Telescopi
SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. Tipi di telescopi: a) telescopi a primo fuoco; b) telescopi cassegrain; c) telescopi coudé. 3. Aspetti tecnici e ambientali: a) materiali per specchi; b) rivestimenti; c) ottica attiva; d) specchi di grandi dimensioni; e) meccanica dei telescopi e cupole; f) siti; g) ottica adattativa. 4. Prestazioni dei telescopi terrestri e spaziali. 5. Alcuni telescopi particolari: a) il telescopio spaziale Hubble; b) il telescopio Keck; c) il grande telescopio dell'ESO; d) il grande telescopio binoculare. 6. Prospettive future. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Il principio che sta alla base del telescopio sembra essere stato delineato per la prima volta da Giovanni Battista della Porta nel 1589 nel suo Magia naturalis. Nel 1608, Johannes Lippershey di Middleburg costruì il primo telescopio conosciuto, che vendette per 300 fiorini, una somma circa pari allo stipendio annuale percepito all'epoca da un professore dell'Università di Leida. Nel 1609, Galileo realizzò a Venezia un telescopio per il quale fu ben ricompensato dalle autorità cittadine, che riconobbero subito il potenziale militare dello strumento. Con questo strumento Galileo fece numerose scoperte astronomiche, compresa quella dei quattro maggiori satelliti di Giove.
Gli sviluppi successivi mirarono a ottenere una migliore luminosità, con la costruzione di lenti più grandi, e una migliore scala angolare, con l'aumento della lunghezza focale. Questo portò a seri problemi meccanici di flessione (v. tav. I) e da allora le difficoltà inerenti alla costruzione dei telescopi sono state di natura più meccanica che ottica: sarebbe inutile avere un telescopio capace di una risoluzione angolare di un secondo d'arco se poi non si potesse puntarlo accuratamente e quindi seguire con altrettanta precisione il moto giornaliero apparente del cielo.
Il principale problema ottico sorse dagli effetti cromatici - la variazione dell'indice di rifrazione del materiale delle lenti in funzione della lunghezza d'onda - e fu parzialmente risolto dall'ottico Chester Hall, nel 1729, con l'invenzione di lenti composite formate da vetri differenti. Una soluzione più soddisfacente fu il telescopio a riflessione, nel quale le lenti furono rimpiazzate da specchi. Al crescere delle dimensioni delle lenti cominciarono a manifestarsi notevoli problemi di flessione meccanica causata dalla gravità, che limitarono a 1 m il diametro massimo dei telescopi a rifrazione (o diottrici).
Questi due problemi principali sono risolti dai telescopi a riflessione (o catottrici): in essi non vi sono effetti cromatici e con supporti appropriati sul retro dello specchio le flessioni possono essere in gran parte eliminate. Comunque, un prezzo va pagato: le superfici riflettenti tendono ad avere maggiori perdite di luce rispetto alle lenti e, dal momento che quasi sempre vi è uno specchio secondario sul cammino del raggio di luce incidente, gli effetti di diffrazione peggiorano l'immagine finale. Tuttavia, i vantaggi dei telescopi a specchi compensano largamente questi inconvenienti e recentemente sono stati realizzati telescopi a riflessione fino a 10 m di diametro. I primi specchi erano fatti di speculum, una lega di rame e stagno, e andavano soggetti a deformazioni causate dalle variazioni di temperatura. Con l'avvento di vetri a bassa espansione termica, come il pyrex, e specialmente dei recenti materiali ceramici, questi problemi possono essere completamente superati. Per di più, dato che gli specchi possono essere dotati di supporti, anche gli inconvenienti dovuti alla flessione possono essere in gran parte risolti montando opportunamente gli strumenti ausiliari, come gli spettrografi.
A causa della rotazione terrestre, i telescopi astronomici devono essere in grado di seguire i corpi celesti che descrivono circonferenze attorno ai poli. A tale scopo è stata realizzata la montatura ‛equatoriale', nella quale il telescopio ruota attorno a un asse puntato verso il polo (v. tav. III). La struttura asimmetrica che ne risulta è squilibrata e nei grandi telescopi porta a seri problemi di flessione. Una struttura più semplice è la montatura ‛alt-azimutale' (v. tav. II), nella quale il telescopio ruota intorno a un asse orizzontale e a uno verticale. Comunque, la necessità di seguire oggetti con velocità variabili lungo i due assi ha ritardato l'introduzione della montatura alt-azimutale fino a quando non sono stati sviluppati sistemi di guida computerizzati. I grandi telescopi di recente costruzione, a cominciare dal telescopio di 6 m di Zelenčuk in Russia (v. tav. IV), terminato nel 1977, seguono quasi tutti il principio alt-azimutale. Anche in questo caso c'è un prezzo da pagare: le immagini ruotano rispetto al telescopio e questo effetto va compensato.
Quando il telescopio viene puntato in direzioni differenti, anche lo specchio subisce una deformazione causata dalle forze gravitazionali. In passato questo problema era risolto realizzando specchi abbastanza rigidi da non deformarsi troppo se sostenuti da sistemi relativamente semplici di leve meccaniche. Tali specchi erano spessi e pertanto molto pesanti. Con i perfezionamenti introdotti per evitare le flessioni meccaniche della struttura del telescopio, tutto l'insieme divenne molto massiccio e costoso. L'avvento di strutture e sostegni controllati dal calcolatore ha reso possibile l'uso di specchi molto più sottili e le conseguenti riduzioni di peso hanno consentito di diminuire sensibilmente il costo dei telescopi e di aumentare le dimensioni degli specchi.
Anche se si risolvessero tutti i problemi opto-meccanici, vi sono diversi fattori ambientali che possono pregiudicare il buon funzionamento di un telescopio. L'indice di rifrazione dell'aria dipende dalla temperatura e quindi, se lo specchio è più caldo dell'ambiente circostante, la convezione che ne deriva, con sacche di aria turbolenta più calda e più fredda, porta a un deterioramento della qualità dell'immagine. I controlli termici all'interno della cupola e del telescopio sono un requisito fondamentale, così come è necessario tener conto dell'effetto della forza del vento su specchi molto grandi.
Vanno inoltre considerati gli effetti dell'atmosfera terrestre: infatti, anche la turbolenza atmosferica porta a un deterioramento dell'immagine, mentre la trasparenza atmosferica è ovviamente un elemento importante. Infine, per osservazioni di oggetti poco luminosi, il cielo notturno deve essere il più scuro possibile. In ultima analisi, il costo dei telescopi molto grandi è giustificato solo se il sito prescelto corrisponde strettamente a tali requisiti. Solo pochi luoghi sulla Terra - oggigiorno accessibili per via aerea - sono veramente adatti; del resto le più recenti tecnologie di comunicazione permettono di utilizzare il telescopio anche da grandi distanze.
Peraltro, anche nei siti migliori gli effetti atmosferici limitano gravemente la qualità dell'immagine, tanto che un'immagine puntiforme (una stella) appare come una macchia diffusa con un diametro, a metà potenza, di mezzo secondo d'arco o anche più. Attualmente per correggere le immagini di oggetti astronomici alterate dagli effetti atmosferici si stanno sviluppando varie tecniche che utilizzano stelle di riferimento naturali o artificiali.
Naturalmente la maniera migliore per ovviare ai problemi dovuti ai fattori ambientali consiste nel situare il telescopio nello spazio. A tutt'oggi il telescopio più riuscito di questo tipo è il telescopio spaziale Hubble (Hubble Space Telescope, HST) da 2,4 m, che, in effetti, fornisce immagini di stelle a diffrazione limitata con un diametro a metà potenza dell'ordine di 0,05 secondi d'arco. Peraltro, l'elevatissimo costo dei telescopi spaziali rende necessario utilizzare i telescopi terrestri per la maggior parte delle osservazioni.
Le caratteristiche ottiche dei telescopi si sono evolute gradualmente nei secoli passati. Sono state ideate diverse combinazioni di elementi ottici, poi ottimizzate per applicazioni differenti. Attualmente i problemi ottici sono ben compresi e con i moderni programmi ottici per calcolatori la progettazione si è decisamente semplificata. Anche i problemi di progettazione meccanica sono divenuti molto più abbordabili con lo sviluppo del metodo degli elementi finiti. Questo progresso nell'opto-meccanica ha portato anche alla progettazione di apparecchi fotografici, spettrometri, polarimetri e altri strumenti ausiliari assai più efficienti. Un problema che permane è il costo: un telescopio da 8-10 m completo di strumenti ha un costo dell'ordine di 100 milioni di dollari. Recentemente si sono fatti notevoli sforzi per ottimizzare, sotto il profilo economico, la progettazione dei telescopi.
La funzione essenziale di un telescopio astronomico è quella di raccogliere luce. L'analisi del funzionamento dei telescopi esistenti ha mostrato che essi non vengono utilizzati in modo molto efficiente. Gran parte del tempo di osservazione si impiega per cambiare i fuochi, gli strumenti o gli oggetti da osservare. Molta dell'efficienza ottica si perde a causa della diminuzione del potere riflettente dello specchio, dovuta all'invecchiamento del rivestimento e ai difetti di allineamento degli elementi ottici. E infine, dal momento che la maggior parte degli astronomi ha la possibilità di accedere ai grandi telescopi solo poche notti all'anno, l'efficienza è ridotta dalla mancanza di esperienza da parte dell'osservatore. Risolvendo questi problemi si otterrebbe un incremento dell'efficienza dei telescopi molto maggiore di quello che potrebbe essere determinato da ulteriori affinamenti della progettazione ottica. Incrementare l'efficienza operativa dei telescopi è quindi divenuto un obiettivo essenziale della loro progettazione.
Finora sono stati considerati solo telescopi operanti nel campo del visibile. La scoperta di onde radio di provenienza extraterrestre (da parte di Karl Jansky nel 1931) ha condotto allo sviluppo di radiotelescopi capaci di prestazioni sempre migliori. Per la maggior parte delle lunghezze d'onda i radiotelescopi sono abbastanza simili a quelli ottici. Comunque, dato che le lunghezze d'onda sono molto più grandi, le tolleranze geometriche sugli specchi sono maggiori, sicché si sono potuti costruire telescopi fino a 100 m di diametro. Inoltre, per lunghezze d'onda più elevate, il riflettore radio può essere costituito da una rete di fili anziché da una superficie solida.
La risoluzione angolare ottenibile con un telescopio è limitata dagli effetti di diffrazione a circa Δθ = 1,2 λ/d radianti, dove d è il diametro e λ la lunghezza d'onda. Quindi, se λ = 1 m e d = 100 m, la risoluzione angolare è di 0,5 gradi soltanto. Per migliorarla i radioastronomi hanno costruito interferometri composti da diversi telescopi situati a grande distanza l'uno dall'altro. Se si prendono due telescopi e se ne muove uno che campioni tutte le informazioni all'interno di un cerchio di diametro d, allora la risoluzione è, in linea di principio, uguale a quella di un singolo telescopio di diametro d. In pratica, se è presente un numero sufficiente di telescopi immobili, si può già ottenere una parte considerevole delle informazioni. Utilizzando la Very Long Baseline Interferometry (VLBI), che permette di combinare le informazioni raccolte da telescopi posti in continenti diversi, i radioastronomi sono riusciti a ottenere immagini con una risoluzione migliore di un millisecondo d'arco. Sono previsti ulteriori miglioramenti grazie all'impiego di radiotelescopi montati su satelliti.
Naturalmente, l'interferometria non si limita alle lunghezze d'onda radio, ma nel campo del visibile l'appropriata combinazione delle informazioni ottenute da diversi telescopi è più difficile e le tolleranze nel posizionamento dei telescopi sono minori a causa delle lunghezze d'onda più brevi. Anche i problemi atmosferici sono particolarmente gravi; tuttavia si stanno costruendo interferometri ottici che, in futuro, potranno portare un notevole contributo all'astronomia.
La scoperta, nel 1962, di sorgenti cosmiche di raggi X, ha determinato la necessità di costruire telescopi adatti ai raggi X. Gli specchi ottici usuali hanno un potere riflettente molto basso per raggi X che incidono pressoché normalmente alla loro superficie. Comunque, per angoli di incidenza molto piccoli si può ottenere la riflessione totale combinando specchi parabolici e iperbolici nei telescopi a doppia riflessione. Poiché i raggi X possono essere osservati solo nello spazio, fino a oggi sono stati costruiti telescopi relativamente piccoli.
Nei capitoli seguenti verranno esaminati più dettagliatamente i vari argomenti fin qui esposti, limitando la trattazione agli sviluppi più recenti e ai telescopi ottici. In particolare, non verranno presi in considerazione i telescopi a rifrazione e i problemi meccanici dei telescopi a montatura equatoriale e analoghi, già trattati in precedenza (v. telescopia: Telescopi e tecniche di osservazione, vol. VII).
2. Tipi di telescopi
a) Telescopi a primo fuoco.
Si supponga di avere una superficie concava riflettente definita dall'equazione y = y (x) con una simmetria azimutale attorno all'asse y e passante per l'origine (v. fig. 1). Si consideri un raggio luminoso parallelo all'asse y e incidente sulla superficie nel punto (x, y). Con riferimento alla fig. 1, detto γ l'angolo di incidenza (uguale a quello di riflessione) del raggio luminoso e ϕ l'angolo che la tangente alla curva y (x) nel punto (x, y) forma con l'asse delle ascisse, si ha: β = 90° - 2γ, γ = ϕ, ϕ = arctan y′ (con y′ = dy/dx) e quindi β = 90° - 2 arctan y′. Il raggio riflesso interseca l'asse delle ordinate nel punto y0 = y + x tan β. Dalla trigonometria si ottiene tan β = cot 2ϕ = 1/2 (1/y′ - y′) e quindi il raggio interseca l'asse y nel punto di ordinata y0 = y + x/2 (1/y′ - y′).
Si supponga ora di avere uno specchio sferico di raggio R, la cui superficie è definita da (y - R)2 + x2 = R2. Inserendola nell'equazione per y0, si ottiene:
che, se il diametro dello specchio è piccolo rispetto al raggio di curvatura, diventa:
y0 = R/2 (1 - x2/2R2).
Pertanto, mentre al primo ordine in x/R tutti i raggi passano per un fuoco comune posto in y0 = R/2, gli effetti del second'ordine fanno sì che i raggi riflessi a distanze differenti dall'asse convergano in punti differenti.
Se si suppone ora di porre una lastra fotografica in y0 = R/2, allora i raggi riflessi dalla parte di superficie a distanza x dall'asse, che convergono in un punto più vicino all'origine per un tratto x2/4R, appariranno sulla fotografia entro un cerchio di raggio r = (x2/4R) cot β, cioè
e, all'ordine più basso in x/R, r = R/2 (x/R)3. Per esempio, con uno specchio avente diametro di 4 m e raggio di curvatura di 20 m, otteniamo, per i raggi più esterni, x = 2 m, x/R = 0,1 e r = 10 mm. Ma una lastra fotografica ha tipicamente una risoluzione di 20 µm e quindi, usando uno specchio del genere, si ha una grossa perdita di risoluzione nell'immagine.
Se i raggi incidenti non sono paralleli all'asse di simmetria, l'algebra diviene più complicata. Comunque si può vedere facilmente che, se essi formano con l'asse un angolo ζ piccolo, l'immagine risulta spostata dall'asse di una distanza R sen ζ/2. Ritornando all'esempio precedente, si vede che i raggi sulla lastra fotografica sono sparpagliati come se giungessero (perfettamente focalizzati) con inclinazioni comprese entro un angolo ζ dato da:
sen ζ = (x/R)3 = 200′′.
Quindi la risoluzione angolare è molto bassa se confrontata con il limite di diffrazione di uno specchio di 4 m di diametro, e perciò occorre trovare una forma migliore per lo specchio. La soluzione giusta è lo specchio parabolico. Prendendo una superficie rappresentata dall'equazione y = ax2, si trova:
y0 = y + x/2 (1/y′ - y′) = 1/4a.
Così tutti i raggi paralleli all'asse passano per un fuoco comune: lo specchio parabolico non è affetto da ‛aberrazione sferica'. Si supponga di porre nuovamente la lastra fotografica nel fuoco: nell'approssimazione dell'ottica geometrica, l'immagine sarà puntiforme. Questa è un'approssimazione, poiché la natura ondulatoria della luce porta alla diffrazione. Comunque, per uno specchio di 4 m di diametro, il disco di diffrazione risulta molto piccolo, circa 0,02′′ per la luce blu.
Mentre per raggi paralleli all'asse lo specchio parabolico dà immagini perfette, altrettanto non si può dire per i raggi fuori asse. Esistono tre aberrazioni importanti: l'aberrazione comatica, l'astigmatismo e la curvatura di campo. L'aberrazione comatica dà luogo a immagini sfumate, vagamente simili a comete, con il diametro che aumenta linearmente con la distanza dall'asse. L'astigmatismo produce immagini che appaiono come linee ortogonali a diverse distanze focali, con in mezzo un'immagine circolare anziché puntiforme, il cui diametro aumenta in ragione del quadrato della distanza dall'asse. Per di più queste immagini circolari sono poste su una superficie curva, il che comporta un ulteriore peggioramento dell'immagine se viene usato un rivelatore piano (come i tipici rivelatori a stato solido, per esempio un CCD, Charge Coupled Device).
La grandezza delle aberrazioni dipende dalla ‛apertura relativa', cioè dal rapporto fra il diametro dello specchio e la sua lunghezza focale. Uno specchio parabolico, con apertura relativa pari a 1/10, a 1° dall'asse ha una coma di 6,8′′ e un astigmatismo di 6,3′′, mentre nel caso di apertura pari a 1/3 questi valori arrivano rispettivamente a 75′′ e 20′′. Quindi, se si richiede una qualità di immagine di 0,2′′, corrispondente alle migliori condizioni atmosferiche, il raggio accettabile del campo fuori asse è di meno di 10′′. Quando si desidera un campo più grande, si rende necessario l'impiego di un correttore formato da una o più lenti. Per ottenere campi con diametro dell'ordine del grado si è fatto ricorso a diversi correttori a tre lenti, il cui uso, naturalmente, introduce effetti cromatici e per tale ragione, in genere, si rendono necessari correttori diversi per la luce blu e la luce rossa.
Un altro inconveniente dello specchio parabolico singolo è che gli strumenti per analizzare la luce dell'immagine (apparecchi fotografici, spettrografi, ecc.) devono essere posti sul fascio di luce incidente (v. fig. 2A) ed è difficile evitare che la presenza di questo ingombrante equipaggiamento peggiori ulteriormente la qualità dell'immagine. Una soluzione parziale del problema si è ottenuta con il telescopio newtoniano (v. fig. 2B), nel quale uno specchio piano posto a una certa distanza dal fuoco deflette lateralmente la luce permettendo in tal modo di analizzarla fuori dal fascio incidente. Questa soluzione è oramai soltanto di interesse storico, dal momento che la posizione focale lontana dallo specchio principale risulta squilibrata dal punto di vista meccanico.
b) Telescopi cassegrain.
Mentre è possibile disporre un apparecchio fotografico o addirittura un CCD (con tutta l'elettronica e il sistema di raffreddamento associati) nel primo fuoco senza perturbare troppo il fascio incidente, è difficile collocarvi i più ingombranti spettrografi. Un sistema cassegrain a due specchi, la cui prima descrizione risale al 1672, con il fuoco dietro lo specchio primario fornisce una soluzione più soddisfacente (v. fig. 2C). Nel caso di una montatura alt-azimutale questo sistema può essere trasformato in un sistema nasmyth (v. fig. 2D), nel quale uno specchio piano terziario posto all'intersezione dell'asse ottico con un asse orizzontale del telescopio devia lateralmente il raggio luminoso che esce e viene focalizzato in una posizione nella quale può essere installato, in ambiente controllato termicamente, un equipaggiamento pesante senza contribuire alla flessione del tubo del telescopio. Naturalmente la riflessione sul terzo specchio causa ulteriori perdite di luce.
L'uso di due specchi rende più complessa la progettazione ottica, perché si deve tener conto delle riflessioni da due superfici ottiche. Per le forme di tali superfici, possono essere scelte diverse combinazioni, ognuna delle quali presenta vantaggi e svantaggi. La maggiore flessibilità di questo sistema consente di ottenere un'immagine fuori asse migliore di quella ottenibile con un paraboloide. Un requisito generale è che lo specchio secondario sia piccolo rispetto al primario, per evitare eccessivi oscuramenti di quest'ultimo. Nell'infrarosso questo requisito è ancora più importante, dato che bisogna anche ridurre l'emissione dal secondario, che pertanto deve essere posto vicino al fuoco del primario, dove la sezione del raggio riflesso ha un diametro più piccolo. In un telescopio cassegrain il fuoco del sistema combinato deve stare ben dietro il primario, dove può essere montato l'equipaggiamento pesante; questo risultato si ottiene dando una forma convessa allo specchio secondario e, naturalmente, realizzando un foro centrale nel primario. Nella configurazione nasmyth il fuoco deve trovarsi molto esterno rispetto all'asse orizzontale. Dal momento che la maggior parte del peso è costituita dal primario e dalla sua ‛cella' di supporto, l'asse orizzontale deve essere vicino al primario; le caratteristiche ottiche di questo sistema non risultano molto diverse da quelle del cassegrain.
Si supponga che il primario abbia un diametro D1 e una lunghezza focale f1 e che il secondario, di diametro D2, sia posto a una distanza a davanti al fuoco del primario (v. fig. 3). Se si considera solo un fascio incidente parallelo all'asse, allora, affinché il secondario raccolga tutta la luce riflessa dal primario, dev'essere:
D2/D1 = a/f1.
Sia il fuoco combinato F posto a una distanza b dietro la superficie anteriore del primario e sia f la lunghezza focale effettiva del sistema; allora si ha anche:
D1/f = D2/(f1 - a + b).
Combinando le due espressioni si ottiene:
f/D1 = (D1/D2 - 1) ( f1/D1) + (b/D1) (D1/D2).
Quindi, se si vuole che D2 sia notevolmente più piccolo di D1, la lunghezza focale effettiva diventa grande. In pratica, lo specchio ha un certo spessore e dietro di esso c'è la cella con l'equipaggiamento per montare gli strumenti; quindi b sarà in generale dell'ordine di D1/2. In passato si cercava generalmente di realizzare un sistema con apertura relativa pari a 1/8 e, dato che il primario aveva una apertura relativa pari a 1/3 (valori più bassi erano difficili da ottenere) si aveva D1/D2 ≈ 3. In realtà, per includere anche il campo fuori asse, il secondario dovrebbe essere un po' più grande.
La configurazione che ha avuto maggior successo è il sistema di Ritchey e Chrétien (1922), nel quale il primario e il secondario sono due iperboloidi accoppiati. Nelle immagini risultanti sono eliminate sia l'aberrazione comatica che quella sferica; l'astigmatismo e la curvatura di campo permangono, ma quando sono quantitativamente poco rilevanti si ottiene ancora un campo sufficiente. Se si desidera usare qualche volta anche il primo fuoco, compare l'aberrazione sferica e si rende necessario un ‛correttore del primo fuoco' costituito da lenti. In passato era difficile realizzare certe forme, come gli iperboloidi, con la precisione necessaria, mentre adesso, con le moderne tecnologie di lucidatura e misurazione, questo non è più un problema e praticamente tutti i grandi telescopi moderni sono del tipo Ritchey-Chrétien.
c) Telescopi coudé.
Nei telescopi a montatura equatoriale non è pratico, dal punto di vista meccanico, porre spettrografi ad altissima risoluzione, molto pesanti, nel fuoco cassegrain, e ciò non solo perché il tubo potrebbe deformarsi e quindi compromettere l'allineamento del secondario, ma anche perché la costruzione dello spettrografo stesso risulterebbe quanto mai complicata, dato che lo strumento dovrebbe operare con diverse orientazioni rispetto al campo gravitazionale e in condizioni di temperatura variabili. A questi inconvenienti ovvia il sistema coudé (a gomito) che, utilizzando un certo numero di specchi piani (generalmente uno o tre), porta la luce dall'asse polare del telescopio in una posizione focale fissa.
Con la montatura alt-azimutale il fuoco nasmyth soddisfa la maggior parte delle esigenze spettrografiche. Per di più, se si rende necessario portare la luce a uno spettrografo fisso, si possono anche impiegare le fibre ottiche (v. tav. VA). Comunque, nelle applicazioni interferometriche è sempre meglio portare la luce in una data posizione fissa attraverso un cammino ottico controllato con estrema precisione. A tal fine sono necessarie diverse ulteriori riflessioni a partire dal fuoco nasmyth (v. fig. 2E). Le perdite di luce risultanti sono accettabili solo se si impiegano rivestimenti degli specchi ad alto potere riflettente, che limitano moltissimo il campo delle lunghezze d'onda osservabili.
3. Aspetti tecnici e ambientali
a) Materiali per specchi.
Gli specchi possono essere fatti di metallo, vetro o ceramica. Le principali caratteristiche richieste sono una buona resistenza meccanica, un'alta lucidabilità e, preferibilmente, un basso coefficiente di espansione termica. Per essere lucidabile un materiale deve essere sufficientemente duro e uniforme: metalli come l'alluminio sono troppo teneri. Per tutta la prima metà di questo secolo il vetro è stato quasi sempre il materiale preferito; ma, pur essendo notevolmente lucidabile, il vetro ha un coefficiente di espansione termica relativamente elevato, che, quando varia la temperatura dello specchio, porta a variazioni della lunghezza focale e anche a deformazioni più gravi. Si sono quindi realizzati numerosi materiali vetrosi o ceramici, come la silice fusa, l'ULE, il Cervit e lo Zerodur, l'ultimo dei quali possiede un coefficiente di espansione termica cento volte inferiore a quello del vetro (10-7 °C-1). Dato che purtroppo questi materiali sono costosi, sono stati fatti svariati tentativi per trovarne di più economici.
Una possibilità consiste nel ritornare al vetro e costruire uno specchio di cui sia possibile controllare la temperatura, poiché l'isotermicità garantisce la conservazione della forma corretta; del resto, il controllo termico dello specchio è auspicabile comunque, per prevenire i fenomeni di convezione al di sopra di esso. Un'altra possibilità è usare il metallo; anche in questo caso i problemi dovuti all'espansione termica possono essere evitati con il controllo della temperatura, che, grazie all'elevata conducibilità termica del metallo, risulta più semplice che nel caso del vetro. I primi tentativi di realizzare uno specchio di alluminio con un rivestimento in nichel in modo da consentirne la lucidatura fallirono, perché gli specchi si deformavano nel corso del tempo. Più recentemente sono stati realizzati a titolo sperimentale specchi di acciaio, che si sono rivelati migliori sotto questo aspetto. Nelle applicazioni spaziali sono stati usati in qualche caso specchi di berillio per il loro peso ridotto, ma si tratta di specchi piuttosto piccoli. Si è pure costruito uno specchio ruotante a mercurio liquido, cui le forze centrifughe conferiscono una forma sferica e che non ha bisogno di lucidatura. Sfortunatamente tale specchio può osservare solo oggetti posti in prossimità dello zenit.
La conclusione che si può trarre dal lavoro svolto finora è che il vetro e la ceramica rimangono i materiali migliori. Dal momento che il costo dei materiali, anche di quelli più dispendiosi come lo Zerodur, rappresenta comunque meno del 10-20% del costo totale di costruzione di un telescopio, è chiaro che la qualità dello specchio rimane il fattore più importante.
b) Rivestimenti.
Le superfici lucidate di vetro o di ceramica hanno bassi poteri riflettenti; devono quindi essere rivestite con uno strato di materiale riflettente, abbastanza sottile da non alterare la forma dello specchio. Di solito si utilizza uno strato di alluminio depositato sotto vuoto. Il potere riflettente di tale strato appena depositato è dell'ordine dell'85%, ma l'ossidazione e la corrosione lo riducono, per cui bisogna depositare un nuovo strato ogni due anni circa. Da qui la necessità di costruire, negli osservatori più remoti, una grande camera a vuoto per il deposito del rivestimento. In un telescopio cassegrain a due specchi si ha una perdita della luce incidente, la quale viene riflessa con un grado di imperfezione che è già del 28% e arriva al 39% nel fuoco nasmyth; tali perdite aumentano con l'invecchiamento dell'alluminio. Quindi è importante trovare rivestimenti migliori per durata e prestazioni.
Nella fig. 4 sono mostrati i poteri riflettenti di diversi materiali in funzione della lunghezza d'onda. Mentre l'alluminio sembra essere il materiale migliore per tutta la regione delle lunghezze d'onda superiori a 3.000 Å (al di sotto della quale l'atmosfera è opaca), altri materiali sono superiori in regioni più limitate dello spettro. Inizialmente si usava l'argento, il quale ha un potere riflettente migliore salvo che nell'ultravioletto, ma ha il difetto di essere facilmente danneggiabile da parte di agenti atmosferici inquinanti presenti anche solo in tracce. L'oro è decisamente migliore sotto questo aspetto ed è stato usato spesso nei telescopi che operano nell'infrarosso. La realizzazione di un materiale di rivestimento più duraturo e con alto potere riflettente su tutto l'arco delle lunghezze d'onda rappresenterebbe un grande passo avanti nell'ottica dei telescopi.
Per sistemi ottici destinati a scopi particolari sono stati creati rivestimenti a strati multipli che hanno, in regioni limitate dello spettro, poteri riflettenti superiori al 99%. Peraltro, il delicato processo che la loro realizzazione richiede ne ha ristretto il campo di applicazione a specchi relativamente piccoli (〈1 m). Questi rivestimenti, mentre risultano assai utili negli strumenti complessi, non sembrano particolarmente vantaggiosi nei grandi telescopi utilizzati a scopi molteplici, eccezion fatta per gli specchi impiegati nell'interferometria per la combinazione del fascio.
c) Ottica attiva.
Anche uno specchio spesso, pesante e rigido subisce gravi deformazioni dovute alla gravità quando il telescopio si muove. Lo specchio è quindi posto in una ‛cella', dove è sostenuto da un appropriato sistema di leve che devono compensare le forze gravitazionali che variano. Se lo specchio è sufficientemente spesso basta un sistema piuttosto semplice. Nei grandi telescopi il peso di uno specchio di notevole spessore diviene proibitivo e si rendono perciò necessarie soluzioni alternative, tra cui spicca l'ottica attiva.
Se uno specchio subisce una deformazione, anche l'immagine di una stella risulta di conseguenza deformata. Con un ‛analizzatore di immagini' si può accertare la natura della deformazione e la si può rimuovere esercitando forze appropriate sullo specchio, ristabilendo la qualità dell'immagine (v. fig. 5).
L'analizzatore di immagini può essere basato, per esempio, su uno ‛schermo di Hartmann', cioè uno schermo provvisto di una serie regolare di fori, posto sul raggio parallelo o più vicino al piano focale. Quando si pone una lastra fotografica a una certa distanza dal piano focale, si visualizza un insieme di macchie. Se lo specchio è distorto da deformazioni macroscopiche, anche il reticolo delle macchie risulta deformato; sostituendo la lastra fotografica con un rivelatore a stato solido (CCD) il cui segnale d'uscita è direttamente connesso al calcolatore, si ottengono le posizioni del reticolo in tempo reale.
I supporti dello specchio sono leve e martinetti azionati da motori che esercitano forze su di esso (v. tav. VB). Dopo aver calcolato il rapporto tra l'intensità di queste forze e le deformazioni dello specchio, diviene agevole convertire, mediante un elaboratore, i dati così ottenuti in comandi per i motori, in modo che questi applichino le forze necessarie ad annullare la deformazione stessa. In pratica, per controllare uno specchio di 8 m di diametro, sono richieste diverse centinaia di leve, ma oggigiorno sono disponibili calcolatori abbastanza potenti da permettere di controllarle tutte. Allo stesso modo si può controllare la posizione dello specchio secondario in un sistema cassegrain. Dal momento che non sempre si può disporre di una stella di riferimento sufficientemente brillante vicino all'oggetto da osservare, in pratica le misurazioni di ottica attiva sono effettuate solo di tanto in tanto e tra una misurazione e l'altra le leve vengono manovrate basandosi sull'estrapolazione dei dati ricavati nell'esperienza precedente.
L'ottica attiva comporta anche norme meno gravose per la lucidatura degli specchi e quindi permette di ridurre i costi e di correggere gli errori. Uno specchio di elevato spessore deve essere lucidato con molta precisione per evitare deformazioni dell'immagine, mentre i difetti di forma di uno specchio sottile soggetto a controllo attivo si possono parzialmente correggere. I difetti del telescopio spaziale Hubble (fuoco sbagliato del primario) avrebbero potuto essere corretti da Terra se il telescopio fosse stato dotato di un sistema ottico attivo. Naturalmente i difetti su piccola scala non possono essere corretti: con un sistema di leve si può intervenire solo su difetti almeno dell'ordine della distanza tra le leve stesse.
d) Specchi di grandi dimensioni.
Il più grande specchio di elevato spessore mai costruito è quello del telescopio di 6 m di Zelenčuk, in Russia, pesante 42 tonnellate. A prescindere dal costo, il suo principale difetto è costituito dalla grande inerzia termica, per cui, quando la temperatura ambiente diminuisce lo specchio resta più caldo dell'aria sovrastante e la qualità dell'immagine viene danneggiata dai moti convettivi. I più grandi telescopi in costruzione sono realizzati seguendo altri criteri.
1. Grandi specchi sottili. - Lo specchio è sottile (per esempio 18 cm per un diametro di 8,2 m negli specchi del VLT dell'ESO; v. tav. VI), è munito di supporto attivo e ha una superficie liscia e uniforme; il suo difetto principale è la fragilità. È difficile che si possano realizzare specchi del genere con diametri superiori agli 8 m, poiché sono necessari forni, sistemi di lucidatura e camere di deposizione sotto vuoto grandi in proporzione e anche il trasporto pone problemi di difficile soluzione (viadotti, gallerie, ecc.).
2. Specchi più spessi ma in gran parte cavi. - Lo specchio è composto da uno strato superficiale relativamente sottile, sostenuto da una struttura a nervature per massimizzare la resistenza meccanica mantenendo un peso ridotto. Anche in questo caso è difficile realizzare diametri superiori agli 8 m.
3. Specchi segmentati (v. fig. 6). - Singoli elementi di 2-3 m sono combinati in modo da ottenere un'unica superficie ottica. Gli elementi possono essere relativamente spessi rispetto al loro diametro e sono sostenuti da supporti azionati da motori, controllati da un sistema ottico attivo. Gli elementi devono essere lucidati come paraboloidi fuori asse con identica lunghezza focale, evitando qualsiasi irregolarità agli spigoli, che risulterebbe catastrofica. Naturalmente, il punto critico è la connessione dei vari elementi, dal momento che la presenza di vuoti creerebbe problemi di diffrazione. Il successo del telescopio Keck da 10 m, situato alle Hawaii, mostra che le varie difficoltà possono essere superate. Il vantaggio principale consiste nelle dimensioni ridotte dei singoli elementi che non necessitano di grandi impianti per la realizzazione o l'alluminatura.
4. Telescopi a specchi multipli. - Vari specchi circolari vengono posti su un'unica montatura e la loro luce è combinata da un'ottica adeguata.
5. Telescopi a schiera. - È stato abbandonato il principio della montatura in comune e i telescopi operano singolarmente. La luce può essere combinata mediante specchi, oppure le immagini ottenute dai rivelatori dei singoli telescopi possono essere composte elettronicamente.
Il vantaggio dei sistemi 4 e 5 consiste nel fatto che la lunghezza focale degli specchi primari è inferiore a quella di un unico specchio monolitico con la stessa superficie e il medesimo rapporto focale (per ‛rapporto focale' si intende il rapporto tra la lunghezza focale e il diametro). Di conseguenza il telescopio è più corto, subisce una flessione meno accentuata e risulta otticamente più semplice adattarvi degli spettrografi. Lo svantaggio più rilevante consiste nella necessità di aumentare il numero degli specchi, e ciò può portare a notevoli perdite di luce, a meno di non utilizzare rivestimenti ad alto potere riflettente, che comunque riducono il campo delle lunghezze d'onda osservabili. Un'alternativa consiste nel connettere i telescopi mediante fibre ottiche. Questa soluzione, praticabile quando si osservano uno o pochi oggetti stellari, è meno adatta al trasferimento di immagini. In un sistema di telescopi a schiera alcuni elementi (motori, montature, cuscinetti) devono essere costruiti separatamente per ciascun telescopio, mentre un telescopio multispeculare prevede una sola unità, benché più grande. Il vantaggio di un sistema a schiera sta nel fatto che esso fornisce informazioni interferometriche più esaurienti.
e) Meccanica dei telescopi e cupole.
Le flessioni meccaniche - che in passato, nelle montature equatoriali, creavano gravi problemi - attualmente sono state molto ridotte con l'introduzione della montatura alt-azimutale e dei moderni metodi di progettazione (calcolo degli elementi finiti, ecc.). Inoltre, i metodi di ottica attiva permettono di compensare le flessioni rimanenti. Ciò nonostante, conviene ancora far sì che la struttura del telescopio sia più compatta possibile, in modo da ridurre la necessità di costruire grandi cupole dai costi elevati e dall'elevata inerzia termica.
La lunghezza del tubo di un telescopio cassegrain è determinata dalla lunghezza focale dello specchio primario, perciò conviene rendere il rapporto focale il più piccolo possibile. In passato si sono adottati valori intorno a 3; oggi si tende a realizzare valori inferiori. I rapporti focali molto bassi presentano due inconvenienti: la lucidatura dello specchio risulta più difficile e la regolazione del relativo sistema ottico è più delicata.
Un tubo lungo comporta una grande cupola; il grande volume d'aria ivi presente è difficile da controllare termicamente e le correnti di convezione danneggiano la qualità dell'immagine. Quindi è consigliabile un tubo corto. Con la montatura alt-azimutale è possibile circondare il telescopio con una struttura che ruota in modo solidale a esso e che contiene un volume d'aria molto minore rispetto a una cupola sferica (v. tav. VIII).
f) Siti.
I telescopi, indipendentemente dalla accuratezza della loro realizzazione dai punti di vista ottico e meccanico, possono funzionare bene solo se collocati in luoghi adatti che minimizzino la degradazione ambientale della qualità dell'immagine davanti al (o all'interno del) telescopio. Naturalmente situare il telescopio nello spazio rappresenta, sotto questo riguardo, la soluzione ottimale, ma fattori economici e tecnologici non la rendono, nella maggior parte dei casi, praticabile. Si devono quindi cercare i posti più adatti sulla superficie terrestre. Quali devono essere i criteri guida?
Per i telescopi ottici il requisito più ovvio è la scarsa nuvolosità. Originariamente i telescopi venivano costruiti nelle vicinanze delle grandi università europee, e più tardi di quelle americane, in zone dove si hanno notti serene solo nel 50% dei casi o meno. In seguito furono trovati posti migliori, con notti serene nel 70% ed eccezionalmente (nell'estremo nord del Cile) nell'85% dei casi.
Il secondo requisito è un'atmosfera stabile, perché le turbolenze siano ridotte al minimo. Vi sono due tipi di turbolenze da considerare: quelle dell'alta atmosfera, associate alla circolazione atmosferica globale, e gli effetti locali connessi con le caratteristiche topo-geografiche. Stare sottovento rispetto a una montagna più alta non è certo una situazione favorevole, ma meritano di essere considerati anche effetti topografici più minuti. Si devono evitare i venti forti, anche per i loro effetti meccanici. È probabile che la turbolenza nell'alta atmosfera sia forte ai tropici, dove prevale una forte convezione ascensionale, e alle latitudini dov'è presente la corrente veloce di alta quota. Nel mezzo c'è una regione più favorevole (20-35°) in cui si riscontra un lento movimento discendente nell'atmosfera e dove le perturbazioni sono più rare. Allo stesso tempo questa regione ha un ridotto contenuto di vapore, a causa del tiraggio verso il basso, e questo fattore è particolarmente importante a lunghezze d'onda infrarosse e submillimetriche (v. fig. 7). Le aree continentali con bassa nuvolosità si riscaldano durante il giorno e si raffreddano di notte, dando luogo a moti convettivi, mentre sopra gli oceani l'aria è più stabile. Quindi le collocazioni migliori risultano essere sulle isole o in prossimità delle coste. Le basse temperature oceaniche riducono l'evaporazione e la convezione, e le correnti fredde lungo le coste occidentali dei continenti creano condizioni particolarmente favorevoli.
L'altitudine riveste un ruolo di grande importanza. A 3.000 m l'atmosfera soprastante è ridotta quasi del 25% e la trasparenza atmosferica, soprattutto ai raggi ultravioletti e infrarossi, è sensibilmente migliore. Il criterio generale è quindi chiaro: i telescopi dovrebbero essere collocati in alta montagna, vicino a un oceano freddo, a latitudini relativamente basse. I migliori siti conosciuti sono la sommità del Mauna Kea (4.200 m) nelle Hawaii, il nord del Cile (con montagne di 2.000-3.000 m molto vicine alla costa) e i luoghi più alti delle isole Canarie, dove però l'umidità non è altrettanto bassa. Anche la California e la Namibia sono posti relativamente favorevoli. L'Australia occidentale beneficia di una corrente oceanica fredda, ma non ha alte montagne.
Un altro luogo probabilmente molto adatto è l'Antartide. La costa antartica è un'area battuta da forti bufere, ma al centro del continente l'aria è molto calma, limpida e secca, e vi sono alti rilievi (fino a 4.500 m). Sono stati elaborati diversi progetti al riguardo, ma la realizzazione delle infrastrutture necessarie è impegnativa e costosa. Forse la migliore fra le soluzioni proposte è quella che prevede di ancorare un grande pallone a 10 km di altitudine con un telescopio fissato all'estremità inferiore. Sebbene la qualità delle condizioni non sia proprio la stessa che si riscontra nello spazio, il costo di queste apparecchiature potrebbe essere un decimo di quello di un telescopio spaziale, con l'ulteriore vantaggio che il telescopio potrebbe essere periodicamente recuperato per le revisioni.
g) Ottica adattativa.
Anche al di sopra dei siti migliori si verificano turbolenze atmosferiche che portano a fluttuazioni nelle immagini con frequenze di 1-100 Hz. Per correggere questi effetti si potrebbero applicare i principî della ‛ottica attiva', ma la massa dello specchio primario è grande e sarebbe difficile correggere lo specchio su scale temporali inferiori a 1-10 secondi. Si potrebbe ovviare a questo inconveniente inserendo sul cammino della luce uno specchio piano più piccolo, sottile e flessibile: la sua deformazione consentirebbe infatti di eliminare gli effetti atmosferici dall'immagine della stella ottenuta utilizzando un analizzatore di immagini con uno schema analogo a quello mostrato in fig. 5. In questo caso il problema principale consiste nella scarsa correlazione tra gli effetti atmosferici nelle diverse direzioni. Il ‛campo isoplanatico' sul quale la correlazione è buona risulta essere solo di 10-20 secondi d'arco di diametro a lunghezze d'onda ottiche. Nell'infrarosso la situazione migliora: il diametro varia proporzionalmente a λ6/5.
Se si vuole raffinare l'immagine di un oggetto, è necessario trovare una stella di riferimento sufficientemente luminosa all'interno del campo isoplanatico, per determinare le opportune correzioni, ma nella maggioranza dei casi una tale stella non è disponibile. In alternativa si potrebbe creare nell'alta atmosfera, con l'aiuto di un laser, una stella artificiale da utilizzare come sorgente di riferimento. Un potente fascio laser di luce gialla subisce una diffusione risonante da parte degli atomi di sodio presenti nella mesosfera a circa 100 km d'altitudine: se il fascio laser è sufficientemente collimato, si riesce a creare una sorgente di luce di tipo stellare. Dal momento che gli strati più alti dell'atmosfera, che causano la degradazione dell'immagine, si trovano a circa 10 km, il cammino fino alla ‛stella laser' attraversa tutti gli strati di atmosfera che sono rilevanti.
Nel caso di stelle relativamente luminose si potrebbe anche usare il nucleo dell'immagine stellare come sorgente di riferimento. La tav. VII mostra un esperimento di ottica adattativa, un campo in rapido sviluppo che può aprire possibilità di grande interesse.
4. Prestazioni dei telescopi terrestri e spaziali
Si supponga di osservare una stella avente un flusso di luce di n fotoni/cm2 s Å con un telescopio di diametro d, di potere riflettente ideale e con un rivelatore privo di rumore e dal rendimento perfetto, dietro un filtro perfettamente trasmittente con una larghezza di banda di 1 Å, e sia t il tempo di osservazione. Il numero dei fotoni ricevuti sarà πd2nt/4 e il rumore (l'incertezza dovuta alle fluttuazioni statistiche) sarà (πd2nt/4)1/2. Stabiliamo che il rapporto segnale/rumore, S/N, debba avere il valore (S/N)0: sarà allora S/N = (πd2nt/4)1/2 = (S/N)0, e pertanto il tempo necessario all'osservazione è t = (4/πnd2) (S/N)²0. Si supponga ora che la stella sia osservata insieme a uno sfondo di b fotoni/cm2 s Å. Si osservano prima la stella e lo sfondo insieme, quindi, escludendo la stella, si misura il contributo dello sfondo e poi si sottraggono le due misure per ottenere il flusso della stella. Si consideri il caso n ≪ b; il rumore sarà circa (πd2bt/4)1/2 in ciascuna delle misure e il rumore sulla differenza varrà √2(πd2bt/4)1/2. Si ha così:
S/N = (πd2nt/4)/(πd2bt/2)1/2 = (S/N)0,
e il tempo necessario all'osservazione diviene:
t = (8b/πn2d2) (S/N)²0.
In questo caso il tempo di osservazione varia con l'inverso del quadrato del flusso della stella. Ridurre lo sfondo di un certo fattore ha perciò lo stesso effetto che aumentare dello stesso fattore l'area del telescopio.
Per i telescopi terrestri lo sfondo è dovuto alla somma della luce zodiacale, di quella delle stelle deboli non risolte, della luce diffusa dalla polvere interstellare e di quella generata nell'atmosfera terrestre. La quantità della luce di sfondo dipende dall'ampiezza dell'angolo solido sotto cui si osserva la luce della stella. Sulla Terra l'angolo solido viene determinato (per i grandi telescopi) dalla turbolenza atmosferica e, nelle posizioni migliori, ha un'ampiezza fissa, tipicamente dell'ordine di un secondo d'arco al quadrato. Nello spazio, se l'ottica è a diffrazione limitata, tale angolo diviene molto più piccolo, cioè dell'ordine di (λ/d)2 radianti. In questo caso si trova:
t ∝ (bλ2/n2d4) (S/N)²0.
Per il telescopio spaziale Hubble, da 2,4 m a 5.000 Å, il fattore λ/d vale 0,04 secondi d'arco e quindi b è più piccolo di più di un fattore cento rispetto a quello di un grande telescopio terrestre; per tale ragione Hubble risulta più adatto all'osservazione di stelle molto deboli.
Un altro modo di considerare questi risultati è chiedersi quale sia la sorgente di luce più debole che può essere osservata in un dato tempo e con un dato (S/N)0. Quando lo sfondo è trascurabile si ha:
n ∝ dt (S/N)²0,
mentre quando prevale lo sfondo si ha:
n ∝ d-1b1/2t1/2 (S/N)0.
In quest'ultimo caso, aumentando l'area di raccolta del telescopio o il tempo di osservazione, si ottiene un miglioramento del flusso limite solo in ragione della radice quadrata di queste quantità.
Si è supposto di avere un potere riflettente perfetto, una larghezza di banda di 1 Å e un contatore di fotoni perfetto. Se invece il potere riflettente risulta r, la larghezza di banda w e l'efficienza di conteggio dei fotoni η, si dovrà moltiplicare d2 e b ovunque per rwη. Nella fig. 8 viene mostrato l'andamento di log t in funzione della magnitudine (V = costante - 2,5 log, flusso a 5.500 Å) per alcuni diametri di telescopi. Quando prevale lo sfondo, anche un piccolo telescopio spaziale a diffrazione limitata fornisce prestazioni migliori rispetto a un telescopio terrestre da 10 m. Comunque, quando dev'essere raggiunta una grande risoluzione spettroscopica (corrispondente a piccolissimi valori di w), il flusso minimo osservabile in un tempo ragionevole è tale che lo sfondo è trascurabile anche sulla Terra e un grande telescopio terrestre risulta migliore. Lo stesso accade per grandi oggetti uniformi quando l'angolo solido sia lo stesso per i telescopi spaziali e per quelli terrestri.
5. Alcuni telescopi particolari.
a) Il telescopio spaziale Hubble.
L'HST è un telescopio Ritchey-Chrétien da 2,4 m (v. tav. IXA). Sull'asse ottico si trovano uno specchio di estrazione che devia radialmente la luce alla WFPC (Wide Field and Planetary Camera), un insieme di quattro apparecchi fotografici, uno per l'alta risoluzione e gli altri tre per ottenere un campo grande. Intorno allo specchio di estrazione si trovano quattro porte di accesso per altri strumenti: la FOC (Faint Object Camera) per la più grande risoluzione angolare, gli spettrografi e originariamente anche un polarimetro. Dopo il lancio, nel 1989, si scoprì che lo specchio primario era stato costruito con una lunghezza focale sbagliata e, di conseguenza, il primario e il secondario non si adattavano bene l'uno all'altro, determinando una grossa aberrazione sferica evidenziata dalla scarsa qualità dell'immagine. Nel 1993 fu installata una nuova WFPC (v. tav. IX, B e C) con la stessa ottica ‛sbagliata' in modo da compensare l'errore nel primario, e fu sostituito il polarimetro correggendo l'ottica per gli altri strumenti. La qualità dell'immagine venne così largamente recuperata (v. fig. 9). Nel 1997 sono stati istallati uno spettrografo altamente sofisticato e un apparecchio fotografico per l'infrarosso (1-2,5 µm) in sostituzione dei due spettrografi precedenti.
Le immagini raccolte con la FOC concentrano metà della luce entro un cerchio del diametro di 0,07 secondi d'arco. Per oggetti stellari lo sfondo netto è di conseguenza ridotto di un fattore circa cento rispetto a un telescopio terrestre da 2,4 m. Il guadagno è in realtà considerevolmente maggiore. Se viene osservata una stella debole, ci può essere una stella ancora più debole nelle vicinanze che, sebbene non visibile separatamente, tuttavia contribuisce alla luce della prima stella, inducendo un errore sostanziale; questo accade difficilmente con l'alta risoluzione dell'HST e ciò è particolarmente importante quando si osservano stelle in regioni dense come le galassie o gli ammassi di stelle (v. tavv. X, A e B, e XIA). Inoltre lo sfondo notturno per secondo d'arco quadrato vicino ai poli dell'eclittica risulta minore che sulla Terra di un fattore 2-3.
A prescindere dalla sua alta risoluzione angolare, l'HST ha il vantaggio di possedere un esteso campo spettrale di osservazione (grazie all'uso dello STIS, Space Telescope Imaging Spectrograph; v. tav. XIB), che va dai 1.150 Å fino ai 2,5 µm, mentre le osservazioni terrestri sono limitate a lunghezze d'onda superiori ai 3.000 Å. Al di sotto di 1 µm l'assorbimento e l'emissione atmosferici divengono un problema serio, benché esistano varie ‛finestre' trasparenti.
Diversi fattori limitano l'efficienza dell'HST. A 6.000 Å l'efficienza luminosa totale con la WFPC è solo del 13%. Ciò è parzialmente imputabile al fatto che i rivelatori CCD hanno un'efficienza solo del 35% circa. Inoltre nell'HST avvengono sette riflessioni: le prime due sugli specchi del telescopio e le altre per confinare il fascio in uno spazio ristretto e per altri scopi. In media gli specchi riflettono l'87% circa della luce incidente, sicché dopo sette riflessioni ne rimane solo il 38%. Verso l'ultravioletto l'efficienza totale decresce ulteriormente e in questo caso la FOC è molto più adatta grazie al suo rivelatore (fotoelettrico) sensibile all'ultravioletto. L'efficienza totale degli spettrografi è dell'ordine dell'1% e addirittura minore per le risoluzioni spettroscopiche più elevate. Naturalmente negli spettrografi è necessaria un'ottica piuttosto complessa e quindi queste efficienze così basse non stupiscono troppo. Ciò nonostante, è chiaro che probabilmente conviene, sotto il profilo economico, cercare di rendere questi strumenti più efficienti piuttosto che costruire telescopi più grandi. In effetti si prevede che il nuovo STIS porterà un guadagno di un fattore 1-3 nelle osservazioni correnti.
Un altro elemento che limita l'efficienza dell'HST è la sua orbita. Per permettere alla navicella Endeavour di raggiungere il telescopio venne preferita un'orbita terrestre bassa (600 km dalla superficie). La conseguenza è che in ogni punto dell'orbita la Terra nasconde la maggior parte degli oggetti. Questo fatto e i ripetuti passaggi attraverso l'anomalia sudatlantica (nel campo magnetico terrestre che porta a flussi di particelle ad alta energia) causano una notevole riduzione del tempo di osservazione. Il puntamento di un bersaglio stabilito introduce ulteriori perdite di tempo. Anche se il tempo effettivo di osservazione di un oggetto astronomico probabilmente non supera il 30% di quello teoricamente disponibile, comunque per la stessa osservazione da Terra (tenendo conto della luce del giorno, della luna piena e della nuvolosità) tale tempo è ancora inferiore.
b) Il telescopio Keck.
Il telescopio Keck - realizzato in collaborazione da alcune università californiane - possiede uno specchio primario di 10 m composto da 36 elementi esagonali (v. fig. 6), ciascuno di 1,8 m di diametro. Essendo così piccoli, sono abbastanza rigidi da permettere l'impiego di supporti semplici, anche se hanno uno spessore di 7,5 cm. Di conseguenza il peso totale dello specchio è relativamente modesto (circa 15 t), non molto superiore a quello dei tipici specchi da 4-5 m di diametro usati in passato. Naturalmente è necessario un sistema di ottica attiva per posizionare correttamente i singoli elementi. Le osservazioni compiute col telescopio, terminato nel 1993, hanno mostrato che si è ottenuta una profondità d'immagine di 0,65 secondi d'arco (determinata per lo più dalla turbolenza atmosferica), e questo fa sperare che si possano realizzare specchi segmentati con una forma sufficientemente precisa. La forma del primario è un'iperboloide con una lunghezza focale di soli 17,5 m, il che consente di avere un tubo corto e dimensioni del contenitore del telescopio relativamente contenute. Vicino a questo telescopio se ne sta costruendo un altro identico, predisposto anche per osservazioni interferometriche. Gli svariati fuochi sono disposti in modo da rendere rapido l'accesso a diversi strumenti.
c) Il grande telescopio dell'ESO.
Il grande telescopio (Very Large Telescope, VLT) dell'osservatorio sudeuropeo (European Southern Observatory, ESO) - un'organizzazione intergovernativa europea per l'astronomia che include l'Italia tra i suoi membri, con sede a Garching vicino a Monaco e osservatori in Cile - è un telescopio a schiera costituito da quattro singoli telescopi a specchio sottile (v. tav. XII), due dei quali sono entrati in funzione nella primavera del 1998. Dal punto di vista del potere di raccolta della luce, l'apparato, nel suo insieme, è equivalente a un telescopio da 16,4 m. Ciascun telescopio contiene uno specchio di 8,2 m di diametro e 18 cm di spessore, sostenuto da un sistema a ottica attiva. I quattro telescopi possono essere usati separatamente o accoppiati a formare un interferometro. Ogni telescopio possiede un fuoco cassegrain e due fuochi nasmyth (v. tav. XIV), nonché un sistema di specchi coudé ad alto potere riflettente per combinare i fasci. In aggiunta ai telescopi maggiori dovrebbero esserci tre telescopi mobili, da 2 m ciascuno, per l'interferometria, da utilizzare in combinazione con uno o più dei grandi telescopi o da soli. Tale configurazione mostra la flessibilità del sistema a schiera. I telescopi sono attualmente in costruzione e dovranno essere installati sul Paranal, una montagna di 2.630 m nel deserto a sud di Antofagasta, molto vicino all'oceano, dove il cielo è nuvoloso solo per il 15% del tempo e dove le modeste turbolenze atmosferiche spesso permettono di ottenere immagini con diametri inferiori a 0,5 secondi d'arco.
L'interferometro VLT consentirà la realizzazione di linee di base di 100 m. A lunghezze d'onda di 5.000 Å ciò corrisponderebbe a una risoluzione di un millisecondo d'arco. Comunque, l'atmosfera rende difficoltoso e dipendente dall'ottica adattativa il funzionamento di un interferometro costituito da grandi telescopi operanti nel visibile. Dal momento che per lunghezze d'onda maggiori le difficoltà si riducono, l'impiego iniziale di un interferometro dovrebbe essere nell'infrarosso.
Per saggiare i vari sistemi progettati per i singoli telescopi del VLT, in particolare il sistema di correzione a ottica attiva, l'ESO ha costruito un telescopio a nuova tecnologia (New Technology Telescope, NTT; v. tav. VIII) da 3,5 m, a montatura alt-azimutale, che ha fornito ottime prestazioni, anche per immagini con diametri inferiori a 0,4 secondi d'arco.
d) Il grande telescopio binoculare.
Un consorzio cui partecipano l'Italia e alcuni istituti statunitensi sta costruendo il grande telescopio binoculare (Large Binocular Telescope, LBT), una combinazione di due telescopi in una singola montatura, che sarà installato a 3.267 m sul monte Graham in Arizona. I due specchi di 8,3 m sono fatti di pyrex (materiale a basso costo) e ciascuno di essi è costituito da una struttura a nido d'ape su cui poggia una piastra fusa con essa. Questa struttura fornisce allo specchio la resistenza necessaria, pur avendo un peso relativamente contenuto. Per controllare la temperatura del pyrex, il cui coefficiente di espansione termica è relativamente alto, si fa passare un flusso d'aria attraverso la struttura. Altri grandi telescopi in costruzione - uno alle Hawaii e uno in Cile, da un consorzio a guida statunitense - sono i telescopi Gemini e il telescopio Magellano della Carnegie, da 6,5 m.
6. Prospettive future
Attualmente sono in costruzione o in progettazione circa una dozzina di telescopi ottici da 8-10 m e la domanda che ci si pone è se vi potrà essere una successiva generazione di strumenti ancora più grandi. Sono stati già fatti progetti per telescopi da 25 m (v. fig. 10), che potrebbero essere molto utili per la spettroscopia e la fotometria stellari. Per esempio, per rilevare nelle stelle rapide oscillazioni, come quelle che sono state già osservate nel Sole, si richiede una gran quantità di luce, ma non necessariamente un'altissima qualità d'immagine. Se le specifiche ottiche non saranno troppo sofisticate, telescopi di questo tipo potranno essere realizzati a costi accettabili. Dopo tutto sono stati costruiti diversi telescopi da 15 m per la radioastronomia millimetrica e submillimetrica a un costo inferiore ai 10 milioni di ECU (v. tav. XIII).
Quando l'ottica adattativa diverrà più efficiente, i telescopi molto grandi saranno utilizzabili anche per lavorare a grandi risoluzioni angolari a lunghezze d'onda ottiche e nel vicino infrarosso. Comunque, le specifiche ottiche divengono sempre più raffinate e vari problemi, come le diverse sollecitazioni esercitate dal vento sulla superficie dello specchio, possono creare difficoltà, mentre in ogni caso il costo sarà un fattore di importanza primaria. Dal momento che si tratta di telescopi molto costosi, dovranno essere valutate attentamente le varie alternative: un grandissimo telescopio terrestre, o un grande telescopio sull'Antartide oppure un telescopio di medie dimensioni nello spazio.
Un telescopio a diffrazione da 5-10 m posto nello spazio e limitato al vicino infrarosso, al visibile e all'ultravioletto porterebbe sicuramente a grandi progressi in cosmologia, nello studio delle galassie, ecc., ma a meno che non vengano sviluppate nuove tecnologie molto più economiche di quelle impiegate per l'HST, è probabile che il suo costo sarebbe molto alto. Forse interferometri spaziali con linee di base di 10-100 m e singoli telescopi molto più piccoli (~ 1 m) offrono prospettive migliori. Per la regione da 2 a 100 µm sembra necessario il telescopio da infrarossi raffreddato. L'Infrared Space Observatory, che è stato lanciato alla fine del 1995 dall'ESA (European Space Agency), contiene un telescopio freddo da 60 cm. Con migliori tecniche di raffreddamento passivo (mediante radiazione) saranno possibili strumenti più grandi. L'ESA ha anche iniziato a lavorare su un telescopio da 3 m per infrarosso/submillimetrico, che dovrà essere lanciato nel 2005 e osserverà la regione spettrale da 50 a 1.000 µm.
Per il lontano futuro la Luna è considerata un sito ideale. Non è detto, comunque, che un grande telescopio debba funzionare meglio nell'ambiente lunare (polvere, problemi termici) piuttosto che in un'alta orbita terrestre o in uno dei due punti lagrangiani dell'orbita terrestre. La superficie lunare, grazie alla sua stabilità, potrà rivelarsi un sito vantaggioso per interferometri molto grandi, di cui sono già stati proposti alcuni progetti (v. tav. XV).
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