TELEVISIONE.
– La televisione di fronte al digitale. Broadcast e social. L’evoluzione dei sistemi televisivi. Cambiamenti nell’organizzazione produttiva, nei linguaggi e nei formati. Bibliografia
La televisione di fronte al digitale. – L’avvento delle tecnologie digitali nel trattamento delle immagini e dei suoni, nell’ultimo ventennio del 20° sec., si situa – almeno nei Paesi occidentali – all’interno di un complessivo superamento della società di massa contraddistinta da forme di produzione e consumo largamente standardizzate: una società in cui la t. aveva svolto rilevanti funzioni sociali diffondendo modelli di consumo e di partecipazione.
Nel passaggio al digitale l’atteggiamento dei sistemi televisivi è stato bivalente e complessivamente cauto. Nella produzione dei programmi, le tecnologie digitali si sono fatte rapidamente strada, prima nella postproduzione e poi nella ripresa, per la semplificazione produttiva e i risparmi che rendevano possibili. Quanto alla messa in onda, tuttavia, la t. si è tenuta sempre ben stretta la propria tecnologia analogica, perché il passaggio all’emissione digitale, pur migliorando la qualità della visione, avrebbe obbligato la vastissima platea televisiva a cambiare televisore, o a dotarsi di un decoder, complicando il rapporto fiduciario con gli utenti-clienti.
Questo atteggiamento era in parte dovuto all’esperienza del passato: il sistema televisivo più importante del mondo, quello statunitense, trasmetteva ancora con uno standard a modesta definizione con 525 linee di scansione (in Europa erano 625) e se ne poteva dedurre che la qualità della visione, sui piccoli schermi domestici, non era l’asset principale del ‘contratto comunicativo’ fra l’emittente e il suo pubblico. In secondo luogo, tutti ricordavano il fallimento (nei primi anni Ottanta) dell’alta definizione analogica. In pratica, l’unica innovazione che aveva provocato un’accelerata sostituzione dei televisori era stata l’introduzione del colore. Dietro queste motivazioni squisitamente industriali e di marketing, s’intravede però il timore (sia delle emittenti di servizio pubblico sia dei network commerciali) di abbassare eccessivamente le soglie dell’attività televisiva, di ampliare a dismisura l’offerta e quindi di incrinare la centralità delle grandi istituzioni del broadcasting nella formazione dell’opinione pubblica, nel consumo (anche attraverso l’offerta pubblicitaria) e nella sfera pubblica.
Questo atteggiamento è durato fino alla vigilia degli anni Duemila. È mutato quando non è stato più possibile contenere la portata sociale delle innovazioni che solo le tecnologie digitali di distribuzione, grazie alla compressione dei file, potevano portare nelle case: non tanto per la migliore qualità della visione, quanto per la possibilità di trasportare contenuti aggiuntivi rispetto alla TV tradizionale.
In particolare, senza ampi bouquets di canali da offrire la t. a pagamento ha scarse possibilità di successo ed è impossibile la pay-per-view, nella quale si paga il singolo contenuto che si intende vedere. Inoltre, solo la tecnologia digitale permette di sfruttare pienamente le nuove possibilità offerte dai satelliti DTH (Direct-To-Home), ricevibili dalle abitazioni degli utenti-clienti attraverso un’antenna parabolica di dimensioni contenute: una tecnologia di distribuzione introdotta negli anni Novanta, in piena sintonia con i processi sociali di articolazione e segmentazione della società di massa.
Gli anni Novanta furono il decennio della nascita di Internet, anche in significativa coincidenza con la fine della guerra fredda e delle ideologie: per qualcuno addirittura la «fine della storia» (Fukuyama 1992). Si determinò così un clima di ottimismo tecnologico all’insegna delle ‘autostrade dell’informazione’ – in particolare per l’opera del vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore – e si parlò di un cablaggio integrale a fibra ottica nei Paesi sviluppati. Il Telecommunications act statunitense del 1996 stabiliva lo spegnimento (switch off) della diffusione televisiva analogica al 31 dicembre 2006. Molti Stati seguirono questo esempio. In Italia la l. 66/2001, approvata a larghissima maggioranza, adottò lo stesso termine.
Lo scoppio della bolla speculativa di Internet (marzo 2000), gli attentati dell’11 settembre 2001 con le nuove esigenze di sicurezza e il vanificarsi di quel clima di ottimismo tecnologico hanno rallentato lo sviluppo di Internet e dilazionato lo switch off televisivo (negli Stati Uniti nel 2009, in Italia nel 2012). Ciò ha consentito di mantenere una visione della t. come medium dominante dell’epoca e un notevole scetticismo sulle possibili modificazioni che il digitale e Internet avrebbero richiesto, o imposto, al sistema televisivo.
Una concezione rassicurante e figlia del Novecento, un secolo in cui sia i teorici (Marshall McLuhan) sia l’esperienza avevano dimostrato che un nuovo medium non uccide i vecchi media, ma si fa posto, allargando il proprio spazio e spostando la funzione dei precedenti; l’esempio classico era la sopravvivenza della radio (v.) nell’era della televisione. Tuttavia, Internet non è solo un medium, ma molto di più: perché assorbe e ingloba tutti i media e li costringe a convivere al suo interno, e perché non ammette solo le grandi istituzioni novecentesche produttrici di contenuti (i giornali, le majors cinematografiche, i broadcasters televisivi) ma è social, coinvolge in forma produttiva il cittadino comune: Broadcast yourself è stato il primo motto del popolarissimo YouTube.
Broadcast e social. – Si può datare al 2006 circa il momento in cui questa cultura dello scetticismo si è rivelata non più adeguata. Fattori sociali e tecnologici spingeranno radicalmente in direzione di una società connessa, e il terreno della connessione sarà sempre più la circolazione di contenuti audiovisivi e multimediali. Lo shock dell’11 settembre ormai appare in via di risoluzione. Internet è sopravvissuta ma è mutata sensibilmente (il cosiddetto web 2.0), privilegiando i siti e le pratiche che promuovono la collaborazione degli utenti, e culminando nei social network (il web 2.5) in cui anche la persona comune esprime la sua esperienza, la sua personalità e i suoi umori, commentando la quotidianità della vita e della cronaca. Il cittadino (ma anche l’artista, il politico, l’imprenditore) ottiene quella possibilità di produrre e distribuire contenuti audiovisivi prima riservata alle grandi istituzioni mediali, e la utilizza per illustrare le sue idee e il suo vissuto e allargare le sue relazioni sociali.
Buona parte dei contenuti distribuiti dai singoli, o da gruppi di appassionati (fandom), sono peraltro selezioni di contenuti altrui, più o meno legittime: programmi TV, film vecchi e nuovi, videoclip, trailer, spot pubblicitari, documentari. Il marketing delle istituzioni televisive ha colto presto l’opportunità che vi è insita di promuovere i propri prodotti, mentre le redazioni dei programmi televisivi cercano sul web contenuti generati dagli utenti da utilizzare nelle trasmissioni. Per molti postare un video interessante diventa un modo per comparire in t. e raggiungere una provvisoria notorietà, attraverso i propri prodotti creativi.
In un circuito a vasi comunicanti, i contenuti circolano continuamente dal momento broadcast a quello social e viceversa. I siti dei soggetti televisivi, come quelli dei giornali quotidiani, diventano a loro volta dei social network che coltivano la comunità del proprio pubblico; la diffusione di materiale audiovisivo diventa parte dell’esperienza dei media scritti (giornali, libri) e di quelli sonori (radio, musica), mentre nascono emittenti on-line (web tv) che, con un investimento minuscolo, sono ricevibili ovunque. Le forme di fruizione sono plurime, fluide, intermittenti, variamente dislocate. La visione ‘lineare’ in continuità, offerta dalla sala cinematografica e dalla t. tradizionale, è sempre più affiancata e poi sostituita da una ‘fruizione non lineare’, di cui lo zapping con il telecomando rappresenta la preistoria e il mouse del computer una storia più recente. L’utente-cliente ha maggior potere di scelta e di gestione del proprio tempo; può contrattare un inizio del programma consono ai suoi orari, può interrompere la visione per poi riprenderla dal punto in cui l’aveva lasciata, può costruirsi un proprio palinsesto combinando varie piattaforme e dispositivi.
Lo sviluppo delle reti di comunicazione si è così rimesso in moto. In attesa della fibra ottica, in ogni casa si è fatto strada un più realistico miglior sfruttamento dei cavi esistenti (ADSL, Asymmetric Digital Subscriver Line). Il W.-F. ha svincolato la connessione da un cavo fisico e da una postazione fissa (ufficio, casa) permettendo la connessione in mobilità. Lo smartphone ha rappresentato il definitivo congiungimento della comunicazione interpersonale, tipicamente telefonica, con il momento social e con quello broadcast, con una profonda rilocazione di tempo e spazio. Se il suo schermo è troppo minuscolo per usufruire piacevolmente dei contenuti audiovisivi, ci viene incontro il tablet, che può fungere anche da secondo schermo per accompagnare, con contenuti dedicati, ciò che seguiamo sul primo. Internet ha conquistato così una mobile ubiquità che alla t., forma moderna del focolare domestico, era sempre stata preclusa.
L’evoluzione dei sistemi televisivi. – L’evoluzione del sistema televisivo si è intrecciata con una crescente segmentazione e frammentazione sociale, che le tecnologie e le pratiche sociali connesse hanno accompagnato e accentuato. Anche i confini linguistici, che circoscrivevano efficacemente i sistemi televisivi nazionali, sono stati varcati da un’offerta di contenuti multimediali ormai globalizzata e da una mobilità geografica che è diventata anche una dimensione psichica.
Il passaggio alla distribuzione digitale è stato avviato ovunque, e ha assunto tre forme che, a seconda dei Paesi, hanno una configurazione diversa. La prima riguarda la digitalizzazione del segnale sulle onde elettromagnetiche (digitale terrestre) che, accompagnato generalmente da una migliore allocazione delle frequenze, permette di moltiplicare per sei, all’incirca, il numero di canali televisivi ricevibili dalle abitazioni. Essa è stata generalmente applicata alla t. generalista (di servizio pubblico e commerciale gratuita) ed è compatibile anche con i vecchi televisori a tubo catodico purché dotati di un decoder.
La seconda è la digitalizzazione del segnale inviato a un satellite e ricevuto dalle abitazioni attraverso una piccola antenna parabolica. Il numero di canali è assai superiore, centinaia per ciascun satellite, particolarmente adatto alla
t. a pagamento, nelle sue varie forme. Uno stesso programma, ad es. un film, è trasmesso, criptato, in orari sfalsati su più canali, per avvicinare il più possibile il momento d’inizio ai desideri di ciascun cliente. Le più sofisticate forme di t. a pagamento, fondate sull’acquisto di un singolo prodotto (pay-per-view, video on demand) richiedono una linea telefonica, o una connessione Internet, per inviare le proprie ordinazioni.
La terza modalità, la più completa e matura, è la connessione con un cavo a larga banda che fa giungere il programma televisivo esattamente come una pagina Internet. Tuttavia essa è la meno diffusa perché lo stato delle reti rende difficile e costoso il transito dei pesantissimi documenti digitali audiovisivi; i limiti fisici delle connessioni esistenti (ADSL compresa) qui si fanno sentire.
In previsione dello switch-off si è accentuata ovunque la sostituzione dei vecchi televisori, analogici e a tubo catodico, con i nuovi schermi piatti di dimensioni sempre più ampie, che integrano le funzioni del decoder e sono predisposti per forme di visione arricchita (HD, High Definition, 3D) di plurimi dispositivi (TV, Internet, Blu-ray ecc.). Per la prima volta la qualità tecnica dell’emissione e l’accesso a forme di visione e suono accresciute sono entrati nel ‘contratto comunicativo’ dell’intrattenimento domestico. Liberati dall’ingombrante tubo catodico, sono adatti a nuove collocazioni in spazi pubblici chiusi e aperti (banche, aeroporti, gallerie d’arte, piazze, stazioni, musei), fino agli urban screens di grandi dimensioni, stemperando il monopolio domestico della fruizione su cui la t. tradizionale aveva costruito parte del suo potere.
Il paesaggio televisivo è cambiato quindi profondamente, sia per i fattori interni ai sistemi televisivi sia per la permeabilità sempre maggiore fra t., cinema e Internet. Tradizionalmente la risorsa scarsa nell’organizzazione televisiva era stata la capacità trasmissiva; in Europa questa era stata la motivazione addotta per costituire gli enti radiotelevisivi pubblici e, più in generale, per realizzare una t. ‘per tutti’, ‘generalista’, ‘nazional-popolare’, con una esplicita funzione di coesione sociale. Negli Stati Uniti era poi nata la t. a pagamento via cavo telefonico, in abbonamento, con un’offerta prevalentemente tematica (cinema, sport, programmi per bambini, notizie ecc.). Il pubblico si era diviso secondo confini di censo: le classi inferiori avevano continuato a usufruire gratuitamente dei grandi network infarciti di pubblicità, mentre i ceti superiori si erano convertiti a un uso più mirato e costoso della t. a pagamento, con un consumo vistoso.
In Europa, dove il prestigio e la forza degli enti di servizio pubblico erano notevoli, questo sistema duale non si è affermato in epoca analogica: gli enti radiotelevisivi pubblici intendevano sia svolgere una funzione generalista, sia offrire spettacoli tematici di qualità (informazione, cinema, sport, programmazione per ragazzi): presidiare insomma la centralità dei gusti del pubblico. La moltiplicazione dei canali e dei dispositivi di ricezione ha travolto queste resistenze. La t. a pagamento si è quindi affermata in tutta Europa nella sua forma digitale, nella quale al canone mensile sono sostituite forme miste abbonamento+consumo in cui sempre più spesso è il singolo contenuto, specie se seriale, a motivare l’acquisto.
Contemporaneamente, la moltiplicazione dei canali ha indotto molti soggetti a dotarsi di una più incisiva presenza in video: le t. locali, per occupare spazi e non uscire dal mercato; ma anche editori di giornali, stazioni radio, catene di librerie, squadre di calcio. Un paesaggio molto affollato, nel quale l’ascolto delle grandi reti generaliste si è necessariamente ridotto. I giovani di oggi non sono cresciuti più con i cartoni animati della t. commerciale, ma con Internet; il loro ascolto della t. generalista è contenuto e, soprattutto, non le viene di solito riconosciuta qualche funzione di sfera pubblica, di ‘piazza’ virtuale, di orientamento o coesione sociale (ormai trasferita sull’area social di Internet), ma solo quella di un distratto intrattenimento. Ciò comporta un forte drenaggio di risorse, in particolare per le minori tariffe pubblicitarie o la collocazione degli annunci in altri canali o in Internet. Questo drenaggio non ha provocato, almeno per ora, fallimenti o cadute, ma certo ha inciso fortemente sul sistema dei costi e, indirettamente, sulla qualità della programmazione nella t. generalista.
I soggetti televisivi, interamente digitalizzati, sono quindi ormai plurimi: reti generaliste pubbliche e private, canali inseriti in pacchetti o offerte di t. a pagamento, t. locali, canali televisivi di altri media (giornali, radio), mentre l’accesso a t. internazionali e in altre lingue è ormai ampiamente diffuso e non solo presso le folte comunità di immigrati. La risorsa scarsa dunque non è più la capacità trasmissiva, ma i contenuti da trasmettere, che siano compatibili con budget molto contenuti; e soprattutto, l’attenzione di un pubblico distratto.
Questi processi più tipicamente televisivi si svolgono infatti all’interno di un quadro di offerta multipiattaforma in cui è Internet l’aggregatore che sta diventando principale, anche per la sua ormai sperimentata capacità di offrire al suo interno la t., come gli altri media. L’ascolto televisivo su Internet è ormai un fenomeno rilevante, anche pubblicitariamente, portando a una revisione completa dei tradizionali strumenti domestici di telerilevazione dell’ascolto a campione.
Cambiamenti nell’organizzazione produttiva, nei linguaggi e nei formati. – Si è accentuata ulteriormente la separazione tra i momenti dell’attività televisiva: quello dell’ideazione e organizzazione del palinsesto, quello della produzione dei contenuti e quello dell’emissione (tradizionalmente, della ‘messa in onda’). Nella t. più tradizionale tutte queste funzioni facevano capo a un’unica entità, con limitati acquisti (prevalentemente di film e serie televisive) e talune produzioni esterne ‘in appalto’ fortemente controllate.
Oggi i detentori di un canale – o di una rete, o sempre più spesso di un insieme di reti, canali, aggregati di contenuti disponibili su varie piattaforme con varie forme di remunerazione – controllano e mantengono rigorosamente all’interno l’ideazione o organizzazione del palinsesto (sostituito, in epoche di fruizione non lineare, dalla brand image del canale), la calendarizzazione e la stagionalità delle uscite, lo sfruttamento ottimale dei diritti di cui si dispone per ogni singolo contenuto.
L’approvvigionamento di programmi consiste sempre di più nell’acquisto di prodotti confezionati all’esterno, e non nella produzione in proprio. Così è anzitutto per la grande produzione seriale di finzione, globalizzata e in gran parte di realizzazione americana, acquistata per intere ‘stagioni’: le imprese televisive attive in più mercati nazionali sono ovviamente favorite per la possibilità di acquistare di più e spuntare così prezzi migliori. Ma avviene anche per le inchieste e i documentari, e per gli stessi programmi di entertainment e da studio, realizzati spesso sulla base di format internazionali da parte di produttori esterni.
Cambia la dislocazione delle identità: il canale deve effettuare un forte investimento identitario, perché aggrega prodotti eterogenei, non più confezionati in casa per le sue esigenze, e questo lo porta a profilare sempre meglio il proprio target di riferimento; ma anche il produttore di contenuti si afferma solo se ha una percepibile identità.
Quella che una volta si chiamava ‘messa in onda’ è oggi una delivery, una consegna al cliente coinvolgendo una varietà di piattaforme e di dispositivi non necessariamente televisivi, accompagnate da forme molto articolate di remunerazione che di volta in volta si ispirano ai modelli di business tradizionali della TV, a quelli della telefonia cellulare, a quelli di Internet. Sempre più l’attività televisiva è l’aggregazione multipiattaforma di contenuti, in cui la funzione di servizio pubblico – come tradizionalmente svolta degli enti televisivi pubblici – non è più centrale.
Gli stili televisivi si modificano largamente. Il reality ha rappresentato l’ultimo stile televisivo nato nella t. genera-lista. Si sviluppa invece nei nuovi canali il talent show (v.), che ne rappresenta lo sviluppo, mettendo in campo la capacità di arrangiarsi e di migliorare se stessi in un’ambiente insieme competitivo e cooperativo. Non sfuggirà il nesso con la condizione psicologica dei giovani in una situazione di crisi economica. E così anche per il lifestyle, tema di una t. partecipata in cui il desiderio di protagonismo della gente comune diventa una firma sotto una liberatoria che cede (quasi sempre gratis) al produttore tutti i diritti sulle immagini che girerà; e per il makeover, la TV della trasformazione in cui anche l’aspetto corporeo, chirurgico, ospedaliero viene mostrato in un’estetica cruda del miglioramento fisico. Riprese ravvicinate e mosse gergali come il linguaggio dei protagonisti, nessuna preoccupazione di occultare i dispositivi di ripresa esibiti come un marchio, montaggio veloce.Spesso oggi la t. è tutorial: vuole insegnare a truccarsi, a piantare i fiori in cortile, a risparmiare sulla spesa, a cucinare una torta, ad allevare i figli; pedagogica, a modo suo, spesso con larghi inserti promozionali e sponsorizzati, non sempre in modo trasparente.
Intanto i grandi operatori del video on-demand, tutti americani, si stanno facendo strada in Europa: i cosiddetti OTT (Over The Top). Si presentano in rete con propri siti su cui gli utenti comprano i contenuti che poi vedranno sul grande schermo domestico, utilizzando per il pagamento le forme del commercio elettronico. Sono iTunes di Apple, Amazon, Netflix, Hulu, che conquistano ascolti importanti con una remunerazione anticipata, quindi certa. Nel 2015 i grandi mercati televisivi europei sono divisi in quelli in cui gli OTT sono già arrivati (Gran Bretagna, Scandinavia, Paesi Bassi, e più recentemente Germania, Belgio, Francia), scalzando ulteriormente la centralità delle TV, e gli altri dove ancora non sono sbarcati in forze. Tra cui l’Italia.
Bibliografia: M. McLuhan, Understanding media, London 1964 (trad. it. Gli strumenti del comunicare, Milano 1967); F. Fukuyama, The end of history and the last man, New York-Toronto 1992 (trad. it. Milano 1992); Rethinking media change. The aesthetics of transition, ed. D. Thorburn, H. Jenkins, Cambridge (Mass.) 2004; J.-L. Missika, La fin de la télévision, Paris 2006; H. Jenkins, Convergence culture, New York 2007 (trad. it. Milano 2007); A. Nicita, La nuova televisione. Economia, mercato, regole, Bologna 2008; E. Menduni, Televisioni, Bologna 2009; M. Scaglioni, La tv dopo la tv. Il decennio che ha cambiato la televisione:scenario, offerta, pubblico, Milano 2011; Connecting television. La televisione al tempo di Internet, a cura di A. Marinelli, G. Celata, Milano 2012; V. Innocenti, M. Perrotta, Factual, reality, make over. Lo spettacolo della trasformazione nella televisione contemporanea, Roma 2013; E. Menduni, Entertainment. Spettacoli, centri commerciali, talk show, parchi a tema, social network, Bologna 2013.