tecnocrazia
Storicamente, è stato così chiamato un movimento di tecnici e di economisti che ebbe grande diffusione negli USA, dopo la grande crisi, ma che suscitò anche molte critiche e perse rapidamente d’interesse. Il nome di technocracy fu dato da H. Scott al gruppo di studio da lui costituito nel 1931 e il movimento fu per breve tempo appoggiato dalla Columbia university e incontrò il favore dell’amministrazione Roosevelt. I tecnocratici davano enorme importanza al progresso tecnico e all’automatismo in particolare, che trasforma i lavoratori in sorveglianti di macchine; propugnavano una economia senza moneta, senza scambio e senza risparmio, in cui il prodotto netto nazionale venisse ripartito d’autorità in parti uguali tra tutti i cittadini mediante buoni d’acquisto prescrittibili e tutti i cittadini dai 25 ai 45 anni fossero obbligati a un lavoro di 4 ore al giorno per 4 giorni la settimana; sostenevano che gli USA avrebbero potuto così raggiungere un livello generale di vita superiore a quello precedente il 1929.
Con la crescita di complessità degli apparati e delle funzioni di governo, anche nelle organizzazioni internazionali, e con l’estendersi dei processi di globalizzazione dell’economia, fenomeno tipico della fine del sec. 20°, è invalso l’uso di parlare di t. in riferimento a una nuova classe dirigente, i cui processi di selezione e le cui basi di legittimazione siano fondati sulle competenze tecniche e sulle capacità di gestione, piuttosto che sul principio della rappresentanza elettiva. In senso non dissimile dalle utopie tecnocratiche del passato, anche questa nuova formulazione dell’ideale tecnocratico assume la valenza di un’ideologia apolitica, se non antipolitica, secondo cui i saperi specialistici dovrebbero sostituirsi alle sintesi generaliste, mentre la politica tradizionale e la stessa democrazia parlamentare, considerate fonti di inefficienza e di corruzione, sarebbero destinate a essere sostituite da regimi di amministrazione razionale delle risorse economiche, nell’ambito di un processo di diffusione capillare degli strumenti di informazione telematica e di rapida circolazione di flussi finanziari che tendono ad abbattere qualsiasi frontiera, compresa la sovranità statale. Per contro, chi sostiene il primato della politica, e nega la pretesa neutralità della t., si richiama in qualche modo alla tesi espressa agli inizi del Novecento da V. Pareto sulla necessaria interdipendenza fra potere e interessi, per cui non esiste alcuna configurazione di un interesse generale che non corrisponda a una particolare «visione del mondo». Sta di fatto, come ha osservato R. Dahl (After revolution, 1989), che il problema politico principale per il futuro delle democrazie industriali consiste nella possibilità di conciliare il criterio della competenza, cioè l’insieme dei requisiti di conoscenza e di abilità necessari alla gestione dei governi, con il criterio della «virtù civica», che è la sostanza stessa di ogni forma di partecipazione degli individui ai problemi della cosa pubblica.