Arti, tecniche e industrie di un Paese in evoluzione
«Senza la tecnica l’uomo non sarebbe mai esistito», affermava José Ortega y Gasset inaugurando nel 1933 il corso ¿Qué es la técnica? presso l’Università di Santander. E in verità ogni approccio storiografico alle vicende dell’umanità non può prescindere dalla dimensione del fare, del manipolare, del fabbricare, del produrre. Anche se la nostra specie, quella del cosiddetto homo sapiens, ha attraversato varie fasi in cui il rapporto con il fare si è profondamente modificato. Nell’evoluzione dell’uomo, a partire dai primati da cui biologicamente proviene, momento cruciale fu la scoperta dell’utensile che aumentava le capacità operative fornite naturalmente dal proprio corpo. Chi non ricorda il famoso incipit del film di Stanley Kubrick, 2001: a space odissey (1968; 2001 Odissea nello spazio)?
All’inizio della nostra ‘storia’ la tecnica consiste nella semplice scoperta di nuove opportunità trovate per caso nell’ambiente: nomadi, cacciatori e raccoglitori, i nostri progenitori inseguirono per migliaia di anni sul nostro pianeta le trasformazioni delle risorse disponibili, adeguandosi a esse e riuscendo a sopravvivere evitando l’estinzione. Poi avvenne quella che si chiama prima rivoluzione agricola, collocabile intorno al 10°-9° millennio avanti l’era volgare, e l’homo faber divenne agricoltore e allevatore. Le violente trasformazioni della società, accompagnate da scoperte destinate a sconvolgere la natura delle cose, sono rimaste impresse nei grandi miti dell’antichità legati, nel nostro mondo occidentale, alle figure di Ercole e Prometeo, di Proserpina e Dedalo, di Pasifae ed Edipo e di molti altri ancora. Le colture dell’olivo e della vite, doni degli dei, cambiarono il volto al paesaggio e, con la nascita dei primi nuclei abitativi organizzati, sorse la scrittura e con essa le leggi. Ma se la scrittura e l’uso dei numeri nacquero da profonde esigenze dettate dalla necessità di consolidare nel tempo i costumi come le proprietà, il fare, nella sua immediatezza e al contempo nella sua stretta dipendenza da un’esperienza diretta e trasmessa da maestro ad apprendista, rimase una ‘cultura tacita’, priva nella maggior parte dei casi di quelle necessità legate alla memoria.
E così la cultura del fare, e in generale la tecnica, mantenne nella sua assoluta concretezza un distacco da ciò che invece attiene al fare memoria di sé, e questo, anche se in forma diversa e più attenuata, accadde anche quando alla rivoluzione agricola successe quella industriale. Infatti, quando nel 18° sec. in Inghilterra, e nel nostro Paese un secolo più tardi, la società degli agricoltori e degli artigiani si mutò in quella dei tecnici e degli imprenditori, il sapere tecnico si consolidò nelle nuove scuole professionali, ma ancora una volta esso rimase, nella sua più profonda essenza, ‘tacito’, e per molti versi privo di memoria.
Oggi che nella società globalizzata i paradigmi dell’industria si stanno trasformando in quelli di una rete di saperi e di conoscenze, ancora una volta la memoria, e in particolar modo la memoria dei processi tecnologici, resa gigantesca dai nuovi media, ma divenuta inevitabilmente più fragile, sfugge come l’acqua dalle mani di chi l’ha raccolta. E forse oggi una nuova rivoluzione sta ancora accadendo, provocando un nuovo rivolgimento dei paradigmi.
A questo punto, prima di introdurre quest’opera, che vuole tracciare la storia della cultura tecnica e industriale del nostro Paese nell’epoca moderna e contemporanea, è necessario premettere alcune note storiografiche. La storia della tecnica è disciplina assai recente, soprattutto in Italia, dove le prime testimonianze, a parte il mito e la genialità di Leonardo più volte celebrati, risalgono alla metà del 20° sec. quando a Milano sorse il Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci per opera di Guido Ucelli di Nemi, il quale, nel 1953, in occasione dell’inaugurazione affermò: «Il Museo è vivo, di tutti, aperto a tutti. Oggi il mondo cammina a ritmo vertiginoso e tutti ne cerchiamo le ragioni e le possibilità. Il Museo vive, è il Museo del Divenire del Mondo».
Gli studi e le ricerche di Luigi Bulferetti e di Carlo Maccagni, con una matrice di base di studi storici tradizionali, iniziarono un percorso che più tardi si intrecciò con gli studi di storia economica di Carlo Poni e con quelli dovuti a Paolo Galluzzi e al folto gruppo di storici della scienza e della tecnica da lui raccolti intorno al Museo Galileo di Firenze. Altra è stata l’attenzione per quella che in ambiente anglosassone è chiamata industrial archaeology e che in Italia invece ha assunto piuttosto le dimensioni di una storia dell’architettura industriale. Le successive evoluzioni della storia della tecnica hanno portato a introdurre questa disciplina, non senza difficoltà, non solo nei percorsi formativi umanistici, ma anche in quelli scientifici e tecnologici.
E, così, già da queste poche righe si intuiscono i complessi percorsi che si stagliano intorno alla cultura del fare e del produrre, dalle arti alle industrie. A parte le disquisizioni, per lo più inutili, intorno alle definizioni di tecnica e tecnologia, che qui si vogliono assolutamente evitare, si può affermare che la storia della tecnica, intesa nel suo senso più generale e storicamente più esteso, distaccandosi dalla storia della scienza, che per sua natura ha una connotazione più teoretica e filosofica, ha trovato punti di contatto, intersezioni e talvolta attriti con altre discipline: la già citata storia economica, la storia dell’industria e delle imprese, la storia militare, la storia del disegno industriale, ma anche la storia dell’arte, la storia della fotografia e del cinema, la storia dell’architettura e, non da ultima, la geografia economica. Solamente guardando a questa costellazione di discipline e di saperi si può comprendere la solo apparente disomogeneità dei contributi di questo volume che invece vuole fissare, se mai è possibile, gli statuti epistemologici di una scienza nuova che necessita proprio oggi di fronte al vorticoso ‘divenire del mondo’ di un riferimento storiografico saldo.
Si è già accennato alla natura ‘tacita’ del sapere tecnico e a questo punto è il caso di rivalutare la dimensione ‘archeologica’ di molti studi che anche oggi, sulla base di reperti abbandonati, di testimonianze grigie, di scritture morte, di archivi sepolti, deve costruire la Storia. In Italia tutto questo è quanto mai necessario perché soprattutto ciò che è accaduto nel passato più prossimo rischia, parallelamente all’obsolescenza delle macchine e dei processi, l’oblio più completo. E se è abbastanza facile intuire i ‘modi’ con cui gli artigiani procedevano nella realizzazione delle loro ‘opere’, molto più complesso è inseguire, per es., come si sono evoluti i processi di progettazione, sviluppo e produzione di un’automobile o le mutevoli vicende nella realizzazione di una grande opera pubblica.
Quest’opera è divisa in tre parti nelle quali, con le debite eccezioni, si sono suddivise tre epoche del cammino tecnico e tecnologico attraversato dal nostro Paese. Nella prima parte è il ‘saper fare’ a determinare il leitmotiv di una grande varietà di saperi in cui l’artigianalità è fondamentale e dove l’abilità, soprattutto manuale, è stata al centro della realizzazione di ‘cose’ determinanti per la crescita di una penisola ancora divisa politicamente, ma unita dallo spirito e dalla lingua. Nella seconda parte, dedicata al ‘saper organizzare’, che si estende dal 19° sec. alla metà del 20°, si è posta l’attenzione sulle trasformazioni imposte da una rivoluzione industriale che non solo ha cambiato il modo di produrre, ma ha profondamente mutato i contesti culturali, sociali ed economici e si è accompagnata in Italia con il processo di unificazione politica.
La terza parte, che temporalmente copre un arco di tempo che va dagli anni Cinquanta del secolo scorso a oggi e per molti versi è attraversata dalla rivoluzione dell’informazione e dei media – se mai in futuro gli storici la definiranno tale –, guarda a ciò che è accaduto in Italia dagli anni della ricostruzione, dopo il secondo conflitto mondiale e il disastro della guerra civile, al miracolo economico, sino alle crisi di fine secolo e oltre, cercando di individuare non già le cause di una certa decadenza, ma gli elementi di speranza che devono farci traghettare verso nuovi equilibri di integrazione europea, come già all’inizio di questi tempi profetizzava Gustavo Colonnetti.
Le pagine di questo volume non vogliono essere un nostalgico sguardo su un passato ormai svanito e irraggiungibile, ma piuttosto lo stimolo a riaprire nuove frontiere di conoscenza, con l’ottimistica convinzione che sempre, dopo un periodo di recessione si aprono nuove strade per uno sviluppo positivo. Ma senza la consapevolezza del proprio presente, che si fonda incondizionatamente su una continuità con il proprio passato, fatto di successi, ma anche di errori, nulla si può costruire.
Per ritornare ora alla nutrita bibliografia che negli ultimi decenni ha arricchito la storia della tecnica italiana in Italia, va ancora fatto notare come spesso sono mancati studi di carattere generale, mentre si sono privilegiate le storie particolari intorno a una specifica industria, a un determinato prodotto industriale, a un definito contesto geografico. In questo senso i saggi di questo volume, nella loro specifica natura, vogliono viaggiare un po’ controcorrente, lasciando da parte il ‘particulare’ con il rischio sì di perdere qualcosa in termini di definizione, ma con la speranza di fornire al lettore, anche non profondamente esperto di questo o quel settore, la possibilità di compiere a volo d’uccello un viaggio nella storia degli artefici e delle cose che hanno realizzato, spesso restando nel completo anonimato. A questi attori della nostra storia vanno indirizzati quest’opera e il riconoscimento della nostra memoria. Gli scritti che il folto numero di autori coinvolti ha preparato vogliono essere una sfida, un primo tentativo di costruire un’organica e trasversale storia italiana della tecnica e dell’industria: di fronte a un futuro di integrazione europea e di globalizzazione planetaria.
Certamente questo volume, dedicato alla cultura italiana della tecnica, coinvolgendo le arti applicate così come le più recenti culture industriali, senza dimenticare, attraverso brevi incursioni, le intersezioni con l’architettura, con il design e con la letteratura, non riesce a esaurire gli argomenti che un’enciclopedia globale avrebbe potuto prevedere: ma l’esaustività sarebbe stata un’utopia e la scelta dei saggi, e dei loro autori, è stata dettata dalla principale esigenza di dare al Lettore, ancorché non specialista, un’idea generale della complessità dei processi tecnologici che hanno accompagnato le fortune e i momenti più critici della storia del nostro Paese. A tal fine si è voluto corredare il volume di un significativo apparato iconografico (che trasversalmente illustra molti dei temi affrontati nei saggi), completato da un sintetico atlante tematico. Egualmente indispensabili per il completamento dell’opera la Cronologia finale e l’Indice dei nomi, utili strumenti di consultazione che non si sarebbero potuti realizzare senza il supporto della Redazione, la quale, con infaticabile e paziente attività, ha accompagnato chi scrive e tutti gli autori sin dai primi istanti della messa in cantiere del volume. Senza questo gioco di squadra non si sarebbe mai arrivati alla sua realizzazione.