto diluite penetrano nell'interno del protoplasma senza danneggiarlo. Come regola generale, nelle piante rimane colorato il succo cellulare dei vacuoli, anzi in molti casi il colore è estratto completamente dalle soluzioni, perché, penetrando nell'interno dei vacuoli e combinandosi labilmente con sostanze ivi esistenti, precipita allo stato insolubile, cessa di agire osmoticamente e permette quindi il richiamo di nuove quantità dall'esterno. In tale modo il Pfeffer, che per il primo sperimentò sulla permeabilità del protoplasma vivo per i colori di anilina, riuscì a spiegare il meccanismo di accumulo nell'interno delle cellule vegetali, impiegando soluzioni di blu di metilene all'1/100.000. Colori estremamente sensibili come il rosso neutro e altri affini permettono di rilevare, in base alla modificazione di tinta, non solo la reazione acida o basica del succo cellulare, ma anche, ciò che è ancora più importante dal punto di vista fisiologico, la coesistenza in alcuni casi di vacuoli a contenuto differente nella medesima cellula. Il Dangeard e successivamente altri autori sono riusciti per mezzo delle colorazioni vitali a scoprire nelle cellule in via di differenziazione dei tessuti meristematici l'esistenza di un sistema di corpi filamentosi isolati o riuniti in reticolo, il vacuoma, donde hanno origine i vacuoli nella cellula adulta. Con le colorazioni vitali si possono rendere evidenti i microsomi nel citoplasma. Il nucleo offre, fra tutti i costituenti della cellula, la maggiore resistenza alle colorazioni vitali; tuttavia, messo a contatto con colori appropriati, come il violetto dalia, il violetto di metile e altri, è capace di assumere una tinta diffusa.
Esame su materiale morto. - Si può fare su vegetali o parti di essi conservati a secco o in liquidi appropriati (migliore di tutti l'alcool etilico), oppure su materiale in precedenza fissato.
Il materiale secco, come p. es. quello di erbario, si può rendere adatto all'osservazione microscopica sottoponendolo, se è delicato, all'azione del vapore d'acqua, oppure, se è resistente, introducendolo direttamente in acqua di cui si eleva a poco a poco la temperatura fino all'ebollizione. Se si tratta di materiale legnoso, lo s'immerge, dopo bollito, per alcuni giorni in una miscela a parti eguali di acqua, glicerina e alcool. I tagli si praticano con un rasoio ordinario a lama piano-concava, adoperando il microtomo a mano, nella cui cavità cilindrica si fissa il pezzo da sezionare fra due branche di midollo di sambuco. Le sezioni si osservano in acqua, oppure, volendone fare preparati permanenti, s'includono in glicerina o in glicerogelatina.
Spesso succede, malgrado le norme indicate, che le sezioni, per la pressione e le alterazioni subite dal materiale al momento del disseccamento, si mostrino brune, con le membrane raggrinzite e col contenuto cellulare contratto, perciò poco adatte all'osservazione. In tale caso è opportuno ricorrere all'azione di rischiaranti chimici (potassa caustica, acqua di Javelle, idrato di cloralio) capaci di sciogliere il contenuto cellulare e d'imbiancare le membrane, senza alterare la compagine dei tessuti. Nello studio del legno talvolta non è sufficiente l'esame delle sezioni trasversali e longitudinali per identificarne i singoli costituenti (trachee, tracheidi, parenchima, fibre), ma si rende necessario isolare tali costituenti con un processo di macerazione che ne disciolga la lamella mediana, com'è quello dello Schulze, che consiste nell'introdurre in una provetta un piccolo frammento del legno da esaminare insieme con acido nitrico concentrato e clorato di potassio e riscaldare fino a rapido svolgimento di bolle. Versando il tutto in un cristallizzatore pieno d'acqua e raccogliendo sul portaoggetti i detriti del legno, si possono col semplice aiuto di due aghi, oppure con la lieve pressione esercitata sul coprioggetti, separare gli elementi e individuare uno per uno.
Meglio del materiale secco, si presta per lo studio istologico e anatomico del caule, della foglia e della radice adulti il materiale conservato in alcool. Le sezioni ottenute come nel materiale secco si montano in glicerina o meglio in liquido di Faure che agisce a un tempo come mezzo includente e rischiarante; oppure si possono colorare, prima d'includerle, approfittando della capacità che hanno le membrane cellulari, di natura chimica differente, di assorbire e trattenere i varî colori adoperati in microscopia (colori di anilina, ematossilina, carminio). Così, p. es., le membrane lignificate si tingono facilmente con la fucsina, il verde di iodio, la safranina, la crisoidina, ecc.; le membrane celluloso-pectiche con l'ematossilina Delafield, col carminio alluminico, il rosso congo, il rosso di rutenio, ecc.; le membrane suberificate e cutinizzate con sudan III e tintura di Alcanna. Una doppia colorazione molto dimostrativa si ottiene impiegando il verde di iodio e il carminio alluminico Grenacher: le sezioni, trattate per 10 minuti con acqua di Javelle, lavate con cura in acqua e poi in acido acetico all'1%, s'introducono per un istante in una soluzione acquosa di verde di iodio, si lavano a lungo in acqua e si passano in carminio alluminico per 15 minuti; si lavano rapidamente in acqua, quindi in alcool a 95°, in cui viene estratto l'eccesso di verde d'iodio, si disidratano in alcool assoluto, si rischiarano in olio di garofani e si montano in balsamo del Canada. Al microscopio esse mostrano un netto contrasto fra il verde degli elementi lignificati e il rosso delle membrane cellulosopectiche. Ugualmente dimostrativa, ma più duratura della colorazione indicata, è la seguente: le sezione dopo una permanenza di 24 ore in una soluzione alcoolica di safranina, si differenziano in alcool debolmente acidulato con acido cloridrico, si sciacquano in alcool, indi in acqua e s'introducono per 20 minuti in una soluzione diluita di ematossilina Delafield; si lavano in acqua, poi in alcool a 95°, si disidratano in alcool assoluto, si rischiarano, si montano in balsamo. Osservate al microscopio le sezioni mostrano gli elementi del legno colorati in rosso, quelli con membrane celluloso-pectiche in viola.
All'esame su materiale fissato si ricorre, quando si devono eseguire ricerche di citologia e di embriologia su tessuti delicati come quelli degli apici vegetativi, delle antere, degli ovarî, ecc. È opportuno prelevare e fissare il materiale sul posto per impedire che si alteri durante il trasporto in laboratorio. I liquidi fissatori impiegati nella tecnica vegetale sono altrettanto numerosi quanto quelli impiegati nella tecnica animale; fra i più usati sono la miscela cromico-osmico-acetica del Flemming, la miseela cromico-acetica, il liquido di Hermann (cloruro di platino, acido osmico, acido acetico glaciale), il liquido di Carnoy (alcool assoluto, acido acet. glaciale, cloroformio), il liquido di Juel (alcool etilico a 50%, acido acet. glaciale, cloruro di zinco). La costituzione di queste miscele è fatta piuttosto empiricamente; un buon fissatore deve avere il pregio di penetrare sollecitamente, di non sciogliere alcun costituente cellulare, di alterare in minimo grado la compagine del protoplasma. Dopo la fissazione, che dura d'ordinario 24 ore, i pezzi sono lavati con cura, disidratati gradualmente, rischiarati in xilolo o toluolo, inclusi in paraffina. Le sezioni in serie, ottenute col microtomo automatico, sono attaccate al portaoggetti e con procedimenti analoghi a quelli indicati nella tecnica animale sono colorate e montate in balsamo. Fra le colorazioni più in uso si possono. indicare:1. quella con ematossilina ferrica di Heidenhain, adatta specialmente per mettere in evidenza i varî stadî della cariocinesi; 2. la doppia colorazione con safranina ed ematossilina Delafield, molto bella per il contrasto che dà fra il rosso del nucleolo, il violetto scuro del reticolo nucleare, il viola grigio del citoplasma; 3. la triplice colorazione del Flemming con safranina che tinge in rosso il nucleolo, violetto di genziana che colora il reticolo nucleare, e arancione G che conferisce al citoplasma una tinta giallo-ranciata.
Un capitolo importante della tecnica vegetale, com'è stato accennato, è quello della microchimica, la quale procura di rilevare al microscopico la natura chimica dei costituenti cellulari (citoplasma, nucleo, plastidî, condriosomi, membrana) e dei numerosi prodotti elaborati dalla cellula nel suo ricambio (carboidrati, grassi, sostanze proteiche, terpeni, resine, tannini, glucosidi, pigmenti, alcaloidi, acidi e sali organici, composti inorganici).
Le reazioni adottate dalla microchimica, di un' estrema sensibilità, si basano in generale sulla possibilità di ottenere prodotti colorati o anche precipitati caratteristici, cristallini o amorfi, da tracce minime di una determinata sostanza, inoltre sono quasi sempre rapide e di facile applicazione, quindi vantaggiose anche in macrochimica.
Tecnica microscopica petrografica. - Per l'indagine petrografica microscopica si adopera il microscopio mineralogico o di polarizzazione che, quanto a lenti e a obiettivi non differisce sostanzialmente dal microscopio comune.
Per ottenere la luce polarizzata vi è un prisma di Nicol (v.) inserit0 tra lo specchio e il condensatore (polarizzatore); un secondo (analizzatore) si trova sotto l'oculare ed è montato su una slitta, cosicché può essere disinserito dal tubo. L'altra caratteristica dell'apparecchio è che il tavolino è girevole. Un microscopio mineralogico deve poter essere trasformato in conoscopio per l'osservazione a luce convergente. Per questo, oltre il comune condensatore a fuoco lungo, ve n'è almeno un altro a fuoco corto. Per osservare le figure d'interferenza si adopera la lente di Amici che viene inserita sotto l'oculare. Esistono poi varî accessori (lamine di gesso e mica, compensatori, ecc.), il cui uso è stato descritto nell'ottica dei cristalli.
L'esame microscopico di una roccia ha per oggetto lo studio dei suoi componenti, della struttura e della tessitura. Per questo scopo dal campione in esame si stacca una scheggia e su questa, mediante polvere di smeriglio di finezza crescente, si ottengono, prima da una parte, poi da quella opposta, due facce ben levigate perfettamente piane e parallele. La lamina, il cui spessore deve essere compreso tra 0,01 e 0,05 mm., viene poi fissata, mediante balsamo del Canada o collolite su un vetrino portaoggetti e protetta con un coprioggetti. In queste sezioni sottili salvo i minerali metallici, quasi tutti gli altri, anche se opachi o intensamente colorati appaiono trasparenti. Si tratta ora di ricavare il maggior numero possibile di dati morfologici e ottici sui varî componenti, e di studiare la loro disposizione, i loro rapporti reciproci, ecc. In genere in una sezione i varî individui dello stesso minerale hanno orientazioni diverse; per un esame delle loro proprietà si cercano, per tentativi, quelle orientate favorevolmente, p. es., parallele a una faccia importante o normali a un asse cristallografico o dell'indicatrice ottica, ecc.
Alcune osservazioni (sul colore, contorno, eventuali tracce di sfaldatura) si possono compiere anche a luce naturale parallela. La luce polarizzata occorre per l'esame del pleocroismo, che si compie col metodo di Tschermak. I varî minerali nella sezione osservata al microscopio presentano un diverso rilievo, che è forte se il potere rifrangente del minerale è notevolmente maggiore di quello del balsamo, nullo se è uguale o quasi, negativo se è minore. Gl'indici di rifrazione possono anche, entro certi limiti, essere determinati indirettamente col metodo della linea di Becke per confronto con minerali noti a contatto o col balsamo o con un liquido di cui si conosca l'indice di rifrazione.
Se la birifrazione è fortissima, questa può talora (p. es., nella calcite) essere già notata a luce polarizzata per il sensibile variare del rilievo, per rotazione del tavolino, da nullo a forte; ma è a nicol incrociati che il fenomeno della birifrazione, nei minerali non monometrici, diviene evidente. È molto utile per il riconoscimento dei varî componenti, fissare la posizione dei piani principali dell'ellissoide rispetto alle tracce di sfaldatura o a uno spigolo importante del cristallo, cioè la direzione di estinzione. Per questo scopo si porta la direzione di riferimento a coincidere con un filo del reticolo di cui è munito l'oculare e se ne legge la posizione, se il cristallo non è estinto, sulla graduazione dell'orlo del tavolino. Poi si ruota questo, finché il cristallo non appare estinto, e si fa un'altra lettura. La differenza tra le due letture è l'angolo di estinzione. Un'altra posizione di estinzione è naturalmente perpendicolare a questa e, per stabilire quale delle due è positiva e quale negativa, si usa la lamina di gesso e di mica. Per la misura della birifrazione ci sono i compensatori, ma di essa si può fare già un primo apprezzamento osservando, su sezioni perpendicolari a uno degli assi dell'ellissoide, i colori d'interferenza essendo tanto più alti, a parità di orientazione e di spessore, quanto maggiore è la birifrazione.
L'esame a nicol incrociati permette ancora di distinguere i geminati anche se le lamelle di geminazione sono molto sottili, perché questi hanno in generale nelle sezioni direzioni di estinzioni diverse. Dà modo inoltre di mettere in evidenza le strutture zonari, di risolvere gli aggregati cristallini, ecc.
Col tavolino di Fedorow, che si sovrappone all'ordinario tavolino, le indagini ottiche sono notevolmente facilitate, perché si può far prendere alla sezione del cristallo qualunque orientazione, entro limiti abbastanza ampî, per modo che diverse osservazioni possono essere fatte su una stessa lamina.
Sulle sezioni sottili private del coprioggetti si eseguiscono anche dei saggi microchimici, per meglio identificare un minerale. P. es., per la sodalite, dopo un prudente attacco con HNO3, una goccia della soluzione nitrica, lasciata svaporare su un vetrino, deposita abbondanti cristalli di salgemma; la nefelina può distinguersi dal quarzo e dall'ortoclasio perché è attaccata da HCl con formazione di silice gelatinosa che si colora con fucsina e così via.
Una volta stabilita la composizione mineralogica si può misurare l'area occupata nella sezione da ciascun componente, ciò che serve per il controllo dell'analisi chimica e per la classificazione della roccia. A tal fine si adopera il tavolino integratore; un dispositivo che permette di spostare il preparato mediante viti graduate; così si misura lo spazio occupato dai singoli minerali lungo una linea e si ripete l'operazione in punti diversi e in direzioni ortogonali.
I minerali metallici, restano, come si è detto, opachi; per uno studio calcografico le schegge del materiale in studio si spianano e si levigano da una parte sola, e si sottopongono a un microscopio per calcografia. In questo l'illuminazione avviene per mezzo di una lampada posta lateralmente sopra l'obiettivo. Attraverso questo, mediante un prisma, la luce è condotta a colpire perpendicolarmente il preparato. I minerali trasparenti appaiono scuri al microscopio per calcografia, e invece brillanti e diversamente colorati quelli opachi, che presentano un rilievo tanto più marcato, quanto maggiore è la durezza. Si può lavorare anche a luce polarizzata e a nicol incrociati; il polarizzatore è collocato davanti al prisma, l'analizzatore è al solito posto. A nicol incrociati i minerali non monometrici appaiono anisotropi, così, p. es., si distingue la marcasite dalla pirite.
Se si fa oggetto di studio una roccia incoerente a grana minuta ci si limita a esaminarne la polvere al microscopio; i varî componenti di essa vengono separati coi metodi dell'analisi isopicnomerica (v.), o ricorrendo alla separazione magnetica mediante un'elettrocalamita. È utile anche lo studio della polvere di una roccia compatta, qualora si vogliano eseguire speciali ricerche ottiche o microchimiche su di un determinato minerale.