Telerilevamento
Sorveglianza globale
L'Osservazione della Terra dallo Spazio
di Bizzarro Bizzarri
16 febbraio
I rappresentanti di 59 paesi e 30 organizzazioni internazionali partecipanti al gruppo GEO, riuniti a Bruxelles, approvano il piano decennale per il GEOSS (Global Earth Observation System of Systems), stabilendo strumenti e modalità per la costituzione di una rete mondiale di osservazioni basate su stazioni terrestri e su satelliti finalizzata alla previsione e alla prevenzione di catastrofi naturali e ambientali.
Mutazioni dell'ambiente terrestre
Sono trascorsi ormai oltre 25 anni da quando la prima Conferenza sul clima del globo (Ginevra, febbraio 1979) gettò l'allarme sui possibili cambiamenti climatici a scala globale. Variando il clima, varia in conseguenza l'intero ambiente terrestre (global change), con particolare impatto sulla biosfera in cui si addensano le attività umane. È importante notare che l'interazione fra la scala globale e quella locale non è paritetica. Il clima a scala locale non può non adattarsi alla circolazione generale dell'atmosfera, ma il suo impatto sulla scala globale avviene attraverso processi di aggregazione più complicati e meno prevedibili (in senso deterministico). Pertanto, sebbene il fine ultimo sia quello di prevedere l'evoluzione del clima e dell'ambiente alla scala in cui viviamo (quella locale), un passaggio obbligato è costituito dalla comprensione e dalla previsione del clima e dell'ambiente a scala globale.
Ciò pone pesanti problemi organizzativi. Infatti, mentre le attività a scala locale sono controllate dagli Stati, l'ambiente globale è in massima parte extraterritoriale (oceani, zone artiche e antartiche) o, comunque, desertico (deserti sub-tropicali, grandi catene montuose). Anche nelle zone popolate vi sono fenomeni transfrontalieri, tipicamente quelli associati alla circolazione generale dell'atmosfera, che sfuggono alla responsabilità di Stati individuali. Per questi motivi sono sorte molteplici iniziative (forse troppe) tendenti a coordinare le azioni dei vari Stati per risolvere il problema della scala globale. Sono stati definiti numerosi grandi programmi che coprono tutti gli aspetti del problema (a volte anche, oggettivamente, secondari), ma si tratta spesso di iniziative di tipo scientifico non supportate da risorse finanziarie e capacità organizzativa. L'ultima in ordine di tempo è il GEO (Group on Earth Observations), che si è andata formando a partire dalla seconda metà del 2003 ed è stata formalizzata il 16 febbraio 2005 con l'approvazione del piano decennale e l'assunzione della configurazione di 'iniziativa intergovernativa'. L'idea di base è utilizzare l'interconnessione di sistemi di osservazione esistenti, anziché tentare velleitariamente di crearne di nuovi, e puntare sull'integrazione di sistemi basati al suolo con altri basati su piattaforme spaziali.
La storia dirà quanto quest'iniziativa, fondata su idee in realtà non nuove ma impostata a più alto livello politico, avrà impatto sull'evoluzione del sistema di osservazione della Terra. Comunque, è una realtà che esistono diversi sistemi di osservazione, più o meno efficienti, su Terra e dallo Spazio, e che un maggior coordinamento potrebbe condurre ad ampliare la base di utilizzazione così da coprire un più ampio spettro di problematiche dell'ambiente. Fra questi sistemi, data l'importanza trainante degli aspetti globali, i satelliti rivestono un ruolo dominante. Solo i satelliti, infatti, dall'alto della loro orbita, hanno un campo di vista talmente ampio da consentire l'osservazione di tutta la superficie terrestre con una frequenza temporale accettabile. Satelliti in orbita polare o, comunque, ad alta inclinazione sul piano equatoriale, possono osservare tutta la superficie terrestre due volte al giorno. Frequenze più alte si possono ottenere mediante orbite a bassa inclinazione, perdendo però la visione delle zone polari o ad alta latitudine. Per osservazioni continue o, comunque, a frequenza suboraria, si deve utilizzare l'orbita geostazionaria, di periodo 24 ore in sincronismo con la rotazione terrestre. L'orbita è equatoriale, ma l'altezza è tale (35.800 km) che il disco terrestre osservato si spinge fino a oltre 70° di latitudine.
Diversi sistemi satellitari sono in funzione, con i seguenti scopi: osservazione del tempo meteorologico; ricerca e gestione delle risorse terrestri; studio del bilancio energetico globale e del ciclo dell'acqua; studio e monitoraggio degli oceani e della criosfera; introspezione nell'interno della Terra solida; studio dei gas a effetto serra, dell'inquinamento dell'aria, della chimica dell'atmosfera; idrologia operativa, gestione delle risorse idriche, prevenzione dei disastri naturali.
L'osservazione del tempo meteorologico
Il primo satellite di osservazione della Terra, TIROS-1 (Television and Infra-Red Observation Satellite), era dedicato alla meteorologia. Fu lanciato il 1° aprile 1960. Da allora molte serie di satelliti meteorologici si sono succedute, alcune sperimentali, altre operative.
A partire dal 1978 è in funzione una costellazione di satelliti completamente operativi, alcuni in orbita quasi-polare eliosincrona (cioè sorvolanti ciascuna zona della Terra sempre alla stessa ora solare locale, tutto l'anno) per fornire, complessivamente, la copertura globale ogni 3-4 ore; altri in orbita geostazionaria tutt'attorno all'equatore per fornire osservazioni continue entro il loro campo di vista.
La fig. 1 illustra come si presenta la costellazione che si tende a realizzare, basata su sei satelliti geostazionari per coprire la fascia di latitudini compresa fra ± 55°, e quattro satelliti eliosincroni per realizzare la copertura completa del globo ogni 3 ore (più frequentemente alle alte latitudini).
La missione chiave dei satelliti geostazionari è la ripresa di immagini dei sistemi nuvolosi e della superficie terrestre nelle bande di radiazione e.m. in onda corta (luce solare riflessa) e in infrarosso termico (emissione). Il radiometro attualmente più avanzato è SEVIRI (Spinning Enhanced Visible and Infra-Red Imager) su MSG (Meteosat Second Generation), lanciato nel 2002 e attivato progressivamente fino alla completa operatività nel corso del 2005. Le immagini dal SEVIRI (fig. 2) mostrano con immediatezza le configurazioni dei sistemi nuvolosi e consentono, dopo elaborazione multispettrale, di dedurre temperature superficiali del mare, del suolo e delle nubi, indici di vegetazione, spessore ottico delle nubi e degli aerosol, proprietà radiative come l'albedo e l'emissività, e altre. Mediante analisi della variazione della posizione di nubi o vortici di vapore acqueo da un'immagine alla successiva si ottengono informazioni sul campo del vento in quota, parametro primario delle equazioni del moto dell'atmosfera. Mediante associazione più o meno stringente con modelli concettuali fisici si arriva a dedurre informazioni sull'intensità di precipitazione.
I satelliti eliosincroni effettuano molte più osservazioni di quelli geostazionari, favoriti dall'orbita relativamente bassa che consente migliori risoluzioni geometriche e radiometriche, a scapito della frequenza di osservazione.
La missione chiave è quella del sondaggio verticale della temperatura e dell'umidità dell'atmosfera, parametri primari delle equazioni del moto.
Per la temperatura, si utilizzano bande di assorbimento da parte di gas distribuiti nell'atmosfera in quantità nota e stabile (biossido di carbonio in infrarosso, ossigeno in microonde). Per l'umidità, sono disponibili diverse bande sia in IR sia in MW. Suddividendo le bande in sottili canali distribuiti in zone di diverso assorbimento si effettua la stratigrafia dell'atmosfera (maggiore l'assorbimento, più alto lo strato atmosferico osservato). La risoluzione verticale dipende dalla risoluzione spettrale dello strumento (massima per gli spettrometri rispetto ai radiometri) e dalla sensibilità della banda a variazioni di temperatura (migliore per l'IR rispetto alle MW); è quindi massima per spettrometri in IR. Tuttavia in infrarosso le nubi risultano opache, e pertanto la misura in IR deve essere abbinata a quella in MW, che è affetta dalla nuvolosità solo in caso di precipitazione intensa. Gli spettrometri in IR coprono normalmente tutto l'intervallo spettrale che va da 4 a 16 m, e quindi possono osservare, oltre al CO2 e all'H2O utilizzati per il sondaggio verticale di temperatura e umidità, altri gas in traccia a effetto serra, primo fra tutti l'ozono, e poi CO, NH4, N2O.
Altre specie possono essere osservate spingendosi verso più alte risoluzioni spettrali (potere risolvente oltre 10.000), che però trascendono ciò che viene normalmente richiesto per l'applicazione meteorologica operativa (potere risolvente intorno a 1000). Una tecnica per ottenere profili di temperatura e umidità ad altissima risoluzione verticale, sia pure a scapito di quella orizzontale e della frequenza di osservazione, è la ricezione di segnali provenienti da satelliti di navigazione (GPS, Global Positioning System) durante la fase di occultazione. La rifrazione indotta dagli strati atmosferici incontrati dal segnale dipende dalla densità dell'atmosfera, funzione della sua temperatura e umidità. È una misura preziosa perché consente di rilevare con precisione l'altezza delle superfici di discontinuità (tropopausa e limite del PBL, Planetary Boundary Layer) ed è 'assoluta' (in ultima analisi, una misura di tempo), quindi adatta come indicatore climatico.
La seconda priorità dei satelliti meteorologici eliosincroni è l'estensione della missione di immagini alle alte latitudini, non osservabili dall'orbita geostazionaria. A parte la copertura globale, la missione da orbita bassa consente migliore risoluzione e precisione dei prodotti quantitativi derivabili dall'elaborazione delle immagini, primo fra tutti la temperatura della superficie del mare, il più importante parametro rappresentato nelle equazioni del moto dopo i tre profili verticali fondamentali (vento, temperatura e umidità). Rispetto all'orbita geostazionaria, l'orbita bassa consente di ottenere immagini oltre che nel campo ottico anche in microonde, con caratteristiche di operatività ogni-tempo e sensibilità ad altri parametri come i ghiacci e la neve, l'umidità del suolo, il vento sulla superficie del mare, la precipitazione. La radiometria a immagini in MW viene attualmente praticata da satelliti sperimentali ma passerà su satelliti operativi entro i prossimi cinque anni. Altra importante osservazione praticata da orbita bassa è il vento sulla superficie del mare, possibile con buona precisione mediante microonde attive (radar scatterometro). L'evoluzione delle responsabilità dei servizi meteorologici nazionali nei riguardi dell'ambiente ha condotto a includere fra le missioni dei satelliti operativi eliosincroni anche alcune misure di chimica dell'atmosfera, particolarmente quella dell'ozono e delle specie che interferiscono con il suo ciclo evolutivo. Così, spettrometri operanti nell'ultravioletto e nel visibile per osservare O3, NO2, BrO, ClO, OClO, nonché inquinanti atmosferici come SO2 e HCHO (formaldeide), sono già stati sperimentati e stanno per volare su satelliti meteorologici operativi.
Attualmente il satellite meteorologico eliosincrono più avanzato è MetOp (fig. 1), primo della serie EPS (EUMETSAT Polar System), in attesa di essere posto in orbita nell'aprile 2006. Il sistema di satelliti operativi si avvale, per lo sviluppo della strumentazione, di satelliti di ricerca e sviluppo lanciati come missione singola o in piccole serie da agenzie spaziali come la NASA statunitense (National Aeronautics and Space Administration) e l'ESA (European Space Agency).
Al momento la costellazione di satelliti meteorologici costituisce l'unico sistema di osservazione della Terra dallo Spazio completamente operativo. Le agenzie che gestiscono i satelliti afferiscono a servizi meteorologici nazionali (di USA, Russia, India, Cina e Giappone) o multinazionali (l'EUMETSAT per 18 paesi europei, inclusa l'Italia), assistiti dalle corrispondenti agenzie spaziali di ricerca e sviluppo (l'ESA per 16 paesi europei inclusa l'Italia). Questi si coordinano nel CGMS (Coordination Group for Meteorological Satellites), che costituisce il braccio esecutivo del WMO Space Programme. Il WMO (World Meteorological Organization) coordina le attività meteorologiche e le associate attività idrologiche, climatologiche e ambientali svolte a livello internazionale. Oltre a condurre le attività proprie, partecipa a programmi congiunti, compresi quelli di ricerca ai quali normalmente offre ospitalità fisica e supporto logistico (un esempio è il GEO, di cui si è parlato in precedenza).
La ricerca e la gestione delle risorse terrestri
La seconda applicazione dell'osservazione della Terra ad avere raggiunto un certo grado di operatività è quella dell'esplorazione delle risorse terrestri. Si tratta della trasposizione su piattaforma spaziale delle tecniche di fotogrammetria da aereo e quindi, dal punto di vista storico, può vantare la primogenitura del concetto di 'telerilevamento'. Il primo satellite per la ricerca delle risorse terrestri, ERTS (Earth Resources Technology Satellite) fu lanciato il 23 luglio 1972 e in seguito ribattezzato Landsat-1. Attualmente il satellite più avanzato è SPOT-5 (Satellite Pour l'Observation de la Terre; fig. 1).
Il modo di operare dei satelliti per la ricerca delle risorse terrestri è sostanzialmente diverso da quello dei satelliti meteorologici, in quanto l'evoluzione temporale del suolo si misura in termini di giorni o settimane o mesi, anziché di ore o minuti. La risoluzione geometrica, requisito prioritario, dell'ordine della decina di metri fino a meno di un metro, viene ottenuta a spese del campo di vista, limitato all'ordine dei 100 km o di poche decine di chilometri.
L'orbita è ancora eliosincrona (quasi-polare) ma la strisciata osservata durante il percorso da polo a polo non è sufficientemente ampia da saldarsi con quella osservata durante l'orbita precedente (a tal fine, dovrebbe essere ampia almeno 2500 km trasversalmente alla traccia al suolo del satellite). Per realizzare una copertura globale è necessario attendere decine di giorni. Per abbreviare il tempo necessario a effettuare l'osservazione di un'area specifica si può puntare lo strumento lateralmente verso l'area desiderata, rinunciando alla sistematicità della copertura globale. È anche possibile, osservando la stessa area da due orbite consecutive puntando verso destra e poi verso sinistra, effettuare immagini stereoscopiche. Nel caso di piccoli satelliti ad altissima risoluzione è l'intera piattaforma che viene ruotata per osservare lateralmente l'area desiderata.
La strumentazione include invariabilmente almeno tre canali nel visibile e nel vicino infrarosso (il NIR è essenziale per misurare indici di vegetazione) più uno pancromatico a maggiore risoluzione.
Le applicazioni dei satelliti per l'osservazione del suolo sono molto varie. Nei primi anni l'enfasi era sulla cartografia e le strutture geologiche (lineamenti, fratture della litosfera) utili per la ricerca mineralogica o acquifera o petrolifera, specialmente nelle aree della Terra scarsamente popolate. Il successo di queste applicazioni, ora passate in fase di mantenimento e aggiornamento, è sotto gli occhi di tutti (atlanti tematici). L'applicazione trainante, che richiede osservazioni a ritmo almeno settimanale, è l'agronomia: classificazione delle colture, sorveglianza dei cicli fenologici, rivelazione di stress idrici o malattie delle piante. L'uso del suolo si evolve su ritmi più lenti: urbanizzazione, forestazione o deforestazione, processi di desertificazione. Un'applicazione recentemente introdotta è la sorveglianza dell'edilizia e delle discariche abusive. Nell'ambito dei disastri naturali (alluvioni, frane, terremoti), i satelliti di osservazione del suolo svolgono un ruolo nella fase post-evento, per la valutazione dei danni, mentre in fase di evento la loro utilizzazione è occasionale, in quanto limitata dalla scarsa frequenza del ciclo di osservazione e dal fatto che le bande VIS e NIR sono accecate dalle nubi in caso di maltempo.
Per alcune applicazioni, il limite delle bande ottiche rispetto all'occultamento da parte delle nubi è superabile utilizzando le microonde. Il radar ad apertura sintetica (SAR, Synthetic Aperture Radar) fornisce osservazioni ogni-tempo con la richiesta risoluzione della decina di metri. La ricchezza di informazione non è paragonabile a quella delle bande ottiche, ma ve n'è almeno una, la topografia, o il DEM (Digital Elevation Model) per cui il SAR è insostituibile. La si ottiene mettendo a confronto immagini riprese da posizioni diverse (in tempi diversi) ed elaborandole con tecniche interferometriche.
La stessa tecnica applicata a immagini rilevate in condizioni geometriche identiche ma a tempi diversi consente di evidenziare variazioni (di elevazione, di lineamenti costieri, di aree inondate, di uso del suolo). Il primo SAR in orbita fu sperimentato da SeaSat, lanciato dalla NASA il 27 giugno 1978. Attualmente, il SAR più avanzato è quello di Envisat dell'ESA.
È interessante notare che si è ora giunti al punto che numerosi (piccoli) satelliti per l'osservazione del suolo, con risoluzioni spesso migliori di 1 m, sono posti in orbita e gestiti su basi commerciali da compagnie private. In questo senso il livello di maturità raggiunto dai satelliti per l'osservazione del suolo è addirittura superiore a quello dei satelliti meteorologici, essendosi conseguita una certa capacità di autosostentamento.
Il bilancio energetico globale e il ciclo dell'acqua
Ai fini della comprensione del clima globale e della previsione della sua possibile evoluzione è essenziale osservare le componenti del bilancio energetico nel sistema superficie-atmosfera. In questo bilancio, il ciclo dell'acqua riveste un ruolo dominante.
La sorgente unica di energia per il sistema superficie-atmosfera è la radiazione solare. Quella non riflessa indietro verso lo Spazio dalle nubi o dalla superficie viene solo in piccola parte intercettata dall'atmosfera. La sorgente energetica maggiore per l'atmosfera è costituita dal vapor acqueo, che lascia la superficie del mare (evaporazione) o il suolo e la vegetazione (evapotraspirazione) e, ridistribuito lungo la verticale, al momento della condensazione rilascia il calore latente nel seno dell'atmosfera. La precipitazione rimuove l'acqua condensata consentendo ad altro vapore di condensare. Processi di ri-evaporazione durante la caduta contribuiscono a ridistribuire il calore latente lungo la verticale. La formazione delle nubi, che riflettono fortemente la radiazione solare, altera l'afflusso di energia primaria. Il vapor acqueo nell'atmosfera (il più potente fattore dell'effetto serra) e le nubi catturano la radiazione infrarossa emessa dalla superficie verso lo Spazio, a vari livelli lungo la verticale. La precipitazione che raggiunge la superficie controlla l'evoluzione della sorgente di calore latente alterando l'umidità del suolo o, sul mare, la temperatura superficiale e la salinità, e modificando la temperatura della superficie influenza anche l'altro meccanismo di trasporto di calore verso l'atmosfera attraverso il PBL, cioè il calore sensibile (per conduzione e trasporto turbolento). Tutti questi processi, qualitativamente ben chiari, devono però essere descritti in termini quantitativamente realistici nei modelli di circolazione generale (GCM, General Circulation Model). Piccoli spostamenti degli equilibri possono condurre a conclusioni opposte circa l'evoluzione del clima della Terra. Il programma GEWEX (Global Energy and Water Cycle) costituisce il cuore del WCRP (World Climate Research Programme).
Poiché si tratta di catturare delicati equilibri, è necessario disporre contestualmente di tutti gli elementi mutuamente interagenti: i profili verticali di temperatura e umidità, le nubi (spessore ottico, fase dell'acqua, distribuzione verticale), la precipitazione (liquida, solida, distribuzione verticale), le temperature superficiali (del mare, del suolo), i flussi radiativi netti alla superficie terrestre e al TOA (Top Of Atmosphere). La prima missione spaziale che ha affrontato il problema è stata TRMM (Tropical Rainfall Measuring Mission), lanciata il 27 novembre 1997 e ancora in funzione. L'osservazione primaria è quella della precipitazione, effettuata nel campo delle microonde in modo sia passivo (radiometria) sia attivo (radar).
La misura della precipitazione è una delle più difficili della meteorologia e non solo dallo Spazio.
Come campo frattale, richiede un campionamento spazio-temporale il più possibile fitto. Anche per il solo fine della scala globale, la frequenza temporale dev'essere almeno in grado di risolvere il ciclo diurno. È in fase di realizzazione una missione GPM (Global Precipitation Measurement; fig. 2), basata su una costellazione di otto satelliti in orbita eliosincrona che, nel complesso, procurino una copertura globale ogni 3 ore.
Oltre alle osservazioni sistematiche a lungo termine, sono necessarie missioni una tantum per lo studio dei processi fisici da rappresentare nei modelli numerici dell'atmosfera, esplicitamente o parametricamente.
I parametri da osservare sono: il profilo verticale dell'acqua liquida o ghiacciata, l'altezza della superficie superiore e della base delle nubi, le proprietà microfisiche della superficie superiore delle nubi, i profili di aerosol nelle zone prive di nubi.
La missione più completa per questi obiettivi, Earth-CARE, è stata approvata dall'ESA e se ne prevede un lancio nel 2012.
In superficie, importante per la comprensione del ciclo dell'acqua è l'osservazione dell'umidità del terreno.
È una misura problematica, non solo dallo Spazio.
La sua 'firma spettrale' si trova nel campo delle microonde a bassa e bassissima frequenza (banda L) dove, per le leggi della diffrazione, risoluzioni strumentali accettabili per la missione richiedono grandi dimensioni del collettoredi energia (in questo caso, l'antenna). Le frequenze dei radiometri in microonde attualmente in uso sono adatte solo in caso di terreno privo di vegetazione, e comunque con risoluzioni dell'ordine delle decine di chilometri. Per poter operare anche in zone con vegetazione è necessario scendere in frequenza e aumentare le dimensioni d'antenna utilizzando concetti ad apertura sintetica. Oltre al ciclo dell'acqua, costituiscono argomento di primaria importanza i bilanci radiativi superficiali. Atteso che, in ultima analisi, ciò che conta sono i flussi netti verso l'atmosfera, le maggiori difficoltà risiedono nella anisotropia della radiazione riflessa dal suolo, nella risposta spettrale variegata da parte della vegetazione e dal connubio delle scale dimensionali che interagiscono fra di loro. La missione più avanzata che cerca di esplorare questo complesso di effetti è EOS-Terra, lanciata dalla NASA nel 1999 e ancora in funzione.
Gli oceani e la criosfera
Il punto forse più debole della catena conoscitiva relativa ai cambiamenti climatici e ambientali della Terra è costituito dall'oceano, non solo per la dominanza areale e volumetrica, ma anche per l'impossibilità di osservarne la struttura sub-superficiale e profonda. È del tutto evidente che eventuali mutazioni della struttura profonda che si ripercuotessero sulla configurazione delle grandi correnti oceaniche avrebbero sul clima e sull'ambiente effetti a livello delle grandi glaciazioni del passato. Sperando che la Terra solida sia ormai abbastanza stabile a scala globale, non possiamo far altro che modellare l'evoluzione dell'oceano sulla base di ciò che possiamo osservare in superficie e riuscire a descrivere mediante l'accoppiamento oceano-atmosfera. Purtroppo, anche a livello di superficie, l'informazione più importante, quella sulle correnti a grande scala (che peraltro dovrebbe includere l'informazione sullo spessore), non è direttamente rilevabile dallo Spazio.
L'osservazione chiave per la deduzione della circolazione oceanica è l'altimetria. Ricostruendo la topografia della superficie oceanica (fig. 1) è possibile derivare informazioni sulle correnti mediante le equazioni dell'idrodinamica. La topografia della superficie tiene il posto, in oceanografia, della mappa della pressione al suolo in meteorologia: molto importante ai fini diagnostici, meno ma pur sempre significativa ai fini prognostici. Il primo radar altimetro spaziale per l'oceanografia (a parte precedenti per fini geodetici) fu imbarcato su SeaSat (1978). Tuttavia, l'orbita eliosincrona relativamente bassa (intorno a 800 km) è più adatta alla misura dell'altezza significativa delle onde che del livello assoluto della superficie del mare. L'orbita più adatta all'altimetria di precisione dev'essere sufficientemente alta da non risentire troppo delle anomalie del campo gravimetrico terrestre, poiché la misura consiste nella differenza fra l'altezza dell'orbita rispetto al geoide e la distanza superficie-satellite (data dal tempo di ritorno dell'eco); e non deve essere eliosincrona, altrimenti la misura sarebbe sottoposta all'effetto sistematico delle maree. L'orbita di altezza 1336 km e inclinazione 66° è particolarmente stabile e viene utilizzata dagli attuali satelliti per altimetria. È importante notare che le future missioni altimetriche saranno integrate nel sistema meteorologico operativo.
Il moto ondoso è una misura difficoltosa, anche perché implica quattro parametri: l'altezza, la lunghezza d'onda, il periodo e la direzione di propagazione, il tutto per più tipi di onde coesistenti; si tratta quindi di misurare uno spettro. Il radar altimetro offre solo la misura dell'altezza lungo la traccia al suolo del satellite, poiché il principio di osservazione implica verticalità. Il campo orizzontale delle onde può essere ottenuto mediante analisi spettrale delle immagini SAR, quindi su aree limitate e infrequentemente. In pratica, il moto ondoso viene derivato mediante modelli accoppiati atmosfera-oceano in cui il dato osservativo primario è il vento in superficie, misurato dal radar scatterometro, installato per la prima volta su SeaSat e ora entrato a far parte dell'equipaggiamento dei satelliti meteorologici operativi. In futuro, il radar scatterometro sarà sostituito da radiometri a microonde con capacità polarimetriche.
La temperatura della superficie del mare è un altro parametro oceanografico fondamentale (e anche uno dei più importanti indicatori del clima). Viene ottenuta correntemente mediante elaborazione delle immagini in infrarosso riprese dai satelliti meteorologici. In realtà, la temperatura misurata in infrarosso si riferisce soltanto allo strato pellicolare della superficie del mare. I radiometri in microonde, invece, hanno una penetrazione maggiore (alcuni decimetri) e quindi consentono qualche deduzione sulla stabilità termica dello strato oceanico superficiale.
La disponibilità contestuale della temperatura misurata in IR e MW, e del vento superficiale misurato dal radar scatterometro o dal radiometro in MW, consente elaborazioni in modelli numerici accoppiati atmosfera-oceano intese a determinare i flussi di calore e di quantità di moto fra oceano e atmosfera attraverso il PBL. Questi flussi controllano sia il trasporto di energia dal mare all'atmosfera, sia i termini forzanti da parte dell'atmosfera sulla superficie dell'oceano, e quindi il moto ondoso e le correnti superficiali. Gli stessi flussi controllano il trasporto di gas in traccia (particolarmente il CO2), importante per la loro rimozione dall'atmosfera.
Il colore dell'oceano costituisce un'altra informazione primaria per l'oceanografia, anche in associazione con i flussi superficiali or ora menzionati.
La composizione spettrale della luce solare riflessa dal mare alle varie lunghezze d'onda nel campo del visibile è indicativa, di volta in volta, della concentrazione di clorofilla, dei sedimenti sospesi e della 'materia gialla' (sostanze organiche in decomposizione). Si tratta di informazioni essenziali non solo per valutare lo stato di 'salute' del mare (produttività, mucillagini, processi di eutrofizzazione ecc.), ma anche per valutare la capacità dell'oceano di rimuovere dall'atmosfera i vari gas inquinanti e, soprattutto, i gas a effetto serra, primo fra tutti il CO2. È noto che il riscaldamento globale è dovuto non solo all'aumentata immissione di CO2 nell'atmosfera determinata dalle attività antropiche, ma anche alla diminuita capacità di rimozione da parte delle foreste a causa di deforestazioni a grande scala e, soprattutto, da parte dell'oceano a causa dell'inquinamento del suo strato superficiale. La prima missione per l'osservazione del colore dell'oceano fu lanciata su Nimbus-7 (1978) dalla NASA e funzionò con grandissimo successo fino al 1986. Molti altri strumenti sono seguiti, incluso uno operato su base commerciale. In futuro, la missione di osservazione del colore dell'oceano proseguirà sui satelliti meteorologici operativi.
La salinità dell'oceano è uno dei pochi parametri conservativi che consentono di dedurre informazioni sui possibili scambi verticali da e verso le profondità. Infatti, temperatura e salinità determinano la densità dell'acqua, e quindi le loro variazioni determinano sprofondamenti e affioramenti. È un parametro difficilissimo da osservare perché la sua 'firma spettrale' è presente solo nel campo delle microonde a bassissima frequenza (banda L). Anche accontentandosi di risoluzioni dell'ordine di svariate decine di chilometri, comunque sufficienti alla scala globale, è necessario ricorrere ad antenne ad apertura sintetica. L'osservazione della salinità, oltre che a quella della temperatura ai fini della descrizione degli effetti termoalini, va utilmente abbinata a quella della precipitazione, che ne controlla le variazioni a rapida evoluzione. Di più lenta evoluzione sono le variazioni di salinità dovute alla fusione dei ghiacci, che rilasciano acqua dolce, o alla loro formazione, che causa l'aumento di salinità nella massa sottostante e quindi sprofondamenti con formazione di correnti.
L'osservazione dei ghiacci è quindi fondamentale in oceanografia perché i processi di formazione o fusione del ghiaccio causano fenomeni di trasporto verticale e quindi l'alterazione delle correnti, in misura ben più intensa, nel lungo termine, di quanto derivante dall'effetto forzante della circolazione dell'atmosfera.
I confini dei ghiacci polari possono essere facilmente e frequentemente controllati dallo Spazio mediante immagini in VIS e IR, nonché in MW, particolarmente utili perché capaci di osservazione ogni-tempo.
Per l'osservazione accurata dei bordi dei ghiacci polari, delle fratture del pack e degli iceberg, il SAR è particolarmente indicato perché dotato di altissima risoluzione e capacità ogni-tempo. Tuttavia, ai fini dell'apprezzamento del processo di fusione, la misura di estensione dev'essere accompagnata da quella dello spessore. Per misure accurate dell'elevazione del ghiaccio sul livello del mare l'altimetro è lo strumento principe. Si possono utilizzare altimetri sia in MW (radar) sia ottici (lidar). Naturalmente, questi altimetri avanzati, ottici o in microonde, vengono utilizzati anche sul mare libero da ghiacci, per la topografia del terreno e per i ghiacci interni.
Quanto finora detto per l'oceanografia e la criosfera a scala globale ha un corrispettivo alla scala delle acque costiere, dove l'enfasi si sposta verso la sicurezza (per esempio, dei pescatori e della navigazione da diporto), le attività socioeconomiche connesse alla salute e al turismo (influenzate, per esempio, da mucillagini, inquinamento costiero, discariche a mare) e la gestione del territorio (processi di erosione costiera).
I parametri da osservare sono gli stessi che per il mare aperto (livello del mare, temperatura superficiale, colore dell'acqua, salinità, moto ondoso, correnti), ma le necessarie risoluzioni spaziali e temporali divengono molto più stringenti (centinaia di metri e poche ore invece di chilometri e giorni).
I limiti tecnologici per l'osservazione dallo Spazio sono in progressivo abbattimento, ma l'impatto delle informazioni basate su osservazioni al suolo è ancora dominante.
L'interno della Terra solida
L'interno della Terra solida è certamente la parte meno esplorata del sistema Terra. La sua interazione con il sistema climatico, fortunatamente, è limitatissima (sebbene spesso millantata). Il parametro di più diretto interesse è il geoide, la cui conoscenza accurata è necessaria per tutte le applicazioni basate sull'altimetria. Il geoide (cioè la superficie che assumerebbe l'oceano in assenza totale di onde, maree e correnti) è affetto da perturbazioni a varia scala, da molte migliaia a meno di un centinaio di chilometri. Per le componenti a bassa frequenza (lunghezze d'onda di molte migliaia di chilometri) la geodesia spaziale ha fornito risultati soddisfacenti.
Il sistema più semplice consiste nell'inseguimento laser di satelliti posti in orbite di altezza tale da non risentire delle anomalie del campo di gravità (per esempio, 6000 km). La strumentazione consiste semplicemente di riflettori laser. Se il satellite è in orbita bassa, il metodo viene utilizzato per l'orbitografia di precisione. A questo sistema ottico, che fornisce un numero limitatissimo di eventi (anche a causa delle nubi), si sono aggiunti sistemi radio in cui il satellite riceve simultaneamente segnali da più stazioni trasmittenti terrestri ed effettua le opportune triangolazioni. Infine, con l'avvento del GPS, l'orbitografia di precisione e quindi la conoscenza delle componenti a bassa frequenza del campo gravimetrico terrestre non rappresentano più un problema.
Per l'altimetria, però, occorre conoscere il livello del geoide localmente, poiché la misura riguarda la distanza satellite-superficie riflettente, mentre il dato desiderato è l'altezza della superficie riflettente rispetto al geoide. Gli stessi altimetri vengono utilizzati a questo scopo, dopo aver filtrato dalle serie di dati osservati le componenti ad altissima frequenza dovute alle onde e avere separato la componente dinamica della topografia osservata da quella stazionaria. Si giunge così alla conoscenza delle componenti a media frequenza (corrispondenti a lunghezze d'onda di molte centinaia di chilometri) delle perturbazioni del geoide, sufficiente per i propositi dell'altimetria.
La conoscenza della Terra solida, però, costituisce un obiettivo in sé. Le anomalie del geoide a lunghezze d'onda del centinaio di chilometri sono associate ai fenomeni della litosfera, inclusi quelli tettonici e vulcanici. Possono essere messe in evidenza da missioni in orbita bassissima (poche centinaia di chilometri), con strumentazione per misure gravimetriche ultraprecise (gradiometri).
L'osservazione del campo di gravità fornisce informazioni relative agli strati esterni e medi della Terra solida: la litosfera, il mantello e forse la mesosfera (fig. 1). Per le parti più interne (il nucleo fluido e infine quello rigido) è possibile ottenere informazioni attraverso le loro relazioni con il campo magnetico terrestre. Innumerevoli missioni spaziali sono state dedicate allo studio della magnetosfera e della associata ionosfera, non tanto per lo studio della Terra solida quanto per lo studio dell'ambiente in cui si svolgono le missioni spaziali (incluse quelle pilotate dall'uomo). Queste applicazioni rientrano nella disciplina della Scienza dello Spazio più che in quella dell'Osservazione della Terra. Tuttavia, la distinzione fra Osservazione della Terra e Scienza dello Spazio si sta assottigliando. Anzi, poiché i fenomeni della ionosfera e la struttura stessa della magnetosfera dipendono dall'interazione fra il campo magnetico terrestre e il vento solare, vi è una tendenza (per esempio nella NASA) a considerare solidalmente l'ambiente Terra-Sole. Vi sono anche tecniche di rilevamento (per esempio, il sondaggio atmosferico mediante occultazione dei segnali radio inviati da satelliti di navigazione, menzionato in precedenza) che servono contestualmente la meteorologia (nell'esempio, i profili verticali di temperatura e umidità) e la Scienza dello Spazio (nell'esempio, il contenuto totale e il profilo del contenuto di elettroni nella ionosfera e plasmasfera ai fini dello studio del cosiddetto Space Weather). Bisogna però mettere in guardia contro abusi circa dichiarate profonde interazioni fra Scienza dello Spazio e sistema climatico, nonché contro l'annuncio di discutibili teleconnessioni fra disturbi nella ionosfera e, per esempio, l'imminenza di terremoti e tsunami.
La chimica dell'atmosfera
La scoperta del buco dell'ozono e l'evidenza del riscaldamento globale dovuto all'effetto serra hanno portato alla ribalta la necessità di osservare gas in traccia nell'atmosfera sia per comprendere i processi chimici sia per sorvegliare un certo numero di specie identificate come particolarmente significative di eventuali mutamenti. È bene chiarire subito che l'interesse per i gas in traccia deriva da due esigenze teoricamente distinte: a) monitorare con continuità le specie responsabili dell'effetto serra e quindi del riscaldamento globale; b) osservare, anche una tantum, le specie responsabili di trasformazioni chimiche nell'atmosfera, in particolare quelle legate al ciclo dell'ozono, o delle piogge acide, o della salubrità dell'aria nella biosfera e, dopo aver chiarito e modellato i meccanismi di trasformazione, monitorare quelle specie chiave che controllano l'evoluzione delle altre. Alcuni gas in traccia, primo fra tutti l'ozono, appartengono a entrambe le categorie.
La distinzione è necessaria perché l'osservazione del primo tipo di specie richiede un'organizzazione di genere operativo, quindi affiancabile a quella per la meteorologia, mentre per il secondo tipo occorre un approccio più evolutivo, basato su strumentazione generalmente più complessa, adatta a fornire contestualmente tutte le informazioni necessarie (per esempio, su tutte le specie di una stessa famiglia o di più famiglie che interagiscono fra di loro); ma non necessariamente (e ben difficilmente) da sostenere a lungo termine.
I gas a effetto serra sono quelli che assorbono la radiazione emessa dal sistema Terra-Atmosfera e la intrappolano all'interno di questo. La superficie terrestre emette principalmente fra 4 e 15 m. Alcuni gas dell'atmosfera sovrastante (e le nubi) assorbono questa radiazione e la riemettono verso l'alto e verso il basso, in accordo con la loro temperatura, decrescente al crescere della quota. Vi sono due conseguenze di ciò. La prima è che l'effetto serra è controllato dai gas negli strati alti dell'atmosfera (alta troposfera, bassa e media stratosfera). La seconda è che la composizione spettrale della radiazione perduta verso lo Spazio, oltre a comprendere l'infrarosso termico direttamente filtrato attraverso le 'finestre atmosferiche' (cioè gli intervalli spettrali in cui non sono presenti gas assorbenti), include anche una sostanziale componente nel lontano infrarosso (FIR), fino a 100 m e oltre, dovuta all'emissione di gas in quota a basse temperature. Il principale gas assorbente nel FIR è il vapor acqueo, che pure assorbe nell'infrarosso termico e quindi, grazie anche alla sua dominante quantità rispetto a quella di qualsiasi gas in traccia, è di gran lunga il maggiore dei gas a effetto serra. Ciò non è in contraddizione con il fatto che il riscaldamento globale sia maggiormente dovuto al CO2 in quanto, mentre il vapor acqueo ha un ciclo di creazione e rimozione vivacissimo (il ciclo dell'acqua), il CO2 e altri gas in traccia tendono ad aumentare sistematicamente.
Le specie più efficienti ai fini dell'effetto serra sono quelle che hanno 'firme spettrali' nell'infrarosso (MWIR, TIR e FIR), che sono presenti in quantità considerevoli e che persistono nell'atmosfera per un tempo sufficiente a essere trasportate negli alti strati, o là si generano direttamente: H2O, CO2, CO, CH4, N2O, O3. Le specie chimicamente attive di maggior interesse sono quelle che intervengono nel ciclo dell'ozono per favorirne la formazione, o per distruggerlo, o per operare come 'riserve' nella rigenerazione di specie più direttamente coinvolte: i clorofluorocarburi CFC-11, CFC-12, CF4, CF2Cl2, CFCl3; NO, NO2, NO3, N2O5; HNO3, HNO4, HCN, HO2; HCl, HOCl, OClO, ClONO2, ClO, BrO; C2H2, C2H6, COF2, SF6; O2, O3, O4, H2O, H2O2. Specie con particolari funzioni sono: SO2 (piogge acide e indicatore di emissioni vulcaniche), HCHO (formaldeide, indice di processi di combustione di biomassa) e il radicale OH ('pulitore' dell'atmosfera).
La 'firma spettrale' dei gas in traccia è costituita da strettissime linee distribuite in una o più regioni dello spettro utilizzato per il telerilevamento. Linee di gas di bassa concentrazione sono sovrapposte a linee di gas ad alta concentrazione (in particolare, il vapor acqueo, presente dal visibile al millimetrico) e pertanto sono necessari spettrometri a potere risolvente ben oltre 1000 (meglio 10.000 o 100.000). In infrarosso la radiazione dipende simultaneamente dalla concentrazione del gas e dalla sua temperatura, cosicché la specie più importante per l'effetto serra, il CO2, è difficile da rilevare in quanto, appunto, viene utilizzato per determinare il profilo di temperatura; in generale, l'errore nel determinare la temperatura si propaga alla determinazione della concentrazione degli altri gas. Le misure in onda corta (da 0,2 a 4 m) sono possibili solo nelle ore diurne. Poiché si tratta di segnali molto deboli, l'osservazione dall'alto è sfavorita dal forte segnale della superficie, sia in emissione (termica) sia in riflessione (della radiazione solare). È avvantaggiata invece l'osservazione obliqua (limb), che esclude la superficie terrestre e la maggior parte delle nubi e scandisce le quote da 5-10 km all'alta stratosfera e mesosfera (50-100 km). In tali condizioni l'atmosfera viene osservata sopra lo sfondo freddissimo e nero dello Spazio esterno. Come si è detto, l'alta troposfera e la stratosfera sono le zone più importanti sia per l'effetto serra sia per gli equilibri foto-chimici relativi al ciclo dell'ozono. Comunque, l'osservazione verticale è pure indispensabile, sia per valutare il contenuto totale dei gas in traccia (ovviamente dominato, in ogni caso, dagli strati atmosferici bassi, più densi), sia per osservare le sorgenti di gas in traccia che si trovano in superficie, incluse quelle di origine antropica.
Il primo spettrometro per l'osservazione dell'ozono volò su Nimbus-4 (1970). Attualmente, strumenti per il monitoraggio dell'ozono e dei più importanti gas a effetto serra sono imbarcati su satelliti meteorologici operativi, mentre per lo studio dei processi chimici vi sono grandi satelliti di ricerca e sviluppo, come Envisat dell'ESA (fig. 1) ed EOS-Aura della NASA.
È necessario avvisare che l'applicazione delle tecniche spaziali all'osservazione delle specie chimiche dei bassi strati atmosferici, particolarmente a livello urbano, è assai problematica. Come si è detto, il segnale del suolo, sia come temperatura sia come riflettività, è assolutamente dominante rispetto alla debolissima emissione dei gas in traccia. L'unica tecnica capace di misurare con una certa precisione il profilo di un gas in traccia nei bassi strati è il lidar a due frequenze (dial), una sulla linea, l'altra fuori dalla linea, se si è in una 'finestra atmosferica'. Si tratta di strumenti molto grandi, di capacità operativa limitatissima (per esempio, solo sulla verticale), finora proposti soltanto per la specie più abbondante, il vapor acqueo.
L'idrologia operativa e i disastri naturali
La disciplina ambientale ultima arrivata fra quelle che utilizzano i satelliti è l'idrologia. Legata com'è ai dettagli minuti del territorio (bacini idrografici di ogni dimensione fino ai pochissimi km2, struttura morfologica, composizione del suolo ecc.) e a scale temporali fino a pochi minuti (alluvioni improvvise ecc.), non sembra a prima vista poter trarre beneficio da osservazioni di bassa ripetitività da satelliti in orbita bassa o di bassa risoluzione da satelliti in orbita geostazionaria. Il recente sviluppo di tecniche di assimilazione quadridimensionale, che consentono di effettuare la fusione di informazioni eterogenee di diversa qualità raccolte a tempi diversi, e l'aumentata capacità dei modelli idrologici di effettuare la connessione fra misure ambientali e fenomenologia idraulica stanno producendo un crescente interesse dell'idrologia per l'uso dei satelliti.
I parametri principali per la previsione delle alluvioni sono: la precipitazione (causa motoria del sistema idrologico), l'umidità del terreno (risposta della superficie alla precipitazione) e la neve (riserva di acqua che frena quando si accumula e intensifica quando si scioglie). Come si è visto in precedenza, numerosi strumenti in orbita bassa, operanti in microonde, misurano ora la precipitazione con buona precisione e in futuro, con la GPM, forniranno copertura globale ogni 3 ore. Le immagini in infrarosso dai satelliti geostazionari, elaborate contestualmente a quelle in microonde dai satelliti in orbita bassa, consentono di interpolare le osservazioni a brevi intervalli di tempo (tipicamente 15 min), sia pur con precisione ridotta. Vi sono progetti per porre in orbita geostazionaria radiometri operanti nel campo millimetrico e sub-millimetrico, rimpiazzando così l'infrarosso la cui correlazione con la precipitazione è alquanto debole. Per l'umidità del terreno, come si è visto, la componente a grande scala, forzante per il sistema idrologico, può essere misurata abbastanza accuratamente mediante radiometria in microonde attiva (radar scatterometro) o passiva, e sono in preparazione missioni in microonde a bassa frequenza, intese a rendere la misura indipendente dalla vegetazione. Per la piccola scala sono in preparazione missioni basate sul SAR in banda L, ma il ciclo di osservazione sarà necessariamente dell'ordine dei giorni. Per la neve, numerosi sistemi nelle bande ottiche e in microonde sono disponibili, con risoluzione adatta ai bacini anche medio-piccoli. Per i piccoli-piccolissimi bacini occorre il SAR, anche in questo caso con ciclo di osservazione dell'ordine di giorni (nonché poco preciso perché, in questo caso, occorrerebbe utilizzare frequenze alte, dato che la neve secca è trasparente alle frequenze medie e basse dei SAR attualmente in uso).
Quanto detto per le alluvioni vale anche per la previsione delle frane, in cui però la componente relativa alla conoscenza del territorio ha impatto maggiore. In ogni caso, tanto per le alluvioni quanto per le frane, i satelliti con strumentazione ad alta risoluzione, ottici o SAR, poco utili in fase di previsione, servono a posteriori per la rilevazione dei danni e delle eventuali modifiche della morfologia. Inoltre, per la fase di prevenzione (costruzione di mappe di rischio), tutte le informazioni sulla climatologia della precipitazione e degli eventi estremi, nonché sullo stato del territorio, sono fondamentali. L'uso del GIS (Geographical Information System) come supporto informativo a priori e ambiente di sviluppo è ormai tecnologia corrente.
È interessante notare che sia l'Agenzia Spaziale Italiana sia l'EUMETSAT hanno, nel corso del 2005, attivato programmi a lunga scadenza per promuovere l'uso dei satelliti in idrologia. L'iniziativa dell'EUMETSAT (costituzione di una Satellite Application Facility in support of operational hydrology and water management, H-SAF) è pilotata dall'Italia per conto di 12 paesi europei e punta alla generazione di prodotti di precipitazione (a carico dell'Italia), umidità del terreno e neve a livelli di operatività tipici delle applicazioni meteorologiche.
A livello di Nazioni Unite, poiché il 90% della perdita di vite umane dovuta a disastri naturali deriva da eventi meteorologici o climatici (fig. 9), il WMO nel 2003 ha istituito il Natural disaster prevention and mitigation programme.
Sempre per tentare di raggiungere livelli di operatività paragonabili a quello della meteorologia, l'Unione Europea e l'ESA hanno definito il programma GMES (Global Monitoring for Environment and Security).
Il GMES definisce un'ottica di 'servizio' per la trasformazione dei dati da satellite, opportunamente integrati con quelli da terra e con modelli di elaborazione dati, assimilazione e utilizzazione, in prodotti fruibili entro il sistema socioeconomico europeo.
Conclusioni
Indubbiamente, i mezzi spaziali e quelli di calcolo, che ormai consentono di far uso di modelli numerici sempre più completi capaci di trattare i vari effetti fisici esplicitamente alla loro scala naturale (anziché in forma parametrica come in passato), costituiscono una base imponente per il miglioramento continuo della conoscenza dei meccanismi del sistema Terra e per la sua sorveglianza costante. Meccanismi di coordinamento sono stati istituiti, in numero più che sufficiente. Nelle pagine che precedono si è effettuata una rassegna bilanciata delle attività effettivamente operative, di quelle solidamente programmate e di altre oggetto di piani consolidati, evitando di addentrarsi nella vastissima serie di idee e proposte non consolidate. È opportuno concludere segnalando, accanto alle spinte verso il progresso, anche le circostanze frenanti.
La prima è che anche gli organismi coordinatori più efficienti non dispongono di risorse finanziarie e capacità esecutive proprie, ma si avvalgono dei contributi degli Stati. Ciò comporta compromessi continui fra i programmi di interesse nazionale con ritorni applicativi alla scala locale, possibilmente a breve termine, e quelli di interesse globale, anche se questi ultimi hanno nel satellite una risposta insostituibile e in genere tecnologicamente più idonea. Anche a scala nazionale, vi sono interessi a volte contrastanti fra la componente applicativa (spesso troppo conservatrice), quella scientifica (più innovativa, ma non sempre nella direzione utile alle applicazioni) e quella industriale (che persegue fini diversi, come l'occupazione in settori tecnologicamente strategici). Comunque, il problema non sarebbe risolubile nemmeno dotando di risorse finanziarie gli organismi internazionali di coordinamento, poiché sposterebbe i contrasti dal livello di componenti interne nazionali a quello di paesi membri. Vi è poi la contesa intrinseca fra la necessità di sostenere sistemi operativi a lungo termine (che comporta la tendenza a progettare satelliti di lunga vita media da produrre in un congruo numero di esemplari per coprire periodi di 15-20 anni) e la necessità di migliorare la strumentazione e sviluppare nuovi strumenti per seguire l'evoluzione delle esigenze dell'utente (il che viene favorito da missioni una tantum di breve durata, ovviamente più costose delle missioni di pura replica del modello di volo in una serie, e anche più esposte a rischi di insuccesso).
Muovendosi in questo contesto programmatico, il sistema di Osservazione della Terra dallo Spazio progredisce a un ritmo inferiore a quello che sarebbe tecnicamente e scientificamente possibile, e anche rispetto a quanto talvolta millantato dagli operatori del settore (agenzie e industrie spaziali). Tuttavia, dallo 'zoccolo duro' del sistema meteorologico operativo partito il 1° aprile 1960 con TIROS-1, l'applicazione si è estesa alla ricerca delle risorse terrestri, al monitoraggio dell'energetica globale e del ciclo dell'acqua, a oceano e criosfera, alla Terra solida, alla chimica dell'atmosfera e ora all'idrologia e alla gestione dei disastri naturali. Ponendosi in un'ottica temporale consistente con i ritmi di sviluppo di sistemi tecnicamente così complessi, e anche con l'evoluzione dell'utenza nell'identificare e formalizzare le proprie esigenze e nello sviluppare le metodologie per l'utilizzazione dei dati, tutto sommato si può osservare che è stato percorso un cammino più che apprezzabile e che la tendenza è ancora fortemente positiva.
I programmi internazionali
GEO (Group on Earth Observations)
Il 31 luglio 2003, a Washington, si tenne il 1° Summit sull'Osservazione della Terra, durante il quale si costituì un gruppo intergovernativo per l'Osservazione della Terra incaricato di sviluppare un piano decennale per la realizzazione di un GEOSS (Global Earth Observation System of Systems). Successivi due summit hanno condotto alla definizione del piano decennale 2005-14, approvato il 16 febbraio 2005 a Bruxelles. Ora il GEO si è strutturato in modo permanente, con un segretariato e un direttore ospitati dal WMO a Ginevra. Alla prima assemblea generale (3-4 maggio 2005) hanno partecipato 58 paesi e la Commissione Europea. Altri Stati si aggiungeranno in occasione della seconda assemblea generale, pianificata per dicembre 2005.
Il piano decennale identifica una vasta gamma di reti di osservazione esistenti e in fase di continuo ammodernamento, basate su satelliti, aerei, suolo e oceano, che vengono attualmente gestite indipendentemente, e intende realizzare la fusione o almeno il coordinamento di tali sistemi. Secondo il GEO, una più completa osservazione e comprensione del sistema Terra consentirà di espandere mezzi e capacità in favore dello sviluppo sostenibile e produrrà in numerose aree specifiche benefici socioeconomici come: - riduzione delle perdite di vite umane e beni materiali causate da disastri naturali o indotte dall'uomo; - comprensione di fattori ambientali che influenzano la salute e la prosperità dell'uomo; - migliore gestione delle risorse energetiche; - comprensione, valutazione, previsione, contrasto e adattamento alla variabilità e ai cambiamenti del clima; - più mirata gestione delle risorse idriche attraverso una migliore comprensione del ciclo dell'acqua; - più ampie informazioni e previsioni e più tempestivi ed estesi avvisi di allerta relativi al tempo meteorologico; - migliore gestione e protezione degli ecosistemi terrestri, costieri e marini; - assistenza all'agricoltura sostenibile e lotta alla desertificazione; - comprensione, monitoraggio e conservazione della biodiversità.
Le risorse finanziarie e tecniche necessarie alla realizzazione del piano decennale sono le stesse già dispiegate per tenere in funzione e ammodernare i sistemi esistenti, e vengono gestite dai paesi e dalle organizzazioni già impegnati in tali attività. Un piccolo fondo per il mantenimento del segretariato viene alimentato da contributi volontari dei paesi e delle organizzazioni partecipanti.
Il WMO e i suoi programmi
Il WMO (World Meteorological Organization, Organiz-zazione meteorologica mondiale), nato nel 1950 come ristrutturazione del precedente IMO (International Meteorological Organization, Organizzazione meteorologica internazionale), istituito sin dal 1873, è l'agenzia specializzata delle Nazioni Unite per il coordinamento internazionale delle attività relative alla meteorologia, al clima, all'idrologia operativa e alle scienze geofisiche associate. Ha sede in Ginevra e nel 2005 conta 187 paesi membri. La sua struttura fa capo al Congresso, che si riunisce ogni 4 anni e opera attraverso il Consiglio esecutivo, che si riunisce ogni anno; sei Associazioni regionali (Africa, Asia, America Meridionale, America Centro-Settentrionale e Caraibi, Pacifico Sud-Ovest ed Europa) controllano più assiduamente le attività che vengono svolte da otto commissioni tecniche (Sistemi di base, Strumenti e metodi d'osservazione, Scienze dell'atmosfera, Meteorologia aeronautica, Meteorologia agricola, Oceanografia e meteorologia marina, Idrologia e Climatologia).
I programmi del WMO sono: - WWW (World Weather Watch); - WCP (World Climate Programme), che include World Climate Data and Monitoring Programme, World Climate Applications and Services Programme, World Climate Impact Assessment and Response Strategies Programme, World Climate Research Programme, Global Climate Observing System; - AREP (Atmospheric Research and Environment Programme), che include Global Atmosphere Watch, World Weather Research Programme, Tropical Meteorology Research Programme, Physics and Chemistry of Clouds and Weather Modification Research Programme; - AMP (Applications of Meteorology Programme), che include Agricultural Meteorology Programme, Aeronautical Meteorology Programme, Marine Meteorology and Associated Oceanographic Activities Programme, Public Weather Services Programme; - HWRP (Hydrology and Water Resources Programme), che include Operational Hydrology Programme (Basic Systems), Operational Hydrology Programme (Applications and Environment), Programme on Water-related Issues; - Education and Training Programme; - Technical Cooperation Programme; - Regional Programme; - WSP (WMO Space Programme); - NDPMP (Natural Disaster Prevention and Mitigation Programme).
Dal punto di vista operativo, il programma trainante è il WWW (World Weather Watch, Vigilanza meteorologica mondiale), che supporta trasversalmente tutti gli altri programmi coordinando i seguenti grandi sistemi: il GOS (Global Observing System), che si compone di un segmento di osservazioni basate su suolo e uno basato sullo Spazio; il GTS (Global Telecommunication System), che collega tutti i centri operativi del WWW; il GDPFS (Global Data Processing and Forecasting System), con centri mondiali (Washington, Mosca e Melbourne), centri specializzati regionali (uno è Roma) e centri nazionali; i PWS (Public Weather Services) per la diffusione delle informazioni.
Il programma GMES
Il GMES (Global Monitoring for Environment and Security) è un'iniziativa originariamente promossa da ESA e Commissione Europea, supportata anche da EUMETSAT (European Organization for the Exploitation of Meteorological Satellites), ECMWF (European Centre for Medium-range Weather Forecasts), EuMetNet (un gruppo europeo d'interesse fondato da servizi meteorologici nazionali) e altri. L'obiettivo è di stabilire un ponte fra i fornitori di informazioni e gli utenti, così da realizzare servizi ad alto rapporto beneficio/costo in favore di un ambiente più vivibile e sicuro.
Il periodo iniziale di studio e pianificazione è stato condotto negli anni 2002 e 2003 con due direttrici: generazione di informazioni e servizi e apprendimento di lezioni; valutazioni e raccomandazioni. Si è ora entrati nel periodo realizzativo, destinato a generare, entro il 2008, miglioramenti di strutture, servizi e conoscenza; aggiustamenti necessari all'attività corrente delle infrastrutture di monitoraggio, dei servizi dati e di ricerca e sviluppo associati al GMES; costituzione degli strumenti legali, istituzionali e finanziari.
Gli 'ingredienti' del GMES sono: servizi; osservazioni dallo Spazio; osservazioni in situ (incluse quelle da aereo); capacità di integrare dati e gestire informazioni. Le priorità tematiche finora fissate sono: - cambiamento della copertura del suolo in Europa; - stress ambientale in Europa; - sistemi per la gestione dei rischi; - monitoraggio della vegetazione a scala globale; - monitoraggio degli oceani a scala globale; - monitoraggio dell'atmosfera a scala globale; - supporto agli aiuti per lo sviluppo regionale; - sistemi per la gestione delle crisi e degli aiuti umanitari; - strumenti di gestione dell'informazione e contributo allo sviluppo di un'infrastruttura europea per i dati dallo Spazio.
Per quanto riguarda il segmento spaziale, in cui l'ESA svolge un ruolo esecutivo primario, dopo una prima fase di sviluppo di servizi basati su sistemi esistenti, il GMES ne ha anche indicati di nuovi da portare in fasi operative più avanzate, le cosiddette 'sentinelle'. Ne sono state finora indicate cinque: le prime due per l'osservazione del suolo ad alta risoluzione, rispettivamente mediante SAR e sensori ottici; la terza per l'oceanografia, i ghiacci e le acque costiere; le ultime due per la chimica dell'atmosfera, rispettivamente da orbita geostazionaria ed eliosincrona.
Satelliti e missioni
Satelliti meteorologici
Nel corso del 2005 la costellazione di satelliti geostazionari è costituita da: - per l'Europa (EUMETSAT): Meteosat-7 con funzioni progressivamente trasferite a Meteosat-8 (primo della serie MSG) e Meteosat-6 per applicazioni sperimentali (immagini ultrarapide su area limitata), tutti stazionari su longitudini intorno a 0°; Meteosat-5 sull'Oceano Indiano (63°E) per supplire alla momentanea mancanza del satellite russo (GOMS); - per gli USA: GOES-10 (135° W) e GOES-12 (75° W) operativi, e GOES-11 in posizione intermedia (105° W) pronto a subentrare in caso di avaria di uno dei due. I satelliti GOES, oltre al rilevamento di immagini, effettuano anche il sondaggio verticale di temperatura e umidità nell'atmosfera in infrarosso; - per il Giappone: MTSAT-1R (140° E), primo satellite di una nuova generazione, che è stato lanciato il 26 febbraio 2005; - per la Cina: FY-2/C (105° E) operativo e FY-2/B di riserva in orbita (123,5° E); - per l'India: INSAT-3A (93,5° E) con parziale riserva in INSAT-2E (83° E) e Kalpana-1 (74° E).
Sono pronti per il lancio a fine 2005 GOES-13 e Meteosat-9 (MSG-2). Seguiranno, nel corso del 2006, MTSAT-2, INSAT-3D e FY-2D.
Quasi tutti i sistemi in orbita geostazionaria affiancano a un modello di volo operativo uno di riserva, a riprova dell'indispensabilità di questo strumento per l'assistenza meteorologica operativa.
Nel corso del 2005 la costellazione di satelliti eliosincroni è costituita da: - per gli USA: NOAA-16 (ora solare locale 14:15) e NOAA-17 (10:20) operativi, con NOAA-14 (7:40) e NOAA-15 (6:30) rispettive riserve, e da NOAA-18 (14:00), lanciato il 20 maggio 2005, per rimpiazzare NOAA-16; - per la Russia: Meteor-3M-N1 (9:15), con operatività ridotta; - per la Cina: FY-1/D (8:30) operativo, con FY-1/C (6:45) come parziale riserva.
Nel 2006 sono previsti i lanci di MetOp-1 (9:30), Meteor-3M-N2 (9:15) e FY-3/A (10:00), primo di una nuova serie che rimpiazzerà FY-1.
Quasi tutti i sistemi in orbita eliosincrona affiancano a un modello di volo operativo uno di riserva (spesso in realtà con funzionalità degradata), a riprova dell'indispensabilità di questo strumento per l'assistenza meteorologica operativa.
La strumentazione in uso sui satelliti operativi deriva generalmente da sperimentazione effettuata su satelliti di ricerca e sviluppo. I satelliti NOAA si sono avvalsi della serie Nimbus, sette satelliti posti in orbita dalla NASA fra il 1964 e il 1978. In MetOp, il radar scatterometro deriva da ERS-1 ed ERS-2, due satelliti ESA posti in orbita il primo nel 1991 e il secondo nel 1995 (ancora in funzione nel 2005), così come lo spettrometro per l'ozono deriva da ERS-2. Il satellite della NASA EOS-Aqua, in funzione dal 2002, sta sperimentando uno spettrometro in infrarosso per il sondaggio di temperatura e umidità e un radiometro in microonde per precipitazione e altri parametri. QuickScat e WindSat/Coriolis della NASA sperimentano nuove tecniche per la misura del vento sulla superficie marina. ADM/Aeolus è in fase di realizzazione da parte dell'ESA per dimostrare la fattibilità di misurazione del profilo del vento in aria chiara mediante lidar Doppler (lancio previsto nel 2008).
Satelliti per l'osservazione del suolo
Dopo Landsat-1, lanciato il 23 luglio 1972, la serie è proseguita con altri modelli di volo quasi senza soluzione di continuità (anzi, a volte con due satelliti contemporaneamente in volo), fino a Landsat-7, tuttora operante. La strumentazione si è andata via via ammodernando, con il miglioramento della risoluzione geometrica dagli originali 80 m ai 30 m su Landsat-7, e l'aumento del numero di canali dagli originali 4 nel visibile e vicino infrarosso a 8 inclusi uno nell'infrarosso termico con risoluzione 60 m e uno pancromatico con risoluzione 15 m. La serie francese SPOT (Système Pour l'Observation de la Terre) iniziò il 22 febbraio 1986 ed è ora giunta fino a SPOT-5. L'impostazione francese predilige l'alta risoluzione geometrica rispetto al numero di canali (su SPOT-5, 10 m in tre canali nel visibile, 20 m nel vicino infrarosso, 5 m in pancromatico, migliorabili fino a 2,5 m mediante una speciale elaborazione a terra). Altre serie di satelliti per la ricerca delle risorse terrestri sono state messe in funzione dalla Russia (Resurs e Resurs-O) e dall'India (IRS, Indian Remote-sensing Satellite). Sono anche disponibili numerosi (piccoli) satelliti per l'osservazione del suolo (QuickBird, Ikonos, Orbview, EROS ecc.), con risoluzioni spesso migliori di 1 m, gestiti su basi commerciali da compagnie private.
Quanto al SAR, dopo SeaSat, lanciato dalla NASA il 27 giugno 1978, l'utilizzazione estesa è iniziata con i due satelliti dell'ESA ERS-1 (1991) ed ERS-2 (1995) e con il giapponese JERS-1 (1992). Il SAR più avanzato attualmente in orbita è quello di Envisat dell'ESA (2002). Dal 1995 il Canada ha iniziato la serie RadarSat, impostata su base commerciale. Per il 2006 sono previsti i lanci di RadarSat-2 e del giapponese ALOS, particolarmente studiato per misurare l'umidità del terreno. Nel 2007 è previsto il lancio del primo di una costellazione di quattro satelliti italiani, COSMO-SkyMed, equipaggiati con un SAR ad alta frequenza (banda X) soprattutto utile per la ricognizione e il DEM.
Missioni per il ciclo dell'acqua e il bilancio energetico globale
Il satellite TRMM (Tropical Rainfall Measuring Mission), collaborazione tra NASA e Giappone, fu posto in orbita il 27 novembre 1997 ed è ancora in funzione. Osserva la precipitazione mediante un radiometro a microonde, i cui dati opportunamente elaborati forniscono la precipitazione che raggiunge la superficie, nonché mediante un precipitation radar che ne osserva la struttura verticale. Contestualmente, un radiometro in VIS e IR osserva le nubi e misura le temperature superficiali, e una telecamera conta le fulminazioni per classificare le nubi e la precipitazione di origine convettiva. Infine, un radiometro a banda larga misura la radiazione integrale emergente dalla Terra verso lo Spazio (cioè al TOA) e la sua componente riflessa (solare). L'orbita è a bassa inclinazione sul piano equatoriale così da massimizzare la frequenza delle osservazioni nella zona energeticamente più importante per il sistema Terra (non vengono osservate latitudini superiori a ▒ 40°).
Per lo studio di processi, due missioni della NASA, CloudSat e Calipso, sono pronte per il lancio a fine 2005. La prima utilizza un radar ad altissima frequenza (cloud radar) per osservare il profilo dell'acqua liquida o ghiacciata e anche l'altezza della superficie superiore e della base delle nubi non precipitative. La seconda utilizza un radar ottico (lidar) a due frequenze per misure accurate dell'altezza e delle proprietà microfisiche della superficie superiore delle nubi, e di profili di aerosol nelle zone prive di nubi. Completano l'equipaggiamento radiometri per immagini in VIS e IR particolarmente studiati per l'osservazione delle nubi cirriformi. Per acquisire informazioni contestuali sulla struttura verticale di temperatura e umidità e sulla precipitazione, CloudSat e Calipso volano in formazione con EOS-Aqua, seguendolo a distanza di pochi minuti. La missione dell'ESA Earth-CARE, da lanciare nel 2012, include sia il lidar sia il cloud radar, supportati da un radiometro per immagini in VIS e IR e un radiometro a banda larga per il bilancio radiativo al TOA.
Per l'umidità del terreno, il radiometro in MW più avanzato attualmente in uso vola su EOS-Aqua. Sebbene abbia un'antenna del diametro di 2 m, alla frequenza più bassa, peraltro ancora inadatta in caso di suolo vegetato, la risoluzione risulta dell'ordine delle decine di chilometri. Sono ora in fase di sviluppo sistemi basati su antenne ad apertura sintetica atte a effettuare misure anche in presenza di vegetazione. La prima sarà SMOS (Soil Moisture and Ocean Salinity) dell'ESA (2007), seguita poi da HYDROS della NASA (2010).
Per i bilanci radiativi superficiali il satellite attualmente più avanzato è EOS-Terra, lanciato dalla NASA nel 1999 e ancora in funzione. Esso include due radiometri con moltissimi canali spettrali in VIS e IR, l'uno con altissima risoluzione geometrica e capacità di puntamento laterale, l'altro con risoluzione moderata e frequente copertura globale. Un terzo radiometro, con risoluzione moderata, opera nel VIS effettuando misure sotto nove diversi angoli di vista per misurare l'anisotropia della riflettività. Un radiometro a banda larga completa il quadro misurando il bilancio radiativo al TOA. Viene anche ospitato uno spettrometro per la misura di CO e CH4, due gas che interagiscono strettamente con la biomassa vegetale.
Missioni oceanografiche
Il primo radar altimetro spaziale per l'oceanografia fu imbarcato su SeaSat (1978), ma è con ERS-1 (1991) ed ERS-2 (1995) che l'applicazione entrò nella routine. Questi altimetri in orbita eliosincrona relativamente bassa erano più adatti per misurare l'altezza significativa delle onde che il livello assoluto della superficie del mare. Topex-Poseidon (1992) e Jason-1 (2001), missioni congiunte fra NASA e CNES (Centre National d'Études Spatiales), utilizzano l'orbita ottimale di altezza 1336 km e inclinazione 66°. Le missioni di altimetria presuppongono la determinazione della posizione orbitale con estrema precisione, e pertanto oltre al radar altimetro imbarcano vari strumenti di navigazione (riflettori laser, radionavigatori).
L'osservazione dello spettro delle onde mediante analisi spettrale delle immagini SAR è diventata applicazione corrente con ERS-1 ed ERS-2, ma con limiti di copertura areale e frequenza di ripetizione. Per derivare il moto ondoso da modelli accoppiati atmosfera-oceano si osserva il vento in superficie mediante il radar scatterometro, installato per la prima volta su SeaSat, poi su ERS-1, ERS-2 e QuickScat. Il radar scatterometro fornisce velocità e direzione del vento, ma la sola velocità può anche essere misurata da radiometri in MW passive. Questi, dopo i primi modelli di volo sui satelliti Nimbus-5 (1972), Nimbus-6 (1975), e poi Nimbus-7 (1978) e SeaSat (1978), si stanno ora aprendo la strada verso l'operatività grazie alla loro molteplice applicabilità, soprattutto per l'osservazione della precipitazione. Il radiometro in MW, il cui modello più avanzato vola attualmente su EOS-Aqua, possiede un ampio campo di vista che consente di ottenere con un unico satellite la copertura globale ogni 24 ore. È in fase di sperimentazione (satellite WindSat/Coriolis della NASA) una tecnica, basata su misure polarimetriche, per rilevare con il radiometro a microonde passivo, oltre alla velocità, anche la direzione del vento, soppiantando così il radar scatterometro (forse pagando un prezzo in termini di accuratezza).
La temperatura della superficie del mare viene misurata operativamente mediante le immagini in IR riprese dai satelliti meteorologici. Sono stati anche sviluppati sensori speciali per ottenere l'elevatissima precisione necessaria per fini climatologici (su ERS-1, ERS-2 ed Envisat).
L'osservazione del colore dell'oceano fu introdotta con Nimbus-7 nel 1978. Molti altri strumenti sono seguiti, compreso uno che opera su base commerciale (SeaWiFS su SeaStar, 1997). Attualmente gli strumenti più avanzati volano su EOS-Terra, EOS-Aqua ed Envisat.
Per la salinità dell'oceano il progetto più avanzato è SMOS dell'ESA (2007); sarà seguito nel 2008 da Aquarius della NASA ospitato sul satellite argentino SAC-D.
Per l'osservazione accurata dei bordi dei ghiacci polari sono in funzione il RadarSat canadese ed Envisat dell'ESA. Per l'elevazione del ghiaccio sul livello del mare si utilizzano altimetri particolarmente studiati per ottenere buone risoluzioni orizzontali. Il primo a essere lanciato, IceSat (2003) della NASA, utilizza un radar ottico (lidar) capace di altissima risoluzione verticale e orizzontale lungo la traccia al suolo del satellite, e impiegato anche per misure atmosferiche (aerosol). L'ESA ha sviluppato CryoSat, basato su un radar in microonde con due antenne operanti in interferometria (tipo SAR) per ottenere la risoluzione orizzontale necessaria a rilevare il bordo del ghiaccio. La risoluzione verticale è inferiore a quella ottenibile con il lidar ma si può osservare un'ampia scena trasversalmente alla traccia al suolo del satellite. Purtroppo il lancio di Cryosat è fallito l'8 ottobre 2005.
Missioni per la Terra solida
Per le componenti a bassa frequenza delle perturbazioni del geoide (lunghezze d'onda di molte migliaia di chilometri) si applicano la geodesia spaziale e l'orbitografia di precisione. Lageos-1 (1976) della NASA e Lageos-2 (1992) dell'ASI (Agenzia Spaziale Italiana) sono due satelliti forniti semplicemente di centinaia di riflettori laser, mediante i quali una rete di stazioni laser ricetrasmittenti al suolo determina i parametri orbitali con grande precisione (10 cm, con altezze orbitali di 6000 km). Riflettori laser vengono disposti sistematicamente su numerosissimi satelliti. Altri sistemi sono basati su ricezione a bordo di segnali radio emessi da reti di stazioni terrestri: per es., DORIS (Doppler Orbitography and Radiopositioning Integrated by Satellite), montato su SPOT, Envisat, Topex-Poseidon, Jason-1. Il sistema ormai più diffuso è il GPS (Global Positioning System).
Per le componenti a media frequenza (lunghezze d'onda di molte centinaia di chilometri) si utilizzano gli altimetri. Migliore conoscenza di queste componenti si può ottenere mediante missioni dedicate. Il sistema GRACE (Gravity Recovery And Climate Experiment), posto in orbita dalla NASA (con il concorso dell'agenzia spaziale tedesca) nel 2002, è composto da due satelliti che si inseguono nella stessa orbita (bassa) a distanza di alcune centinaia di chilometri l'uno dall'altro, misurando gradienti orizzontali di gravità mediante accelerometri e la loro distanza reciproca mediante un sistema ricetrasmittente in microonde.
Le anomalie del geoide a lunghezze d'onda del centinaio di chilometri sono oggetto della missione dell'ESA GOCE (Gravity-field and steady-state Ocean Circulation Explorer), a dominante partecipazione italiana. Verrà lanciata nel 2006 in un'orbita bassissima (250 km), molto sensibile alle anomalie del campo di gravità terrestre. Si basa su un gradiometro a tre assi le cui eccezionali prestazioni saranno: misura di anomalie del campo di gravità con precisione di un milionesimo dell'accelerazione di gravità al livello del mare; geoide con la precisione di 1-2 cm; risoluzione orizzontale del campo di gravità misurato migliore di 100 km.
Per le parti più interne (il nucleo fluido e infine quello rigido) l'ESA ha recentemente approvato la missione SWARM (The Earth's magnetic field and environment explorers), da lanciare nel 2009. Si basa su una costellazione di tre piccoli satelliti che effettuano misure di campo magnetico ed elettrico: due volano affiancati in due orbite basse alla stessa altezza, di poco distanziate, così da misurare gradienti orizzontali; il terzo si muove su un'orbita più alta, per completare la misura con i gradienti verticali.
Missioni per la chimica dell'atmosfera
Il primo spettrometro per l'osservazione dell'ozono, operante nell'ultravioletto in geometria verticale, volò su Nimbus-4 (1970) e da allora, attraverso vari miglioramenti, continua a essere utilizzato su alcuni dei satelliti meteorologici operativi della serie NOAA. La geometria limb fu inaugurata con Nimbus-6 (1975) per il sondaggio in IR di temperatura, umidità e ozono nella stratosfera; e poi, su Nimbus-7 (1978), sempre in IR, per alcune specie, nonché per l'aerosol stratosferico (in occultazione di luce solare).
La prima grande missione completa è stata svolta da UARS (Upper Atmosphere Research Satellite), lanciato dalla NASA nel 1991, all'epoca il più grande satellite di Osservazione della Terra mai posto in orbita (6,8 t). Tutti gli strumenti operavano in geometria limb coprendo complessivamente l'infrarosso da 3,5 a 16,6 m e le microonde da 60 a 200 GHz. Alcuni strumenti misuravano anche il vento in stratosfera osservando l'effetto Doppler della luce riflessa di alcune linee dell'ossigeno molecolare. Su ERS-2 dell'ESA (1995) è stato installato uno spettrometro operante in UV e VIS in geometria verticale, per l'ozono e altre specie osservabili in quell'intervallo spettrale. Un esemplare migliorato di tale strumento volerà sulla serie di satelliti meteorologici operativi MetOp/EPS a partire dal 2006.
Envisat, il più grande satellite di osservazione della Terra mai costruito (8,2 t), è stato posto in orbita dall'ESA il 1° marzo 2002. Dei suoi 10 strumenti, tre sono dedicati alla chimica dell'atmosfera. In configurazione limb vengono coperti i campi da 4 a 16 m e da 240 a 2400 nm (il campo 240-1000 nm è anche coperto in occultazione stellare). In geometria verticale viene coperto l'intervallo 240-2400 nm. Lo 'stato dell'arte' è ora rappresentato da EOS-Aura, lanciato dalla NASA il 15 luglio 2004, interamente dedicato alla chimica dell'atmosfera. La sua strumentazione copre gli intervalli 6-18 m e 118-2500 GHz con geometria limb, l'intervallo 270-500 nm con geometria verticale, e l'intervallo 3,2-15,4 m alternativamente in limb e verticalmente. Tutte le specie elencate nel testo vengono osservate, molte in più regioni spettrali, molte in geometria sia limb sia verticale. L'unica regione che rimane ancora inesplorata è il lontano infrarosso da 18 a 120 m, importante per l'effetto serra poiché è occupata dal continuo del vapor acqueo nell'alta troposfera e bassa stratosfera. Difficoltà tecnologiche hanno finora ritardato l'esplorazione di questa regione, in cui peraltro è impossibile osservare la media e bassa troposfera dallo spazio appunto perché completamente occultata dal continuo del vapor acqueo.
Missioni per l'idrologia e i disastri naturali
Le osservazioni principali per l'idrologia operativa sono: la precipitazione, l'umidità del suolo e la neve. Per la precipitazione lo strumento operativamente utilizzato è il radiometro in microonde. I primi radiometri in MW furono sperimentati su Nimbus-5 (1972), Nimbus-6 (1975), poi Nimbus-7 (1978) e SeaSat (1978). Dal 1987 è disponibile un radiometro in MW sulla serie di satelliti meteorologici operativi DMSP (Defense Meteorological Satellite Program). Il più avanzato radiometro in MW per la misura della precipitazione (e molti altri parametri) vola ora su EOS-Aqua (2002). Comunque, i risultati di migliore qualità si ottengono dal satellite sperimentale TRMM (1997) grazie alla presenza del precipitation radar. È ora in fase di sviluppo la missione Global Precipitation Measurement (GPM), prevista per il 2010, che fornirà una copertura globale ogni 3 ore mediante una costellazione di 8 satelliti in orbita eliosincrona, più un satellite core dotato di precipitation radar per le precipitazioni a due frequenze. Ai fini idrologici, è essenziale il campionamento frequente della precipitazione, ragion per cui anche le immagini in IR da satellite geostazionario vengono utilizzate, se non altro per estrapolare i dati misurati in MW o interpolare fra di essi.
Per l'umidità del terreno, in assenza di vegetazione si possono usare i canali a più bassa frequenza (in banda C) dei radiometri in MW (per es., su EOS-Aqua), o il radar scatterometro (per es., su MetOp). Per la misura in presenza di vegetazione sono in preparazione radiometri in banda L con antenna ad apertura sintetica (SMOS dell'ESA, 2007, e HYDROS della NASA, 2010). Per la piccola scala sono in preparazione missioni basate sul SAR in banda L (il giapponese ALOS, da lanciare nel 2006, e l'argentino SAOCOM, 2008).
Per la neve, la copertura può essere osservata facilmente nelle bande ottiche. Lo stato di fusione può essere rilevato in MW a frequenze alte (il migliore strumento attuale vola su EOS-Aqua). L'equivalente in acqua della neve può essere osservato con radiometri in MW a più frequenze (medie e alte), ma a piccola scala è necessario l'uso del SAR. Sono necessarie frequenze alte, altrimenti la neve risulta trasparente. Il COSMO-SkyMed, che opera in banda X, potrebbe risultare utile. L'ASI porrà in orbita una costellazione di quattro modelli di volo a partire dal 2007-08.