Telematica
Il termine 'telematica' deriva dal francese télématique, a sua volta crasi delle due parole télécommunication e informatique. Esso appare per la prima volta in un celebre testo che preconizzava con molta lungimiranza l'integrazione tra le due tecnologie, appunto l'informatica e le telecomunicazioni (v. Nora e Minc, 1978, p. 11). Come il termine 'informatica', anche 'telematica' non appare nella cultura anglosassone, dove l'insieme del trattamento e della trasmissione delle informazioni viene solitamente indicato con Information Communication Technology (ICT), cioè 'tecnologie dell'informazione e della comunicazione'.
Sono in qualche modo riconducibili al concetto di telematica le espressioni 'autostrade elettroniche' (information highways, secondo la definizione datane dal vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore), che indica le infrastrutture fisiche, cioè le reti che consentono di trasmettere le informazioni, e 'società dell'informazione' (information society), che indica l'insieme dei fenomeni tecnologici, economici, sociali e culturali che hanno avuto origine intorno agli sviluppi della telematica.
Il termine 'telematica' entra nella cultura italiana agli inizi degli anni ottanta, a seguito della traduzione nella nostra lingua del saggio di Nora e Minc, L'informatisation de la société, del 1978. Ma l'integrazione tra informatica e telecomunicazioni ha avuto inizio molto prima, verso la fine degli anni sessanta, quando al calcolatore centrale (mainframe) vengono collegati, attraverso linee telefoniche di trasmissione dati, dei terminali remoti che, se pur non dotati di capacità autonome di elaborazione, possono scambiare informazioni con il calcolatore centrale. Si afferma così il modello stellare, nel quale tutta l'intelligenza, costituita dal software (allora assai costoso), è concentrata in un unico punto, mentre il decentramento dei terminali di entrata e uscita (di input e output) rende più agevole all'utente l'accesso alle banche dati.
Negli anni settanta, man mano che decrescono i costi dell'hardware, del software e delle memorie, una parte della memoria e della potenza di calcolo dei grandi sistemi informativi viene spostata in periferia, e i terminali diventano quindi 'intelligenti', cioè sono minicalcolatori spesso collegati in modo stellare a un calcolatore più potente. A questo punto l'architettura dei sistemi diventa più complessa, perché crescono le necessità di integrazione tra procedure, archivi, risorse di calcolo. Cominciano così a configurarsi vere e proprie reti di calcolatori (e non più solo stelle), che collegano tra di loro calcolatori di potenza e di marca diverse (v. Glowinsky, 1980).
L'esplosione, all'inizio degli anni ottanta, del personal computer (PC), resa possibile dai bassi costi e dalla relativa facilità d'uso, sembra per qualche anno invertire la tendenza alla distribuzione delle risorse in reti di calcolatori, e in tal modo allontanare i due termini costitutivi della telematica. L'offerta sul mercato di applicazioni sia per uso familiare (videoscrittura, contabilità personale) sia professionale (per commercialisti, notai, medici, ecc.) rende il PC autosufficiente per la maggior parte degli usi per i quali viene acquistato. Soltanto alcuni professionisti più esigenti (ad esempio, i giornalisti o gli operatori di borsa) lo collegano, tramite linee di trasmissione dati, a sistemi remoti che gestiscono banche dati.
Questa temporanea separazione tra informatica e telecomunicazioni è tuttavia destinata a non durare. Tutti i grandi operatori di telecomunicazioni (che in Europa sono pubblici e, fino agli anni novanta, monopolisti) stanno rinnovando le loro reti telefoniche tradizionali, investendo in questa operazione notevoli risorse finanziarie e tecnologiche. È comprensibile il loro sforzo per far transitare sulle vecchie e nuove reti quante più informazioni possibili, tanto più che il tasso di penetrazione della telefonia tradizionale in tutti i paesi industriali si sta avvicinando a cento, e quindi non consente ulteriori espansioni di mercato. La crescente diffusione del PC nelle case e negli uffici stimola perciò in diversi operatori l'idea di utilizzare le reti telefoniche per collegamenti a basso costo tra i PC e i molteplici sistemi di banche dati, di interesse familiare e professionale. Nascono così i sistemi videotex, come il Prestel inglese (avviato nel 1979), il tedesco Bildschirmtext (nel 1980), l'italiano Videotel (nel 1981) e il francese Télétel (Minitel nel 1980), il più famoso di tutti e l'unico peraltro che abbia avuto successo (v. Mayne, 1982).
Nella prima metà degli anni ottanta avviene un'accelerazione del processo che porta alla telematica. Le reti di telecomunicazioni conoscono una rilevante evoluzione, ottenuta attraverso un rinnovo dei mezzi trasmissivi che vedono in molti casi la fibra ottica sostituire il vecchio doppino di rame, e soprattutto attraverso la numerizzazione delle centrali di commutazione, che non sono più costituite da grandi armadi contenenti migliaia di relais elettromeccanici, ma da calcolatori inseriti nei nodi della rete, che sono in grado di riconoscere, elaborare e conservare le informazioni che transitano sulle reti. L'evoluzione tecnologica delle reti consente abbattimenti di costo e aumento di prestazioni (alla fine degli anni settanta il costo di una linea telefonica è pari in Francia a 10.000 franchi; alla fine degli anni ottanta è pari, a valuta costante, a circa 7.500; v. Glowinski, 1980, tr. it., p. 53).
Alla base dello sviluppo della telematica vi è anche un'altra innovazione tecnologica costituita dalla digitalizzazione, per mezzo della quale tutti i segnali che noi percepiamo (voce, testo, dati, immagini) possono essere rappresentati in forma digitale, cioè espressi mediante stringhe di bit. Ciò consente di trasmetterli, anche mescolati, sulle stesse reti che diventano così digitali (in contrapposizione a reti e segnali analogici quali sono ad esempio la voce trasmessa sulla normale linea telefonica e l'immagine trasmessa via etere da una stazione televisiva).
La possibilità di mescolare tra loro diversi tipi di segnali e di trasmetterli sulle stesse reti consente la convergenza di diversi 'contenuti', organizzati nella forma di 'servizi' erogati in rete (servizi di informazione, di intrattenimento, di pubblica utilità), e progressivamente porta alla convergenza dei settori finora distinti: informatica, telecomunicazioni e televisione. È per questo motivo che la frontiera verso la quale si spinge la telematica viene chiamata multimedialità, proprio per indicare questa molteplicità dei segnali e quindi dei contenuti veicolabili sulle stesse reti.
Le componenti tecniche della telematica si distinguono in reti, apparati e servizi: ciascuna di esse ha avuto negli ultimi anni sviluppi importanti, che sono ben lungi dall'essere conclusi.Le reti sono state profondamente rinnovate nella capacità e nell'affidabilità. Si distinguono in reti cablate, cioè costituite da cavi di vari materiali (fibra ottica, rame), e reti non cablate (wireless), cioè costituite da onde radio che viaggiano nell'etere. Un'ulteriore classificazione è quella relativa alla larghezza di banda, ossia alla capacità di una rete di trasmettere simultaneamente una certa quantità di segnali (può essere assimilata alla portata di un tubo che trasporta acqua). L'utente percepisce la larghezza di banda in termini di velocità con la quale riceve i segnali e in termini di segnali che può ricevere senza troppa perdita di qualità. Si distinguono così reti a banda stretta (la normale rete telefonica, ad esempio) e reti a banda larga (quelle costituite da fibra ottica), nonché reti a banda intermedia (la rete ISDN - Integrated Services Digital Network - costituita da un fascio di linee telefoniche). Su quelle a banda larga si possono trasmettere immagini in movimento, su quelle a banda stretta voci e dati (e solo con minor qualità immagini fisse e in movimento). Poiché non esiste una definizione standardizzata delle larghezze di banda, convenzionalmente si dice che una rete è a banda larga quando permette di trasmettere immagini in movimento con la qualità consentita oggi da un videoregistratore. La velocità consentita da una rete a banda larga è di 1,5 M bit/s, mentre quella di una rete a banda stretta è di 28,8 k bit/s.
Come si è detto, il futuro della telematica, cioè la multimedialità, richiede una rete a banda larga, possibilmente cablata per assicurare l'interattività, altra importante caratteristica delle reti. Questa infatti è possibile se un cavo collega fisicamente la stazione emittente e l'utente servito, il quale può così inviare sul cavo i suoi ordini alla centrale e realizzare effettivamente l'interattività. Non è invece possibile con le reti non cablate nelle quali il segnale di ritorno dell'utente, necessario per l'interattività, può essere risolto con la normale linea telefonica, ma a scapito della velocità di trasmissione.
L'alternativa cavo-satellite, di cui molto si discute, sta proprio nel mix di vantaggi e svantaggi che le due tipologie di rete presentano. Le reti cablate sono molto costose da installare (il 70% del loro costo è rappresentato, soprattutto in ambito urbano, dagli scavi) ma consentono un'interattività elevata. Le reti satellitari sono meno costose da installare ma permettono un grado minore di interattività, ad esempio consentono di scegliere un film da un catalogo ma non di interagire con banche dati e sistemi informativi remoti.
L'esplosione di Internet, a partire dalla fine del 1993, è dipesa dalla decisione del suo proprietario, il consorzio americano ISOC (Internet Society), di aprire alle aziende commerciali la rete Arpanet, di origine militare, per potervi offrire i propri prodotti, e di conseguenza di aprirla al grande pubblico per poter attraverso di essa interrogare i siti commerciali (v. Ciccarella e altri, 1997).Il successo è stato assicurato dalla possibilità di utilizzare la normale rete telefonica, dalla numerosità e molteplicità dei siti visitabili, dalla relativa facilità del sistema di navigazione (per quanto non accessibile ai totalmente inesperti), e infine dal fatto che la diffusione geografica delle strutture di accesso (chiamate Internet service providers) consente di mantenere il costo di connessione relativamente basso anche per le grandi distanze. Oggi le stime relative agli utenti di Internet presenti in tutto il mondo indicano un valore (aggiornato al luglio 1998) che si aggira intorno ai 130 milioni, tenendo conto sia degli utenti in età adulta che dei minori; ma è impressionante soprattutto il loro tasso di crescita, che risulta attualmente di circa il 60% annuo. Su Internet si cercano informazioni, si fanno prenotazioni e acquisti (il cosiddetto commercio elettronico), si scambiano messaggi e si intrecciano discussioni (i cosiddetti forum). Si sono create, insomma, delle vere e proprie comunità virtuali, studiate e analizzate in tutto il mondo.
Anche gli apparati (cioè le apparecchiature per ricevere i segnali multimediali) stanno evolvendo rapidamente, al punto che non è ancora chiaro come sarà fatto l'apparato - chiamato 'apparato d'utente' - che gli utenti della multimedialità avranno nelle loro case quando i servizi saranno effettivamente disponibili. Si tratta infatti di mediare tra diverse esigenze. Se per navigare su Internet è sufficiente un PC dotato di modem e di scarsa intelligenza, per accedere a banche dati ed elaborarne le informazioni occorre intelligenza in periferia. Inoltre se i futuri servizi conterranno le immagini in movimento, non basterà più lo schermo di un PC ma occorrerà uno schermo televisivo.Si delineano quindi due scenari: quello informatico e quello televisivo. Nel primo l'apparato d'utente sarà un PC, che potrà consentire di ricevere tutti i servizi tranne quelli di intrattenimento (televisione). Al limite, potrebbe anche essere un PC 'stupido', in grado solo di connettersi a Internet, che costa poco (al massimo 500 dollari) ed è molto facile da usare. In questo caso tutta l'intelligenza sarebbe concentrata nella rete; si parla perciò di network computer. Questi apparati sono appena entrati nel mercato e il loro successo non è ancora chiaro, ma a essi è affidata la speranza dei costruttori di far entrare un PC nelle case di moltissimi europei, tenuto conto che il più grosso limite alla diffusione dei servizi in rete è proprio la scarsa diffusione dei PC. In Italia un'indagine svolta dalla società di ricerche Demoskopea per conto di Comufficio e presentata al salone espositivo Smau '97 indica che nel nostro paese essi sono 2.520.000 (sono presenti cioè nel 12% delle famiglie italiane) e per il 30% sono dotati di modem e quindi collegabili alle reti.Sul versante opposto c'è lo scenario televisivo. L'apparecchio TV può ricevere non solo le trasmissioni in TV interattiva, ma anche altri servizi come il commercio elettronico, la teledidattica, la telemedicina, e potrà anche essere collegato a Internet. Già oggi esistono apparecchi che consentono di accedere a Internet da un televisore anziché da un PC. Infine, per utilizzare i nuovi servizi come la TV digitale, i possessori di apparecchi TV dovranno dotarsi di appositi convertitori, detti set-top-box, già oggi in commercio.
Parlare di servizi telematici, o meglio multimediali interattivi in rete (d'ora in poi multimediali), significa parlare di tutte o quasi le attività umane, che in gran parte sono oggi di tipo informativo e comunicativo e pertanto possono essere veicolate sulle reti.I servizi multimediali si classificano comunemente in sei tipologie: servizi di pubblica utilità; teledidattica; telesanità; telecommercio; telebanca; intrattenimento.
I servizi di pubblica utilità sono tutti quelli che forniscono informazioni e talvolta transazioni di interesse generale: orari e procedure degli enti pubblici, orari dei mezzi di trasporto, previsioni del tempo, ma anche accesso alla propria posizione fiscale o previdenziale, invio o richiesta di modulistica per gare e concorsi, accesso agli atti degli enti pubblici. Sono forniti in gran parte dagli enti pubblici o da enti che comunque si rivolgono a un pubblico indifferenziato, ma non solo da questi. Ad esempio gli andamenti di borsa o l'elenco dei migliori ristoranti di una città possono essere forniti da privati. Trattandosi di servizi non molto complessi da realizzare, parecchi enti pubblici e privati li offrono attualmente in diverse città.
La teledidattica può avere al proprio interno varie modalità. Si va dalla semplice messa in rete di una lezione ex cathedra in videocassetta (sistema oggi usato dalla RAI per il programma "Nettuno") alla videoconferenza con la quale gli alunni assistono a distanza alla lezione, fino a complessi sistemi nei quali la lezione a distanza viene integrata da un colloquio, sempre a distanza, con il docente (tramite la posta elettronica), da test somministrati e valutati, dalla correzione a distanza degli elaborati degli alunni.
Nel 1997 il Ministero della Pubblica Istruzione ha lanciato un vasto programma di informatizzazione della scuola italiana, che prevede un investimento di 1.000 miliardi di lire a disposizione delle scuole per acquistare PC. Il più grosso ostacolo alla diffusione della teledidattica, cioè il problema delle risorse e delle competenze necessarie a predisporre del buon materiale didattico multimediale, non è stato però affrontato nel citato programma.
La telesanità ha anch'essa, come la teledidattica, varie modalità di erogazione. Essa comprende sistemi amministrativi come le teleprenotazioni (attraverso i CUP, Centri Unificati di Prenotazione) e le telecertificazioni, fino al teleconsulto, la telediagnosi e il telesoccorso. In queste ultime tre tipologie di servizi vengono messe in rete, per essere meglio distribuite, le competenze mediche pregiate che si trovano di solito concentrate in punti qualificati dei sistemi sanitari nazionali e internazionali. Una parte importante delle applicazioni di questo tipo è costituita dalla trasmissione delle immagini (radiografie, TAC, ecc.), che deve essere di buona qualità. Il limite alla diffusione dei teleservizi sanitari sta nella complessità della loro organizzazione e nella difficile definizione del loro valore economico.
Il commercio elettronico è considerato, insieme alla telebanca e all'intrattenimento, il vero volano dei futuri servizi interattivi. La ragione sta nel fatto che in questo caso il rapporto di fiducia che interviene nella teledidattica e più ancora nella telesanità sembra inessenziale. L'utente verifica sullo schermo se il prodotto o servizio che gli viene offerto lo interessa, e in tal caso attiva la transazione.
Sulla rete possono essere offerti tutti i tipi di beni e servizi: auto, case in vendita e in affitto, dischi, libri, biglietti di spettacoli, viaggi, accessori per la casa. Tutto ciò che la presenza di immagini può arricchire, e la cui presentazione sia relativamente semplice, può essere offerto sulla rete. I limiti del telecommercio sono nella ancora scarsa sicurezza delle reti di tipo Internet, che rende problematico il pagamento tramite carta di credito, l'unico possibile in rete, e la resistenza - comprensibile - delle catene tradizionali di rivenditori (commercianti al dettaglio, agenzie di viaggi, librerie, ecc.), che temono di essere scavalcate da questo nuovo tipo di intermediazione, più diretto e veloce, tra grossista e cliente.La telebanca appare molto promettente, per il fatto che richiede una limitata trasformazione dei servizi bancari, già oggi in gran parte erogati in rete allo sportello. Anche in questo caso i problemi principali risiedono nella scarsa sicurezza dei pagamenti via Internet e nel grave rischio occupazionale che può essere innescato da una diffusione di massa dei teleservizi bancari.
L'intrattenimento, infine, è considerato, insieme ai due precedenti, il servizio potenzialmente più appetibile per il grande pubblico, in grado di aprire veramente il nuovo mercato dei servizi multimediali in rete. Esso è costituito non solo dalla TV interattiva, ma anche dalle news (notizie in rete sempre aggiornate) e dai giochi (videogiochi, lotterie, scommesse). Nonostante le grandi aspettative per questo segmento di servizi, le esperienze finora attivate invitano alla cautela. La più nota esperienza di TV interattiva, quella di Full Network Service a Orlando (Florida), è stata chiusa perché non aveva raggiunto risultati esaltanti quanto al consumo di TV e al rispettivo ricavato. Ciononostante, ogni paese intende avviare queste sperimentazioni, nella convinzione che nei paesi industriali avanzati la TV generalistica e 'passiva' abbia ormai fatto il suo tempo e non possa più espandersi. I problemi della TV interattiva riguardano la difficoltà di costruire il bouquet, cioè i tanti e diversi possibili palinsesti tra i quali lo spettatore potrà scegliere, nonché il possesso e il costo dei diritti sui contenuti da trasmettere, e la propensione dello spettatore a pagare per vedere.
La telematica, intesa come insieme di reti, apparati e servizi, costituisce la più consistente speranza di ripresa dell'economia capitalistica, messa a dura prova dalla caduta dei margini di profitto non solo sui prodotti cosiddetti maturi (auto, elettrodomestici), ma anche sui prodotti dell'informatica, primo tra tutti il PC. Per questo motivo sia personaggi come il vicepresidente degli Stati Uniti, Al Gore, sia organismi come l'Unione Europea hanno lanciato messaggi molto diretti agli operatori economici occidentali: occorre investire massicciamente per creare la 'società dell'informazione', importante chance per produrre nuova ricchezza e arrestare la perdita di posti di lavoro che sta affliggendo i paesi industrializzati. In effetti la telematica sembra avere l'auspicata possibilità di dar vita a un nuovo ciclo economico espansivo. Nel 1996 il fatturato dell'industria mondiale della telematica è ammontato a 1.680 miliardi di dollari, cioè il 6% della ricchezza complessiva prodotta. Di questi, il 38% proviene dalle telecomunicazioni, il 36% dall'informatica e il 26% dall'industria dei contenuti, la cui quota va crescendo negli anni (elaborazioni da fonti diverse, v. RESEAU, 1997).
Ma il processo è necessariamente lento, soprattutto per quanto riguarda la realizzazione dei nuovi servizi, nei quali si va concentrando, a scapito delle reti e degli apparati, la maggior quantità di valore aggiunto. Essi infatti richiedono, oltre agli investimenti finanziari, anche innovazione organizzativa, capacità imprenditoriale, meccanismi di cooperazione tra gli operatori. Si tratta di creare delle nuove 'filiere produttive' che, a partire dalla filiera generale dei servizi telematici, coinvolgano operatori tradizionali e ne creino di nuovi, in grado di dedicarsi ad attività prima non esistenti.
Per ogni servizio occorre definire un modello economico con il quale offrirlo, stabilire chi investe, chi viene remunerato, quanto grande può essere il mercato e quanto è disposto a pagare. È necessario organizzare un nuovo tipo di produzione immateriale, ma non per questo meno complessa, che aggreghi i tanti contenuti informativi in nuovi 'pacchetti', scegliere tra le tante possibili reti di trasporto, infine individuare lo specifico segmento di utenza al quale rivolgersi. Questa ristrutturazione della filiera e della catena del valore è tuttora in corso in tutti i paesi industriali, e ad essa è affidata anche la possibilità di creare nuove imprese e nuova occupazione.
Per svolgere appieno il suo ruolo di leva di un nuovo sviluppo economico la telematica dovrà agire in un mercato aperto e concorrenziale. È questo il messaggio del Rapporto Bangemann (v. Gruppo di esperti di alto livello sulla società dell'informazione, 1994) ed è su questa linea che si è mossa l'Unione Europea che ha gradualmente liberalizzato prima i servizi a valore aggiunto, poi alcuni tipi di reti e infine, dal 1° gennaio 1998, l'essenza stessa del preesistente monopolio delle telecomunicazioni: la telefonia di base. Negli Stati Uniti una prima rottura del monopolio si era avuta nel 1982, quando il giudice Green decretò lo scorporo dalla potente AT&T delle società per la telefonia locale, le cosiddette baby bells. Successivamente una seconda ondata di liberalizzazione si è avuta con il Telecommunication act del 1996, che ha rimosso le ultime deboli barriere protettive, dando via libera a ogni forma di concorrenza tra operatori.
Lo stimolo alla concorrenza, e nello stesso tempo il suo potente effetto, è la graduale convergenza di operatori e settori economici finora separati: informatica, telecomunicazioni, industria dei contenuti, cioè media soprattutto televisivi. Tutte le nuove applicazioni della telematica presentano componenti dei tre tipi: contenuti, relativa elaborazione, trasporto. La nuova industria della convergenza è per definizione globale, nel senso che gli operatori appartengono alle tre aree forti del mondo - Stati Uniti, Europa, Est asiatico - ma il mercato è globale, come dimostra Internet, diffusa in centinaia di paesi. Questo comunque non significa la scomparsa di ogni dimensione locale. Anzi, se è vero che l'elaborazione dei contenuti può essere svolta in ogni parte del mondo, spesso in paesi emergenti con più basso costo del lavoro, e se è vero che le reti possono distribuire questi contenuti in ogni angolo del globo, appare invece sempre più evidente che rimane una dimensione locale nella creazione dei contenuti: informazioni locali, servizi pubblici, servizi alle imprese sono quasi sempre territorialmente definiti.
Rispetto al grande tema del lavoro umano le aspettative nei confronti della telematica sono divergenti. Se infatti molti sperano che essa possa in prospettiva dar vita a nuovi posti di lavoro anche più qualificati di quelli industriali (v. Lanzavecchia, 1996), altri temono che il suo avvento segnerà addirittura la fine del lavoro. Questa divaricazione delle ipotesi dipende dal fatto che siamo in una fase di transizione e che pertanto i fenomeni ai quali la telematica ha dato finora vita sono contraddittori. Da un lato c'è l'elevato tasso di disoccupazione presente in tutti i paesi europei, e in misura minore negli Stati Uniti, che per la prima volta interessa anche i quadri superiori e i dirigenti, cioè fasce finora non toccate dall'eventualità di perdere il lavoro. Dall'altro, un'élite di tecnici e managers che lavorano nelle nuove società legate allo sviluppo delle telecomunicazioni, spesso giovani i quali hanno alle spalle percorsi formativi talvolta eterodossi, fanno lavori da essi stessi definiti 'divertenti', talvolta inventati dal nulla, con organizzazioni produttive flessibili e poco gerarchiche, fondate sull'apporto personale e sulla creatività. Queste nuove imprese sono state definite "neoartigiane" (v. Lanzavecchia, 1996) proprio perché al loro interno non vi è separazione tra invenzione, produzione, commercializzazione. Esse rappresentano la fine del modello industriale e dell'alienazione del lavoro a esso associata e promettono, per converso, la piena valorizzazione della creatività individuale e di gruppo, nonché il successo economico, come dimostra il nuovo idolo Bill Gates.
I teorici della fine del lavoro, a loro volta, osservano che avendo l'informatica e l'automazione industriale già assorbito una quantità di lavoro direttamente produttivo, le reti telematiche assorbiranno una quantità di lavoro di 'intermediazione' oggi svolto dagli uomini, cioè del lavoro che sta tra il prodotto e il mercato (nelle banche, nel commercio al dettaglio, negli apparati amministrativi), distruggendo quindi numerosi posti di lavoro anche qualificati (v. Rifkin, 1995). Rimarrebbero esclusi da questo processo i lavori di utilità sociale (assistenza alle persone ammalate e invalide, cura dell'ambiente, ecc.) che quindi potrebbero essere svolti da coloro che hanno perso il lavoro nelle imprese, in cambio di una forma di 'salario sociale'.
Dalla tesi della fine del lavoro, argomentata mettendo a confronto il numero delle ore lavorate mediamente nelle diverse epoche, alcuni autori (v. De Masi, 1994) inferiscono che nelle società postindustriali occorre investire massicciamente nell'educazione degli individui affinché imparino a utilizzare creativamente il molto tempo libero disponibile, mentre altri (v. Meda, 1995) assumono una prospettiva più articolata, constatando la fine del lavoro considerato come elemento costitutivo dell'identità della persona e la fine del suo ruolo di principale legame sociale nelle società moderne. Da qui la necessità di 'disincantare' il lavoro, cioè di abbandonare l'atteggiamento feticistico che la società industriale gli ha costruito attorno. Interessante e riccamente argomentata la prospettiva di chi vede nella riduzione generalizzata dell'orario di lavoro l'unica via d'uscita alla fine del lavoro salariato come occupazione prevalente nella vita umana (v. Mazzetti, 1997).
La teoria della fine del lavoro, se si nutre di dati rilevati empiricamente relativi alla crisi dei settori industriali tradizionali e del terziario industriale (banche), non analizza in profondità né le molteplici cause dell'eccesso di manodopera diverse da quelle tecnologiche (baby boom degli anni sessanta, entrata massiccia delle donne nel mercato del lavoro, immigrazione, allungamento della vita media), né il ben noto effetto di transizione, in base al quale i posti di lavoro perduti appaiono subito evidenti, mentre quelli creati con l'innovazione si manifestano solo dopo un certo tempo.Uno studio commissionato dall'OECD (v., 1996) mette in luce una correlazione tra gli investimenti nella telematica e la crescita dell'occupazione. A ciò si aggiunga che negli Stati Uniti, dove sono molto più diffusi che in Europa le reti e i servizi telematici, dopo una crisi occupazionale analoga a quella che sta vivendo l'Europa, sono stati creati numerosi nuovi posti di lavoro, una parte dei quali proprio nei settori riguardanti la telematica.
Gli effetti occupazionali della telematica dipendono anche, com'è ovvio, dalle politiche del lavoro che i singoli paesi intraprendono. È esemplare a questo proposito la politica della Gran Bretagna, che utilizzando vari strumenti, dalla leva fiscale al favorevole rapporto linguistico, è riuscita a creare in Irlanda e in Scozia numerosi nuovi posti di lavoro, dando vita a centri di servizio (call centers) per imprese americane sfruttando a tale scopo proprio le reti telematiche (v. Grampian Regional Council, 1996).
Il più recente e inatteso fenomeno innescato dalla telematica, cioè la diffusione di Internet, contribuisce alla creazione di nuova occupazione attraverso la ristrutturazione di numerose attività commerciali (la cosiddetta 'disintermediazione' e la 'nuova intermediazione'). Internet si presenta infatti come una nuova rete di distribuzione di beni e servizi immateriali. Il cosiddetto commercio elettronico altro non è che la possibilità di ottenere, senza l'intermediazione di un distributore fisico, i libri dalla più grande libreria di New York, i biglietti dell'Opera di Parigi, la prenotazione e i biglietti delle linee aeree, la traduzione di un testo da una lingua all'altra. Questa 'disintermediazione' spazza via, in prospettiva, migliaia di distributori di vario genere, dai negozi di quartiere alle agenzie di viaggio, e in quanto tale genera notevole allarme riguardo alla possibile scomparsa di interi settori economici. Ma, per converso, questo fenomeno ha dato vita a nuove forme di intermediazione, cioè a migliaia di nuove 'aziende' virtuali, la cui attività economica è costituita dall'offerta su Internet di merci tradizionali o nuove.
A offrire biglietti dei teatri lirici di tutto il mondo non sono direttamente i teatri (troppo complicato sarebbe per i teatri tradizionali organizzarsi per questa modalità di offerta), ma è una nuova agenzia di brokeraggio che intorno a questo aspetto commerciale organizza anche un giornale telematico per gli appassionati di lirica, alcuni siti dedicati ai divi del momento, il calendario di tutti gli eventi importanti, le segnalazioni di riviste e libri di settore. Organizzare tutti questi contenuti e offrirli a quella che si chiama una comunità virtuale di interessi è una nuova attività di intermediazione, che si sostituisce alle vecchie biglietterie e agenzie turistiche, ma che a sua volta richiede, come tutte le nuove imprese, iniziativa, competenze, risorse finanziarie, organizzative e professionali. Nessuno è ancora in grado di fare un calcolo preciso del bilancio tra posti di lavoro perduti e altri creati, ma è indubbio che la nuova intermediazione è la chiave di volta per dare vita a una nuova industria dei contenuti nei paesi industriali avanzati.
Uno degli elementi più frequentemente citati a proposito delle tecnologie della comunicazione è, accanto all'interattività, la possibilità di eliminare dall'esperienza umana la distanza. Il prefisso 'tele' (dal greco téle, lontano) che accompagna i sostantivi didattica, sanità, servizi, conferenza, costituisce infatti la promessa di svolgere le attività indicate senza la necessità di spostarsi. L'emblema di questa strategia è il telelavoro, fenomeno ancora poco diffuso in Europa, mentre lo è in misura visibile negli Stati Uniti, che merita una riflessione perché potrebbe in prospettiva costituire una delle innovazioni sociali più dirompenti nei prossimi anni.
Per telelavoro si intende lo svolgimento della propria attività lavorativa lontano dalla sede amministrativa di appartenenza (azienda, studio professionale, ente pubblico, università, ecc.), attraverso l'utilizzazione delle reti e dei servizi di telecomunicazioni. Secondo una classica definizione del Tavistock Institute, il telelavoro può assumere queste diverse forme quanto al luogo in cui si svolge: a casa propria (home telework); in un apposito centro (telework center); spostandosi tra vari luoghi, ad esempio presso i propri clienti o in una stanza d'albergo (mobile telework); in una impresa appositamente creata per sfruttare un mercato lontano (telework off-shore).
Le attività più adatte al telelavoro sono ovviamente quelle nelle quali sia la materia prima sia il prodotto sono costituiti da informazioni che possono essere trattate elettronicamente, o almeno telefonicamente. Di conseguenza i soggetti per i quali il telelavoro si dimostra adeguato sono: l'impiegato amministrativo, il venditore che passa già oggi pochissimo tempo in ufficio e quindi può fare del telelavoro mobile, l'addetto all'ufficio informazioni telefonico, il softwarista, il traduttore, il disegnatore CAD (Computer Aided Design).
Al di là dei problemi tecnologici, in gran parte risolvibili con il livello attuale della tecnologia, la diffusione del telelavoro pone un interrogativo di fondo: stiamo andando verso la totale scomparsa del luogo di lavoro come luogo collettivo, o almeno verso una sua graduale riduzione e trasformazione? La risposta positiva o negativa determina i giudizi sul telelavoro. Se molti vedono in esso proprio la possibilità di restituire alla singola persona il controllo del proprio tempo, consentendogli di lavorare dove e quando vuole (purché in un quadro di obiettivi definito con la propria azienda), altri (v. Maldonado, 1997) vedono nel telelavoro l'ultima frontiera dell'alienazione, con il suo inevitabile corollario di isolamento sociale, rapporto con i colleghi mediato dalle reti, tendenza a sovralavorare, difficoltà di concentrarsi nell'ambiente domestico. In realtà entrambe le conclusioni appaiono eccessivamente schematiche, in quanto non esiste una forma unica di telelavoro, ma esistono tante forme e modi diversi di lavorare a distanza. Così, se l'intellettuale, il professionista, il giornalista apprezzano già da tempo la possibilità di riflettere e scrivere nell'isolamento del proprio studio o della propria casa, la casalinga, che per arrotondare il magro bilancio familiare deve svolgere un lavoro puramente esecutivo a un terminale, apprezzerà forse il fatto di non muoversi da casa, ma non guadagnerà davvero un miglioramento sostanziale della propria vita lavorativa in termini di autonomia e controllo del proprio tempo. Per tutti i lavoratori intermedi tra queste due categorie estreme (impiegati di concetto, venditori, personale tecnico di assistenza ai clienti, ecc.) i vantaggi apportati dal telelavoro dipendono da molti fattori organizzativi, economici e personali.
Il telelavoro, che negli Stati Uniti è passato dai 4 milioni di persone del 1990 agli 11 milioni attuali, con una previsione di 14 milioni nel 2000 (v. International Telework Association, 1997), è assai meno diffuso in Europa (a seconda delle fonti, il numero di telelavoratori è stimato in Europa tra 1,25 milioni e 10 milioni; v. Borgna e altri, 1996, p. 14) e ciò sia a causa di una minore informatizzazione delle aziende e della pubblica amministrazione, sia a causa di una più rigida legislazione del lavoro, che lo rende difficilmente praticabile su larga scala per i lavoratori dipendenti senza l'accordo dei sindacati. In Italia, in particolare, a fronte di sei accordi sindacali che interessano poche centinaia di lavoratori dipendenti (v. Rizzo, 1997, pp. 36-66), si stima che vi siano circa 100.000 telelavoratori autonomi, prevalentemente nell'area dello sviluppo software, della pubblicità, del giornalismo (v. Borgna e altri, 1996, p. 14).
In tutta Europa i sindacati, un tempo fortemente contrari a questa innovazione, si stanno attrezzando per fissare alcune garanzie minime che siano oggetto di contrattazione tra lavoratore e azienda, soprattutto quando la scelta del telelavoro è imposta dall'azienda. In Italia la situazione sta evolvendo rapidamente, almeno per quanto riguarda la posizione del sindacato, al punto che il telelavoro è stato esplicitamente menzionato come possibilità in due contratti collettivi di lavoro, nonché nel recente accordo sul pubblico impiego (v. MIRTI, 1997).
Al di là degli specifici vincoli che esso incontra in Italia, è indubbio che, attraverso la diffusione del telelavoro e del lavoro autonomo in rete, si stia andando verso una ristrutturazione dei luoghi fisici del lavoro, che accompagna ed evidenzia la ristrutturazione della sua divisione tecnica e sociale. La ristrutturazione è innanzitutto di tipo geografico. Le attività più strategiche delle aziende multimediali si concentrano nelle grandi città dove è più facile l'integrazione creativa tra le diverse professionalità, mentre la produzione del relativo software migra sempre più in periferia e le reti distribuiscono i prodotti su scala globale. Il luogo e il tempo di lavoro diventano così, grazie alle reti, molto più flessibili e quindi possono, con opportune politiche, essere sempre più personalizzati. Si diffondono tempi di lavoro atipici (part-time, tempo determinato, prestazioni occasionali) e luoghi di lavoro atipici (casa, albergo, ufficio temporaneo a rotazione con altri colleghi).
Di conseguenza il telelavoro, spesso identificato come soluzione univoca perché univoco è il suo contenuto tecnico, è invece una modalità di lavoro che assume significati e forme assai differenti in relazione all'attività che viene svolta e alla sua collocazione nella divisione del lavoro. Per coloro che svolgono le attività strategiche, il telelavoro è di solito una scelta individuale, intermittente, reversibile e adattabile alle proprie esigenze, mentre per coloro che fanno lavori tecnico-professionali è una scelta, spesso obbligata, per alleggerire i costi immobiliari nella fase di avvio dell'attività. Assai spesso, tuttavia, soprattutto negli Stati Uniti, il telelavoro è una strategia aziendale, tendente a ridurre fino ad azzerarli i costi immobiliari e gestionali. Raramente questa soluzione viene davvero incontro alle esigenze di tutti i lavoratori, ed è solitamente in questi casi che vengono esperiti il senso d'isolamento e l'incapacità di identificarsi con il proprio lavoro e con la propria azienda, nonché la difficoltà di mantenere elevata la propria professionalità che spesso si nutre dello scambio informale con i colleghi di lavoro.
La telematica, come avvenne a suo tempo con l'informatica, alimenta numerose utopie positive e negative, fondate le une e le altre sui concetti di interattività (ovvero rapporto diretto, non mediato, tra utente e fonte dell'informazione) e di 'morte della distanza'. Quest'ultima, con il suo corollario di teleservizi, telelavoro, teledidattica, viene da taluni vissuta al negativo come fine della socialità, intendendo la socialità quasi esclusivamente come prossimità fisica, come "interazione faccia a faccia tra gli attori sociali", che però debbono essere reali. "Allorquando la compresenza viene a mancare, o a indebolirsi, come nel caso dell'interazione telematica, la democrazia appare fortemente minacciata" (v. Maldonado, 1997, p. 58). Le nuove reti sono quindi viste, in queste analisi, come elementi di una ulteriore frammentazione sociale.
Nelle utopie positive prevale invece l'aspetto della ricomposizione sociale che le nuove reti consentirebbero attraverso le molteplici possibilità di interconnessione offerte ai singoli soggetti, anche su dimensione planetaria. A ben vedere, in tutte le utopie positive - si riferiscano alla democrazia, alla cultura o al lavoro - vi è un elemento comune, consistente nel ritenere che la telematica possa, in prospettiva, ricreare la personalizzazione nelle moderne società di massa. Se infatti il problema della modernità è quello di recuperare individualità e soggettività, oggi compresse e sacrificate, le nuove reti che "insieme a un effetto di distribuzione, producono un effetto di connessione" (v. Rodotà, 1997, p. 101) manterrebbero intatta la complessità sociale senza impoverire le possibilità espressive e di esperienza dei singoli.Intorno a questi complessi poli ruota il dibattito sulle potenzialità della comunicazione in rete ai fini sia di una diversa socialità, sia degli sviluppi della democrazia.
Per molte persone il rapporto diretto con le reti e i servizi telematici è stato raggiunto recentemente attraverso Internet. La grande potenzialità di Internet, considerata come infrastruttura di comunicazione, sta nella sua capillarità, cioè nella possibilità di comunicare virtualmente con chiunque attraverso meccanismi di comunicazione che vanno dai meno strutturati (messaggi scambiati in posta elettronica tra due o più persone) a quelli più strutturati del forum, della comunità virtuale e della rete civica.
Il forum è il luogo virtuale di un dibattito organizzato e moderato da qualcuno, in generale da chi (un privato o una istituzione) ha interesse a realizzare il colloquio su di uno specifico tema. Può trattarsi della discussione sulla pena di morte o sulla medicina omeopatica, della richiesta di informazioni sul modo di curare una malattia rara o del club dei fans di un cantante rock.
Intorno ai forum si creano le comunità virtuali, costituite da persone che condividono un interesse per un determinato argomento e desiderano mantenersi in contatto tra loro. L'emergere delle comunità virtuali è stato oggetto di alcune ricerche e riflessioni tese a verificare i caratteri della socialità virtuale che così si crea. Anche in questo caso, come nell'analisi di molti fenomeni legati all'innovazione tecnologica, la lente attraverso la quale i fenomeni sono esaminati è quella del confronto con gli analoghi fenomeni non virtuali. Le comunità virtuali, se paragonate a quelle reali, presentano indubbiamente caratteri molto diversi, fondamentalmente due: la capillarità e la numerosità dei contatti raggiungibili, e la possibilità non solo di anonimato, ma addirittura di mascheramento.
Mentre per alcuni, come si è già notato, si tratterebbe di una falsa socialità, perché nella comunità virtuale verrebbe messa in comune (socializzata) solo una parte di se stessi, anzi una maschera priva della reale sostanza (v. Maldonado, 1997, p. 63), vi è invece chi vede nella nascita e crescita delle comunità virtuali la chiave per ricostruire un legame sociale oggi deteriorato per il prevalere del feticcio della merce e del denaro. Pierre Lévy (v., 1996) elabora un'utopia che vede nella creazione di un nuovo 'territorio', quello del sapere, la garanzia che l'identità di ciascuno sarà definita da ciò che egli sa e sa fare, indipendentemente dalla sua qualifica formale (operaio o insegnante, studente o casalinga). Le reti saranno la tecnologia attraverso la quale questi diversi spazi entreranno in contatto tra loro, non sulla base di uno scambio unilaterale (da chi sa verso chi non sa) ma in base a una circolarità ed equivalenza completa dei diversi saperi. In questo senso le reti costituiscono una ulteriore tappa dei sistemi di comunicazione nella quale, dopo l'invenzione del linguaggio e della scrittura, territorialmente limitati, si crea un universo di intelligenza collettiva su scala mondiale. Per Lévy "le gerarchie burocratiche fondate sulla scrittura (statica), le monarchie mediatiche (che si reggono sulla televisione e il sistema dei media) e le reti dell'economia internazionale (che impiegano il telefono e le tecnologie del tempo reale) mobilitano e coordinano solo parzialmente le intelligenze, le esperienze, le tecniche, i saperi e l'immaginazione degli esseri umani. Ecco perché si pone con particolare urgenza la questione dell'invenzione di nuovi meccanismi di pensiero e di negoziazione, che possano far emergere vere e proprie intelligenze collettive" (ibid., p. 18). In tal modo "l'intellettuale collettivo costruisce e ricostruisce la propria identità per mezzo del mondo virtuale che esprime" (p. 159). Per Lévy si tratta di un'utopia, ma un'utopia necessaria se non si vuole che intorno alle nuove reti si consolidi un progetto sociale che aumenterebbe il potere delle élites e rafforzerebbe il mondo delle merci.
Le reti civiche sono una forma particolare di comunità virtuale, quella che si costruisce intorno ad una rete che non ha particolari caratteristiche tecniche, se non quella di essere facilmente accessibile dalle case (e perciò, attualmente, la rete telefonica), a partire da un comune interesse di alcune persone e gruppi per ciò che riguarda la propria città. Collegandosi alla rete civica i cittadini (dotati di un PC in rete e di un abbonamento a basso costo) possono interpellare gli amministratori pubblici, chiedere informazioni su servizi e prestazioni delle diverse amministrazioni, avanzare reclami, cercare collegamenti con persone che abbiano i loro stessi interessi. Si distinguono tre tipologie di reti civiche: quelle che hanno l'obiettivo di facilitare l'uso della città da parte dei suoi abitanti e che quindi contengono informazioni su servizi, orari, procedure di accesso, eventi significativi (civic net); quelle che costituiscono la vetrina della città verso l'esterno e che quindi contengono principalmente informazioni sulle occasioni turistiche e culturali della città (city net); quelle il cui fine è di agevolare la comunicazione tra i cittadini e responsabili politici della città (community net) (v. De Cindio, 1996).
In Italia esistono più di 30 reti civiche, la più vecchia delle quali è quella milanese, attivata nel 1995. Quello delle reti civiche è sicuramente un esperimento sociale interessante perché, al di là dell'aspetto più strettamente informativo, consente di mettere a disposizione della cittadinanza un canale di comunicazione diretto con i responsabili della cosa pubblica. In questo senso esse costituiscono un tipico strumento delle nuove forme di democrazia fondate sulla comunicazione elettronica.
In alcuni autori l'aspettativa nei confronti dei mezzi di comunicazione elettronica è in effetti proprio quella di saltare tutte le 'mediazioni', viste come fattore di espropriazione del potere sovrano del popolo, per rimettere tutto il potere decisionale nelle mani dei cittadini. Per altri, viceversa, rimangono presenti, e in certa misura enfatizzate dalle nuove tecnologie, le possibilità di controllo e di manipolazione delle coscienze tipiche delle moderne società 'mediatiche'.
Appartengono al filone di coloro che ritengono le nuove reti strumenti potenziali di estensione della democrazia il sociologo francese Pierre Lévy e il giurista italiano Stefano Rodotà. Lévy sostiene che "l'ideale della democrazia non è l'elezione dei rappresentanti, ma la partecipazione della maggior parte del popolo alla vita della città" (v. Lévy, 1996, p. 77). Ne consegue che "l'uso socialmente più proficuo della comunicazione informatizzata è senza dubbio quello di fornire ai gruppi umani i mezzi per mettere in comune le proprie forze mentali al fine di costituire collettivi intelligenti e dar vita a una democrazia in tempo reale" (ibid., p. 74). Quella di Lévy è comunque una versione molto articolata del concetto di "democrazia diretta in tempo reale nel cyberspazio": una democrazia che consentirebbe a ciascuno di contribuire permanentemente a elaborare e affinare i problemi comuni, a inaugurare nuove discussioni, a forgiare argomenti, a enunciare e adottare posizioni autonome le une dalle altre su una grande varietà di temi (p. 78).
Una democrazia in cui gli esseri umani usano le reti non per rispondere in tempo reale sì o no ai possibili molteplici referendum istantanei, ma invece per "favorire una autentica socializzazione delle soluzioni dei problemi piuttosto che la loro gestione da parte di istanze separate [...]" nonché per "filtrare intelligentemente i dati, per navigare tra le informazioni, per simulare sistemi complessi, per comunicare trasversalmente e poter rintracciare persone e gruppi in funzione delle loro attività e del loro tipo di conoscenze" (p. 74).
In Lévy quindi vi è ancora un concetto di democrazia come espressione di posizioni collettive, anche se lo stesso autore vede nell'uso delle reti il vantaggio per cui "non si parteciperebbe più alla vita della città in massa, facendo numero, o conferendo maggiore legittimità a un portavoce, ma creando la diversità, animando il pensiero collettivo, contribuendo alla elaborazione e soluzione di problemi comuni" (p. 78). Non potrebbe esservi modo più lucido per disegnare l'utopia telematica: il recupero dell'individualità e soggettività nella società di massa.Rodotà a sua volta riconosce che "siamo di fronte a una vera crisi delle forme tradizionali della democrazia rappresentativa, che può tradursi (o già si traduce) nel rifiuto delle istituzioni da parte di molti cittadini. Poiché una possibile via d'uscita viene indicata in una integrazione tra forme della democrazia rappresentativa e forme della democrazia diretta, diventa giusto chiedersi se le tecnologie dell'informazione - rendendo tecnicamente possibile una associazione più immediata dei cittadini alle fasi della proposta, della decisione e del controllo - possano aiutarci a inventare la democrazia del XXI secolo" (v. Rodotà, 1997, p. 45).
La risposta di Rodotà è positiva, ma è molto più articolata di quella di coloro che vedono nelle tecnologie dell'informazione la possibilità di ottenere in tempo reale risposte di massa, ma individualizzate, a un numero potenzialmente infinito di referendum su una qualsivoglia questione (la cosiddetta 'sondocrazia'). Per Rodotà le nuove tecnologie consentono di dar vita a forme di democrazia continua che non si contrappongono alla democrazia diretta e a quella indiretta se non per il fatto di essere continue e non, come quelle prima citate, intermittenti, cioè affidate alle elezioni per nominare i propri rappresentanti o a referendum su singole proposte.
Le forme di democrazia continua alle quali Rodotà fa riferimento sono quelle che consentono ai cittadini di "entrare in procedimenti altrimenti caratterizzati da chiusura ed esclusività" (ibid., p. 68). Consapevole che la sovranità dei cittadini si esercita non soltanto delegando a qualcuno le proprie decisioni, ma anche intervenendo nella formazione dell'agenda politica, Rodotà intravede la nascita di nuove figure attive nel processo democratico: il cittadino che interroga, che interviene, che si organizza, che controlla l'operato dei suoi delegati. Tutto ciò richiede l'uso di una comunicazione verticale, e di molti a molti, come quella offerta dalle reti telematiche. "L'esito complessivo delle tecnologie della comunicazione, dunque, può essere quello di un ampliarsi dello spazio pubblico di rappresentanza, non più identificabile con le sole assemblee elettive e nel quale troverebbero modo di manifestarsi identità e domande altrimenti sacrificate" (p. 77). Da questo punto di vista le reti civiche costituiscono forse lo strumento che meglio attua tale forma di democrazia continua, circolare, di intervento e proposta da parte dei cittadini e non solo di ratifica o rifiuto di decisioni altrui. Di diverso parere è invece Tomàs Maldonado, il quale ritiene che la vasta disponibilità di risorse di rete per entrare in comunicazione virtualmente con chiunque non evita il rischio di un controllo sulla comunicazione e, più in generale, sui modi di vita delle persone. In particolare, riferendosi a Internet, Maldonado ritiene certamente inadeguate a rappresentare il carattere potenzialmente oppressivo della rete le metafore del Grande Fratello orwelliano e del Panopticon benthamiano, in quanto manca sicuramente nella rete un soggetto cosciente e dotato di volontà esplicita di controllo. Tuttavia Maldonado individua nel 'ragno' che tesse la ragnatela la metafora di colui o coloro che comunque progettano, costruiscono e gestiscono la ragnatela (web), e si dimostra assai scettico sulla possibilità che il fatto stesso che sulla rete comunichino milioni di individui dotati di una autonoma iniziativa possa di per sé evitare forme di controllo: "Se le funzioni attribuite nel passato a un unico Inspector o a un unico Grande Fratello (o a un unico 'ragno') venissero nel futuro affidate di fatto a milioni e milioni di utenti di una rete di tipo 'rizoma', chi può assicurare che, in fondo, il ruolo di questi non sia altro che vicario, ossia di sottile rappresentanza indiretta, e perciò meno visibile di prima, dei tradizionali detentori del potere?" (v. Maldonado, 1997, p. 33).
Ritorna quindi, nelle analisi degli studiosi più consapevoli, l'idea che il progetto sociale al quale piegare l'uso delle tecnologie telematiche possa essere quello di una nuova 'umanizzazione' delle società moderne, nelle quali divenga possibile armonizzare i vantaggi tipici delle società di massa (benessere e cultura diffusi, possibilità di incontri e scambi, larga circolazione delle merci) con quelli delle società elitarie: la possibilità di comunicare con individui scelti in base a una comunione di interessi e progetti, la personalizzazione di percorsi formativi, la scelta di consumi culturali e di intrattenimento, la possibilità di incidere in modo individuale sui processi politici. Naturalmente questa consapevolezza, che sfiora l'utopia, si confronta con una indubbia ambiguità delle tecnologie di rete, che possono per converso, come qualunque manufatto umano, essere piegate ad usi di controllo sociale e di impoverimento della ricchezza sociale complessiva.
Quante di queste promesse della società dell'informazione saranno realmente mantenute non è facile dire, in una fase di accelerata transizione tecnologica ed economica. La globalizzazione dei mercati, la graduale concentrazione delle attività economiche più pregiate in specifiche aree geografiche e in grandi corporations, la tendenziale mercificazione di numerose attività finora sottratte al mercato (come gran parte di quelle informative e comunicative) non sembrano andare nella direzione di una restituzione diffusa del controllo e del potere ai singoli o a piccoli gruppi, e di una società capillarmente democratica e autoregolata.È possibile allora che il potere e il controllo possano essere restituiti ai singoli soggetti ad un livello molto 'locale' (ad esempio il modo e il luogo dal quale lavorare, ma non il contenuto e la destinazione finale del lavoro), mentre i grandi progetti 'globali' (che cosa produrre e per chi, come orientare le grandi opzioni politiche e sociali) potrebbero rimanere ancor più concentrati di prima, anche grazie alle nuove telecomunicazioni. (V. anche Elettronica; Informatica).
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