Telescopia
Telescopi e tecniche di osservazione, di Ira S. Bowen
Radiotelescopi, di Wilbur N. Christiansen
Telescopi e tecniche di osservazione
SOMMARIO: 1. Introduzione. □ 2. I telescopi: a) telescopi a riflessione; b) strati riflettenti; c) materiali per specchi; d) sostegni degli specchi; e) ampiezza del campo; f) telescopi recenti; g) montature per telescopi; h) telescopi solari. □ 3. La strumentazione: a) spettrografi; b) fotometri; c) tubi intensificatori di immagine. □ Bibliografia.
1. Introduzione.
L'inizio di questo secolo ha visto importanti cambiamenti nei problemi di pertinenza dell'astronomia e nelle tecniche impiegate per il loro studio. Nel secolo precedente lo scopo principale delle osservazioni astronomiche era la misura delle posizioni delle stelle e dei pianeti per studiarne i moti e le distanze. Per queste osservazioni, la maggior parte delle quali era effettuata visualmente, lo strumento ideale era il telescopio a rifrazione di grande lunghezza focale, con un obiettivo acromatico nell'intervallo di lunghezze d'onda di massima sensibilità della retina (giallo-verde: 4.800 ÷ 6.000 Å). Durante la seconda metà dell'Ottocento furono costruiti diversi rifrattori di questo tipo, fino al telescopio di 91 cm di diametro dell'Osservatorio di Lick, completato nel 1888, e a quello di 102 cm di Yerkes, ultimato nel 1897.
Verso la fine del secolo, i rapidi progressi in spettroscopia e lo sviluppo delle leggi della radiazione, insieme con le prime osservazioni degli spettri del Sole e di alcune stelle brillanti, provarono che l'osservazione spettroscopica forniva la chiave per lo studio delle condizioni fisiche e della composizione chimica dei corpi celesti.
Nello stesso periodo si andava perfezionando la tecnica fotografica mediante l'impiego degli alogenuri d'argento. La sensibilità delle lastre fotografiche fu migliorata al punto che alla fine del secolo esse potevano competere con l'occhio umano anche nell'osservazione di oggetti di debole luminosità. Oggigiorno le lastre sono così sensibili che possono registrare stelle o spettri di gran lunga meno luminosi di quelli che possono essere osservati visualmente con lo stesso strumento.
La fotografia presenta molti vantaggi rispetto alle osservazioni visuali. Infatti, una volta che si sia eseguita la fotografia, si rende libero il telescopio per altre osservazioni e si può lavorare sui particolari della fotografia per giorni o settimane. Inoltre, si possono effettuare le misure in condizioni di laboratorio piuttosto che nelle scomode condizioni di temperatura, vento e bassa illuminazione spesso presenti sotto una cupola aperta, di notte. La fotografia costituisce pure una registrazione permanente dell'immagine di una regione del cielo o di uno spettro, e può essere utilizzata anni dopo per rivelare, mediante confronto, eventuali variazioni di posizioni e di luminosità.
Mentre la sensibilità dell'emulsione di alogenuro d'argento si estende da 3.000 Å, limite di trasparenza dell'atmosfera, fino a 5.000 Å, le emulsioni per il colore introdotte nel secolo attuale hanno esteso questa sensibilità fino a 12.000 Å. Perciò la lastra fotografica permette di effettuare studi spettroscopici e misure di intensità in un intervallo di lunghezze d'onda molto più ampio di quello accessibile all'occhio umano. Un'altra proprietà della lastra fotografica è che il tempo d'esposizione necessario per registrare un immagine varia in proporzione inversa all'intensità della luce sulla lastra. Per le lastre relativamente poco sensibili, disponibili nei primi anni di questo secolo, era necessario che il rapporto focale (rapporto fra la lunghezza focale F e l'apertura dell'obiettivo D) del telescopio non fosse maggiore di 5, per poter fotografare oggetti astronomici di debole luminosità in un tempo ragionevole.
2. I telescopi.
a) Telescopi a riflessione.
Il telescopio a rifrazione utilizzato per le osservazioni visuali, con l'acromatismo limitato all'intervallo di lunghezze d'onda 4.800 ÷ 6.000 Å e con il rapporto focale, F/D, limitato dalle aberrazioni a valori pari a 15 o maggiori, non era ovviamente adatto alle osservazioni fotografiche. Invece il telescopio a riflessione, completamente acromatico su tutta la gamma delle lunghezze d'onda e con un rapporto focale suscettibile di essere ridotto a valori pari a 5 o addirittura a 3, era del tutto soddisfacente.
Un altro fattore che, verso la fine dell'Ottocento, determinò il passaggio al riflettore fu la messa a punto di un metodo per depositare chimicamente un sottilissimo strato riflettente di argento su una lamina di vetro. L'argento ha un potere riflettente del 75 ÷ 96%, nell'intervallo 3.600 ÷ 8.000 Å, da confrontare con il 51 ÷ 67% del metallo riflettente usato fino ad allora. Inoltre, quando l'argento si ossida, lo si può facilmente rimuovere con acido nitrico per applicare un nuovo strato, risparmiando il lungo procedimento necessario per ridare la corretta forma a uno specchio metallico una volta che ne sia stata rimossa l'ossidazione.
In linea con questi sviluppi della problematica e della tecnologia, nei primi quattro decenni di questo secolo furono costruiti diversi grandi telescopi a riflessione (v. tab. I).
Tutti questi riflettori hanno uno specchio primario a forma di paraboloide di rivoluzione, poiché è questa l'unica superficie che formi un'immagine nitida se si utilizza il solo specchio. Dato che l'immagine si forma sull'asse, essa si trova al centro del fascio incidente. Per costruire l'immagine in un punto dove la si possa osservare senza che il corpo dell'osservatore intercetti una parte del fascio incidente, normalmente si pone un secondo specchio, molto più piccolo, a breve distanza davanti al fuoco dello specchio primario.
Nel sistema ‛newtoniano', ideato da Newton nel 1668, la luce è riflessa lateralmente al fascio incidente da uno specchio piano inclinato di 45° rispetto all'asse ottico (v. fig. lA). In questo sistema il rapporto focale è quello dello specchio primario. Normalmente le fotografie vengono riprese direttamente su questo piano focale.
Nel sistema ‛cassegrain', ideato da N. Cassegrain nel 1672, l'immagine viene formata da uno specchio convesso, per riflessione dei raggi attraverso un foro nello specchio primario (v. fig. 1B). Lo specchio convesso funziona come una lente per telefoto e aumenta la lunghezza focale di un fattore che varia da 1,7 a 5. Sul fuoco si eseguono comunemente le osservazioni fotoelettriche e spettroscopiche.
Infine, vi è il sistema di focalizzazione ‛coudé', che è un sistema cassegrain modificato, con uno o più specchi piani disposti in modo da riflettere la luce in un punto fisso posto alla base dell'asse polare (v. fig. 1C). Questo sistema è utilizzato per osservazioni con spettrografi ad alta dispersione, molto ingombranti, o con altri dispositivi troppo pesanti o troppo delicati per poter essere montati sul telescopio mobile. A causa della lunghezza del cammino ottico necessario per realizzare la focalizzazione coudé, tale sistema è normalmente progettato per operare con un rapporto focale F/D di circa 30. La maggior parte dei grandi telescopi ha specchi secondari intercambiabili, in modo da poter operare con tutti e tre i sistemi di focalizzazione. In questi ultimi anni i riflettori sono stati oggetto di diversi miglioramenti.
b) Strati riflettenti.
L'argento che veniva depositato sui primi riflettori presentava due svantaggi: primo, si ossidava rapidamente e doveva essere sostituito una o due volte all'anno; secondo, il potere riflettente di uno strato, sia pur depositato di fresco, diminuiva rapidamente nell'ultravioletto al di sotto di 3.600 Å, riducendosi a meno del 5% a 3.150 Å. Negli anni trenta fu sviluppato un procedimento per depositare mediante evaporazione sottilissimi strati di alluminio. Uno strato di alluminio può durare sino a una decina di anni e il suo potere riflettente è di oltre l'88% nella gamma di lunghezze d'onda da 3.000 a 7.000 Å. Per questi motivi l'alluminio ha sostituito l'argento nella maggior parte dei grandi telescopi.
c) Materiali per specchi.
Per evitare di perturbare la stabilità dell'atmosfera attraverso cui vengono effettuate le osservazioni, bisogna che la temperatura della cupola e del telescopio possa seguire le variazioni della temperatura notturna dell'aria esterna. Inoltre, perché uno specchio possa avere sufficiente rigidità per mantenere con precisione la sua forma in tutte le posizioni del telescopio, esso deve avere uno spessore pari a circa 1/8 del diametro. La conducibilità termica del vetro è così bassa che occorrono molte ore o perfino giorni prima che l'intera massa di uno specchio così spesso possa raggiungere la nuova temperatura in caso di escursioni termiche notevoli.
Se il materiale di cui è fatto lo specchio ha un alto coefficiente di espansione termica, la forma dello specchio e le immagini da esso prodotte risulteranno distorte fintanto che vi siano in esso sensibili gradienti termici. Poiché la distorsione è proporzionale al coefficiente di espansione del materiale, sin dal 1930 ci si è dedicati allo sviluppo di materiali con un coefficiente più basso di quello dei vetri utilizzati per gli specchi dei primi riflettori. La tab. II elenca i materiali disponibili oggigiorno per costruire specchi di grandi dimensioni. Come risulta dalla tab. III, tutti i più moderni grandi telescopi hanno specchi costituiti da uno di questi materiali a bassa espansione.
d) Sostegni degli specchi.
Anche quando lo spessore dello specchio è dimensionato nell'opportuno rapporto con il diametro, si ha una flessione causata dal peso dello specchio, che risulta proporzionale al quadrato del diametro. Perciò, man mano che le dimensioni dei telescopi aumentavano, è stato necessario introdurre sistemi di sostegno degli specchi sempre più precisi e complessi e si è giunti a far galleggiare uno specchio su qualcosa come 36 sistemi di leve e contrappesi di grande precisione, o su cuscinetti d'aria controllati da accuratissimi regolatori di pressione.
e) Ampiezza del campo.
Un telescopio a riflessione ben progettato con uno specchio primario parabolico fornisce la massima definizione sull'asse, sia con la focalizzazione newtoniana che con quella di tipo cassegrain. Tuttavia, in entrambi i sistemi, se ci si discosta dall'asse di una distanza l, l'aberrazione cromatica fa sì che il diametro dell'immagine di una stella aumenti fino al valore δ = (3/16) l D2/F2, dove F/D è il rapporto focale del sistema di focalizzazione utilizzato. Nel sistema newtoniano della maggior parte dei riflettori più vecchi, in cui si ha F/D = 4 ÷ 5, la parte del campo in cui le immagini appaiono di diametro inferiore a 1 secondo d'arco ha un diametro (2 l) di soli 3 ÷ 5 minuti, pari a 1/10 ÷ 1/6 del diametro della Luna.
Un notevole progresso nello sviluppo di strumenti per fotografia a grande campo fu dovuto a B. Schmidt nel 1932. Egli sfruttò il fatto che uno specchio sferico con un diaframma nel centro di curvatura non ha alcun asse e quindi produce immagini ugualmente buone in tutti i punti del campo. Tuttavia, per i piccoli rapporti focali (F/D) necessari per fotografare oggetti poco luminosi, lo specchio sferico è affetto da ragguardevoli aberrazioni sferiche. Per correggere queste aberrazioni, Schmidt pose nel diaframma al centro di curvatura una sottile lastra di vetro di forma calcolata per realizzare una superficie asferica (v. fig. 2).
Sono stati costruiti parecchi telescopi di tipo Schmidt per fotografia astronomica, i più grandi dei quali sono quello dell'Osservatorio di Tautenberg, con un'apertura di 137 cm e una lunghezza focale di 400 cm, e quello dell'Osservatorio di Mount Palomar, con un'apertura di 125 cm e una lunghezza focale di 308 cm (v. fig. 3). Quest'ultimo ha un campo con definizione uniforme, ampio 6,6 × 6,6 gradi. L'apertura di un telescopio Schmidt è praticamente limitata a valori prossimi a quelli dei due esemplari citati, a causa di due fattori. In primo luogo, la lunghezza del tubo del telescopio è uguale al doppio della lunghezza focale, cosicchè, per lunghezze focali molto grandi, le dimensioni della cupola in cui alloggiare lo strumento e i problemi di controllo della flessione del tubo divengono proibitivi. Secondariamente, a causa dell'aberrazione cromatica della lastra di vetro correttiva, è necessario aumentare il rapporto focale F/D a valori pari a 3,5 ÷ 5, per poter ottenere immagini di diametro pari a 0,5 ÷ 1,0 secondi, desiderabili per sfruttare convenientemente le maggiori lunghezze focali nelle migliori condizioni di osservazione. Ciò comporta, a parità di apertura, un ulteriore allungamento del tubo.
Negli anni trenta e quaranta, F. E. Ross progettò un certo numero di sistemi di lenti per correggere l'aberrazione comatica presente nei riflettori con specchio primario parabolico. Uno di questi sistemi, posto alcune decine di centimetri davanti al fuoco del riflettore di 508 cm di Mount Palomar, aumenta il diametro del campo di buona definizione da 2 a 15 minuti. Più recentemente, con altri sistemi, si è riusciti ad allargare ulteriormente il campo.
Nel 1922 Chrétien, lasciando cadere la condizione che la superficie dello specchio primario dovesse essere paraboloidica, progettò un sistema cassegrain in cui erano eliminate sia l'aberrazione sferica che quella comatica. La fotografia di oggetti di debole luminosità con questo sistema richiede, anche con le sensibilissime lastre oggi a disposizione, che il sistema cassegrain sia progettato con un rapporto focale F/D uguale a 9 o minore. Il primo grande telescopio costruito in base al progetto di Chrétien fu realizzato da O. W. Ritchey per l'U.S. Naval Observatory nel 1934. Questo strumento, avente un'apertura di 102 cm e un rapporto focale F/D per montaggio cassegrain pari a 6,8, ha un campo di 40 minuti d'arco, in cui le immagini hanno diametro di 1 secondo o meno, da confrontare con gli 8 minuti ottenibili con uno specchio primario parabolico.
Successivamente S. Gascoigne progettò un correttore composto da una sottile lastra di vetro asferica, per correggere l'astigmatismo, e da una lente concava, per eliminare la curvatura di campo, le ultime due aberrazioni ancora presenti nel progetto di Chrétien. Entrambe le parti del correttore possono essere di vetro o di quarzo fuso e sono disposte a breve distanza davanti al fuoco. Il progetto di Gascoigne è stato utilizzato per i telescopi di Cerro Tololo e di Mount Palomar, entrambi di 152 cm, e ha portato a campi ben corretti entro un diametro di 75 ÷ 90 minuti. Si può ancora ampliare il campo costruendo gli specchi primario e secondario con curvature uguali e correggendo l'astigmatismo residuo mediante una lastra di vetro asferica. Questa tecnica, utilizzata nella costruzione del telescopio CARSO di 102 cm, in Cile, porta a immagini di diametro inferiore a 1 secondo entro un campo di diametro pari a 3 gradi (v. fig. 4).
Poiché lo specchio primario, nel sistema di Chrétien, non è un paraboloide, le immagini formate da esso, se usato da solo, presentano notevoli aberrazioni sferiche. Tuttavia i progettisti hanno costruito un correttore tipo Ross, da usare con lo specchio primario, che permette di correggere contemporaneamente l'aberrazione comatica e quella sferica, e di ottenere un campo di buona definizione, più ampio di quello ottenibile con uno specchio primario parabolico, in cui l'aberrazione comatica deve essere corretta senza interferire con le correzioni dell'aberrazione sferica.
f) Telescopi recenti.
La tab. III elenca le caratteristiche di alcuni grandi telescopi di recente costruzione. Quasi tutti i telescopi con apertura di 3 m o più sono dotati di un alloggiamento che permette all'osservatore di porsi sull'asse nel fuoco dello specchio primario, in sostituzione dei sistemi ottici riflettenti propri del sistema newtoniano; infatti, in strumenti così grandi, l'alloggiamento non causa una perdita di luce maggiore di quella causata dallo specchio piano newtoniano.
g) Montature per telescopi.
Agli sviluppi nel campo dell'ottica dei telescopi ha fatto riscontro una lunga serie di miglioramenti e perfezionamenti nella progettazione delle montature e dei meccanismi di movimento. Infatti, è necessario non solo poter puntare l'asse del telescopio verso ogni punto del cielo, ma anche, una volta che l'oggetto da osservare sia sull'asse, far sì che il telescopio lo segua, poiché l'oggetto ha un movimento apparente da est verso ovest determinato dalla rotazione terrestre. L'avvento della fotografia, che spesso richiede tempi di esposizione di parecchie ore, ha imposto condizioni molto severe sulla precisione dei movimenti mediante i quali il telescopio segue l'oggetto. Ogni piccola irregolarità di questi movimenti, anche di pochi decimi di secondo d'arco, darebbe un'immagine mossa e confusa sulla lastra fotografica. Analogamente piccolissime devono essere le tolleranze sulla flessione del tubo del telescopio quando esso è puntato nelle varie direzioni. La flessione non solo causa un errore di localizzazione dell'immagine rispetto alla direzione di puntamento del telescopio, ma può far sì che le varie parti ottiche perdano l'appropriato allineamento reciproco, producendo quindi un ulteriore deterioramento dell'immagine. Poiché la flessione di un dato tipo di struttura aumenta con il quadrato delle sue dimensioni lineari, i problemi di controllo della flessione diventano sempre più ardui man mano che crescono le dimensioni dei telescopi.
La più semplice soluzione del problema del puntamento e del movimento di un telescopio è il montaggio ‛equatoriale', in cui uno degli assi (l'asse polare) è disposto parallelamente all'asse terrestre, e l'altro è perpendicolare a esso. Due cerchi graduati sui due assi permettono allora di leggere direttamente l'angolo orario e la declinazione dell'oggetto verso cui è puntato il telescopio. Inoltre, una volta puntato, il telescopio continuerà a seguire l'oggetto, poiché l'asse polare viene fatto ruotare alla velocità uniforme di un giro ogni 24 ore siderali.
Sono stati realizzati diversi tipi di montature equatoriali.
Montatura ‛fuori asse'. - In questo tipo di montatura l'asse polare è costituito da una robusta asta d'acciaio su un lato della quale è montato il tubo del telescopio. Nel tipo tedesco i due sistemi di cuscinetti su cui ruota l'asse polare sono al di sotto del telescopio (v. fig. 4), mentre nel tipo inglese uno è al di sopra e l'altro al di sotto. La montatura fuori asse, che è la più semplice tra quelle equatoriali, ha lo svantaggio che il tubo del telescopio è sostenuto su un solo lato, rendendo così più difficoltoso il controllo della flessione del tubo rispetto al caso in cui questo sia sostenuto sui due lati. Ciò ne limita l'utilizzabilità a strumenti di dimensioni piccole o medie.
Montatura ‛a forcella'. - In questa montatura il tubo del telescopio è sostenuto fra le punte di una forcella attaccata all'estremo superiore dell'asse polare (v. fig. 3). La flessione del tubo è notevolmente ridotta, poiché esso è sostenuto da entrambi i lati. Tuttavia, la forcella e il tubo che essa sostiene sono sospesi sull'estremo superiore dell'asse polare, i cui cuscinetti stanno entrambi al di sotto della forcella, la quale deve essere molto robusta per evitare un'eccessiva flessione.
Montatura ‛a giogo'. - È simile a quella a forcella, salvo che le punte della forcella in questo caso sono sostenute su cuscinetti sia al di sopra che al di sotto del tubo del telescopio, riducendo così notevolmente la flessione della forcella. Benché questa sia la più rigida di tutte le montature equatoriali, ha lo svantaggio che il telescopio non può essere puntato verso oggetti vicini al polo (v. fig. 5), a meno che il cuscinetto superiore non sia tanto grande da permettere che il telescopio vi ruoti dentro (v. fig. 6). Nel telescopio di Mount Palomar il cuscinetto superiore ha un diametro di 14 metri.
Vi è infine la montatura ‛alt-azimutale', in cui uno degli assi è verticale e l'altro orizzontale, ciò che semplifica notevolmente tutti i problemi di flessione. Infatti, il tubo è sostenuto su due colonne verticali la cui flessione è piccola e costante, e la flessione del tubo è contenuta in un solo piano. Tuttavia, i problemi del puntamento e del movimento per questo tipo di montatura sono molto più complessi di quelli che presenta il tipo equatoriale: le coordinate di un oggetto devono essere trasformate in un diverso sistema di coordinate prima di posizionare lo strumento; inoltre, per poter seguire una stella, entrambi gli assi devono essere ruotati a velocità che dipendono grandemente dalla posizione dell'oggetto. Anche la lastra fotografica deve essere ruotata con velocità variabile, poiché il campo delle stelle inquadrate ruota a sua volta. Con i moderni calcolatori elettronici ad alta velocità, questi movimenti a velocità variabile non pongono più seri problemi, e comunque si tratta di problemi più facili da risolvere dei problemi di flessione che presenta un telescopio equatoriale di dimensioni molto grandi. Il telescopio di 6 m dell'URSS è progettato con una montatura alt-azimutale (v. fig. 7).
Per telescopi molto grandi, il rapido aumento della flessione con le dimensioni rende poco pratico eliminare la flessione del tubo, che può essere lungo fino a 15 o 20 m e pesare oltre 100 tonnellate. Tuttavia, con un'accurata progettazione, è divenuto possibile organizzare le flessioni in modo che, man mano che il tubo si muove da un'orientazione all'altra, le due estremità, che contengono le parti ottiche, si flettano della stessa quantità, mantenendosi parallele l'una all'altra. Ciò preserva l'appropriata relazione fra le due parti e fra queste parti e l'asse ottico (la fig. 6 mostra un telescopio progettato secondo questo criterio).
Con lo sviluppo delle tecniche elettroniche, i motori del tipo a regolatore centrifugo, che venivano utilizzati nei vecchi telescopi, sono stati rimpiazzati dai vibratori a cristallo o a diapason, il cui segnale d'uscita è amplificato per governare il telescopio mediante un motore sincrono e una serie di ingranaggi. È prevista la possibilità di variare entro certi limiti la velocità, per permettere al telescopio di seguire pianeti o comete e per correggere l'effetto della rifrazione atmosferica.
h) Telescopi solari.
Grazie alla forte luminosità del Sole, le osservazioni solari non richiedono le grandi aperture che sono invece necessarie per lo studio delle galassie e di altri oggetti di debole luminosità. Si desidera piuttosto una grande lunghezza focale, per poter risolvere la granulosità e altri dettagli fini della superficie solare.
Una delle principali limitazioni nelle osservazioni solari è la turbolenza dell'aria causata dal fatto che questa, riscaldandosi a contatto con la cupola e con il terreno circostante, si solleva. Per ridurre gli effetti di tale turbolenza sono stati escogitati alcuni sistemi fra cui i seguenti.
1. Telescopi a torre, in cui la luce, presa alla sommità di una torre alta da 15 a 50 metri, è riflessa da uno o due specchi piani verso un sistema ottico fisso che forma l'immagine del Sole vicino al livello del suolo. La fig. 8 mostra uno dei primi telescopi a torre, e la fig. 9 uno dei più moderni.
2. Raffreddamento della cupola e della torre di sostegno mediante un sistema refrigerante con tubi sottotraccia, o mediante l'uso di speciali vernici, come quelle a base di ossido di titanio, che irradiano fortemente nell'infrarosso e perciò rimangono fresche anche quando sono investite dalla radiazione solare.
3. Installazione della cupola in una posizione circondata da grandi masse d'acqua.
3. La strumentazione.
Lo spostamento d'interesse dell'astronomia, dalla misura delle posizioni allo studio delle proprietà chimiche e fisiche, non solo ha prodotto una rivoluzione nella progettazione dei telescopi, ma ha anche richiesto lo sviluppo di nuovi strumenti per l'analisi della luce raccolta dai telescopi. Uno dei più importanti fra questi è lo spettrografo.
a) Spettrografi.
In un primo tempo si adattarono ai telescopi gli spettrometri da laboratorio. Quindi, come accadde per le osservazioni dirette, l'interesse passò dall'osservazione visuale degli spettri alla registrazione fotografica. Con il progresso della spettroscopia sorse la necessità di avere dispersioni maggiori e, di conseguenza, strumenti fotografici di maggiore lunghezza focale. Divenne pure chiaro che, per la maggior parte delle osservazioni, la velocità con cui esse si potevano ottenere dipendeva tanto dall'apertura dello spettrografo quanto da quella del telescopio che raccoglieva la luce. Entrambi questi fattori richiedevano la costruzione di strumenti sempre più grandi, con il risultato che la flessione dello strumento divenne un problema sempre più serio e il montaggio delle parti ottiche dovette essere attentamente progettato per minimizzare quest'effetto. Alla fine, gli spettrografi raggiunsero dimensioni tali per cui considerazioni di peso e di flessione resero poco pratico il loro montaggio su un telescopio mobile. Oggigiorno i grandi spettrografi vengono costruiti in una posizione fissa all'estremità inferiore dell'asse polare, e la luce vi è convogliata mediante il sistema coudé descritto in precedenza (v. cap. 2, È a).
Nei primi spettrografi la dispersione della luce era ottenuta mediante prismi, generalmente di vetro flint. Tuttavia, il vetro assorbe la luce, specialmente alle lunghezze d'onda più piccole, e, dato che il fenomeno si accentua all'aumentare delle dimensioni dei prismi, con la costruzione di prismi sempre più grandi, in corrispondenza di maggiori aperture, quest'assorbimento finì per costituire un problema serio. A partire dagli anni trenta, le tecniche per la costruzione di grandi reticoli di diffrazione progredirono rapidamente; in particolare divenne possibile controllare la forma delle scanalature in modo tale che quasi il 65 ÷ 70% della luce incidente potesse essere diffratto nei primi ordini dello spettro, rendendo perciò il reticolo più efficiente del prisma nel caso di grandi aperture. Inoltre, il reticolo ha sul prisma il vantaggio di produrre una dispersione uniforme su un grande intervallo di lunghezze d'onda e di essere molto meno sensibile alle variazioni di temperatura. Di conseguenza, i reticoli hanno sostituito i prismi nella maggior parte degli spettrografi astronomici.
Le macchine fotografiche dei primi spettrometri usavano semplici coppie di lenti acromatiche. Tuttavia, poiché la registrazione fotografica richiedeva campi più ampi e rapporti focali più piccoli di quelli possibili con coppie di lenti, queste furono rimpiazzate da lenti fotografiche del tipo Petzval e anastigmatiche. Lenti speciali, progettate secondo i canoni degli obiettivi da microscopio, furono studiate da Rayton per ottenere velocità ancora più alte. Negli anni trenta e quaranta l'avvento della macchina fotografica di Schmidt, con le sue modifiche, come i tipi a specchio spesso e a sfera aplanare, rivoluzionò i progetti degli spettrografi, permettendo la massima definizione su campi di ampiezza di 8 ÷ 12 gradi con rapporti focali F/D fino a 0,5 ÷ 0,7.
Grazie a tutti questi perfezionamenti, sono stati costruiti grandissimi e sensibilissimi spettrografi destinati a essere utilizzati nel montaggio coudé. Per esempio, lo spettrografo coudé del telescopio di 508 cm di Mount Palomar ha un collimatore e un'apertura della macchina fotografica di 30 cm ed è dotato di una scorta di macchine fotografiche di lunghezza focale variabile da 22 a 360 cm (v. fig. 10).
b) Fotometri.
Un'altra tecnica che riveste un ruolo primario nell'astronomia del nostro secolo è la ‛fotometria stellare', ossia quella tecnica che permette di misurare le grandezze e le luminosità delle stelle. Queste misure sono normalmente eseguite in due o più colori, selezionati mediante filtri, e forniscono informazioni sulle temperature e sulla classificazione stellare della sorgente. Le magnitudini possono essere ricavate in modo approssimato misurando il diametro delle immagini delle stelle su una lastra fotografica, specialmente con fotometri del tipo Eichner. Nel tentativo di ottenere misure di magnitudine più precise, J. Stebbins, agli inizi del secolo, utilizzò nel telescopio cellule fotoelettriche al selenio. La bassa sensibilità di queste cellule limitava le prime misure alle sole stelle brillanti. Il tubo fotomoltiplicatore, che divenne disponibile negli anni quaranta, rese possibile estendere queste misure a oggetti di luminosità molto più debole. Infine, sono state sviluppate recentemente delle tecniche per contare il numero di elettroni estratti dal catodo di un tubo fotomoltiplicatore, per cui risulta ora possibile misurare con precisione la luminosità di ogni stella che possa venir fotografata con un dato telescopio.
Oggigiorno sono disponibili tubi fotomoltiplicatori con catodi sensibili da 3.000 a ben oltre 10.000 Å, e vari ricevitori per l'infrarosso, come le cellule fotoconduttrici e fotovoltaiche, rendono possibile estendere queste misure fino a lunghezze d'onda di 1 mm e oltre.
Per poter misurare le intensità in bande di lunghezza d'onda più strette di quanto non permettano i filtri di colore, e per poterle misurare simultaneamente in un gran numero di bande, sono stati recentemente costruiti spettrografi con qualcosa come 36 tubi fotomoltiplicatori montati ciascuno in corrispondenza di una diversa parte dello spettro.
c) Tubi intensificatori di immagine.
Con le lastre fotografiche più sensibili disponibili oggigiorno occorrono circa 100 fotoni per rendere sviluppabile un granulo. Gli stessi 100 fotoni, cadendo sul catodo di un tubo fotomoltiplicatore, sarebbero in grado di estrarre da 10 a 20 elettroni. Per sfruttare questa maggiore sensibilità del catodo, è stato recentemente sviluppato il tubo intensificatore d'immagine. L'immagine di un campo di stelle o di uno spettro viene focalizzata sul catodo del tubo, che ha un diametro di diversi centimetri. Gli elettroni estratti vengono accelerati con una differenza di potenziale di diverse migliaia di volt e focalizzati su una sostanza fluorescente o su una lastra fotografica mediante opportuni campi elettrici o magnetici, utilizzando le stesse tecniche del microscopio elettronico. Se si usa il fosforo come sostanza fluorescente, il procedimento può essere ripetuto una o più volte per ottenere intensificazioni ancora maggiori. Questi tubi hanno ridotto i tempi necessari per registrare stelle di debole luminosità o righe spettrali di un fattore 10 ÷ 20 nel blu e nel violetto e di fattori molto maggiori nel rosso e nell'infrarosso.
Bibliografia.
Bowen, I. S., Astronomical optics, in ‟Annual reviews of astronomy and astrophysics", 1967, V, pp. 45-66.
Crawford, D. L., The construction of large telescopes, New York 1966.
King, H. C., The history of the telescope, London 1955.
Kuiper, G. P., Middlehurst, B. M., Stars and stellar systems, voll. I e II, Chicago 1962.
Radiotelescopi
SOMMARIO: 1. Introduzione. □ 2. I primi venti anni della radioastronomia. □ 3. Gli strumenti della radioastronomia: a) il telescopio; b) radiotelescopi a riflettore parabolico e sferico; c) radiotelescopi che ‛campionano' un fronte d'onda; d) radiospettrometri; e) polarimetri; f) strumenti forniti dalla natura; g) radar. □ 4. Alcuni importanti contributi delle radioosservazioni all'astronomia: a) il Sole e il sistema solare; b) sorgenti galattiche di radiazione; c) sorgenti extragalattiche di radiazione. □ 5. Conclusione. □ Bibliografia.
1. Introduzione.
L'atmosfera terrestre è attraversata incessantemente da una vasta gamma di radiazioni: un uomo che di giorno stia all'aria aperta viene investito da una radiazione elettromagnetica che gli cede un'energia confrontabile con quella che egli può produrre coi suoi muscoli. Questa intensa radiazione ha ovviamente origine nel Sole, cioè al di fuori dell'atmosfera terrestre. Nel corso dell'evoluzione, si sono sviluppati degli organi speciali, gli occhi, che permettono di fare uso di questa radiazione: essi sono sensibili a quella parte della radiazione solare che, dopo il passaggio attraverso l'atmosfera terrestre, è la più intensa, cioè a quella parte dello spettro per la quale l'atmosfera è trasparente. Quindi il Sole può essere ‛visto' attraverso un'atmosfera quasi trasparente. Nel cielo ci sono molti altri oggetti di natura simile al Sole, di modo che in condizioni favorevoli si possono vedere anche questi attraverso un'atmosfera quasi trasparente. Non c'è quindi da stupirsi se per migliaia di anni le osservazioni astronomiche sono state fatte a occhio nudo.
Per agevolare queste osservazioni, negli ultimi quattrocento anni sono stati introdotti e perfezionati degli strumenti ottici, come il telescopio, e nel secolo scorso sono stati fatti ulteriori progressi con l'invenzione della lastra fotografica e della cellula fotoelettrica. Nel XIX secolo si cominciò a capire la natura della radiazione e le leggi che governano la sua emissione, il suo assorbimento e la sua trasmissione. Si comprese che i corpi caldi emettono una radiazione elettromagnetica su un intervallo di lunghezze d'onda molto ampio, di cui la luce visibile occupa solo una piccola parte. Nel caso della radiazione solare, per esempio, si sapeva che la radiazione infrarossa invisibile si estende a onde di lunghezza molto grande e che quindi dal Sole provengono anche quelle onde conosciute come radioonde. Alla fine del secolo scorso alcuni pionieri della radio, fra cui O. Lodge, tentarono di verificare questo fatto utilizzando degli apparecchi per ricevere le radioonde solari, la cui esistenza era stata prevista dalle leggi della fisica. Gli esperimenti furono un fallimento, in parte perché gli apparecchi non erano abbastanza sensibili, ma anche perché l'atmosfera della Terra non è trasparente alle onde radio di lunghezza d'onda molto grande con cui potevano sperimentare i primi ricercatori. Noi ora sappiamo che l'atmosfera della Terra è in effetti trasparente a una larga banda di radioonde, di lunghezza assai più corta, però, di quelle usate nelle prime osservazioni fallite.
Durante il primo quarto del XX secolo la sensibilità degli apparecchi radio è andata considerevolmente aumentando e si è pure scoperta l'utilità delle radioonde corte (decametriche) per le comunicazioni a grande distanza. Radioonde di tale lunghezza possono talvolta penetrare nell'atmosfera terrestre ed è probabile che dei radioamatori siano riusciti effettivamente a captare emissioni radio dal Sole in concomitanza col periodo di massima attività delle macchie solari, che si ebbe alla fine degli anni venti. A quel tempo, però, la sorgente di tali emissioni non era ancora stata individuata.
2. I primi venti anni della radioastronomia.
La prima osservazione radioastronomica fu fatta per caso nel 1932 da K. Jansky, un ingegnere delle radiocomunica zioni. Egli osservò che a una certa ora ogni giorno si aveva un aumento del rumore di fondo in un circuito radiotelefonico a onde corte per trasmissioni a lunghe distanze. L'ora in cui questo accadeva ogni giorno era la stessa in tempo stellare, non solare, e ciò indicava che il rumore proveniva da una direzione fissa rispetto alle stelle e precisamente da quella parte della Via Lattea che ogni giorno passava attraverso il fascio dell'antenna radio di Jansky. Era un fenomeno completamente inaspettato e destò l'interesse di alcuni astrofisici, anche se non ebbe effetto sull'astronomia ufficiale. L'unica persona che si sappia abbia seguito il lavoro di Jansky fu un giovane radioingegnere, G. Reber, che nel 1937 costruì nell'Illinois un radioricevitore e un riflettore parabolico del diametro di dieci metri per studiare le radioonde provenienti dal cielo. Egli usò la sua antenna altamente direzionale per costruire la carta delle sorgenti delle radioemissioni celesti (v. fig. 1) e trovò che essa riproduceva in generale la forma della Via Lattea. Per quasi un decennio Reber fu l'unico radioastronomo del mondo.
Durante la seconda guerra mondiale si ebbe un grande sviluppo delle apparecchiature radio nel campo delle lunghezze d'onda metriche, decimetriche e centimetriche. Sebbene a quel tempo nessun risultato delle osservazioni radioastronomiche fosse reso noto, furono tuttavia fatte due importanti scoperte, entrambe riguardanti le emissioni radio dal Sole. La prima fu compiuta da Southworth e, indipendentemente, da Reber: essi rivelarono a lunghezze d'onda centimetriche la radiazione ‛termica' del Sole, già predetta da lungo tempo. La seconda scoperta fu invece inaspettata. Un'analisi compiuta da Hey su interferenze a segnali radar con lunghezze d'onda metriche dimostrò che, durante il periodo in cui sul Sole erano visibili grandi macchie, provenivano da esso delle ‛eruzioni' di radioemissione. Queste eruzioni di radiazione erano troppo intense per essere di origine termica, cioè troppo intense per essere causate da accelerazioni casuali di elettroni in urti termici; esse dovevano perciò derivare da un moto di accelerazione ordinato degli elettroni e per questo furono chiamate ‛non termiche'.
Alla fine della guerra queste due scoperte, combinate con la dimostrazione da parte di Jansky e Reber che le onde radio potevano fornire nuove conoscenze sulla Galassia, ebbero l'effetto di stimolare la formazione di un certo numero di gruppi di scienziati, soprattutto fisici e ingegneri radio, che diventarono i primi radioastronomi ufficiali. Questi pionieri furono incoraggiati da varie scoperte immediate: in primo luogo le esplorazioni radio della Galassia dimostrarono che le sue parti centrali, nascoste agli astronomi ottici da nuvole di polvere interstellare, sono accessibili alla radioastronomia. Ciò dipende dal fatto che le particelle di polvere sono molto piccole in confronto alla lunghezza delle radioonde e quindi influiscono poco sulla loro trasmissione. Invece le onde luminose di minore lunghezza sono completamente diffuse dalle particelle di polvere, che nello spazio interstellare appaiono come nuvole oscure. Un secondo importante risultato fu la scoperta di potenti sorgenti discrete di radioonde non connesse con oggetti visibili. Questa scoperta derivò dall'osservazione fatta da Hey, Parsons e Phillips che la regione di emissione del Cigno, che era stata notata da Reber, presentava rapide fluttuazioni a una lunghezza d'onda di cinque metri. Essi ne dedussero che tali fluttuazioni erano possibili soltanto nel caso di una sorgente di emissione ‛visibile' dalla Terra entro un cono con un angolo totale di apertura di meno di 2°. Poco dopo Bolton e Stanley osservarono e localizzarono questa sorgente con un radiointerferometro e trovarono che la sua dimensione angolare era inferiore agli 8′. Dopo di che localizzarono varie altre ‛sorgenti discrete' e identificarono una di esse con la Nebulosa del Granchio, che è il relitto dell'esplosione di una supernova, di cui parlano gli astronomi cinesi dell'XI secolo.
A parte queste importanti scoperte di potenti radiosorgenti discrete - chiamate all'inizio ‛radiostelle' -, negli anni subito dopo la guerra furono ottenuti molti altri risultati interessanti, fra cui: la localizzazione precisa sul disco solare delle sorgenti delle ‛radioeruzioni'; la misura della polarizzazione di alcune di tali eruzioni, che dimostrava come queste avessero origine in regioni di intenso campo magnetico; la misura della temperatura della corona solare, che risultò essere di un milione di °C in confronto ai circa 5.000 °C della fotosfera visibile; la scoperta, la localizzazione e la misura delle dimensioni e della temperatura delle aree solari di alta emissione, chiamate ‛radiofacole'; e infine la misura della temperatura della Luna e l'uso del radar per lo studio dei meteoriti. Dopo questa prima esplorazione del campo di applicabilità della radioastronomia, si passò a una serie di osservazioni sistematiche, quali, per esempio, le prime esplorazioni del cielo per costruire una mappa delle sorgenti di radioemissioni sia diffuse che discrete. Attraverso accurate osservazioni interferometriche, si riuscì a determinare con gran precisione la posizione di queste sorgenti e per alcune la dimensione, o almeno un suo limite superiore. Queste osservazioni portarono ben presto all'eliminazione del termine ‛radiostelle', quando si scoprì che molte di queste sorgenti erano o relitti diffusi di esplosioni di supernove nella nostra galassia, oppure erano molto più distanti e probabilmente di dimensioni galattiche.
La maggior parte delle osservazioni radioastronomiche compiute durante gli anni quaranta furono fatte con antenne relativamente piccole e semplici che avevano un potere risolutivo di uno o più gradi. Un primo passo per migliorare il potere risolutivo fu fatto introducendo l'interferometro a due antenne del tipo a specchio di Lloyd (v. fig. 2) e, per le osservazioni solari, adottando il metodo delle occultazioni lunari. Questi nuovi metodi erano destinati a svilupparsi rapidamente. Verso la fine del ventennio di cui tratta questo capitolo l'interferometro a due antenne si era sviluppato in uno strumento a spaziatura variabile (v. fig. 3), capace di dare un'alta risoluzione di sorgenti simmetriche in una dimensione. Allo stesso tempo furono costruiti un interferometro a reticolo e un apparato lineare, entrambi capaci di alta risoluzione, per osservazioni del Sole in una dimensione. Questi sviluppi saranno esaminati nel prossimo capitolo.
Il primo ventennio della radioastronomia terminò con quella che probabilmente è stata la più grande scoperta compiuta fino ad oggi, cioè l'osservazione di una ‛riga spettrale' a radiofrequenza, notevole non solo perché fu la prima ad essere scoperta, ma anche perché risultò essere una linea spettrale della massima importanza per l'astronomia. La possibilità di osservare a una lunghezza d'onda di 21 cm una riga di emissione derivante da una transizione tra livelli iperfini dello stato fondamentale dell'idrogeno era stata suggerita fin dal 1944 da van de Hulst a Leiden. Oort, comprendendo l'importanza che una tale riga avrebbe avuto per determinare il moto (attraverso lo spostamento della frequenza per effetto Doppler) e la distribuzione dell'idrogeno non ionizzato nella nostra galassia, organizzò un gruppo di studiosi per rivelarla. Tuttavia i primi a scoprire tale riga furono Ewen e Purcell a Harvard nel 1951 e la conferma giunse poco dopo da Leiden e da Sydney. La prima mappa delle zone di maggiore intensità della riga mostrava che essa era emessa da tutte le regioni della Via Lattea che erano state osservate. Si osservò pure che in vaste regioni si aveva una scissione della riga e ciò dette la prima chiara indicazione della struttura a spirale della nostra galassia. A partire da allora la costruzione di una mappa della nostra galassia è diventato uno dei compiti più importanti della radioastronomia. La scoperta della ‛riga dell'idrogeno' segna la transizione della radioastronomia dallo stadio esplorativo alla sua affermazione come ramo fondamentale dell'astronomia.
3. Gli strumenti della radioastronomia.
a) Il telescopio.
La radiazione elettromagnetica di una stella è emessa sotto forma di treni di onde che quando raggiungono la Terra sono assai simili a onde piane. La funzione del telescopio è quella di intercettare queste onde su una regione chiamata ‛apertura' del telescopio e di trasmetterne l'energia a un punto prescelto attraverso percorsi di uguale lunghezza, qualunque sia il punto sul piano di apertura da cui l'energia proviene (v. fig. 4). L'energia così concentrata può essere rivelata con vari mezzi, per esempio attraverso una lastra fotografica. Un telescopio ottico è di solito in grado di registrare simultaneamente, ma separatamente, l'energia proveniente da un gran numero di stelle, per cui una sola esposizione della lastra dà moltissime informazioni su una parte relativamente piccola del cielo.
I primi radiotelescopi erano strumenti molto limitati anche rispetto ai telescopi ottici di tipo più semplice; ciò si spiega in base alle leggi dell'ottica fisica. È noto che a causa della natura ondulatoria della luce, l'immagine di una stella nel fuoco di un telescopio non appare come un punto ben definito, ma come un disco sfocato, chiamato ‛disco di Airy'. Man mano che l'apertura del telescopio aumenta, questo disco diventa sempre più piccolo, di modo che un telescopio grande, in condizioni atmosferiche stabili, può esplorare il cielo in maggior dettaglio di un telescopio piccolo (v. fig. 5). Il ‛potere risolutivo' di un telescopio, cioè la minima separazione angolare tra due stelle alla quale le immagini risultano distinte anziché confuse in una sola, è approssimativamente uguale all'inverso del diametro del telescopio, misurato in lunghezze d'onda. Un piccolo telescopio ottico, per esempio di 10 cm di diametro, ha un'apertura di circa 2,5 × 105 lunghezze d'onda, per cui il suo potere risolutivo teorico è di 4 × 10-6 radianti, cioè all'incirca di 1 secondo di arco. Per ottenere lo stesso potere risolutivo da un radiotelescopio si richiede lo stesso rapporto tra diametro e lunghezza d'onda. Senonché la lunghezza d'onda radio può essere un milione di volte maggiore di quella ottica, di modo che, con una lunghezza d'onda radio di 20 cm, sarebbe necessario un diametro di 50 km per ottenere lo stesso potere risolutivo di 1 secondo di arco. I primi radiotelescopi avevano di solito un diametro inferiore a 10 m, cosicché la quantità di dettagli che essi vedevano in una data parte di cielo era piccola. Inoltre il campo visivo di ogni telescopio era limitato a una singola risposta (cioè a un solo disco di Airy), per cui si poteva ottenere solo una informazione alla volta.
Un telescopio, oltre ad avere un alto potere risolutivo e un vasto campo visivo, deve anche essere molto sensibile, cioè deve poter rivelare sorgenti molto deboli. In radioastronomia, però, per ottenere un'alta sensibilità è necessario molto di più che una semplice amplificazione di segnali deboli. Il problema di ottenere un'alta sensibilità è essenzialmente quello di distinguere un segnale voluto da una gran quantità di segnali indesiderati, che costituiscono quel che comunemente si indica come ‛rumore di fondo'. In radioastronomia questo rumore, che è in gran parte prodotto nel ricevitore, è di solito più intenso, spesso estremamente più intenso, del segnale cercato; la rivelazione di un segnale debole richiede quindi una particolare tecnica che consiste nel misurare la somma del segnale più il rumore e nel confrontare questa somma con il livello del solo rumore. Esistono vari metodi per fare questo confronto, ma la maggior parte di essi consiste nell'accettare l'energia proveniente dalla sorgente sotto osservazione, per una parte del tempo, e nel respingerla per il resto del tempo (v. fig. 6). La difficoltà insita nella misura di segnali deboli provenienti da sorgenti radio dipende dal fatto che la radiazione è la somma di un gran numero di contributi individuali e casuali emessi da particelle elementari, il cui valore fluttua da un istante all'altro. L'ampiezza delle fluttuazioni è una frazione costante della potenza media che passa attraverso un radioricevitore con una data larghezza di banda.
Quantitativamente in un semplice radioricevitore la fluttuazione relativa della potenza, ΔW/W all'uscita del ricevitore è data dalla formula
dove con Δν si indica l'ampiezza di banda del ricevitore misurata in hertz (cicli per secondo) e con t il tempo durante il quale il segnale è integrato prima di essere registrato. È possibile diminuire le fluttuazioni relative ΔW/ W sia aumentando la larghezza di banda del ricevitore Δν sia aumentando il tempo di osservazione t. In assenza di rumore tali fluttuazioni avrebbero poca importanza. Per fare un esempio, in un radioricevitore con una larghezza di banda Δν = 106 Hz e con un tempo di integrazione t di 1 secondo, le fluttuazioni rappresenterebbero solo un millesimo del livello medio. Le difficoltà sorgono quando la potenza media W è in prevalenza rumore e il livello del segnale è molto inferiore a quello del rumore, il che capita assai spesso nelle osservazioni radioastronomiche. In questo caso ΔW può essere più grande della potenza media proveniente dalla sorgente osservata, la quale quindi non sarà più rivelabile. È dunque estremamente importante poter ridurre il rumore associato al segnale. Nella maggior parte dei casi quasi tutto questo rumore è prodotto proprio nel ricevitore.
Verso la fine degli anni cinquanta furono sviluppati due nuovi tipi di radioricevitori, il maser e l'amplificatore parametrico. Il rumore prodotto al loro interno era ridotto a una piccola frazione di quello generato nei ricevitori precedenti e perciò questi nuovi ricevitori hanno grandemente migliorato la sensibilità dei radiotelescopi. Inoltre gli astronomi possono aumentare ulteriormente la sensibilità con i sistemi seguenti: a) aumentando l'area effettiva del telescopio; aumenta così, di conseguenza, la potenza raccolta da un fronte d'onda. Tale soluzione è efficace solamente se la sorgente non è risolta, cioè solo se è più piccola della risposta angolare (chiamata ‛fascio') del telescopio; b) aumentando l'ampiezza di banda del ricevitore; questo però non si può sempre fare: per esempio non si può fare nel caso in cui si osservino righe di emissione; c) aumentando il tempo di osservazione t. Questo è un ‛rimedio estremo', in quanto riduce il numero di osservazioni utili che possono essere compiute in un dato tempo.
È da notare che all'aumento dell'area di apertura di un'antenna sono associati miglioramenti sia nel potere risolutivo sia nella sensibilità. Nel paragrafo che segue sarà descritto lo sviluppo di radiotelescopi a grande ‛apertura riempita', in cui potere risolutivo e superficie sensibile sono legati da una relazione molto semplice. D'altra parte la costruzione di antenne con grandi aperture, ma non necessariamente con grandi superfici sensibili, ha reso possibile la separazione tra potere risolutivo e sensibilità. Questi radiotelescopi ad apertura non riempita saranno descritti più avanti.
b) Radiotelescopi a riflettore parabolico e sferico.
Il tipo più comune di telescopio, sia radio che ottico, è quello a riflettore parabolico. Come è stato detto in precedenza, la grande differenza di lunghezza d'onda rende estremamente improbabile che un radiotelescopio di questo tipo possa mai competere in potere risolutivo con un telescopio ottico. Ciò nonostante, sono stati fatti numerosi tentativi per costruire paraboloidi molto grandi, perché, ovviamente, la sensibilità del telescopio per sorgenti piccole aumenta proporzionalmente all'area, cioè come il quadrato delle dimensioni lineari dell'apertura. Purtroppo, però, il peso e il costo del telescopio tendono ad aumentare come il cubo delle dimensioni lineari, di modo che il costo per unità di superficie di apertura del telescopio aumenta con le dimensioni. Il motivo principale per cui si costruiscono enormi e costosissimi telescopi a riflettore parabolico è che si vuole ottenere un migliore potere risolutivo. Poiché il potere risolutivo angolare diminuisce come le dimensioni lineari, il numero di oggetti che possono essere risolti entro un certo angolo solido a una determinata lunghezza d'onda aumenta come il quadrato delle dimensioni lineari. Sfortunatamente, però, l'aumentare delle dimensioni del telescopio può anche non migliorare il potere risolutivo, perché la distorsione della struttura causata dalla gravità tende a crescere come il quadrato delle dimensioni lineari. Come si vedrà, questa distorsione può peggiorare anziché migliorare il potere risolutivo alle più corte lunghezze d'onda.
La più corta lunghezza d'onda a cui è utilizzabile un determinato radiotelescopio è un dato della massima importanza, dal momento che, come si è detto, il potere risolutivo angolare è inversamente proporzionale al diametro dell'apertura, misurato in lunghezze d'onda. Quindi, per un dato telescopio, tale risoluzione angolare è direttamente proporzionale alla lunghezza d'onda delle radiazioni ricevute. La risoluzione migliore (cioè l'angolo minimo) si ha alla lunghezza d'onda più corta. Il limite minimo per la lunghezza d'onda è determinato o dall'atmosfera terrestre, che può assorbire le lunghezze d'onda più corte che potrebbero altrimenti essere ricevute, oppure da irregolarità o distorsioni nel riflettore parabolico, che fanno sì che la radiazione non sia più efficacemente focalizzata. In base a una regola empirica, la minima lunghezza d'onda utilizzabile è pari a venti volte lo scarto quadratico medio delle irregolarità della superficie. Al momento della stesura del presente articolo, il miglior potere risolutivo è quello del radiotelescopio di Bonn che, con un'apertura di 100 m, dà un potere risolutivo di circa venticinque secondi d'arco alla minima lunghezza d'onda utilizzabile di 1 cm circa. Una fotografia di tale telescopio è riportata nella fig. 7. Naturalmente la necessità di costruire telescopi immensi e costosi sta anche nel fatto che si richiede un buon potere risolutivo a tutte le lunghezze d'onda utilizzabili e particolarmente a quelle delle righe spettrali comprese nella gamma centimetro-decametro, per le quali un paraboloide di 100 m ha un potere risolutivo molto migliore di uno più piccolo.
Le caratteristiche principali dei radiotelescopi a riflettore parabolico sono la versatilità e la semplicità dell'elettronica. Essi sono versatili in quanto possono essere utilizzati su una larga gamma di lunghezze d'onda e quindi sono molto adatti per le osservazioni spettrali. La semplicità della loro elettronica risulta dal fatto che tutta la radiazione che il telescopio raccoglie da una sorgente viene convogliata a un punto centrale attraverso percorsi uguali e si richiede quindi un solo radioricevitore, un vantaggio che manca in alcuni tipi di telescopi più complicati. Gli svantaggi del paraboloide semplice a orientamento meccanico sono l'alto costo, il potere risolutivo relativamente scarso e il piccolo campo visivo, per cui, in generale, non può fornire informazioni su più di una radiosorgente per volta. Uno dei motivi per cui un telescopio di questo tipo è tanto costoso è che, per osservare le varie parti del cielo, occorre muoverlo materialmente. Di solito i radiotelescopi, come pure i telescopi ottici, sono montati su due assi, uno dei quali è parallelo a quello della Terra e l'altro giace su un piano normale ad esso. Per i radiotelescopi più grandi si devono adoperare assi orizzontali e verticali, che sono meccanicamente più pratici, ma richiedono un sistema più elaborato per l'orientamento. Per ridurre il costo di questi grandi radiotelescopi riflettori si è cercato di costruire delle superfici riflettenti che non richiedano di essere mosse, o che almeno si possano muovere in maniera semplice.
Esiste un particolare tipo di telescopio dotato di movimento semplice, che ha come superficie riflettente un cilindro parabolico, col quale l'energia è raccolta lungo una linea anziché in un punto. Di solito tali telescopi sono strumenti di transito ed è necessario variare l'orientazione solo in declinazione. Si presentano due possibilità: se l'asse del cilindro giace in direzione est-ovest, il riflettore parabolico viene inclinato intorno ad esso per variare la declinazione; se invece l'asse giace in direzione nord-sud, la direzione di risposta del telescopio viene variata elettronicamente nello strumento di raccolta in corrispondenza del fuoco lineare del riflettore. Con tale soluzione il riflettore, essendo fisso, può essere costruito, in maniera assai semplice ed economica, su un terreno di forma adatta. A Ooty, nell'India meridionale, è stata costruita una grande antenna cilindrica con l'asse parallelo a quello terrestre, che, grazie a un sistema di orientamento meccanico ed elettrico, offre tutti i vantaggi di un telescopio equatoriale (v. fig. 8). Esiste un'altra specie di telescopio simile a quello ottico orizzontale spesso usato nelle osservazioni solari, in cui il riflettore parabolico è fisso e un riflettore piatto mobile riflette verso l'apertura del paraboloide l'energia proveniente da qualsiasi direzione nel piano meridiano. Grandissimi telescopi di questo tipo sono stati costruiti nell'Ohio e a Nançay (v. fig. 9).
Un terzo tipo di telescopio, costruito a Pulkovo, utilizza una sezione di un paraboloide di rivoluzione che poggia sul terreno e che ha anche il fuoco molto vicino al terreno. Il paraboloide, con piccoli movimenti traslatori e rotatori degli elementi che lo compongono, viene in effetti ricostruito per ogni cambiamento di angolo di declinazione richiesto (v. fig. 10). Naturalmente questo strumento è usato come telescopio di transito.
Un'altra varietà di radiotelescopio ha una superficie di riflessione fissa che, invece di essere a forma di paraboloide, è sferica. Tale superficie è otticamente difettosa e richiede perciò l'impiego di uno specchio, di una lente o di qualche altro artificio supplementare per riportare tutta l'energia in un solo punto. Tuttavia esso ha il grande vantaggio di non avere nessuna direzione preferenziale per quel che riguarda la ricezione della radiazione. Ciò significa che il riflettore rimane fisso e che, per cambiare la direzione di massima risposta del telescopio, basta muovere il focalizzatore ausiliario. Di questa forma è il più grande telescopio riflettore del mondo, quello di Arecibo, che ha un diametro di 300 m (v. fig. 11). Anche questo enorme radiotelescopio ha una apertura che, espressa in lunghezze d'onda, è piccolissima se paragonata a quella di un telescopio ottico, anche di modeste dimensioni. Nel prossimo paragrafo illustreremo i metodi con cui i radioastronomi hanno risolto il problema dell'insufficiente potere risolutivo.
c) Radiotelescopi che ‛campionano' un fronte d'onda.
Nella trattazione precedente è stato detto che la radiazione proveniente da una sorgente puntiforme lontana appare sulla Terra come una serie di onde piane, cioè di onde i cui campi elettrico e magnetico sono di ampiezza e direzione costanti in ogni punto di un piano normale alla direzione di propagazione. Ora, l'onda emessa consiste di campi che di solito variano quasi a caso da un istante all'altro. Tuttavia un radioricevitore non capta l'onda nella sua totalità, ma filtra una gamma limitata delle frequenze che la compongono. Se la larghezza della banda è quasi zero, l'onda filtrata è una semplice onda sinusoidale che si ripete a ogni lunghezza d'onda; se la larghezza è finita, l'onda si ripete un numero di volte finito, se è infinita, l'onda non si ripete mai. Come è stato detto precedentemente, un telescopio semplice capta un fronte d'onda parallelo al piano d'apertura e convoglia tutta l'energia che cade sull'apertura in un singolo punto attraverso cammini di lunghezza uguale. In questo punto si può estrarre tutta l'energia. Se l'apertura è grande rispetto alla distanza (misurata lungo la direzione di propagazione) in corrispondenza della quale si hanno variazioni sostanziali dell'onda incidente filtrata, allora si ha un'effettiva addizione di energia da tutta l'apertura solo per fronti d'onda che sono quasi paralleli al piano dell'apertura. Per sorgenti non perpendicolari a questo piano i campi non sono costanti su tutta l'apertura e, quando sono convogliati al fuoco, non si sommano. Più grande è l'apertura misurata in lunghezze d'onda, più piccolo è l'angolo entro cui i campi sono additivi. Questo spiega perché un telescopio ha una proprietà direzionale e perché questa è collegata all'apertura e alla lunghezza delle onde incidenti.
Nel telescopio a riflettore parabolico a lunga distanza focale impiegato in astronomia ottica, le onde piane che arrivano da direzioni non troppo diverse da quella dell'asse del telescopio, pur non essendo additive nel fuoco principale, lo sono in qualche altro punto del piano focale. Perciò un tale telescopio può rivelare simultaneamente, ma separatamente, un gran numero di onde piane che arrivano con angolazioni leggermente diverse, ed è quindi uno strumento che forma immagini. Un telescopio astronomico può dunque essere considerato come un rivelatore di onde piane, che, nella sua forma più semplice, rivela solo un treno di onde, mentre in quella più elaborata estrae e rivela separatamente le componenti piane che costituiscono il campo complesso sull'apertura. Sorgono dunque due problemi: 1) in quanti punti dell'apertura del telescopio è effettivamente necessario saggiare o estrarre l'energia da un fronte d'onda? 2) è veramente indispensabile misurare simultaneamente l'energia in tutti i punti importanti del fronte d'onda? Le risposte a queste domande costituiscono i principi tecnici su cui si basano gli strumenti specializzati usati dai radioastronomi.
Nel 1946 McCready e collaboratori introdussero nella radioastronomia il principio - già noto ai cristallografi - secondo il quale non è necessario conoscere (o raccogliere) l'energia incidente su tutti i punti dell'apertura: è sufficiente misurare l'ampiezza e la fase relativa dei campi prodotti dalla sorgente lontana in una coppia di punti sull'apertura del telescopio e misurare poi come varino queste grandezze al variare della distanza fra i due punti da un valore minimo a uno massimo. Vi sono infatti molte coppie di punti sull'apertura che sono alla stessa distanza e hanno la stessa orientazione. Non è dunque necessario fare delle misure per tutte: basta una sola di esse, il che permette di realizzare una notevole economia. In secondo luogo, se la sorgente non varia, le misure non devono essere fatte tutte allo stesso tempo. Purché l'apertura del telescopio mantenga la stessa orientazione rispetto a una sorgente radio costante, la fase e l'ampiezza relativa dei segnali tra coppie di punti sull'apertura non variano col tempo. In tal caso si possono eseguire in successione le misure su coppie di punti a diverse distanze. Questi principi sono usati su larga scala in radioastronomia e sono alla base dei più grandi radiotelescopi.
I radiotelescopi del tipo ‛a campionamento d'onda' non estraggono simultaneamente tutta l'informazione ottenibile dai campi incidenti sull'apertura del telescopio: o ne estraggono un poco alla volta esplorando l'apertura pezzo per pezzo, oppure ricavano a ogni istante segnali sufficienti a fornire tutta l'informazione necessaria solo per quel che riguarda una parte molto limitata del cielo, cioè estraggono e misurano una sola o un numero limitato di componenti piane che arrivano all'apertura del telescopio. Il primo tipo di telescopio si chiama ‛a sintesi di apertura', e di questo genere sono i radiotelescopi più grandi. Quelli del secondo tipo, a differenza dei primi, possono essere adoperati per studiare le sorgenti variabili e sono spesso chiamati telescopi ‛a scheletro'. Descriveremo prima i telescopi a scheletro e poi quelli a sintesi di apertura.
Il telescopio a scheletro più conosciuto, costruito da Mills e Littie all'inizio degli anni cinquanta, è formato da due file orizzontali incrociate di rivelatori (v. fig. 12). Questo telescopio, dunque, misura il campo sull'apertura lungo due linee ortogonali. Se fosse possibile dividere ambedue le linee in elementi piccolissimi e poi combinare separatamente ogni elemento di una linea con ogni elemento dell'altra, il campionamento dell'onda su un'apertura rettangolare con dimensioni uguali alla metà della lunghezza di ognuna delle antenne lineari sarebbe completo e si formerebbe un'immagine del cielo (sfocata a causa della dimensione finita dell'apertura). Purtroppo questo non è possibile e i telescopi a croce sono di solito collegati in modo da estrarre solo un numero limitato di onde piane. Se tutti gli elementi di una fila di rivelatori sono collegati a uno stesso punto senza ritardo relativo, e similmente tutti gli elementi dell'altra sono collegati a un altro punto e le risposte delle due file sono correlate e moltiplicate, il telescopio è sensibile solo alle onde piane provenienti dallo zenit. Introducendo dei ritardi temporali sui cammini dei segnali provenienti da elementi successivi di una stessa fila, si può fare in modo che il telescopio risponda a onde piane provenienti da una direzione diversa dallo zenit, cioè la risposta del telescopio può essere ‛orientata'. Usando percorsi alternativi per i segnali e ricevitori separati si può far rispondere il telescopio simultaneamente a onde piane provenienti da direzioni diverse, cioè esso può acquistare la capacità di formare immagini.
Una variante dello strumento a croce esplora l'onda solo in punti discreti lungo ognuna delle linee ortogonali; in questo modo si ottiene un'economia ancora maggiore. L'informazione è più incompleta, ma è sufficiente se si posseggono già altre informazioni; per esempio, se si sa che esiste una sola sorgente intensa in un certo angolo solido del cielo, basta esplorare il fronte d'onda solo in un numero limitato ‛di punti lungo le due direzioni ortogonali. Radiotelescopi ‛a reticolo incrociato' furono costruiti negli anni tra il 1950 e il 1960 per studiare le emissioni dal Sole e una decina di anni più tardi fu costruito uno strumento che funziona in modo simile misurando l'onda in punti determinati lungo una circonferenza. Il potere risolutivo della maggior parte dei telescopi di questo tipo costruiti nel decennio compreso tra il 1955 e il 1965 era di circa un ventesimo di grado.
Il secondo tipo principale di telescopio a campionamendo d'onda, cioè il tipo a sintesi di apertura, consiste, nella sua forma più semplice, in una coppia di antenne che analizzano l'onda misurando la fase e l'ampiezza relativa dei campi in coppie di punti a tutte le distanze e le orientazioni possibili entro l'apertura (v. fig. 13). Per mezzo di una trasformazione matematica, detta trasformazione di Fourier, queste misure permettono di costruire una mappa di quella parte del cielo alla quale è sensibile ciascuna delle due antenne individuali che formano l'interferometro. Il telescopio a sintesi, dunque, è uno strumento che forma immagini.
Radiotelescopi a sintesi furono costruiti per la prima volta da Ryle e dal suo gruppo a Cambridge all'inizio degli anni cinquanta e nel decennio successivo fu realizzata una serie di varianti. L'ultimo tipo, che è risultato il migliore, consiste essenzialmente in una coppia di paraboloidi, uno dei quali può essere mosso lungo una linea estovest e fornisce la necessaria distanza variabile tra le antenne dell'interferometro. Poiché con ciò si realizza una spaziatura tra gli elementi solo in una direzione (est-ovest), per sintetizzare l'apertura bidimensionale occorre un metodo addizionale che sfrutta la rotazione della Terra.
La rotazione terrestre fu usata dai radioastronomi fin dai primi tempi per permettere a un semplice telescopio di transito di osservare tutte le parti del cielo visibile. In seguito fu utilizzata la proprietà per cui, in virtù della rotazione terrestre, tutti i corpi che non si trovano sull'equatore celeste, nell'attraversare il cielo, ruotano di una frazione determinata di un giro completo (v. fig. 14). Ciò significa che gli assi orizzontale e verticale di un telescopio fisso rispetto alla Terra ruotano anch'essi rispetto alle onde piane incidenti man mano che la sorgente è seguita attraverso il cielo. In tal modo il fronte d'onda può essere esplorato oltre che a differenti distanze, anche su un insieme di direzioni diverse. Così, se è possibile osservare una sorgente per dodici ore di seguito, si può trasformare un'apertura a una dimensione in una a due dimensioni. Questa sintesi, che si avvale della rotazione terrestre, fu usata nel 1954 a Sydney per produrre una mappa bidimensionale del Sole per mezzo di un apparato unidimensionale (v. fig. 15) ed è con questo sistema che oggi funziona la maggior parte dei telescopi ad alta risoluzione; al momento della stesura del presente articolo questi grandi telescopi hanno raggiunto un potere risolutivo di un paio di secondi di arco.
Oltre ai telescopi trattati fino ad ora, ve ne sono altri per fini speciali, che sono adoperati per ottenere solo una quantità limitata di informazioni su una sorgente, per esempio le sue dimensioni. Per misure di dimensioni basta esplorare il fronte d'onda in relativamente pochi punti e di solito non è necessario misurare la fase relativa delle componenti del campo nei due punti in cui si compiono le osservazioni.
Dopo il 1950, furono fatte delle misure con interferometri molto distanti fra loro per determinare le dimensioni delle sorgenti. In tali misure, compiute per la prima volta a Sydney e a Jodrell Bank, i due elementi dell'interferometro erano uniti da un collegamento radio; tale metodo fu esteso fino a che la linea di base raggiunse le 500.000 lunghezze d'onda. Anche con tali distanze, però, alcune radiosorgenti non erano ancora risolte. Alle distanze maggiori il collegamento radio tra gli elementi dell'interferometro diventava più difficile e perciò furono proposti altri due metodi. Uno di questi, ideato da Brown e Twiss, si basa su un effetto di interferenza del second'ordine, nel quale i segnali ricevuti alle due estremità dell'interferometro sono rivelati e registrati separatamente. Sebbene nella rivelazione vada persa molta informazione, ne rimane tuttavia ancora abbastanza nei segnali registrati per produrre una componente correlata che dipende dalla distanza tra gli elementi dell'interferometro. In tale modo si possono determinare le dimensioni di una radiosorgente intensa.
Recentemente è stato trovato un metodo più sensibile per compiere queste misure. Si adoperano, in corrispondenza di ciascuno dei due elementi molto distanziati di un interferometro, dei ricevitori con stabilità di frequenza estremamente alta, i cui segnali vengono registrati separatamente senza perdita di informazione, e successivamente correlati. Con tali interferometri si sono raggiunte distanze che si avvicinano al diametro della Terra, ossia di varie centinaia di milioni di lunghezze d'onda. La risoluzione che ne risulta è migliore di 1/1.000 di secondo d'arco, è cioè paragonabile a quella ottenuta con gli interferometri ottici usati per la misura dei diametri stellari. Con lo sviluppo di questi radiointerferometri si può considerare risolto il problema dell'alta risoluzione in radioastronomia.
d) Radiospettrometri.
La forma generale dello spettro di emissione radio di una sorgente è interessante, in quanto fornisce indicazioni sul meccanismo di emissione dell'energia e sullo ‛spessore ottico' della sorgente. Perciò le misure delle sorgenti a lunghezze d'onda diverse sono diventate una parte importante delle osservazioni radioastronomiche. Il primo radiospettrometro fu costruito da Wild e McCready a Sydney nel 1950 per osservare lo spettro delle eruzioni radio dal Sole. Queste emissioni di alta intensità venivano osservate mediante un radioricevitore che veniva sintonizzato rapidamente su una larga gamma di lunghezze d'onda. Più tardi furono costruiti dei radiospettrometri per cercare delle righe di emissione nello spettro radio; la prima scoperta fu quella della riga a 21 cm dello stato fondamentale dell'idrogeno e da allora i radiospettrometri sono diventati più elaborati e sensibili. Esistono due tipi di spettrometri: il primo, nella sua forma più semplice, consiste di un radioricevitore a banda stretta in cui la banda di ricezione può essere sintonizzata su una larga gamma di frequenze. Il grafico della potenza di uscita del ricevitore, in funzione della frequenza centrale della banda, dà lo spettro delle frequenze provenienti dalla sorgente nell'intervallo di osservazione. Una variante più sensibile di questo tipo di spettrometro consiste di un gran numero di ricevitori a banda sottile, ognuno dei quali è sintonizzato su una frequenza centrale diversa ed è collegato in parallelo all'antenna radio.
L'altro tipo di spettrometro è basato sul fatto che in un'onda puramente casuale non c'è alcuna relazione speciale tra una parte dell'onda e un'altra qualsiasi. In un' onda puramente monocromatica, invece, vi è un'identità perfetta tra una parte dell'onda e un'altra che passa dopo un certo intervallo di tempo n/ν (n è un numero intero e ν è la frequenza, cioè il numero dei massimi che passa ogni secondo in un dato punto). Se l'onda non è perfettamente monocromatica, non si ripete esattamente dopo un intervallo n/ν e la similarità (o correlazione) diminuisce con l'aumentare di n. Gli strumenti che confrontano una parte dell'onda con una parte successiva sono chiamati ‛spettrometri di correlazione'. Questo confronto viene fatto attraverso una serie di canali di ricezione nei quali sono inseriti dei ritardi di tempo progressivamente più lunghi, di modo che, correlando un canale con un altro, si correla una parte dell'onda con una parte precedente. Applicando la trasformazione di Fourier a questa ‛funzione di autocorrelazione' si ottiene lo spettro del segnale che passa attraverso il ricevitore. L'analisi dei segnali ricevuti si semplifica considerevolmente se si usano tecniche digitali: a prezzo soltanto di una piccola perdita di informazione, l'onda può essere ridotta a tal punto, che sono sufficienti moltiplicazioni digitali di un solo bit; in tal modo si riducono enormemente i calcoli necessari.
e) Polarimetri.
La radiazione proveniente da un insieme disordinato di particelle cariche non presenta alcuna direzione preferita per il campo elettrico e magnetico dell'onda emessa. Un'onda di questo tipo si dice ‛polarizzata a caso' o ‛non polarizzata'. Se invece l'onda tende ad essere ‛polarizzata', ossia se il suo campo elettrico presenta una direzione preferita, ciò indica un moto ordinato delle particelle cariche che sono la causa delle radiazioni o del mezzo tra la sorgente e il ricevitore. Questo moto ordinato è a sua volta un indice dell'esistenza di campi elettrici e magnetici nella sorgente o nel mezzo ed è quindi interessante per gli astronomi. Un radiotelescopio di solito capta solo metà dell'energia di un'onda polarizzata a caso che incide sulla sua apertura. La componente accettata dal ricevitore è di solito polarizzata linearmente, ma in altri casi può essere polarizzata circolarmente. Se si aggiunge al telescopio un secondo strumento ricevente per raccogliere l'altra metà dell'energia di un'onda non polarizzata e si fa poi in modo di paragonare le due componenti, il telescopio diventa un polarimetro. Il secondo strumento capta la componente lineare perpendicolare alla prima, o, nel caso di un'antenna polarizzata circolarmente, capta la componente polarizzata circolarmente nel senso opposto alla prima. I due segnali ricevuti dal polarimetro possono essere combinati in modi diversi per dare i quattro parametri di Stokes che forniscono tutta l'informazione necessaria sulla polarizzazione dell'onda.
I polarimetri sono di due tipi principali: in uno i due ricevitori complementari che analizzano l'onda sono posti nello stesso punto, mentre nell'altro i due ricevitori si trovano in punti diversi. Il secondo tipo, a volte più facile da usare, si chiama polarimetro a interferenza.
I polarimetri si possono usare in congiunzione con gli spettrometri, per misurare, per esempio, la suddivisione di Faraday di una riga spettrale. Possono anche essere usati per misurare la dispersione della polarizzazione di onde polarizzate di frequenza diversa che si propagano in un mezzo ionizzato (cioè lo spazio interstellare) in presenza di un campo magnetico. Le onde subiscono rotazioni di Faraday con diverse velocità che permettono di dedurre informazioni sul mezzo attraverso cui si è propagata l'onda stessa.
f) Strumenti forniti dalla natura.
Alcune importanti scoperte sono state fatte per mezzo di semplici apparecchiature, sfruttando la presenza di oggetti naturali esterni. Il primo di questi è la Luna, che può occultare varie radiosorgenti, quali il Sole; per le sorgenti più lontane, la figura di diffrazione che si forma quando esse sono occultate dal bordo lunare ha reso possibili accurate misure della loro posizione e ha fornito informazioni di alta risoluzione sulle loro dimensioni e sulla loro forma.
Le radiosorgenti sono state usate per ottenere informazioni sul mezzo attraverso cui si propaga la loro radiazione. In questo modo sono state studiate la corona solare e quella sua estensione che è il vento solare. Le scintillazioni prodotte da un'onda che passa attraverso la corona solare e lo spazio interstellare permettono di valutare sia la dimensione della sorgente emittente, sia le irregolarità del mezzo. Ulteriori informazioni astronomiche sul mezzo interstellare sono state ottenute osservando lo spettro di assorbimento della radiazione che si propaga attraverso la nostra galassia provenendo da una sorgente distante.
g) Radar.
L'astronomia radar, dato che utilizza l'emissione di un segnale da Terra, la sua riflessione su un corpo celeste e la ricezione a Terra del segnale riflesso, può essere utilizzata soltanto per lo studio di corpi all'interno del sistema solare o vicini a esso. Un segnale inviato dalla Terra e riflesso dalla stella più vicina (escluso il Sole) impiegherebbe quasi un decennio fra l'emissione e la ricezione. Non è possibile discutere in questo breve articolo le tecniche e i metodi speciali usati nell'astronomia radar; ci limiteremo quindi a dare un breve elenco delle sue applicazioni.
Una delle prime applicazioni del radar in astronomia è stato lo studio delle riflessioni da parte dei meteoriti nell'alta atmosfera e una determinazione della direzione di arrivo delle piogge di meteoriti durante il giorno. Un altro dei primi oggetti studiati è stata la Luna. Poi, con l'aumentare della potenza dei segnali radar emessi e con il migliorare della sensibilità dei ricevitori, si sono potuti rivelare migliori segnali riflessi dai pianeti, e così non solo si sono ottenute delle misure molto più accurate delle distanze nel sistema solare, ma si sono potuti misurare anche i periodi di rotazione di pianeti con superfici invisibili. Si sono inoltre sviluppate delle tecniche che hanno permesso di compilare delle radiomappe ad alta risoluzione della superficie riflettente della Luna.
4. Alcuni importanti contributi delle radioosservazioni all'astronomia.
Nel cap. 2 abbiamo esaminato brevemente le scoperte radioastronomiche fatte durante gli anni immediatamente successivi alla formazione dei primi gruppi di radioastronomi. In seguito la radioastronomia è divenuta parte integrante dell'astronomia, e non può essere trattata isolatamente. Alcune conseguenze importanti delle osservazioni radioastronomiche sono discusse altrove in questa Enciclopedia, per esempio negli articoli astronomia e astrofisica, sole e pianeti: Sole e Origini e struttura del sistema solare, stelle pulsanti, quasar e materia e radiazione interstellare. Quindi cercheremo di tracciare soltanto le linee generali delle ricerche intraprese dai radioastronomi. La radioastronomia non si sarebbe sviluppata se le conoscenze fornite dalle misure radio fossero simili a quelle fornite dalle osservazioni ottiche; per fortuna, la grande differenza di lunghezza d'onda tra le onde radio e le onde luminose si riflette in una grande differenza nelle informazioni che se ne ricavano.
a) Il Sole e il sistema solare.
Il Sole, che alle lunghezze d'onda ottiche è di gran lunga l'oggetto più luminoso del cielo, lo è solo moderatamente alle lunghezze d'onda radio. Esso fu uno dei primi oggetti studiati dai radioastronomi e ancora oggi attrae la loro attenzione, soprattutto perché i suoi strati superficiali sono quasi trasparenti alle onde luminose e quindi possono essere studiati otticamente solo con grande difficoltà. Essi però possono essere ‛visti' con facilità dai radioastronomi, i quali hanno scoperto che un certo numero di fenomeni prima sconosciuti sono associati ad altri fenomeni già otticamente osservati, come le macchie solari, i brillamenti e le regioni facolari. In particolare le eruzioni di radioonde, spesso associate ai brillamenti ottici, sono state studiate in gran dettaglio per mezzo di radiospettrometri o di radiotelescopi ad alta risoluzione, e di tali fenomeni sono state proposte spiegazioni soddisfacenti. Non si può però sostenere che la radioastronomia abbia completato definitivamente le nostre conoscenze sul Sole; anzi, essa ha mostrato che l'atmosfera del Sole è più varia e più complicata di quanto non si credesse precedentemente. I pianeti sono stati studiati meno a fondo del Sole: a parte le misure radar per determinarne la distanza e la velocità di rotazione (per mezzo dello spostamento Doppler del segnale di ritorno), le osservazioni più importanti sono state quelle delle temperature, a diverse profondità (a seconda delle lunghezze d'onda alle quali è misurata la radiazione), nei loro strati esterni. Si è scoperto che l'emissione di Giove, che ha un'atmosfera molto estesa, ha due importanti componenti non termiche: la prima è un'emissione di tipo eruttivo a una lunghezza d'onda di circa 15 m e la seconda un'emissione polarizzata a lunghezze decimetriche, che ha origine in una fascia ionizzata nell'alta atmosfera del pianeta.
La radioastronomia ha anche aumentato le nostre conoscenze sul mezzo interplanetario: osservazioni sugli effetti di tale mezzo nel produrre una scintillazione della radiazione proveniente da sorgenti molto distanti hanno permesso di valutare le dimensioni e la densità elettronica delle irregolarità del mezzo interplanetario e in particolare delle parti esterne della corona solare.
b) Sorgenti galattiche di radiazione.
I primi studi delle radioemissioni dal cielo avevano indicato che la maggior parte di queste dovevano provenire dalla nostra galassia. Per quanto riguarda le sorgenti discrete di emissione, si è generalmente arrivati a stabilire se esse fossero galattiche o extragalattiche solo dopo averle accuratamente radiolocalizzate e dopo averle identificate con un corpo visibile. Si è comunque trovato che esiste una radiazione uniforme di fondo che per la sua estensione e forma ha ovviamente origine nella nostra galassia. Lo spettro di questa radiazione indica che essa è di origine non termica: di solito è attribuita al movimento a spirale di elettroni di alta energia (raggi cosmici) attorno alle linee dei campi magnetici nello spazio interstellare. Tale radiazione è conosciuta come radiazione di sincrotrone.
La radiazione non termica nella Galassia, essendo un indicatore della presenza di elettroni di alta energia in un campo magnetico, ha rivelato interessantissimi fenomeni locali di alta energia nella nostra galassia, che si aggiungono agli effetti più diffusi della radiazione cosmica. Tra le prime scoperte della radioastronomia si ebbe l'identificazione della Nebulosa del Granchio - che si sapeva essere il relitto dell'esplosione di una supernova - con un'intensa sorgente radio. Più tardi studi dettagliati sulla polarizzazione della radiazione delle onde sia luminose che radio provenienti da questo oggetto hanno rivelato che il processo di sincrotrone ha una parte importante in entrambe le emissioni.
Oltre alle emissioni da parte dei relitti delle supernove (v. fig. 16), fu scoperto un altro tipo di sorgente di emissione non termica, sotto forma di un'emissione regolare periodica pulsante che proviene da piccole sorgenti discrete nella Galassia. Queste sorgenti sono state chiamate pulsar e sono presumibilmente da identificare con le stelle a neutroni. A parte l'intrinseco interesse che presentano come nuovi oggetti astronomici, le pulsar si sono dimostrate uno strumento utilissimo per lo studio della densità degli elettroni e dell'intensità del campo magnetico nel mezzo interstellare. Le tecniche usate a questo fine includono l'osservazione dello spettro di assorbimento della riga di radiazione a 21 cm nei segnali della pulsar, la dispersione della frequenza della pulsazione nel mezzo interstellare e la misura della rotazione di Faraday del piano di polarizzazione della radiazione della pulsar quando questa passa attraverso i campi magnetici interstellari. Le pulsar sono trattate altrove in questa Enciclopedia (v. stelle pulsanti).
La radiazione termica (derivante da moti casuali di particelle elementari) ha fornito un'immensa quantità di informazioni astronomiche sulla distribuzione dell'idrogeno gassoso nella nostra galassia. A differenza della radiazione non termica, in questo caso il fondo generale può essere suddiviso in sorgenti individuali che sono generalmente nuvole di idrogeno ionizzato dalla radiazione proveniente da stelle calde. Queste nuvole (regioni HII, v. fig. 17) hanno temperature elettroniche di varie migliaia di gradi e la loro posizione tende a delineare i bracci a spirale della Galassia.
Ancora più importanti di questa radiazione continua sono le righe di emissione o di assorbimento da parte dei gas nello spazio interstellare: infatti gli spettri a righe possono fornire una gran quantità di informazioni astronomiche. Se la ‛larghezza naturale' di una riga spettrale è molto piccola, l'allargamento della riga stessa può essere attribuito a movimenti casuali, e quindi a effetti Doppler nella sorgente, e permette, per esempio, di determinare la temperatura della sorgente emittente. Uno spostamento della lunghezza d'onda media della riga dal suo valore naturale può dare una misura della velocità della sorgente, sia verso l'osservatore sia in direzione opposta. Analogamente, il rapporto delle intensità di diverse righe spettrali, l'apparire di righe di emissione o di assorbimento, la suddivisione per effetto Zeeman di una riga da parte di un campo magnetico, per citare solo qualche esempio, sono tutti elementi che danno informazioni preziose sulla sorgente o sul mezzo che si trova tra questa e l'osservatore.
È già stato detto in questo stesso articolo che la scoperta, nel 1951, della prima riga spettrale in radioastronomia, cioè della riga corrispondente all'emissione a 21 cm da parte dell'idrogeno neutro, fu un evento della massima importanza, specialmente perché gli atomi di idrogeno sono una componente fondamentale della nostra galassia. Le galassie non ruotano come strutture rigide; per le semplici leggi della dinamica newtoniana, le parti interne devono avere una velocità angolare maggiore di quelle esterne, e quindi regioni diverse si muovono le une rispetto alle altre. Questi moti producono spostamenti Doppler della lunghezza d'onda della riga ricevuta, di modo che, osservando questi spostamenti, si possono misurare le velocità relative. Utilizzando un modello galattico che fornisce la relazione tra velocità angolare e distanza dal centro di rotazione, è possibile risalire dalle velocità alle distanze. Con queste si può compilare una mappa dell'idrogeno neutro nella Galassia, come quella della fig. 18, in cui si vedono chiaramente i bracci a spirale della nostra galassia. Questi studi sono però andati molto oltre questo risultato e il moto del gas sia verso il centro della Galassia che in direzione opposta rappresenta oggi un elemento essenziale per comprendere il modo in cui si possono formare ed evolvere le galassie (v. sole e pianeti; v. sistemi stellari; v. materia e radiazione interstellare).
La riga a 21 cm permette di compiere molte altre osservazioni. Per esempio, osservando questa riga in assorbimento nello spettro di una sorgente radio discreta, è possibile localizzare la sorgente stessa rispetto alla struttura a spirale della Galassia.
La seconda emissione di righe rivelata dai radioastronomi fu il gruppo delle righe di OH a una lunghezza d'onda di circa 18 centimetri. Nel 1963 Weinreb e altri scoprirono al MIT che queste righe si potevano rivelare in assorbimento nello spettro dell'intensa radiosorgente nella costellazione di Cassiopea e anche nella radiazione proveniente dal centro della nostra galassia. Un'altra scoperta, forse ancora più significativa, fu quella che l'emissione di righe si presenta molto intensa da parte di certe sorgenti molto piccole nelle regioni HII. Oltre alla scoperta del gruppo delle righe di OH, fu trovato anche un certo numero di righe di alta eccitazione dell'idrogeno e dell'elio, che erano già state previste da Kardashev nel 1959, e che permettono di delineare la distribuzione dell'idrogeno e dell'elio ionizzati nella Galassia, così come la riga a 21 cm permette di delineare la distribuzione dell'idrogeno neutro. Per esempio, si può costruire una mappa delle regioni HII che stanno nel piano della Galassia e che perciò sono nascoste dalla polvere agli astronomi ottici.
Recentemente gruppi di radioastronomi a Berkeley, al National Radio Astronomy Observatory (NRAO) di Green Bank, ad Harvard e in altri osservatori degli Stati Uniti hanno trovato un gran numero di righe spettrali, alcune delle quali derivanti da molecole sorprendentemente complicate, che comprendono vari composti del carbonio. Queste scoperte gettano nuova luce sull'origine della materia organica nella Galassia e forse sull'origine della vita sulla Terra (v. vita, origine della).
c) Sorgenti extragalattiche di radiazione.
Le galassie esterne più vicine a noi sono le Nubi di Magellano e la Nebulosa di Andromeda. Queste nebulose sono state oggetto di molta attenzione da parte dei radioastronomi, perché sono abbastanza vicine da poter essere studiate in dettaglio con le stesse tecniche usate per le radiosorgenti galattiche; per di più, essendo ottenute dall'‛esterno', le osservazioni della rotazione per mezzo di spostamenti Doppler, per esempio nella riga a 21 cm, sono molto più facili da interpretare di quelle riguardanti la nostra galassia. La radioemissione da queste galassie è di intensità simile a quella generata dalla nostra, di modo che le più distanti di queste galassie ‛normali', nel caso che si riesca a rivelarle, appaiono come sorgenti molto deboli. I recenti miglioramenti nei radiotelescopi hanno reso possibile la costruzione di mappe dettagliate che mostrano i bracci a spirale di alcune galassie normali (v. fig. 19) e indubbiamente in futuro questo tipo di lavoro sarà ulteriormente sviluppato.
Le scoperte più interessanti, tuttavia, sono state fatte nelle parti più distanti dell'Universo.
Durante le prime osservazioni delle cosiddette radiostelle, si cercò di ottenere misure accurate della posizione di alcune delle più intense sorgenti discrete di radiazione e si vide che alcune di esse si potevano identificare con corpi celesti extragalattici.
La prima radiosorgente così scoperta fu localizzata in prossimità di uno strano oggetto, il cui spettro ottico e il cui aspetto generale suggerirono che potesse trattarsi di due lontanissime galassie in collisione. Questa interpretazione fu più tardi scartata, ma a quel tempo destò un grande interesse per le radiosorgenti extragalattiche.
Fin dall'inizio si comprese che la radioemissione proveniente dalle potenti sorgenti extragalattiche era troppo intensa per essere dovuta alla radiazione continua o di fondo della nostra galassia. Perciò le sorgenti esterne furono chiamate radiogalassie e considerate di tipo speciale. Nei pochi casi in cui si scoprì una corrispondenza di posizione con una galassia visibile, si trovò che questa aveva una particolare caratteristica ottica, per esempio un ‛getto'. Si osservò che le radiogalassie identificate erano lontane e si suppose perciò che quelle non identificate fossero talmente distanti da risultare invisibili. Dal 1951 in poi, per la misura del diametro di queste radiosorgenti si usò l'interferometria a spaziatura lunga, con un collegamento radio tra le antenne. Delle circa cento sorgenti più intense, più o meno la metà aveva un diametro angolare inferiore a un primo. A questo punto si cominciò a capire che quelle radiogalassie che potevano essere risolte erano doppie o complesse; con l'aumentare della risoluzione fino a qualche secondo di arco un numero crescente di radiogalassie sono state risolte in sorgenti doppie o complesse. Talvolta si osserva otticamente una galassia peculiare in un punto compreso tra la coppia di radiosorgenti (v. fig. 20).
Oltre alle radiogalassie si scoprì un altro tipo di sorgenti extragalattiche. Queste sorgenti sono associate otticamente a corpi simili a stelle piuttosto che a galassie e presentano alcune peculiarità: hanno una dimensione angolare piccolissima, presentano fluttuazioni di potenza le quali suggeriscono che siano assai piccole anche come dimensioni fisiche e hanno uno spettro ottico particolare. Tali sorgenti sono note come quasar, o oggetti quasi stellari, e sono talmente piccole che devono essere risolte o sfruttando le occultazioni lunari o con interferometria a spaziatura lunga. Una volta risolte, mostrano una struttura complessa (v. fig. 21). Si trovò che il primo oggetto ottico identificato con un quasar aveva delle righe spettrali particolari, che furono interpretate come righe di Balmer spostate verso il rosso. Se lo spostamento verso il rosso è interpretato come una normale recessione della sorgente dovuta alla sua distanza, il quasar deve essere lontanissimo e quindi la sua radioemissione è molto intensa. Se inoltre le fluttuazioni della potenza stanno a indicare una dimensione fisica molto piccola, lo splendore intrinseco della sorgente deve essere estremamente elevato.
Oltre all'osservazione ad alta risoluzione di radiosorgenti extragalattiche è stato fatto uno studio sulla polarizzazione della radiazione proveniente da parti diverse delle sorgenti, in modo da ottenere informazioni sui campi magnetici; sono stati anche misurati gli spettri di un gran numero di sorgenti. A un certo punto sorse un grande interesse per i ‛conteggi delle sorgenti', cioè per la determinazione del numero di sorgenti che producono un dato flusso di radiazione sulla Terra. Da tale studio si sperava di ottenere informazioni sulla distribuzione della materia nell'Universo, ma fino ad ora non sono state fatte scoperte di grande rilevanza per la cosmologia.
5. Conclusione.
In poco più di un quarto di secolo la radioastronomia, cominciata come un'impresa di pochi pionieri entusiasti, è divenuta un importante ramo dell'astronomia. Non solo essa ha rivelato molti fenomeni prima sconosciuti, ma ha agito da potente stimolo per l'astronomia ottica, suggerendole nuovi campi di investigazione. Attraverso le scoperte dei radioastronomi sappiamo oggi molto di più sull'atmosfera del Sole e sul mezzo interplanetario; è stata fatta una carta della distribuzione dell'idrogeno ionizzato e non ionizzato nella nostra galassia, che ha rivelato la struttura a spirale della Galassia e si è anche cominciato uno studio sulla dinamica della sua formazione. Sono state scoperte nuove sorgenti di dimensioni piccole, ma estremamente potenti, come le pulsar e le piccole regioni di emissione, che indicano la presenza di molecole di acqua, ecc.; queste sorgenti sono di grandissimo interesse per l'astrofisica. Sono stati rivelati nuovi fenomeni nelle galassie esterne e si è iniziato lo studio dei processi che hanno luogo nei loro nuclei.
L'estensione dello spettro elettromagnetico dalla regione ottica alle radioonde, ossia alle basse frequenze, che ha reso possibili questi grandi progressi dell'astronomia, promuoverà senza dubbio l'uso di altre parti dello spettro ora a portata degli astronomi, in quanto non sono più obbligati a fare le loro osservazioni attraverso l'atmosfera instabile e assorbente della Terra.
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