Aldobrandi, Tegghiaio
Della consorteria magnatizia degli Adimari (v.), T. d'Aldobrando è ricordato in If VI 79, dove D. chiede notizia di lui, come di altri insigni suoi concittadini, a Ciacco; è presentato di poi da Iacopo Rusticucci (XVI 40-42), che con lui e Guido Guerra s'è distaccato dalla seconda schiera di sodomiti e s'aggira rotando intorno ai due poeti, essendogli vietato il fermarsi, col visaggio rivolto verso il fiorentino, riconosciuto come tale per la foggia del vestire.
Se l'aggettivo degni, usato per T. come per Farinata, il Rusticucci e altri nell'interrogare Ciacco, vuol essere inteso come " ragguardevoli " e considerato genericamente allusivo alla riverenza di D. verso i maggiorenti politici del primo popolo, l'espressione con cui il poeta lo fa designare dal compagno di pena (la cui voce / nel mondo sù dovria esser gradita, XVI 41-42) suona esplicita lode alle qualità e al contegno dell'uomo politico. Ciò sia che si attribuisca a dovria il senso di " avrebbe dovuto " (la voce di T. avrebbe dovuto essere ascoltata volentieri quando sconsigliò l'impresa contro Siena), sia di " dovrebbe " (la fama di T. dovrebbe essere gradita ai suoi concittadini perché egli aveva sconsigliato, ecc.). È ben vero poi quello che osserva L. Caretti (Il c. XVI, ad l.) doversi cioè estendere anche " all'Aldobrandi e allo stesso Rusticucci le parole d'encomio pronunciate per Guido Guerra ", da considerarsi " epigrafe... nobilmente civica e gloriosamente celebrativa, una sorta d'autentico blasone " (e in sua vita / fece col senno assai e con la spada, vv. 38-39). La lode coincide d'altronde con quella del Villani, che definisce T. " cavaliere savio e prode in arme e di grande autoritade " (VI 78) e del Boccaccio, che lo dice " cavaliere di grande animo e d'operazion commendabili e di gran sentimento in opera d'arme; e fu colui il quale del tutto sconsigliò il Comun di Firenze che non uscisse fuori a campo ad andare sopra i Sanesi; conoscendo, sì come ammaestratissimo in opera di guerra, che danno e vergogna ne seguirebbe, se contro al suo consiglio si facesse; dal quale non creduto né voluto, ne seguì la sconfitta a Monte Aperti " (ad l.).
L'esplicito riconoscimento dei meriti di T. non impedisce evidentemente a D. di collocarlo, con altri meritevolissimi, nell'Inferno e fra i sodomiti; non è che uno dei tanti esempi dell'imparzialità del giudice e della sua capacità di oculata distinzione fra meriti innegabili e demeriti morali degni di tassativa sanzione.
Di T. si sa che sin dal 1236 godette di autorità e prestigio, se a lui, con altri tre, fu affidata la custodia degli ostaggi di San Gimignano; fu inoltre podestà di Arezzo nel 1256 e uno dei capitani dell'esercito fiorentino nell'impresa del 1260, per il sesto di Porta San Piero; morì prima del 1266. Sulla colpa di cui si macchiò mancano testimonianze che non siano la condanna che D. gl'infligge e i riecheggiamenti degli antichi commentatori.
Bibl. - G. Bigone, Canto XVI, Firenze 1906; A. Zardo, Il c. XVI dell'Inferno, ibid. 1928; A. Pézard, D. sous la pluie de feu, Parigi 1950, passim; F. Figurelli, Il c. XVI dell'Inferno, Napoli 1952; L. Caretti, Il c. XVI dell'Inferno, in Lett. dant. 293 ss.; A. Vallone, Il c. XVI dell'Inferno, Torino 1959; L. Pietrobono, Tre Fiorentini, in " L'Alighieri " III (1962) 2; S. Pasquazi, Canto XVI, in Lect. Scaligera I 515 ss.