TECNOPOLIMERI.
– Classificazione dei tecnopolimeri. Mercato e prospettive di sviluppo. Bibliografia
La precisa identificazione di quali polimeri si possano classificare come t. costituisce un dominio di confronto tuttora aperto e poco aiuta il fatto che l’omologo termine anglosassone (technopolymer) abbia avuto poca fortuna in ambito tecnico. Per tale motivo, l’impiego del termine tecnopolimero è tuttora relegato a un uso esclusivamente nazionale e a un ambito commerciale piuttosto che tecnologico. Una soluzione al problema è quella di identificare la classe dei t. con quella dei polimeri ad alte prestazioni, traduzione dell’anglosassone high performance polymers (HPP), classe alla quale appartiene un limitato e ben definito insieme di famiglie di materiali polimerici ad altissimo tasso tecnologico. Il vantaggio nasce dal fatto che gli HPP costituiscono ormai un mercato a sé stante di cui esistono stime di vendita e prospettive di crescita. In questa accezione, i t. non sono più identificabili con i semplici polimeri di uso ingegneristico (polymers for engineering) i quali sono oramai caratterizzati da una diffusione tale da condizionarne logiche di produzione e commercializzazione. Un valido esempio è dato dalla miscela di acrilonitrile-butadienestirene (ABS), capostipite della famiglia dei copolimeri termoplastici a base stirenica, cui appartengono anche lo stirene-acrilonitrile (SAN), l’acrilonitrile-stirene-acrilato (ASA), il metil-metacrilato (MABS) e l’acrilonitrile-butadiene-acrilato (ABA). La classe dei copolimeri a base stirenica è una delle più rappresentative dei polimeri per l’ingegneria e il solo ABS presenta, nel mercato mondiale, una domanda annuale di oltre 7 milioni di tonnellate. Per fare un confronto, si può considerare che il consumo mondiale per l’intera classe di t., intesa come HPP, è stata stimata nel 2014 in circa 750.000 tonnellate. La distanza è evidente e dà ragione del fatto che non si possano integrare in una stessa classe di materiali sia i t. sia i tradizionali polimeri per l’ingegneria. Al di là dell’evidente differenza di diffusione degli uni rispetto agli altri, se ne deduce una forte distanza in dimensione dei sistemi di produzione, delle logiche di vendita e possibilità di crescita. Di fatto, i t. rappresentano meno dell’1% del consumo mondiale di plastica, eppure sono di grande interesse commerciale a motivo della rapida crescita della loro domanda, malgrado gli scenari di crisi che hanno riguardato il comparto produttivo negli ultimi anni. Per i t. si stima un tasso di crescita annuale (compound annual growth rate, CAGR) del 5,7% nel periodo tra il 2015 e il 2019 alla fine del quale il mercato si stima sarà di circa 1 milione di tonnellate e 16 miliardi di dollari. L’alta redditività dei t. li rende estremamente interessanti per il mercato laddove buoni profitti si possono ottenere con ridotte cadenze produttive senza dover incorrere nelle problematiche tipiche della produzione massiva dei polimeri tradizionali di uso tecnico.
Classificazione dei tecnopolimeri. – Lo sviluppo del mercato mondiale delle materie plastiche permette dunque un’evidente separazione tra polimeri tradizionali e t., non solo in funzione delle elevate prestazioni, ma anche della dimensione produttiva e della tipologia di applicazione. Ovviamente ciò non impedisce l’abuso del termine in ambito nazionale, in tutte quelle situazioni in cui prevalgano aspetti commerciali e pubblicitari. D’altronde è ragionevole che la classe dei t. venga associata a un campo di applicazione più limitato di quello dei polimeri tradizionali di uso tecnico, anche se non si può propriamente parlare di nicchia tecnologica. Si possono includere nei t. tutti i poliarileterchetoni (PAEK) e le loro miscele, le poliammidi (PA) di alte prestazioni, i fluoropolimeri, i polimeri liquido-cristallini (liquid crystal polymers, LCP), i poliariletersolfoni (PAES), il solfuro di polifenilene (PPS), e le poli-immidi.
La famiglia dei PAEK è piuttosto ampia ed è costituita da una serie di polimeri termoplastici la cui unità elementare è strutturata in una sequenza di gruppi fenolici con intervallati gruppi chetone (K) o gruppi etere (E). I gruppi K contribuiscono a irrigidire la struttura mentre quelli E garantiscono flessibilità. Per tale motivo, il capostipite della famiglia, il polietereterchetone (PEEK), presenta una mobilità molecolare maggiore di altri composti (come il PEK, il PEKK e il PEKKEK) ed è, di conseguenza, caratterizzato da una minore temperatura di fusione (circa 340 °C). Incrementando la presenza di gruppi K, le proprietà meccaniche e la tenuta in temperatura aumentano, ma si riduce al contempo la processabilità.
Tra le poliammidi di alte prestazioni si possono menzionare le PAMXD6, PA46, PA4T, PA6T, PA9T, PA10T, PA6I/6T, PA6/3T, PA6I. La classificazione delle poliammidi prevede di far seguire al termine PA il numero di atomi di carbonio presenti nell’unità di ripetizione del polimero. La tradizionale PA6 è quindi caratterizzata da 6 atomi di carbonio presenti nell’unità di ripetizione dove poi si ritrova anche il gruppo ammidico che dà il nome all’intera famiglia. Per incrementare le prestazioni, si possono unire gruppi con diverso numero di atomi di carbonio (come per la PA46) oppure si possono inserire altri sottogruppi non ammidici (quali l’acido tereftalico, T, o l’acido isoftalico, I). La PAMXD6 è nota anche come PAA (poli arilammide) e presenta in molecola i sottogruppi di m-xililendiammina e acido adipico. Si presenta come un polimero aromatico semicristallino ed è impiegato in applicazioni strutturali con un rinforzo di fibra di vetro variabile tra 30 e 60%; puro si utilizza come materiale barriera all’ossigeno nella produzione di film e bottiglie.
Tra i fluoropolimeri si possono menzionare il politetrafluoroetilene (PTFE), il fluorinated ethylene propylene (FEP), il polivinildenfluoruro (PVDF) e il copolimero etilene e clorotrifluoroetilene (E-CTFE). I fluoropolimeri combinano proprietà di resistenza chimica con buone proprietà tribologiche e meccaniche. L’elevata stabilità chimica caratterizza anche gli LCP la cui struttura è costituita da zone rigide, chiamate mesogene, intervallate da elementi di disturbo che forniscono flessibilità alla struttura stessa, garantendo la processabilità del polimero. Molti LCP sono noti con i loro nomi commerciali, come nel caso del Kevlar® e del Vectran®.
Nella famiglia dei PAES si considerano il polisolfone (PSU), il polifenilensolfone (PPSU oppure PPSF) e il polietersolfone (PES). Il PPSU, essendo amorfo, viene anche utilizzato nei processi di stampa 3D (v. stampa tridimensionale) mediante la tecnologia di modellazione a deposizione fusa (FDM, Fused Deposition Modeling) ed è un interessante esempio di integrazione tra nuovi materiali e nuove tecnologie. Tralasciando il PPS, che costituisce da solo la famiglia dei poliarilsolfuri, l’ultima famiglia classificabile come t. è quella delle poli-immidi a cui appartengono la poli-immide termoplastica (TPI), la polietilenimmina (PEI) e la poliammideimmide (PAI). Una celebre TPI è nota con il nome commerciale di Kapton® ed è disponibile in film dello spessore minimo di soli 7,5 μm, utile per future applicazioni spaziali come per la fabbricazione di vele spaziali autodispieganti.
Tutti i t. citati sono caratterizzati dal fatto di essere termoplastici e, quindi, dall’essere processabili con le tecniche che prevedono il rammollimento e l’eventuale fusione del polimero, nonché il suo flusso. La tendenza è infatti quella di non classificare più, tra i t., i polimeri termoindurenti, i quali sono già conosciuti dal mercato divisi per le diverse applicazioni come adesivi, elastomeri, compositi e masse per lo stampaggio. Questo è il motivo per il quale tra le poli-immidi, solo le TPI possono essere classificate come t., mentre quelle termoindurenti non vengono fatte rientrare. La necessità è quella di inserire nella famiglia dei t. solo elementi accomunabili nella loro tecnologia di trasformazione. Ne consegue che i t. sono tipicamente stampabili a iniezione o estrudibili anche se esistono delle limitazioni, come nel caso citato del Kapton®, disponibile nella forma di pellicola, o del Kevlar®, in forma di fibre. Questa scelta, pur se comprensibile nella logica del mercato laddove si identificano i possibili fruitori dei t. in base al loro comparto tecnologico, in alcuni casi appare troppo restrittiva. Un valido esempio è dato da una nota poli-immide termoindurente, il polibenzimidazolo (PBI), il quale rappresenta probabilmente la punta prestazionale di tutti i materiali polimerici a base organica e che avrebbe il diritto di figurare tra i t. per similarità di applicazione e proprietà.
Mercato e prospettive di sviluppo. – Dal punto di vista del valore del mercato dei t., la fetta più grande è rappresentata dal settore elettrico ed elettronico per una percentuale del fatturato di oltre il 30%. Seguono il settore automotive (23%) e industriale (25%), il quale include principalmente l’industria chimica, l’oil & gas, l’industria alimentare, gli impianti di generazione di potenza e di trattamento delle acque. Più distaccato si trova il settore del consumer (elettrodomestici, materiali per la cucina e la casa, articoli sportivi) stimato al 7,5%. Il settore medicale e quello dell’aerospazio e difesa sono entrambi al 5% mentre chiude il settore dei computer e delle periferiche con stime al di sotto del 5%. Per quanto piccoli, questi ultimi settori, che insieme non costituiscono neanche il 15% del fatturato mondiale, sono strategicamente molto interessanti perché caratterizzati dai maggiori tassi di crescita, insieme al settore delle applicazioni elettriche ed elettroniche.
Dal punto di vista dello sviluppo tecnologico, l’ultimo decennio si caratterizza per l’industrializzazione e l’impiego massivo di materiali già esistenti. Questa tendenza conferma indirizzi industriali già in uso nel 20° sec., se si considera che anche i materiali più recenti, come le poliimmidi, si fabbricavano a livello industriale nel 1955. Lo stesso PBI, seppure si volesse considerarlo un t., è stato sintetizzato la prima volta nel 1961 e portato in produzione industriale nel 1983. L’orientamento è quello di non cercare formulazioni inedite quanto di integrare quelle esistenti in nuovi composti: una spinta è stata data, per es., dall’integrazione delle nanotecnologie (v.). La prospettiva è dunque la stabilizzazione del mercato esistente nella logica di una produzione mondiale sostenibile.
Bibliografia: H. Saechtling, Manuale delle materie plastiche, Milano 1981, 201010; Smithers Rapra, The future of high performance plastics to 2019, market report, 2014.