GUIDI, Tegrimo
Iniziatore del ramo familiare dei conti Guidi che in seguito assumerà l'intitolazione di conti di Modigliana o anche di conti di Porciano, fu uno dei cinque figli maschi (Guido, il G., Ruggero, Marcovaldo, Aghinolfo) del conte Guido (VII), detto anche Guido Guerra (III) e Gualdrada di Bellincione di Uberto dei Ravignani di Firenze.
Cinque figli famosi proprio perché con loro prese avvio da un lato la divisione del comitatus guidingo - fino ad allora trasmesso sostanzialmente integro di generazione in generazione - dall'altro perché dettero inizio con i loro figli e nipoti a una proliferazione di conti, spesso in ostilità fra loro, che portò in breve alla rovina del casato. Non sappiamo con certezza l'ordine delle nascite; oltre ai cinque figli maschi la coppia comitale ebbe anche quattro figlie; molto probabilmente, stante l'uso dei nomi nella dinastia e il modo in cui poi i fratelli appaiono nei documenti, il G. doveva essere il secondo figlio maschio dopo Guido. Le nozze fra Guido Guerra e Gualdrada - le seconde per il conte, che aveva già sposato Agnese di Guglielmo (V) di Monferrato da cui non aveva avuto figli - risultano già avvenute nel 1180, ma probabilmente precedettero di qualche anno quella data e sono da collocarsi verosimilmente nel periodo in cui il conte fu con più continuità in Toscana, fra 1172 e 1174, oppure al momento della pacificazione fra Guido Guerra e Firenze nel 1176.
Di conseguenza la nascita del G. potrebbe essere collocata fra 1174 e 1178: l'attestazione di un conte Tegrimo dei Guidi console fiorentino nel 1192 potrebbe quindi anche risultare possibile (il G. poteva avere 15-18 anni), ma certo lascia molti dubbi.
In effetti in quell'anno Firenze sembrava aver imposto a molti casati un più forte legame con la città con l'obbligo di una residenza almeno temporanea. Ma, oltre alla giovane età del G., resta difficile pensare che allora Guido Guerra accettasse che un suo figlio fosse coinvolto in una magistratura cittadina.
Cresciuti per essere pronti all'esercizio delle armi, i figli più grandi probabilmente avevano accompagnato il padre, già dal 1190, nella guerra contro Faenza e la famiglia dei Traversari di Ravenna che teneva castelli sulla montagna romagnola. Nel 1196 Pietro Traversari cedette una prima volta a Guido e Ruggero i castelli di Dovadola, Monteacuto e Gello, cessione poi rinnovata, a seguito di una lunga ripresa degli scontri, nel 1216. Il 24 giugno 1203 i figli di Guido Guerra furono quindi chiamati dal Comune di Firenze a ratificare nel castello di Poggibonsi gli accordi per la sistemazione dei confini fra i Comuni di Firenze e Siena. Poi, guidati dal padre, furono impegnati dal 1203 al 1207, con l'appoggio di Bologna e Firenze, in una guerra contro Pistoia in difesa del castello di Montemurlo e per limitare l'espansione pistoiese verso l'Appennino.
Negli accordi di pace fra la città e i conti dell'agosto 1207, a reciproca garanzia di non riaprire le ostilità vi era la richiesta che uno dei due figli maggiori di Guido Guerra ricoprisse la carica di podestà di Pistoia nei due anni successivi. Dopo trattative dall'andamento incerto, non è escluso che il G., come attesta il Passerini (in Litta), abbia ricoperto tale carica nel 1209 e 1210. Le ostilità fra Pistoia e Bologna, infatti, ripresero solo nel 1211 e nell'anno successivo i Guidi tornarono a schierarsi al fianco di Bologna, e probabilmente, mentre il padre si era ritirato in Casentino e Guido e Ruggero erano impegnati in Romagna, fu il G. a seguire il fronte pistoiese, combattendo in agosto sotto al castello di Montale.
La situazione, in posizione difensiva per i Guidi, si protrasse ancora per anni, anche grazie a un interessato sostegno fiorentino con l'oggettiva impossibilità, tuttavia, per i conti, di resistere alla pressione pistoiese concentrata principalmente sull'importante punto strategico di Montemurlo. Così i fratelli Guidi furono spinti ad accogliere la richiesta di acquisto presentata loro a Pisa dal podestà di Pistoia, Orlandino Porcari, nel marzo 1219. Ma i Fiorentini seppero subito di tale intenzione e si opposero con pressioni e minacce, ottenendo che i fratelli tenessero invece il castello, ma assoggettandolo alla sovranità superiore del loro Comune con un atto firmato a Firenze alla fine di aprile.
L'anno successivo, con la venuta in Italia di Federico II, i cinque fratelli si prepararono a mostrare la dovuta fedeltà al loro signore feudale. Per la verità pare che ad accogliere l'imperatore fin dal suo apparire in Lombardia siano stati a nome di tutti solo Aghinolfo e Marcovaldo, mentre gli altri si aggregarono quando l'esercito imperiale fu in Toscana.
In seguito tutti e cinque, probabilmente con un buon seguito di loro uomini, accompagnarono Federico a Roma e qui presero parte alla solenne cerimonia dell'incoronazione. Mantenendosi presso Federico e ricordandogli i meriti acquisiti dal loro padre con i suoi predecessori, i fratelli Guidi ottennero alla fine di novembre un solenne diploma che confermava loro tutti i castelli concessi al padre, anche quelli su cui ormai non potevano esercitare alcun dominio effettivo come Empoli e i centri del Valdarno inferiore, passati sotto il controllo fiorentino, o i castelli della Montagna pistoiese.
La presenza alla corte imperiale fu comunque molto più significativa per il G. che non per gli altri fratelli, perché l'imperatore gli dette in sposa una principessa di sangue normanno, Albiria figlia di Tancredi re di Sicilia.
Anche se Albiria era al suo terzo matrimonio e aveva avuto una vita assai travagliata, l'onore che l'imperatore faceva al G. era considerevole, senza contare che teoricamente Albiria portava in dote la contea di Lecce e Taranto. Era dunque giustificata la pompa profusa nelle nozze - celebrate probabilmente nello stesso 1220 - per le quali il G. spese quasi 10.000 lire, pari al valore di un paio dei migliori castelli dei Guidi, spesa che peraltro i fratelli in momenti più difficili gli rinfacciarono.
Per qualche tempo il G. e i fratelli rimasero al seguito di Federico, ma la situazione nei loro domini doveva essere ripresa sotto controllo cosicché, intorno al 1223, essi fecero ritorno ai loro castelli e agli interessi politici fra Toscana e Romagna. Se dalla morte del padre, non anteriore al 1214, fino ad allora i fratelli sembravano essersi mossi sostanzialmente in accordo, mantenendo indiviso il comitatus loro trasmesso, in quel periodo maturò da parte di Marcovaldo - forse su pressione della moglie Beatrice degli Alberti di Capraia e della sua famiglia, come tradizionalmente sostenuto - l'intento di ricavarsi una sua autonomia, separando una sua quota di fedeli e di proventi signorili dall'insieme in comune.
Ciò portò a gettare le basi per una divisione in cinque parti di castelli, uomini e diritti. Così, nel maggio del 1225, riunitisi a Firenze nel loro palazzo presso S. Pier Maggiore, i cinque fratelli sancirono la divisione e la ufficializzarono in appositi documenti, dei quali solo una piccola parte è pervenuta. In base a tale divisione il nucleo principale dei diritti del G. doveva essere già stato fissato in Romagna, e non sembra un caso che nello stesso anno, presumibilmente per rafforzare la sua base signorile, il G. avesse acquistato da alcuni creditori dei conti di Castrocaro i castelli di Fontechiusa, Castellina e Verghereto. Ma pochi mesi dopo, a settembre, quando probabilmente l'accordo di divisione non era stato ancora applicato, Ruggero, che era tornato a Palermo alla corte di Federico II, morì improvvisamente. Non è chiaro se vi fu un testamento: in ogni caso Guido, e in parte minore il G., che erano i due fratelli maggiori, presero fra i loro beni ciò che era stato assegnato a Ruggero. Nacque così una lite fra Guido e il G., da una parte, e Aghinolfo e Marcovaldo dall'altra, che riguardava ormai non solo l'eredità di Ruggero, ma una revisione degli accordi e il riconoscimento di quanto anche Aghinolfo e Marcovaldo avevano fatto per la casata.
Probabilmente si venne a un primo accomodamento fra 1227 e 1228, ma la questione fu nuovamente presentata davanti al tribunale del podestà di Firenze, dopo la morte di Marcovaldo nel 1229, dal conte Rodolfo degli Alberti, padre della vedova e tutore dei due figli di Marcovaldo. Fu così necessario un lodo arbitrale, pronunciato nel marzo 1230, per arrivare a una sistemazione dei beni, che peraltro non fu mai del tutto chiara anche perché molti dei castelli principali erano stati divisi in quote parte. Intanto nel 1226, prima di entrare in lite fra loro, i quattro fratelli superstiti avevano ceduto anche il castello di Larciano con alcuni villaggi al Comune di Pistoia.
Nel 1231 il G., confermando nuovamente l'obiettivo di rafforzare la sua base signorile in Romagna, acquistò da Aldobrandino signore di Premilcuore la rocca di Castel dell'Alpe. Ma l'impegno politico continuava a essere prevalentemente in Toscana: nel 1236 e nel 1239 il G. fu podestà a Pisa - anche se non pare probabile che abbia ricoperto la carica consecutivamente per tre anni come afferma il Passerini (in Litta) - distinguendosi per la fedeltà a Federico II in una città preziosa per lo schieramento filoimperiale. Non è certo se anche il G. abbia partecipato nel 1239 all'operazione condotta dal fratello Aghinolfo, conte in Romagna per Federico II, da Forlì contro Faenza, risoltasi in una sconfitta che doveva procurargli la prigionia. Certo è che egli fu impegnato a combattere in Romagna contro i nemici di Federico: in tal senso si rese responsabile col figlio Guido di aver assalito Sarsina e averne rapito il vescovo per consegnarlo a Federico, atto per il quale chiese e ottenne nel 1252 l'assoluzione da papa Innocenzo IV.
Nel 1248 il G. fu podestà ad Arezzo, sempre su nomina imperiale, dopo aver fatto in modo che l'anno precedente vi fosse inviato il figlio Guido. Con la morte di Federico II e avanti negli anni, con ogni probabilità abbandonò la scena politica e si ritirò a vita privata, cercando anche, come abbiamo visto, di mettersi in pace per quanto potesse aver compiuto. Fra le ultime sue attività come signore feudale vi dovette essere il patteggiamento, insieme con i nipoti Guido Novello e Simone, in un accordo con la Comunità di Modigliana, sul cui castello avevano il dominio in condivisione, che sembrerebbe potersi collocare fra 1250 e 1259.
Delegò quindi totalmente al figlio Guido sia gli impegni politici sia la gestione dei possessi familiari. Nel 1254 Guido, nonostante il padre risulti ancora vivo, vendette a nome di entrambi al Comune di Firenze la quarta parte spettante al G. dei castelli di Montevarchi, Empoli e Montemurlo. Il G. si limitò a ratificare, rimanendo nel suo castello casentinese di Porciano che probabilmente aveva eletto a sua dimora stabile; di qui non dovette spostarsi nemmeno per partecipare alle nozze della nipote Margherita, figlia di Guido, dove a fronte di una larga rappresentanza di esponenti dei vari rami dei Guidi il suo nome risulta assente. Ma nonostante l'età e la vita ormai ritirata egli rimaneva ben lucido e consapevole. Ce lo testimonia un aneddoto riportato da Giovanni Villani: poiché Guido Novello, nipote del G., era divenuto nel 1261 vicario in Firenze di Manfredi di Svevia e aveva portato a Poppi un gran numero di balestre grosse e altre armi prelevate appunto dalla città, mostrandole orgoglioso al vecchio zio nel cassero del castello che stava facendo ingrandire, il G. avrebbe prudentemente risposto al nipote: "Parmene bene, se non ch'io intendo che' Fiorentini sono grandi prestatori ad usura" (Nuova cronica, p. 616).
Il G., presumibilmente, fece ancora in tempo ad assistere al successivo declinare della fortuna di Guido Novello e della parte ghibellina; il primo documento del figlio in cui si attesta che il G. era defunto risale, infatti, al novembre del 1270 e la scomparsa del G. non dovette essere anteriore di molto, poiché nello stesso anno, alcuni mesi prima, egli aveva sottoscritto l'accordo con cui Guido Novello affidava ai magistrati di Forlì di mediare come arbitri fra i conti e gli uomini di Modigliana.
Fonti e Bibl.: G. Lami, Sacrae Ecclesiae Florentinae monumenta, I, Florentiae 1758, pp. 70-72; Delizie degli eruditi toscani, VIII (1777), pp. 135 s., 140, 165-170, 172, 174; J.F. Böhmer, Regesta Imperii, V, 1, a cura di J. Ficker - E. Winkelmann, Innsbruck 1881, p. 275; Documenti dell'antica costituzione del Comune di Firenze, a cura di P. Santini, Firenze 1895, pp. XXII s., XL, 127, 131, 192, 467; Nuovi documenti dell'antica costituzione del Comune di Firenze, a cura di P. Santini, in Arch. stor. italiano, s. 5, XIX (1897), pp. 279, 281-283, 300-305, 307, 310-312, 314-318; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV, Berlin 1908, pp. 284, 559 s.; Il "Liber censuum" del Comune di Pistoia, a cura di Q. Santoli, Pistoia 1915, pp. 13 s., 189 s.; Documenti dell'antica costituzione del Comune di Firenze. Appendice, a cura di P. Santini, Firenze 1952, pp. 48, 54, 59, 67, 78, 130, 137; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, I, Parma 1990, pp. 198, 266, 614-616; V. Ragazzini, Modigliana e i conti Guidi, Modigliana 1921, pp. 14, 25, 44; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1956-68, ad ind.; E. Sestan, I conti Guidi e il Casentino, in Id., Italia medievale, Napoli 1968, pp. 360, 369; R. Albertoni, I conti Guidi da Porciano, in Il castello di Porciano in Casentino. Storia e archeologia, a cura di G. Vannini, Firenze 1987, pp. 33, 35; P. Pirillo, Due contee e i loro signori: Belforte e il Pozzo tra XII e XV secolo, in Castelli e strutture fortificate nel territorio di Dicomano in età medievale, Firenze 1989, pp. 16, 22; N. Rauty, I conti Guidi in Toscana, in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo: marchesi, conti e visconti nel Regno italico, secc. IX-XII. Atti del II Convegno, Pisa… 1993, Roma 1996, pp. 261-263; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v.Guidi di Romagna, tav. IX.