Tecnologia dell’architettura
Mentre quella di tecnica è una nozione che accompagna l’intera evoluzione dell’uomo, il termine tecnologia entra nel lessico a partire dal Seicento, non immediatamente applicato all’architettura. Per tecnica, si intende l’impiego di strumenti e procedimenti adatti alla migliore e più agevole esecuzione di un’opera; essa definisce l’aspetto modale, cioè il modo attraverso il quale si realizza un artefatto. Specifico del termine tecnologia è invece l’aspetto del logos, del discorso critico e interpretativo sulle tecniche, poiché esso definisce non tanto un’operazione di ‘trascrizione’, di conoscenza, di elencazione di saperi pratici, quanto un processo interpretativo di tali modalità. L’impiego del termine tecnologia in sostituzione di tecnica ne costituisce apparentemente un mero aggiornamento, mentre, attraverso l’atteggiamento critico su procedimenti, sistemi, processi e materiali della costruzione, si pongono le condizioni per gli avanzamenti, le trasformazioni, i miglioramenti, che definiscono le basi per l’innovazione.
Nel corso dello sviluppo e dell’evoluzione dell’architettura è possibile osservare i mutamenti del ruolo della tecnologia, in un’oscillazione tra fine e mezzo nei rapporti tra l’uomo e le modalità di produzione dell’artefatto architettonico. La tecnologia può essere interpretata quindi come studio critico, in continua evoluzione, dei procedimenti, degli strumenti e dei metodi della costruzione dell’architettura.
In Italia il termine viene importato dall’area geografico-culturale dell’Europa centrale, in conseguenza del ritardo storico del nostro Paese nell’età delle rivoluzioni tecniche e delle macchine. Tra l’altro, in Italia la tecnologia dell’architettura entra come disciplina d’insegnamento universitario alla fine degli anni Sessanta del Novecento, quale tentativo di aggiornamento e rinnovamento degli insegnamenti relativi agli aspetti costruttivi degli elementi e dei sistemi dell’architettura.
A partire dalla ricerca sugli aspetti materiali della costruzione, il concetto di tecnologia ha progressivamente esteso i suoi confini e i suoi ambiti d’indagine, interessando, per esempio, quello della gestione del processo di realizzazione, quello morfologico e ambientale come più recente e complessa possibilità di estensione dei limiti d’indagine sulla tecnica. Attualmente, si registra una rinnovata fiducia nei confronti della tecnologia che, ridefinito il suo ruolo alla luce dei problemi della sostenibilità, offre la promessa di un nuovo rapporto, non antagonistico, con il delicato equilibrio ambientale. Ciò ha condotto a ricerche tecnologiche nel campo dell’architettura riconducibili a due indirizzi che, seppure con fisionomie e metodi differenti, perseguono lo stesso obiettivo. Il primo – quello prevalente – partendo dal concetto di edificio-macchina intende condurre ricerche nel campo dei materiali, dei componenti, delle tecnologie, del comportamento energetico ambientale, in direzione di un intelligent-building sempre più sofisticato ed efficiente. Il secondo indirizzo di ricerca – meno forte dal punto di vista mediatico – tende a sottolineare e rafforzare il cosiddetto aspetto solido dell’architettura, attraverso l’aggiornamento e la valorizzazione di un approccio in continuità con la sua tradizione evolutiva. Proiettata nella prospettiva di ‘durare’ in un ciclo temporale piuttosto lungo, l’architettura accetta e integra forme di riciclaggio e riuso, allontanando la fase di dismissione e sostituzione, e fornendo una risposta adeguata alle delicate questioni delle trasformazioni e degli impatti del costruito sul sistema ambientale.
Sul ruolo e l’interpretazione della téchnē, sulla sua oscillazione tra mezzo o fine in rapporto all’architettura, si registrano storicamente le maggiori differenze di tipo filosofico. L’intera evoluzione della civiltà è basata sul rapporto tra uomo e natura, e quindi su come il primo, intervenendo attraverso atti di trasformazione artificiale, abbia operato mutamenti sulla seconda, fino a raggiungere un progressivo dominio su di essa. La storia della civiltà può essere letta come dialettica tra artificio (téchnē) e natura (phýsis). È stato sottolineato come l’uomo contemporaneo – in una condizione di tipo non congiunturale – abiti la tecnica stessa, essendo immerso in essa. Naturalmente, l’ambito della tecnologia dell’architettura rappresenta un aspetto minoritario rispetto alla pervasività della tecnica in altri settori. Le letture più riduttive tendono a circoscriverla a un dato strumentale, non squisitamente modale che, sebbene più ampio possibile, non potrebbe in alcun caso rappresentare un fine. In realtà la condizione della modernità stessa ha determinato uno spostamento della tecnica da mezzo a fine, anche se razionale e governato. Alcune correnti del pensiero filosofico del Novecento, che si sono confrontate con le promesse, ma anche con le delusioni dell’era della tecnica – dalla prima Rivoluzione industriale fino alla rivoluzione informatica – sono state tendenzialmente scettiche nei confronti della tecnologia.
Nella cultura greca si indicava con lo stesso termine il lavoro manuale – il saper fare – ma anche la separazione tra l’aspetto strumentale e quello rappresentativo. Per i Romani la tecnica della costruzione è materiale espressivo e rappresentativo del potere; nel Medioevo essa incarna una componente di fabbricazione rappresentativa della comunità e la cattedrale ne è l’esempio; il Baumeister è figura non espressa, ancora spersonalizzata. Nel periodo gotico, a seguito dell’introduzione di profonde innovazioni, la tecnologia assume il ruolo di pratica artistica e, quindi, si presenta come macchina tecnicamente avanzata e narrativa, connessa a una teoria della conoscenza e della salvezza. Nel Rinascimento prevale l’aspetto ‘decisionale’ della tecnica che opera per la comunità e il progetto è, per la prima volta, un modello separato dalla sua esecuzione, con un autore identificabile nella sua individualità. Nella separazione tra tecnica e intento artistico, la prima assume una funzione strumentale, modale, distinta ma essenziale per raggiungere l’arte. La natura diventa quindi luogo d’indagine tecnica per mezzo degli strumenti dell’arte da parte dell’artista-ingegnere, da Leonardo a Francesco di Giorgio. L’artista-ingegnere ritornerà nel XVIII sec., a seguito dell’affermazione del rapporto tra scienza e idea di progresso come accumulazione di esperienze, a fronte dell’interpretazione della scienza come avvicinamento alla perfezione della natura.
Con l’era della macchina – prima e seconda Rivoluzione industriale – la tecnica assume, nei processi creativi, un cambiamento di ruolo, divenendo progressivamente finalità stessa dell’architettura, scopo. Le opere simbolo della Rivoluzione industriale, dal Crystal Palace di Paxton alla Tour Eiffel, sono altrettante rappresentazioni iconiche del progresso raggiunto. Il Novecento, con il movimento moderno e il suo mito della macchina, assegna alla tecnica il supporto determinante nella riformulazione dei codici non soltanto espressivi, ma ontologici dell’architettura; la meccanizzazione concerne non soltanto i processi produttivi, ma presuppone un ripensamento radicale dei modi dell’abitare e della configurazione dell’ambiente antropizzato.
A partire dalla seconda metà del secolo scorso, la tecnologia, dopo aver superato il suo ruolo funzionale per affermarsi come supporto rappresentativo, viene rimessa in discussione dalla crisi della condizione postmoderna; nella fase del post-modern architettonico essa viene nuovamente relegata a mera funzione strumentale. Successivamente, la crisi energetica ambientale ha determinato le condizioni per una riaffermazione della tecnologia non come esclusivo supporto strumentale, ma nuovamente come potenziale elemento d’indagine espressiva dell’architettura, come rinnovato idolo collettivo – quindi fine – per una palingenesi ecologica dell’architettura.
In un’accezione ampia, la tecnologia dell’architettura può essere interpretata come disciplina che studia le modalità e le qualità realizzative dell’architettura, definendone l’aspetto sostanziale di trasformazione dall’idea all’oggetto – dalla fase di concezione e previsione (progetto, poíēsis) alla sfera reale (costruzione, prãxis).
In tale accezione, rispetto alle interpretazioni della tecnologia dell’architettura che la considerano legata soprattutto all’aspetto materiale della costruzione (materiali, elementi e sistemi costruttivi), il campo d’indagine si è progressivamente esteso: la specializzazione e la modificazione dei processi in grado di programmare e gestire le dinamiche di realizzazione e produzione nel settore delle costruzioni hanno infatti determinato la formazione di un ambito di competenze specifiche e specialistiche sempre più articolato e, spesso, frammentato. Esso comprende le tecnologie di gestione che oggi riguardano gli aspetti amministrativi, decisionali, esecutivi e infine quelli di controllo e monitoraggio dei manufatti edilizi. Questo contesto di riferimento della tecnologia dell’architettura, che negli ultimi anni ha acquisito un ruolo rilevante, deriva anch’esso da un’area culturale di matrice anglosassone; in essa, infatti, le competenze manageriali e gestionali applicate ai processi edilizi, hanno trovato specifiche figure professionali distinte dall’architetto progettista. Project management, construction e contract management, sono ambiti professionali consolidati e funzionali all’interno del processo edilizio che anche il sistema italiano sta progressivamente assorbendo.
A fianco alle tecnologie di gestione, ma in stretto contatto con l’attività di progettazione, vi è l’ambito delle tecniche morfologiche intese come strumenti di controllo, in fase di progettazione, della forma dell’edificio, o del sistema di edifici, nonché quello della verifica della fattibilità del progetto stesso in termini realizzativi (elementi statico-costruttivi ed economici) e gestionali (ottimizzazione e simulazioni delle condizioni di comfort desiderato e raggiunto). In questo senso, l’era digitale e la diffusione consolidata degli strumenti informatici per la redazione del progetto, dalla fase ideativa alla fase esecutiva e di gestione, hanno determinato una specializzazione di tecnologie e sistemi.
Un ulteriore ampliamento dei confini tematici della tecnologia dell’architettura riguarda la relazione con l’ambiente, che costituisce un altro elemento di aggiornamento e rimodulazione del suo significato. Negli ultimi decenni, a seguito di una rinnovata coscienza ambientale, si assiste a un’evidente estensione dell’ambito della tecnologia dell’architettura – e più in generale di ciò che concerne la tecnica – alla verifica della propria compatibilità ambientale. Le tecnologie, non solo quelle specifiche delle costruzioni, hanno assimilato la necessaria apposizione dell’aggettivo ‘sostenibile’. Tutto ciò che appartiene alla sfera della tecnica deve superare il filtro critico ambientale e necessita una verifica della sua compatibilità energetica e ambientale.
L’insegnamento della tecnologia dell’architettura fu introdotto in Italia a partire dal 1969, con notevole ritardo rispetto ad altri Paesi dell’Europa occidentale. In quegli anni si assiste all’affermazione dei modelli delle tecniche di razionalizzazione e produzione dell’habitat moderno, che ha determinato una fase di profonda evoluzione dei sistemi di costruzione e dell’industria correlata. Si cerca infatti di dare un’offerta formativa capace di rispondere alle dinamiche di trasformazione del mercato.
Nella prima fase della sua introduzione, gli ambiti di interesse della disciplina sono stati connessi alla volontà di operare un aggiornamento e un’evoluzione dei corsi di insegnamento di elementi costruttivi. L’approccio tradizionale era impostato esclusivamente intorno all’aspetto costruttivo dell’architettura, in ordine a materiali, processi e sistemi. I ‘pensieri tecnologici’ erano espressi in relazione all’evoluzione dei sistemi tettonico/trilitici e ai sistemi murario/continui. Si trattava di un’interpretazione alta della tecnica come arte del costruire, con procedimenti e metodi consolidati attraverso una cultura manualistica di tipo tecnico/scientifico. La declinazione dell’insegnamento era squisitamente tecnica, in conseguenza della condizione ibrida delle facoltà di architettura in Italia nel primo Novecento, nate come fusione delle scuole di Belle Arti con le scuole di ingegneria.
Nell’area culturale propria delle scuole politecniche, gli insegnamenti di tecnologia – dell’architettura o delle costruzioni – furono introdotti fin dall’Ottocento nella sostanziale indifferenza e sovrapposizione nell’uso dei termini di tecnica e tecnologia. Il caso italiano fu caratterizzato dall’introduzione ex novo della disciplina, in seguito alla trasformazione della produzione edilizia, legata al boom economico degli anni Sessanta e all’investimento delle politiche economiche di sviluppo del Paese nel settore delle costruzioni.
La definizione degli interessi e degli ambiti d’investigazione dell’area tecnologica è stata in continua e dinamica evoluzione. Attualmente: «I contenuti scientifico-disciplinari riguardano le teorie, gli strumenti e i metodi rivolti a un’architettura sperimentale alle diverse scale, fondata sull’evoluzione degli usi insediativi, della concezione costruttiva e ambientale, nonché delle tecniche di trasformazione e manutenzione dell’ambiente costruito. Comprendono la storia e la cultura tecnologica della progettazione; lo studio dei materiali naturali e artificiali; la progettazione ambientale, degli elementi e dei sistemi; le tecnologie di progetto, di costruzione, di trasformazione e di manutenzione; l’innovazione di processo e l’organizzazione della produzione edilizia; le dinamiche esigenziali, gli aspetti prestazionali e dei controlli di qualità» (Declaratoria del DM 4/10/2000).
La dimensione estensiva degli ambiti di interesse della disciplina è testimoniata anche dall’evoluzione e moltiplicazione dei corsi d’insegnamento afferenti a essa: tecnologie dei materiali, progettazione esecutiva dell’architettura, progettazione dei sistemi costruttivi, tecnologie del recupero e di manutenzione edilizia, progettazione ambientale, tecnologie per il ripristino ambientale, organizzazione della produzione edilizia, cultura tecnologica della progettazione, morfologia dei componenti edilizi e così via.
Il carattere intrinsecamente instabile e dinamico della nozione di tecnologia ha determinato una condizione liminare della disciplina, a contatto con differenti settori e in continua osmosi con essi: lo studio dei materiali, il disegno industriale, la progettazione esecutiva dell’architettura, la riqualificazione ambientale, il recupero e la manutenzione edilizia, l’ecologia, il paesaggio, la fisica tecnica ambientale, la statica sono tutte discipline con le quali la tecnologia dell’architettura ha stabilito relazioni e attraverso le quali ha accresciuto i propri contenuti specifici. Quindi il carattere eterogeneo della disciplina, incline a tra-durre (trasferire) conoscenze derivate da altri campi per ampliare ed estendere il proprio ambito di investigazione, sembra essere un carattere distintivo all’interno dell’oscillazione dei campi di interesse.
In generale è possibile distinguere due principali approcci epistemologici: in primo luogo l’ambito di interesse ‘materiale’ sui procedimenti fisici e sui sistemi tecnico-costruttivi dell’architettura, in una dimensione in continua evoluzione e quindi critica nei confronti delle tecniche consolidate. In tal senso le esperienze di area mitteleuropea e anglosassone sono un riferimento costante nei processi d’innovazione di materiali, elementi e sistemi costruttivi. I corsi universitari e le ricerche che operano in tal senso seguono, aggiornandolo, il filo logico e cronologico del processo di costruzione del manufatto architettonico; indagano i differenti modi della produzione edilizia con particolare attenzione alle relazioni tra progetto e costruzione, implicando in quest’ultima i temi della statica e della fisica tecnica ambientale. Di fatto tale approccio risulta essere caratterizzato da una certa continuità critica con la tradizione dei corsi di costruzione dell’architettura.
Gli elementi d’indagine dell’approccio materiale della tecnologia dell’architettura strettamente legati alla sfera della costruzione sono: (a) lo studio dei materiali e dei relativi sistemi costruttivi; (b) l’evoluzione e le innovazioni nei sistemi continui plastico-murari e nei sistemi discontinui elastici a telaio, in cemento armato, in acciaio e in legno; (c) l’analisi e lo studio dei principali nodi di elementi costruttivi e della loro evoluzione: fondazioni, strutture verticali, aperture, strutture orizzontali, chiusure, collegamenti verticali. Un ulteriore aspetto d’indagine ruota intorno alle forme della costruzione, alle prestazioni energetiche degli edifici.
Il secondo approccio, di derivazione anglosassone, performance approach, può essere definito come ‘esigenziale-prestazionale’. Esso prevede un insieme complesso di requisiti e prestazioni cui i componenti e i sistemi edilizi devono rispondere. L’approccio è caratterizzato dal tentativo di definire un quadro di riferimento capace di mettere in evidenza standard prestazionali di efficacia ed efficienza che gli elementi devono soddisfare (dal punto di vista statico, del comfort, della sicurezza, dell’economia ecc.). Tale interpretazione è di fatto un supporto per la definizione del sistema normativo del settore delle costruzioni e ha determinato un progressivo tentativo di verifica qualitativa e quantitativa capace di limitare i rischi di aleatorietà delle scelte progettuali e della gestione all’interno del processo edilizio. Il principale limite di tale approccio sta nella problematica e incerta definizione della sfera qualitativa. Per questo aspetto, infatti, il prodotto edilizio, anche se in grado di soddisfare le prestazioni desiderate, può non contemplare l’intenzionalità estetica propria dell’architettura. È utile a tal proposito richiamare la definizione di tecnologia dell’architettura di Giovanni Ferracuti che, a distanza di circa vent’anni dall’introduzione in ambito accademico della disciplina, sottolineava la necessità di affiancare alla correttezza costruttiva e funzionale propria della riflessione critica sulle tecniche delle costruzioni (tecnologia), la specificità dell’architettura nella sua necessaria istanza estetica, che la distingue dalla costruzione o dal prodotto edilizio.
Nel corso degli ultimi vent’anni, a seguito della crisi energetica e ambientale, si è assistito a una progressiva acquisizione di consapevolezza collettiva circa la necessità di operare trasformazioni dell’ambiente attraverso il comune denominatore della . Ciò ha condotto a un nuovo trasferimento, all’interno della disciplina della tecnologia dell’architettura, di saperi e conoscenze eteronome (ecologia, fisiologia, biologia, chimica dei materiali, energetica) che ne hanno modificato e trasformato la fisionomia, estendendone il campo ad ambiti quali le tecnologie appropriate, le tecnologie sostenibili, le tecnologie per il ripristino ambientale, le tecnologie bioedilizie. In questo scenario il ruolo della tecnologia si rinnova e riafferma la sua necessità, attraverso una prospettiva che sottolinea quasi il paradosso tecnocratico della società di mercato: da tecnologia-macchina della crescita illimitata, a ecotecnologia capace di assicurare un rapporto di equilibrio tra uomo e ambiente.
L’evoluzione e lo sviluppo delle costruzioni nell’età industriale e postindustriale è stato nella maggior parte dei casi caratterizzato dal dominio delle regole di mercato. La tecnologia, nella fase di diffusione e consumo della cultura architettonica moderna, ha avuto il ruolo di strumento esclusivo nel quale riporre la fiducia per risolvere tutte le questioni in ordine alla produzione, al comfort, all’istanza estetica, all’economia dei prodotti dell’architettura. In forte continuità con i miti del Movimento moderno, negli anni Sessanta del Novecento assistiamo al primato della tecnologia come lavoro e ideo-logia eletta per l’architettura e la città: ci riferiamo da un lato alla fase del cosiddetto International style: declino consumistico del movimento moderno, in cui l’idea dell’edificio-macchina ha condotto all’interpretazione indifferente ai contesti, a standardizzazioni delle soluzioni costruttive conseguenti al paradigma dell’edificio come prodotto industriale, alla dissipazione di risorse energetiche per la produzione delle condizioni di comfort ambientali (un esempio significativo è stato il ricorso pervasivo alla climatizzazione meccanica). D’altro canto anche l’urbanistica propone in quegli anni idee di città come megamacchine controllabili attraverso la tecnologia; modelli tesi a oggettivare i processi di crescita e formazione delle nuove espansioni urbane; dai reticoli strutturali di Yona Friedman, alle megastrutture di Kenzo Tange, fino alle utopiche visioni delle moving-cities degli Archigram, che anticipano un futuro di ipertrofico nomadismo tecnologico.
Il primato positivista della tecnologia proietta l’architettura in una dimensione squisitamente tecnica, pura essenza costruttiva; ciò ne determina una riduzione a linguaggio neutro, all’esasperazione della riflessione sul giunto, sul componente, sul reticolo strutturale, sulla cellula, sulla loro virtuale riproducibilità ed estensibilità. Dalle ultime esperienze tettoniche di Ludwig Mies van der Rohe relative al rapporto tra grandi orizzontamenti e appoggi, alle prime elaborazioni artigianali su componenti edilizi industrializzati di Jean Prouvé, alle cupole geodetiche di Buckminster Fuller, la matrice tecnologica dell’architettura si tramuta in innovazione del linguaggio.
Il Centre Pompidou a Parigi di Renzo Piano e Richard Rogers (1971-1977) è emblematico dell’enfatizzazione dell’idea dell’edificio come macchina, attraverso l’esibizione più formale che sostanziale della tecnologia: il reticolo strutturale e i condotti impiantistici colorati estradossati in facciata, rappresentano altrettanti elementi di riformulazione del lessico moderno e dell’universo figurativo dell’architettura attraverso il compiacimento e l’ottimismo circa il progresso tecnologico, come nelle opere ingegneristiche dell’età della macchina.
La condizione postmoderna ha condotto a una messa in discussione profonda delle promesse dei modelli del Movimento moderno di architettura e città; ciò ha comportato per la tecnologia isolate quanto significative esperienze per ristabilire un sistema di relazioni organiche tra architettura, ambiente e tecniche; si è trattato delle prime applicazioni delle attuali declinazioni della tecnica in chiave ecologica.
Nel corso degli anni Novanta del Novecento, attraverso atti progressivi e istituzioni condivise, viene sancito il tentativo, tuttora in corso, di rimodulare il rapporto tra architettura e ambiente attraverso il ricorso a un insieme di tecnologie (materiali, morfologiche, strategiche e gestionali): strumenti necessari capaci di conferire alle trasformazioni ambientali operate dagli atti artificiali della costruzione, progressivi gradi di efficienza dal punto di vista energetico e ambientale. In questa fase assistiamo all’attribuzione al concetto stesso di architettura di prefissi e apposizioni tesi a riaffermarne una nuova connotazione ecologica (bioarchitettura, architettura bioclimatica). Il paradosso e allo stesso tempo l’ineluttabile destino di tale approccio è di essere legittimato e affermato proprio in quanto interno alla logica di mercato del sistema di produzione del settore delle costruzioni.
Intorno al tema della sostenibilità la posizione della tecnologia dell’architettura è duplice e inclusiva di approcci opposti. La prima recepisce, in chiave ecologica, gli stimoli dello sviluppo tecnologico, come campo di indagine espressiva, per certi versi in continuità con le esperienze proprie della ricerca della cosiddetta architettura high-tech: questa tendenza, che dell’idea di macchina aveva fatto un riferimento d’indagine e sperimentazione espressiva, prevede una sorta di responsabilizzazione in chiave ambientale. L’obiettivo viene perseguito non soltanto attraverso la riduzione dei consumi energetici della ‘macchina’ edificio, ma anche cercando modi, che diventano espressioni di linguaggio architettonico, per la realizzazione di edifici capaci di produrre energia per azzerare i consumi, nonché prodotti capaci di assolvere molteplici funzioni. Per quanto concerne l’involucro edilizio, una prospettiva è tesa alla riduzione degli spessori, con l’aumento delle prestazioni assolte da un singolo strato di ‘pelle’. Gli esiti figurativi tendono a una complessa smaterializzazione dell’edificio e a un forte coinvolgimento degli utenti, in forma di provocazione, di trasmissione del messaggio attraverso l’uso di materiali e processi innovativi. Tale linea di ricerca pone una serie di problemi e dubbi proprio in rapporto alla sua sostenibilità, in relazione al consumo di risorse impiegate e agli impatti ambientali generati in fase di produzione, utilizzo e dismissione.
Il secondo filone di ricerca si colloca nel settore della valorizzazione e dell’aggiornamento dei materiali, delle tecniche e delle soluzioni costruttive della tradizione; tale linea è caratterizzata da un atteggiamento critico e cauto nei confronti delle potenzialità dell’innovazione tecnologica in rapporto alla compatibilità ambientale nel settore delle costruzioni. Si tratta di una posizione riconducibile al rinnovato interesse per il tema della dell’architettura: il ruolo dell’architettura è legato al valore di stabilità del manufatto edilizio, quindi alla sua durata, alla permanenza dell’edificio come elemento autonomo: un edificio in grado di invecchiare, che richieda minimi interventi manutentivi, in cui il ciclo di vita è proiettato in un limite il più lontano possibile, che si pone in rapporto alla sostenibilità in quanto oggetto trasmissibile alle generazioni future, capace di conservare solidità e robustezza. Tali idee di solidità e robustezza non si riferiscono esclusivamente alla sfera materiale, ma riguardano gli usi e le funzioni che l’edificio è in grado di assolvere. Sistemi edilizi robusti e massivi sono infatti potenzialmente disponibili ad accogliere trasformazioni negli usi con ridotti interventi di riqualificazione che riguardano prevalentemente gli elementi soft (impianti, partizioni, finiture) e tendono a conservare gli elementi hard (strutture, involucro).
La tecnologia dell’architettura si trova quindi davanti a uno scenario di sviluppo duplice: nell’ipotesi di trasferimento all’interno della disciplina di innovazioni con velocità analoghe a ciò che avviene in altri campi, è immaginabile una progressiva riduzione di peso e smaterializzazione dell’edificio; nell’affermata separazione tra struttura intelaiata e involucro, tale risultato è raggiungibile grazie al progressivo aumento delle prestazioni di resistenza e funzionalità di componenti edilizi sostituibili. Tra i settori di maggiore sviluppo e innovazione nel campo della tecnologia dell’architettura, è infatti significativa l’evoluzione dell’involucro edilizio. A partire dal movimento moderno e con accelerazioni progressive la ‘pelle’ degli edifici ha modificato consistenza fisica e funzione, attraverso lo sviluppo dei materiali, delle tecnologie di produzione e assemblaggio. La funzione di separazione tra ambiente esterno e confinato si è evoluta nell’accentuazione del ruolo selettivo dei flussi di aria ed energia da parte dell’involucro architettonico. Ciò ha condotto alla progressiva complessificazione dei sistemi di chiusura, divenuti ambito di ricerca non solo prestazionale, ma anche di indagine sulla capacità estetica delle tecnologie: sistemi di louvres e brise-soleil o tende, da componenti cui assegnare una specifica funzione tecnica (per es., la protezione dal soleggiamento o il controllo della ventilazione), assumono il ruolo di connotare le facciate degli edifici, divenendo elementi espressivi. Dal punto di vista tecnologico gli sviluppi di sistemi di chiusura vanno in due direzioni: (a) sistemi multistrato con strati monofunzionali sempre più articolati (specie le facciate continue e i sistemi leggeri); (b) sistemi monostrato con funzioni molteplici assunte dal singolo componente (in prevalenza sistemi pesanti).
La pelle degli edifici tende a divenire luogo – spesso esclusivo – di design da parte dell’architetto, elemento principale di trasmissione delle istanze estetiche e di messaggio dell’edificio contemporaneo.
Sul fronte opposto – continuità tra innovazione e tradizione – i progressi della ricerca sviluppano in particolare il tema della durabilità del manufatto architettonico, in una prospettiva temporale di vita più lunga possibile. In tal senso le costruzioni massicce – nell’integrazione tra funzione portante e chiudente dell’involucro edilizio – sono oggetto di un rinnovato interesse. In esse, infatti, la separazione tra hardware rigido e fisso di lunga durata (nocciolo strutturale e involucro) e software duttile e variabile di breve durata (sistemi di finitura, completamento, partizione, dotazione di impianti e servizi), consente di definire sistemi versatili e disponibili a subire le trasformazioni e le dinamiche della domanda nel settore edilizio.
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