Temi olimpici: gli impianti sportivi
Data l'importanza attribuita dai greci allo sport, la preparazione atletica dei giovani veniva curata in appositi impianti di allenamento, quali il ginnasio (derivato da gymnòs "nudo") e la palestra (da pàle "lotta"). Le prime gare si disputavano su un semplice spazio piano o spianato artificialmente, come ricorda Omero nel libro XXIII dell'Iliade, descrivendo mirabilmente i giochi funebri organizzati da Achille in onore dell'amico Patroclo. Per molti decenni lo stadio di Olimpia non fu altro che una piana per le corse (dròmos), il cui arrivo era davanti all'altare di Zeus.
Lo stàdion era una misura di lunghezza pari a 600 piedi, variabile da regione a regione secondo la lunghezza del piede adottata: corrispondeva, per es., a 177,60 m in Attica, mentre a Olimpia, dove l'unità di misura secondo la tradizione era il piede di Ercole, arrivava a 192,27 m tra le soglie di partenza e di arrivo. Stadio si chiamò poi non solo la corsa podistica disputata su quella distanza, ma anche l'impianto dove si svolgeva.
La scelta del luogo costituiva la prima operazione progettuale e grande importanza veniva attribuita al rapporto con l'ambiente naturale, utilizzando (come nei teatri) il dislivello del terreno per ricavare le tribune. La costruzione e la natura realizzavano così un insieme fortemente unitario e organico.
Gli stadi sorsero generalmente lontani dall'aggregato urbano, spesso in prossimità di luoghi sacri, come l'Altis a Olimpia, il Tempio di Poseidone a Corinto, i santuari di Apollo a Delfi e di Esculapio a Epidauro. Talvolta furono costruiti presso un ginnasio ai margini del perimetro cittadino (Mileto e Priene, in Asia Minore), sul fondo di una valle lunga e stretta (Atene) o ai piedi di una collina (Delfi). In quest'ultimo caso, per aumentarne la capienza, sul lato opposto vennero anche innalzate delle tribune con terrapieni artificiali.
Si può sommariamente indicare l'epoca di costruzione degli stadi più noti, senza tenere conto delle successive trasformazioni: Delfi ed Epidauro, 5° secolo a.C.; Atene e Corinto, 4° secolo; Delo e Messene, 3° secolo; Mileto e Priene, 2° secolo; Afrodisia e Laodicea, 1° secolo d.C.; Aizani, 2° secolo. Sappiamo anche che lo stadio di Olimpia ebbe tre versioni e alla fine subì uno spostamento di circa 80 m verso nord-est e l'abbassamento del livello della pista, che permise di ricavare tribune naturali sui quattro lati.
La pista era sabbiosa, delimitata trasversalmente da due soglie (a Olimpia sono ancora infisse nel terreno) o tutt'intorno da una zoccolatura (a Delfi) o da un parapetto (ad Atene, dopo il restauro di Erode Attico). I concorrenti e i giudici vi accedevano talora da un ingresso riservato: a Olimpia si può ammirare ciò che resta del sottopassaggio, con volta a botte in pietra, costruito dai romani per collegare la pista con l'Altis; a Epidauro sopravvive una parte del passaggio coperto a volta sotto la tribuna nord.
In alcuni casi la pista era circondata da un canaletto in pietra con piccole vasche (Olimpia, Epidauro, Corinto), che servivano a refrigerare atleti e spettatori esposti al sole cocente. Non va infatti dimenticato che molti giochi si svolgevano in piena estate (il filosofo Talete morì d'insolazione a Olimpia nel 548 a.C.). Nella città sacra dell'Elide il rifornimento idrico fu assicurato solo nel 2° secolo d.C. grazie alla munificenza di Erode Attico. Non pare inverosimile, quindi, la storiella secondo la quale un ricco mugnaio di Chio minacciò un servo sfaticato di portarlo con sé a Olimpia per punizione (Eliano, Varia Historia, XIV, 18).
Elementi caratteristici erano le linee di partenza (àfesis) e di arrivo (tèrma), inizialmente segnate sulla sabbia, ai lati delle quali si trovavano pilastri temporanei o permanenti, di solito su base quadrata. In epoca ellenistica la partenza era individuata con una soglia di pietra (balbìs) su cui erano praticate una (come a Corinto) o due (come a Olimpia, Delfi, Epidauro) scanalature che servivano agli atleti per poggiarvi i piedi, uno davanti all'altro. Alla partenza i concorrenti si disponevano in corsie delimitate da paletti infissi nella soglia, che misuravano circa 1,25 m a Olimpia e 1,75 m a Epidauro: qui i paletti presentavano una scanalatura orizzontale in cui è probabile che passasse una fune tesa di fronte ai concorrenti. Nello stadio di Corinto fu realizzato un ingegnoso meccanismo costituito da traverse di legno, che venivano abbassate al via allentando la corda che le sorreggeva.
A Olimpia non furono mai costruite le tribune e gli spettatori (forse 45.000) si disponevano sul pendio del terreno. Anche se a Epidauro si sono trovati sedili in pietra risalenti al 5° secolo a.C., fino all'epoca ellenistica non si diede molta importanza alla comodità degli spettatori, semplice contorno al rito delle gare e ai suoi protagonisti, considerati autentici semidei.
Priene aveva una sola tribuna di 13 gradini, Mileto due tribune simmetriche, Delfi due tribune collegate da un raccordo di forma semicircolare, denominato sfendòne: quella ai piedi del Parnaso con 12 gradini, l'altra con 6. Ad Atene i gradini erano 46, interrotti a metà da un camminamento detto diàzoma, ad Afrodisia 26, a Laodicea 23, a Mileto 20. A Epidauro le gradinate, tra loro asimmetriche sia per la lunghezza sia per il numero di gradini (19 nella tribuna nord e 14 nella tribuna sud), si concentravano lungo i lati maggiori verso la partenza, che indicava anche l'arrivo del diaulo e del dolico.
I gradini misuravano 36 x 67 cm a Mileto, 34 x 69 cm a Delfi, 36 x 75 cm ad Atene. Il dislivello tra la sommità delle tribune e il piano della pista era di 4,08 m a Delfi (2,04 m dalla sommità della tribuna minore), di 7,20 m a Mileto, di 21 m ad Atene. Gli spettatori prendevano posto grazie a piccole scale di smistamento, che a Delfi erano ricavate a intervalli regolari e dividevano in dodici settori ciascuna tribuna. A Epidauro sulla tribuna nord comparivano delle rampe di accesso non pavimentate larghe 60 cm, che la ripartivano in sei settori, al centro dei quali si apriva un passaggio per l'ingresso degli atleti.
Un discorso a parte meritano le tribune dei giudici (ellanodìkai), che con gli atleti costituivano i personaggi fondamentali dei Giochi; a loro a Olimpia erano riservati gli unici posti in marmo sul lato sud, di fronte all'altare della sacerdotessa di Demetra (l'unica donna che poteva assistere ai Giochi). La cura stilistica della tribuna dei giudici può ritenersi un elemento comune nella tipologia dello stadio, come dimostrano gli esempi di Delfi, Delo ed Epidauro. In origine a Olimpia c'era un solo giudice ma poi divennero dieci con l'aumento delle gare in programma, che fece crescere da uno a cinque giorni la durata dei Giochi.
Per migliorare la visibilità i greci talvolta incurvarono leggermente le tribune sul piano orizzontale (a Olimpia, Atene, Delfi, Priene), dimostrando che non si curavano della prospettiva solo nell'alzato degli edifici.
La prima forma dello stadio consisteva in un rettangolo molto allungato, con una o due tribune sui lati maggiori. In epoca ellenistica le tribune vennero collegate dalla sfendone; nel lato opposto, privo di gradinate, a volte sorgeva un ingresso trionfale. L'evoluzione dello stadio si completò tra il 1° e il 2° secolo d.C. con l'aggiunta della seconda sfendone (Afrodisia, Laodicea). Lo stadio di Laodicea venne addirittura trasformato in un anfiteatro.
In epoca romana gli stadi prescindevano dalla conformazione del terreno: sorsero infatti su spazi pianeggianti, sfruttando le possibilità costruttive offerte dall'arco e dalla volta. Ad Afrodisia, a Messene e ad Atene furono anche costruiti portici sulla sommità delle gradinate. Ad Aizani si ha una situazione particolare: uno stadio a 'U', ossia a ferro di cavallo allungato, chiuso dall'emiciclo di un teatro (addossato a un'altura) la cui cavea trovava corrispondenza nella sfendone opposta, mentre la scena concludeva la pista all'altezza del lato tronco.
I romani non apprezzavano l'agonismo, tanto amato in Grecia. Le critiche, che spesso sfociavano in aperto disprezzo, riguardavano sia l'inutilità pratica di un successo sportivo, sia il pericolo di corruzione dei costumi. I lunghi allenamenti necessari a primeggiare erano quindi ritenuti una perdita di tempo, come anche appariva indecoroso esibirsi nudi in pubblico. Pertanto, il cittadino romano poteva praticare individualmente alcuni sport o esercitarsi collettivamente nella ginnastica militare, ma non cimentarsi nelle arene. Lo sport si trasformò da gara (agòn) in divertimento (ludus) e lo spettacolo venne assicurato da professionisti prezzolati o da schiavi. I romani, insomma, preferirono essere spettatori che protagonisti: questa scelta condizionò il tipo di manifestazioni e, di conseguenza, il luogo dello spettacolo.
Lo stadio di Domiziano a Roma e quello di Pozzuoli sono gli unici esempi in muratura di un modello greco nel mondo romano. Costruito nell'86 a.C. sull'area dell'attuale piazza Navona (che ne conserva la forma), lo stadio di Domiziano misurava 275 m di lunghezza e 106 m di larghezza (l'arena 193 e 50 m) e poteva contenere 30.000 spettatori sulle gradinate che un diàzoma divideva in due parti disuguali. Aveva pianta a ferro di cavallo, con gli ingressi principali al centro della sfendone (porta trionfale) e dei lati lunghi. Le tribune, in cui si aprivano numerosi vomitoria, erano rettilinee e divergevano verso il lato opposto alla sfendone, costituita da un portico non ortogonale all'asse maggiore. Insomma, uno stadio ben diverso da quello greco.
Dall'ippodromo greco derivò il circo romano, dal teatro e dallo stadio a due sfendoni prese spunto la nuova tipologia dell'anfiteatro. Questi avevano forma ellittica (anche se il Castrense a Roma è quasi circolare) e notevole altezza (il Colosseo misurava circa 50 m, con assi di 188 e 156 m) e differivano dagli stadi sia nella forma sia nei concetti ispiratori. Gli stadi dovevano servire più agli atleti che agli spettatori e sorgevano generalmente fuori dalle città, in luoghi collinosi. Ma neppure a Mileto e Priene, dove l'impianto si elevava a contatto del reticolo urbano, esso intaccava la scacchiera degli isolati. Gli anfiteatri, invece, solitamente erano costruiti su un terreno pianeggiante all'interno del tessuto cittadino, con il quale interferivano prepotentemente. Erano in grado di accogliere folle strabocchevoli, assicurando il massimo della comodità allora possibile agli spettatori. All'anfiteatro non si andava per assistere a manifestazioni sportive, che i romani, come abbiamo detto, non amavano, ma a grandi spettacoli di massa, quali i combattimenti dei gladiatori (munera), le cacce (venationes), le battaglie navali (naumachiae).
I romani erano molto attenti ai problemi della visibilità e del deflusso del pubblico. Nell'Anfiteatro Flavio, per esempio, attraverso 80 fornici gli spettatori entravano nell'anello perimetrale al piano terra, costituito da 4 corridoi con volte a botte (ambulacra), raggiungendo quindi le scale di caricamento, da dove giungevano a 160 vomitoria per distribuirsi nei vari ordini di posti preassegnati. Si è calcolato che lo sfollamento del pubblico (stimato in circa 70.000 persone) poteva compiersi in meno di otto minuti.
L'arena, che misurava 76 m di lunghezza e 46 di larghezza, era costituita da un tavolato in legno ricoperto di sabbia. La cavea dal basso in alto si divideva in cinque settori (maeniana), tra loro separati da corridoi (itinera) con parapetti (praecinctiones), che il pubblico occupava in base allo status sociale: i senatori prendevano posto nei gradini più prossimi all'arena (podium), ampiamente sopraelevati e protetti da una recinzione, accomodandosi su sedili di marmo dove era inciso il loro nome; dietro di loro sedevano i cavalieri, quindi le altre classi, in ordine decrescente d'importanza. Nell'ultimo settore, che aveva gradini in legno (maenianum summum in ligneis) coperti da un porticato di 80 colonne marmoree, erano relegate le donne: Augusto le aveva separate dagli uomini per arginare la dilagante immoralità nei luoghi di spettacolo.
Il Colosseo fu praticamente il primo impianto coperto: i tre ordini di arcate, infatti, erano sormontati da una fascia di muro su cui si ancoravano 240 pali lignei a sostegno di un immenso velarium in tessuto azzurro trapunto di stelle, manovrato da una speciale squadra di cento marinai del porto militare di Miseno, che dimorava in una vicina caserma (detta Castra Misenatium).
Dal 1896 fino a oggi lo stadio è sempre stato l'impianto più importante delle Olimpiadi poiché ospita le cerimonie di apertura e di chiusura oltre alle gare di atletica leggera. A lungo, inoltre, ha svolto funzioni polisportive. È indubbiamente un elemento notevole del linguaggio architettonico moderno, un segno a tutti familiare. In una città, infatti, è una struttura di forte riconoscibilità per le dimensioni notevoli e pressoché costanti del campo di calcio e della pista intorno alla quale si sviluppano le tribune. La costruzione di impianti così capienti (80-100.000 spettatori) e così complessi nelle attrezzature e nei servizi, specialmente se destinati a ospitare i Giochi Olimpici, ha spesso indirizzato o condizionato lo sviluppo urbanistico di vasti quartieri, se non addirittura di intere città.
Ogni edizione delle Olimpiadi moderne mostra caratteristiche assai diverse da quella precedente sotto il profilo urbanistico, architettonico e tecnologico. Dallo studio degli elementi di continuità o innovazione emergono alcune considerazioni. Gli impianti sportivi sono sempre stati oggetto di sperimentazione, costruzioni nelle quali la cultura tecnica di ogni epoca ha espresso tutte le sue conoscenze a vantaggio degli atleti (basti pensare ai materiali via via usati per le piste di atletica leggera e di ciclismo) e degli spettatori (comodità, visibilità, sicurezza ecc.). Nonostante l'edificazione di alcuni eccellenti stadi per i Giochi di edizioni precedenti, solo nel 1936 sorsero grandi e numerosi impianti sportivi, in massima parte concentrati nella stessa area. Si creò così quella Città Olimpica all'epoca tanto auspicata. Nel dopoguerra le città organizzatrici cominciarono a considerare i Giochi come occasione per un riassetto urbanistico attraverso l'inserimento di strutture e infrastrutture moderne. Si pensi all'area di Parc de Mar a Barcellona o all'Homebush Bay a Sydney. Con il passare degli anni si è accresciuto notevolmente il problema dei trasporti e dei parcheggi per le automobili, che ha costituito uno degli elementi cardine della progettazione dei grandi impianti sportivi (a Montreal e Seul furono interrati).
Il più celebre stadio a 'U' dell'antichità fu il Panatenaico di Atene, edificato nel 4° sec. a.C. dal famoso oratore Licurgo, che ricoprì le più alte cariche cittadine e fece costruire importanti edifici. Nel 2° secolo d.C. Erode Attico gli diede forma monumentale, portandone la capienza a 50.000 spettatori con stupende tribune in marmo pentelico. Gli assi esterni misuravano 255 e 131 m, quelli interni 204,70 e 33,36 m. Le gradinate (diazòmata) erano divise a metà da un corridoio largo 3 m, raggiungibile sia da un altro camminamento a livello della pista, sia dall'esterno, grazie a due scale addossate ai muri di sostegno sul lato d'ingresso. In ciascuna delle due gradinate delle piccole scale delimitavano 30 settori, di cui 6 a cuneo (kerkìdes). La prima e l'ultima fila della gradinata inferiore e la prima di quella superiore avevano posti d'onore con schienale. Ognuno dei 46 gradini misurava 36 cm di altezza e 75 di profondità, tranne quello più in alto, largo 107 cm per consentire il passaggio alle spalle degli spettatori. La parte alta della sfendone era coronata da un porticato dorico e forse un altro porticato ornava l'ingresso dello stadio.
Per l'Olimpiade del 1896 il ricco mercante epirota Georgios Averof fece ricostruire a sue spese il Panatenaico, affidato alle cure dell'architetto Anastasios Metaxas, membro del Comitato organizzatore e concorrente lui stesso nel tiro. Nel progetto di Metaxas compariva persino il portico nella sfendone, che non fu però realizzato. Con la sua munificenza Averof si guadagnò l'eterna riconoscenza dei greci e una statua all'esterno dello stadio, inaugurata alla vigilia dei Giochi.
Le cerimonie di apertura e di chiusura (il 6 e il 15 aprile), nonché la maggior parte delle gare, ebbero luogo proprio nel Panatenaico (oltre all'atletica leggera, anche ginnastica, lotta e sollevamento pesi); il ciclismo su pista si disputò nel nuovo velodromo di Falero, il tiro a segno nel nuovo padiglione a Kallithea, il nuoto nella baia di Zea, il tennis presso il Tempio di Giove Olimpico, la scherma nello Zappeion o Palazzo delle Esposizioni, sorto grazie al lascito di Evangelos Zappas, un ricco uomo d'affari che aveva invano tentato di resuscitare le Olimpiadi.
Fu dunque lo Zappeion il primo edificio che ospitò le gare al coperto durante i Giochi. Si legge nel rapporto ufficiale (in greco e in francese): "Al centro della grande sala circolare si era innalzata una pedana; nella galleria che sormonta il colonnato aveva preso posto la banda musicale di una delle società filarmoniche; tutt'intorno alla pedana erano collocate le sedie degli spettatori".
Nel 1906, in occasione dei cosiddetti 'Giochi intermedi', all'ingresso del Panatenaico fu costruito un portico di colonne corinzie. Nel 1911, dichiaratamente ispirato al Panatenaico, sorse a Roma lo Stadio Nazionale in via Flaminia (per opera dell'architetto Marcello Piacentini e dell'ingegner Angelo Guazzaroni, con la collaborazione dello scultore Vito Pardo), che fu ristrutturato in epoca fascista (sempre da Piacentini e Guazzaroni) e inaugurato il 25 marzo 1928 con la partita di calcio Italia-Ungheria. Venne demolito in occasione della Olimpiade del 1960.
Negli anni Venti la pianta a ferro di cavallo fu adottata dagli stadi di Chicago, Filadelfia e Los Angeles, ma dilatandone le dimensioni e perciò utilizzando i pratici vomitori per distribuire il pubblico sulle gradinate. Nel gigantesco Soldiers Field di Chicago, che disponeva di 150.000 posti, vennero trionfalmente accolti i trasvolatori di Italo Balbo la sera del 16 luglio 1933. Va anche segnalato che su parte delle tribune del Soldiers Field a Chicago vennero innalzati dei colonnati in stile dorico, che riportano alla mente sia quelli nella sfendone del Panatenaico, sia quelli realizzati, con altri stili, ad Afrodisia e nel Colosseo.
Nel 1900 non si costruirono nuovi impianti per un'Olimpiade in sordina, schiacciata dall'Exposition Universelle. L'atletica leggera si disputò sul terreno del Racing club de France al Pré Catelan nel Bois de Boulogne ("Pista buona per un picnic, non per correre", si lagnarono gli americani), la ginnastica al Bois de Vincennes, il tennis nell'Île de Puteaux, il nuoto nella Senna ingombra di detriti, l'equitazione in avenue de Breteuil (non lontano dalla Torre Eiffel), chiusa al traffico per l'occasione, e poco mancò che le gare ciclistiche si corressero sulla pista di un circo equestre. Per fortuna intervenne Henri Desgrange, fondatore e direttore del giornale L'Auto (e tre anni più tardi patron del primo Tour de France), che mise la pista del Parco dei Principi a disposizione di de Coubertin. La scherma trovò ospitalità nel Palazzo delle Esposizioni alle Tuileries, risultando così, per la seconda volta, l'unica disciplina disputata al coperto.
La III Olimpiade, in un primo tempo assegnata a Chicago, si svolse a St. Louis in occasione della Louisiana purchase exposition, che fagocitò la manifestazione sportiva, sprofondandola spesso nel ridicolo, sempre nell'improvvisazione, in un clima da chiassosa festa paesana. Secondo il programma stampato dal Department of physical culture, per i Giochi furono costruiti uno stadio con 25.000 posti e una palestra di notevoli dimensioni. Secondo diversi autori, invece, gli impianti lasciarono molto a desiderare: l'atletica leggera si disputò nello stadio della locale università, che era piccolo e privo di spogliatoi (tanto che gli atleti erano costretti a cambiarsi in pubblico), e le gare di nuoto nel laghetto artificiale dell'Esposizione, uno sporchissimo specchio d'acqua in cui i concorrenti non volevano tuffarsi.
Deluso dagli insuccessi di Parigi e St. Louis, de Coubertin voleva assegnare la IV Olimpiade a una città che restituisse ai Giochi il prestigio perduto. Questa volta la fortuna parve venirgli in soccorso, visto che proprio Roma presentò la candidatura per il 1908. La domanda fu accolta all'unanimità dal CIO grazie ai buoni uffici del conte Eugenio Brunetta d'Usseaux e all'appoggio entusiastico di de Coubertin, che volle venire a Roma per patrocinare personalmente la proposta. Durante il suo soggiorno nel febbraio-marzo 1905, il barone individuò le aree e i fabbricati più adatti allo svolgimento delle gare: le Terme di Caracalla per la lotta e la scherma, il Tevere tra ponte Milvio e ponte Margherita per il canottaggio e il nuoto, Tor di Quinto per l'equitazione, la piazza d'Armi per la ginnastica, piazza di Siena (su suggerimento del re) per l'atletica leggera. Il Campidoglio avrebbe ospitato le cerimonie. La prospettiva di accogliere l'Olimpiade fece nascere anche iniziative quantomeno eccentriche: un imprenditore propose addirittura "di riedificare a sue spese il Colosseo con legnami, cartoni e tele, senza danneggiarlo, per eseguirvi le gare atletiche" (Nuova Antologia, 805, 1° luglio 1905). Nonostante l'interessamento del re in persona, ben presto affiorarono gelosie da parte di Milano e Torino, che offrirono un ottimo pretesto al governo Giolitti per disinteressarsene, confermando l'indifferenza se non addirittura l'ostilità dei politici italiani di quel tempo verso lo sport. Il no del governo, naturalmente, venne subito imitato dalla provincia e dal comune. Senza autorevoli appoggi e larghi finanziamenti apparve evidente l'impossibilità di allestire una degna manifestazione e pertanto, durante la sessione del CIO svoltasi in Atene nel 1906, Roma dovette malinconicamente rinunciare ai Giochi, che furono assegnati a Londra.
A partire dall'edizione londinese, grazie al progressivo sviluppo dello sport, gli impianti divennero meno precari, incidendo in maniera sempre più significativa sull'assetto urbanistico delle città ospitanti.
Come nell'antichità, lo stadio assunse il ruolo di elemento primario dei Giochi. La sua forma dipendeva molto dalla lunghezza della pista di atletica, che oscillava tra i 400 e i 500 m (addirittura 600 m negli stadi di Berlino del 1913 e di Barcellona del 1929), dal campo di calcio, ma soprattutto dalla contemporanea presenza della pista ciclistica. Nello Stadium torinese del 1911 fu inserito anche un percorso ippico, che dilatò a dismisura le dimensioni dell'impianto. La necessità di prevedere numerose piste portava alla costruzione di impianti giganteschi, con la conseguenza di una pessima visibilità per gli spettatori, anche perché le tribune si distendevano parallele anziché incurvarsi, allontanandosi lungo l'asse minore.
Il White City stadium, nel quale re Edoardo VII inaugurò il 13 luglio 1908 i Giochi della IV Olimpiade, fu un classico esempio di queste carenze. Sorto nel quartiere Shepherd's Bush, disponeva di 100.000 posti, con ambedue le tribune coperte da tettoie a due falde. Con la sua struttura in acciaio, sulla scia aperta dal Crystal Palace di Joseph Paxton, rinunciava a qualunque elemento decorativo. Conteneva il campo di calcio, una pista podistica in carbonella e una ciclistica in cemento, nonché una piscina di 100 x 17 m. Nello stadio si disputarono dunque moltissime delle gare in programma: atletica leggera, calcio, ciclismo, nuoto, ginnastica, lotta, rugby, hockey e tiro con l'arco. All'aperto si svolsero anche le gare di scherma (al Fencing Ground, adiacente allo stadio), di polo (a Hurlingham) e alcune di tennis (All England club a Wimbledon), mentre si tennero al coperto le gare di pattinaggio su ghiaccio (Prince's skating rink), di pugilato (Northampton Institute) e altre di tennis (Queen's Club a West Kensington). Le competizioni di tiro ebbero luogo a Bisley e quelle di canottaggio a Henley.
La V Olimpiade si disputò a Stoccolma in un clima raccolto e suggestivo e riscosse un tale successo da venire definita 'l'Olimpiade perfetta'. Per l'occasione l'architetto Torben Grut (1871-1945) costruì, sulla Valhallavägen, uno stadio in stile medievale, che disponeva di appena 25-30.000 posti, in voluto contrasto con il White City di Londra, dal quale si discostava anche per l'assenza della piscina e della pista ciclistica. Il 6 luglio il re Gustavo V di Svezia vi inaugurò ufficialmente i Giochi. La struttura portante dello stadio era in cemento armato, i muri in mattoni e granito, con due grandi torri a nord (su una di esse spiccava una meridiana in ferro battuto). L'ingresso principale si apriva nella sfendone, tra due torri di guardia ottagonali. In pianta ricordava uno stadio a 'U', ma il lato nord era chiuso da una tribuna leggermente curva, incastrata tra le torri, con una porta nel mezzo, in asse con l'ingresso principale. Nel progetto la tribuna si concludeva con un portico simile a quello che nel 1923 costituì l'ingresso del Los Angeles Memorial Coliseum. L'antica idea di porticati in cima alle tribune (come nel Colosseo e negli stadi di Afrodisia e di Atene) fu attuata nel già citato Stadium di Torino, inaugurato in occasione dei festeggiamenti per il cinquantenario dell'Unità d'Italia, e nello stadio di Anversa, ma solo in stucco. Nelle tribune a ferro di cavallo si aprivano 12 vomitori, che immettevano il pubblico in un camminamento centrale attraverso il quale poteva distribuirsi negli spalti. La copertura, che proteggeva tutti i posti a sedere, e le relative colonne di sostegno erano in legno di pino. Figure di granito decoravano la parete perimetrale dello stadio. La pista di atletica (383 m) fu opera del britannico Charles Perry.
Le gare di atletica leggera, di ginnastica, di lotta, di equitazione e di tiro alla fune si svolsero nello stadio; quelle di tennis e di scherma nei campi dell'Östermalm athletic ground; quelle di nuoto, di tuffi, di pallanuoto e di canottaggio nel bacino del Djurgarden Park; quelle di calcio nei campi di Rasunda e Traneberg.
Lo stadio di Stoccolma nel 1956 ha ospitato le gare equestri della XVI Olimpiade. Dopo il Panatenaico di Atene è il più vecchio Stadio Olimpico ancora esistente.
L'Olimpiade del 1916, che non ebbe luogo per via della guerra, era stata assegnata a Berlino e i tedeschi si erano organizzati al meglio, sia nella preparazione degli atleti, sia nella dotazione d'impianti: l'8 giugno 1913, alla presenza dell'imperatore Guglielmo II, presso la pineta di Grünewald fu inaugurato il Deutsche Stadion, opera dell'architetto Otto March (1845-1913).
Lo stadio in granito, discostandosi nettamente dalla forma utilitaristica del White City e da quella romantica dello stadio di Stoccolma, segnava un ritorno al classicismo, marcato dal pulvinare a sud e dalle statue che coronavano la tribuna della piscina a nord. L'asse maggiore misurava 295 m, il minore 115 m. Conteneva un campo di calcio di 100 x 70 m, una piscina di 100 x 20 m, che interrompeva l'anello degli spalti, una pista ciclistica in cemento di 669 m, una pista podistica in carbone lunga 600 m e larga 7,50, un rettilineo, interno alla pista podistica, di 110 m per le corse a ostacoli. Le tribune, eccettuato il pulvinare, erano scoperte: fu la sola volta tra il 1908 e il 1928.
La VII Olimpiade si disputò ad Anversa, gravemente danneggiata durante il conflitto, e per l'occasione il Comitato organizzatore (presieduto dal conte Henri de Baillet-Latour, che nel 1925 sostituì de Coubertin alla guida del CIO) decise di utilizzare lo stadio del Beerschot athletic club, affidandone la sistemazione agli architetti Montigny e Somers, di Anversa. Fernand de Montigny (1885-1974) vinse una medaglia di bronzo nell'hockey su prato, ma fu soprattutto nella scherma che ottenne buoni risultati: con la squadra belga conquistò medaglie nel 1908, 1912 e 1924. I progettisti inserirono alcuni elementi decorativi a carattere temporaneo, costruiti in stucco: la porta d'ingresso, la porta di Maratona e i colonnati sul bordo alto delle curve. I lavori vennero eseguiti dalla ditta londinese Humphreys & C. e la pista in cenere fu realizzata dallo specialista inglese Perry, già autore di quella di Stoccolma. Nello stadio si tennero sia le cerimonie di apertura e di chiusura (il 14 agosto e il 12 settembre), sia le gare di atletica leggera, calcio, rugby, ginnastica, tiro alla fune.
Fu costruita una nuova piscina all'estremità del viale Van Rijswijck, ma aveva l'acqua così fredda che suscitò le vibrate proteste di nuotatori, pallanuotisti e tuffatori. Le gare di lotta e pugilato si disputarono nella grande Sala di zoologia, quelle di ciclismo al velodromo della città giardino di Wilrijck, quelle di tiro sul campo militare di Beverloo, messo a disposizione dal Ministero della Difesa nazionale, quelle equestri e il tiro al piccione d'argilla al Country club di Hoogboom, quelle di canottaggio sul canale di Willebroeck a Bruxelles, quelle di polo e di vela a Ostenda, quelle di calcio ad Anversa, Bruxelles e Gand. Le gare di scherma, che fu impossibile disputare all'aperto per il maltempo, vennero trasferite su sei piste in linoleum nella Halle des Floralies.
Nel programma figuravano il pattinaggio (già nel programma di Londra) e, per la prima volta, l'hockey su ghiaccio, gare che si disputarono in aprile al Palais de Glace: un preludio alle Olimpiadi invernali, che videro la luce quattro anni dopo, a Chamonix.
L'VIII Olimpiade, nel trentesimo anniversario della rinascita dei Giochi, si disputò a Parigi per la seconda volta, dopo la disastrosa edizione del 1900: a sostenere apertamente la candidatura fu proprio de Coubertin, ormai prossimo a lasciare la presidenza del CIO. In un primo tempo, confidando su consistenti finanziamenti pubblici (20 milioni dal governo e 10 milioni dal municipio), si bandì un concorso per il progetto di una Città Olimpica che disponesse di uno stadio da 100.000 posti per l'atletica leggera, di stadi per il nuoto e per il tennis, ciascuno con 15.000 posti, e di un'arena da 5000 posti per gli sport da combattimento. Sotto le gradinate dello stadio principale s'ipotizzò di sistemare una foresteria con 2000 camere per gli atleti (una proposta simile ‒ ma le camere erano 600 ‒ fu avanzata anche per lo Stadio Nazionale di Roma, nel 1928).
Ridottisi drasticamente i finanziamenti, fu sottoscritta una convenzione con il Racing club. Così, sul terreno del vecchio ippodromo di Colombes, venne costruito uno stadio da 60.000 posti, di cui 20.000 a sedere, con le tribune parzialmente coperte da due tettoie di lamiere ondulate. Fu progettato dall'architetto Louis Faure-Dujarric (1877-1943), capitano della squadra di rugby del Racing e vincitore del concorso per la Città Olimpica. Accanto allo stadio si trovavano il terreno di allenamento, gli impianti per il nuoto e per il tennis, oltre a una specie di villaggio olimpico con casette in legno.
Atletica leggera, calcio, rugby e ginnastica si disputarono nello stadio di Colombes; il tennis (poi estromesso dalle Olimpiadi) nell'apposito impianto a Colombes; il nuoto alla nuova piscina scoperta delle Tourelles (per la prima volta in una vasca di 50 m e con l'uso delle corsie); il canottaggio nel bacino di Argenteuil; il ciclismo nel velodromo municipale di Vincennes; l'equitazione nell'ippodromo di Auteuil. La scherma, il pugilato, la lotta e la pesistica furono ospitati dal Vélodrome d'hiver (Vél d'hiv), aperto il 13 febbraio 1910, che aveva una pista in legno d'abete di 250 m, con curve inclinate di 40°, soprannominate le 'falesie'. Ebbe funzioni polisportive (dal 1931 accolse il pattinaggio e l'hockey su ghiaccio) e fu anche luogo di riunioni e spettacoli. Venne demolito nel 1959. I vél d'hiv possono essere considerati gli antenati dei palazzi dello sport, anche per il gran numero di spettatori attratti da manifestazioni come le 'Sei giorni' (a Berlino ebbero inizio nel 1908, a Parigi nel 1913). Nel settembre 1929 La Gazzetta dello Sport pubblicò l'elenco dei sedici velodromi d'inverno esistenti in Europa: Parigi, Marsiglia, Nizza e Saint-Etienne in Francia; Basilea in Svizzera; Bruxelles e Gand in Belgio; Amburgo, Berlino, Breslavia (oggi Wroclaw, in Polonia), Colonia, Dortmund, Dresda, Francoforte, Münster e Stoccarda in Germania.
Per la IX Olimpiade, scartata dal CIO la possibilità di utilizzare per i Giochi il vecchio stadio di Amsterdam, dotato del campo di calcio ma privo della pista di atletica e con una pista ciclistica mobile il cui impiego riduceva la capienza da 29.000 a 17.000 spettatori, il progetto della Città Olimpica venne affidato all'architetto olandese Jan Wils (1891-1972) e per realizzarlo furono bonificati 16 ettari di terreno paludoso a sud di Amsterdam. L'area, offerta gratuitamente dal municipio nei pressi del vecchio stadio, era racchiusa in un'ansa dell'Amstelkanaal. Con il progetto dello Stadio Olimpico, tra l'altro, Wils vinse il Concorso d'arte del 1928 nella sezione Architettura. Le sue indubbie capacità gli valsero inoltre la nomina a membro della giuria artistica nel 1936 e 1948.
Il nuovo stadio in cemento armato aveva una capienza di oltre 40.000 spettatori, di cui 16.000 seduti, con campo di calcio (104 x 70 m) e piste per l'atletica leggera (lunga 400 m e larga 8) e il ciclismo (lunga 500 m e larga 9). Ambedue le tribune erano coperte e i sedili in legno erano fissati nel cemento con barre di ferro. Lo stadio fu rivestito di mattoni e le pareti interne con lastre di pietra delle Ardenne. Uffici e servizi vennero collocati sotto la tribuna Maratona, prossima all'ingresso principale e opposta alla tribuna d'onore, e i punti di ristoro sotto le curve. Di fronte all'ingresso principale si trovava la Torre di Maratona, su cui vennero installati gli altoparlanti.
Tra il nuovo stadio e il vecchio, perpendicolari tra loro, erano collocati i padiglioni provvisori a struttura metallica per gli sport da combattimento: quello per il pugilato e la lotta aveva 2840 posti a sedere e 1800 in piedi (le pareti erano in muratura, rivestite di legno trattato), quello per la scherma conteneva 8 pedane di 19 x 2 m (le pareti erano quasi completamente vetrate). Sono questi, dunque, i primi impianti coperti costruiti appositamente per le Olimpiadi.
A nord, oltre l'Amstelkanaal, fu eretto uno Stadio del nuoto per 6000 spettatori, con una vasca in cemento armato di 50 x 18 m, demolito dopo i Giochi. Nell'area tra l'Amstelkanaal e lo Stadio Olimpico dovevano sorgere lo Stadio del tennis e il padiglione per l'Esposizione di arte, come aveva espressamente richiesto de Coubertin: il primo non fu costruito per l'esclusione del tennis dai Giochi, il secondo per l'eccessivo costo. Le gare di canottaggio si disputarono in un bacino ricavato nel canale di Sloten, a circa 7 km da Amsterdam. Nei pressi dello stadio era previsto persino un villaggio olimpico, che non poté tuttavia realizzarsi, e lo spazio relativo venne destinato al parcheggio delle auto.
La X Olimpiade si disputò a Los Angeles e gli impianti, nonostante la terribile crisi del 1929, furono i più grandi e funzionali che mai avessero ospitato i Giochi. In buona parte si concentravano nell'Olympic Park (nel solco della Città Olimpica di Parigi e di Amsterdam). Accanto al Memorial Coliseum fu costruito lo Swimming Stadium (10.000 posti a sedere). Le gare di scherma si disputarono allo State Armory (1800 posti a sedere), sede del 160° Infantry-California national guard, presso l'Exposition Building.
La capienza del Coliseum, classicheggiante opera degli architetti John e Donald Parkinson (ultimata nel 1923), era di 75.000 spettatori. Tipico stadio a bowl, ossia con il campo di gioco più in basso del terreno all'esterno, aveva due anelli di gradinate: uno sotto il piano di campagna, l'altro appoggiato alla collinetta circostante, ottenuta con il terreno di riporto. Il pubblico giungeva alle gradinate, completamente scoperte, attraverso i vomitori posti alla sommità di ciascun anello. Tutti i servizi, spogliatoi compresi, erano esterni allo stadio e gli atleti entravano nella pista direttamente da un sottopassaggio. In vista dei Giochi si ampliò la capienza a 105.000 spettatori aggiungendo un altro girone di gradinate, retto da pilastri, al quale si poteva risalire dai vomitori del secondo anello, in cima alla collinetta artificiale.
Il tripode era posto alla sommità del portale d'ingresso, parte emergente di un curvo porticato con archi a tutto sesto, privo di motivi ornamentali. Il prospetto 'trionfale', tipico degli stadi a ferro di cavallo, risultava però schiacciato dall'innalzamento delle tribune, che compromise i rapporti tra le parti architettoniche. Lo stadio disponeva di una pista in cenere e terra battuta che contribuì al miglioramento di molti primati per la sua eccezionale elasticità. Al Coliseum il vicepresidente degli Stati Uniti Charles Curtis inaugurò i Giochi il 30 luglio. Mezzo secolo più tardi, il Coliseum ospitò le cerimonie di apertura e di chiusura e le gare di atletica leggera della XXIII Olimpiade.
Le gare di lotta, pesistica e pugilato si disputarono all'Olympic Auditorium, costruito nel 1924 (10.000 posti a sedere); quelle di tiro al Los Angeles police pistol range, all'Elysian Park; quelle equestri al Riviera country club (9500 posti a sedere); quelle di canottaggio al nuovo Long Beach marine stadium (5000 posti fissi e 12.000 provvisori); quelle di ciclismo al Pasadena Rose Bowl, uno stadio totalmente privo di copertura, inaugurato il 28 ottobre 1922 (85.000 posti a sedere). Nel 1984 il Rose Bowl fu utilizzato per il torneo olimpico di calcio.
Le Olimpiadi del Terzo Reich si disputarono a Berlino dal 1° al 16 agosto nel segno di un'organizzazione perfetta. Il segnale d'apertura dei Giochi fu dato dai rintocchi di una campana di quasi 14 tonnellate, fusa per l'occasione e posta nella torre, alta 76 m, che dominava l'immenso Campo di Maggio (400 x 300 m). Sulla base era scritto: Ich rufe die Jugend der Welt ("Io chiamo a raccolta i giovani di tutto il mondo").
L'architetto Werner March, figlio del già citato Otto, creò il Reichssportfeld, un complesso di 130 ettari vicino alla pineta di Grünewald, attrezzato con impianti modernissimi e giganteschi (era l'equivalente dell'Olympic Park di Los Angeles, ma molto ampliato). Quel progetto gli valse un primo e un secondo premio ai Concorsi artistici di Berlino, anche se la monumentalità dell'insieme e dello stadio in particolare era dovuta ai 'consigli' del Führer, al quale tutto sembrava "troppo piccolo".
Demolito lo stadio del 1913, Werner e il fratello Walter lavorarono per anni ai progetti del Campo sportivo del Reich, terminati nel 1933. L'avvento di Hitler al potere li rese però inadeguati alla sua megalomania, alle necessità propagandistiche del regime. Rifatti i progetti, forse con l'intervento dell'architetto Albert Speer, sorsero il nuovo Stadio Olimpico, con 100.000 posti (per l'atletica leggera, il calcio, la pallamano), gli stadi del nuoto (18.000 posti) e dell'hockey (20.000 posti), il classico teatro all'aperto Dietrich Eckart per 20.000 spettatori, che ospitò concerti, rappresentazioni teatrali e le gare di ginnastica. Anche il basket, presente per la prima volta nel programma ufficiale, si giocò all'aperto, nello Stadio del tennis (10.000 posti). Non mancavano i campi di allenamento, un ippodromo con tribune per 7000 spettatori, un ristorante, i parcheggi, la stazione della metropolitana. La stazione ferroviaria era vicina all'ingresso sud.
Nella zona nord-est del Reichssportfeld sorgeva la Casa dello sport tedesco, sede delle federazioni sportive, attrezzata con palestre, piscine, biblioteca, foresterie per gli studenti (Friesenhaus). Proprio alla Friesenhaus alloggiò la maggior parte delle atlete iscritte ai Giochi, visto che la vicina Casa delle studentesse poteva accogliere solo 120 ragazze. Alcune gare di scherma si disputarono nella Kuppelsaal, l'unico impianto coperto di tutto il complesso (1500 posti).
A ovest il Maifeld (Campo di Maggio) poteva ospitare 70.000 persone sulle tribune e 250.000 sul tappeto erboso di 12 ettari. In una parte del Maifeld si disputarono le gare di equitazione e di polo. In seguito vi sarebbero confluite le grandi adunate sportive e politiche.
Le gare di pugilato, lotta e pesistica si disputarono alla Deutschlandhalle, il Palazzo dello sport berlinese (nei pressi dell'autodromo dell'Avus), che aveva una capacità di 20.000 posti; quelle di ciclismo sulla pista provvisoriamente costruita nello stadio del Club sportivo berlinese a Charlottenburg, che disponeva di 12.000 posti (di cui 2000 a sedere nella tribuna coperta); quelle di tiro a segno al poligono di Wannsee; quelle di canottaggio e di canoa nel bacino di Grünau; quelle veliche a Kiel, nel porto della marina da guerra tedesca.
L'Olimpiade del 1940 era stata assegnata a Tokyo, che aveva previsto grandi impianti: lo Stadio Olimpico per l'atletica leggera (100.000 posti), lo Stadio del nuoto (28.000 posti), con piscina di 50 x 20 m e vasca per tuffi di 22 x 20 m, e il villaggio olimpico, tutti a Komazawa e nessuno realizzato; lo Stadio del ciclismo a Shibaura, 10.000 posti; lo Stadio di tiro a segno a Murayama; lo Stadio per gli sport equestri a Setagaya; il campo di regate a Toda; il Palazzo dello sport, o Kishi memorial gymnasium, a Kanda (per ginnastica e pallacanestro).
Erano già disponibili gli stadi per l'atletica leggera, il nuoto, il baseball e quello circolare per il sumo nel parco del Tempio di Meiji; lo Stadio del pattinaggio a Shibaura, 60 x 25 m, con 3000 posti, da destinarsi alla scherma; il Kokugi-kan a Honjo, il più grande edificio coperto dell'Estremo Oriente: altezza della cupola 26 m, 17.500 posti, di solito utilizzato per il sumo, ma da destinarsi al pugilato, alla lotta e al sollevamento pesi.
Merita un cenno a parte il Kishi memorial gymnasium (intitolato al defunto Seiichi Kishi, membro del CIO), che doveva essere il primo Palazzo dello sport utilizzato in un'Olimpiade. Si componeva di un edificio di 6 piani (uno interrato) per uffici con facciata curva di 60 m e profonda 10 m. Alle sue spalle l'edificio per le manifestazioni (83 x 49 m, con arena di 63 x 29 m), cui era addossata trasversalmente la piscina coperta (58 x 28 m, con vasca di 50 x 13 m).
Duramente impegnato nella guerra con la Cina, nel luglio 1938 il Giappone dovette rinunciare ai Giochi, che vennero assegnati a Helsinki, a sua volta costretta a rinunciare in seguito all'aggressione sovietica della Finlandia e allo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Roma avrebbe dovuto ospitare i Giochi del 1944. Per promuovere la candidatura, nel maggio 1939 fu pubblicato l'opuscolo Roma Olimpiaca, a cura del CONI e dell'ENIT. Nell'area posta tra il Tevere, la via Flaminia, viale dei Parioli e Villa Glori, accanto allo Stadio Nazionale, l'opuscolo ubicava il velodromo ("esatta riproduzione della famosa pista del 'Vigorelli' di Milano") e il Palazzo dello sport, con diametro di 150 m e capienza di 20.000 spettatori. Avrebbe ospitato le gare di scherma, pugilato, lotta, sollevamento pesi, pallacanestro, tennis e hockey.
Un'apposita commissione del CONI all'inizio del 1940 contestava "il vecchio concetto della Città Olimpica", ritenendo "veramente dubbia l'utilità di un simile accentramento". Nella relazione si legge: "Un nuovo concetto ci ha guidato nell'ubicazione dei grandi teatri dello sport, quello di dividerli in due gruppi principali situati alle estremità del maggior asse cittadino a guisa di due poli: uno a nord, che ha per centro lo Stadio Olimpico del Foro Mussolini, ed uno a sud, presso l'E42 [l'attuale EUR], che ha per centro il Palazzo dello sport". Seguiva un ambizioso programma di costruzioni e sistemazioni, che la guerra interruppe, ma che l'Italia repubblicana portò a termine, almeno nelle linee essenziali, in occasione della XVII Olimpiade.
Il 29 ottobre 1941 fu presentato a Mussolini il Piano regolatore del Ventennale (variante al piano del 1931), che non divenne mai operativo per le incombenti vicende belliche. Sottolineato che la via Olimpica e il viadotto di corso Francia, aperti in occasione dei Giochi del 1960, ricalcarono analoghi tracciati della Variante, c'interessa osservare che i progettisti concentravano nuovamente gli impianti sportivi a nord, cancellando le proposte della commissione del CONI. Il rapido precipitare degli eventi pose fine a ogni controversia urbanistica.
I Palazzi dello sport. - Quando de Coubertin decise di ridare vita ai Giochi Olimpici, gli spazi coperti necessari alla pratica sportiva furono ricavati in un primo tempo nei caffè, nei teatri, negli impianti espositivi provvisoriamente adattati. Poi, con il crescere dell'entusiasmo popolare per alcune discipline e con lo sfruttamento dei successi sportivi ai fini della propaganda politica, vennero costruiti edifici monumentali consistenti in una grande sala centrale con circostanti tribune per il pubblico. Più tardi al cosiddetto Palazzo dello sport si richiese meno valore simbolico e più funzionalità, per poter essere utilizzato contemporaneamente da più discipline o per manifestazioni non sportive.
Nell'aprile 1923 fu inaugurato alla Fiera di Milano il primo Palazzo dello sport d'Italia, che poteva ospitare 18.000 spettatori, dotato anche di una pista ciclistica larga 6,50 m e lunga 200 m alla corda (architetto Paolo Vietti Violi). Inoltre, grazie all'industriale Innocente Mangili e al conte Alberto Bonacossa, il 28 dicembre 1923 nel capoluogo lombardo si inaugurò il Palazzo del Ghiaccio (ingegnere Sandro Carnelli). Con i suoi 1800 m2 di pista, notava La Gazzetta dello Sport, era il quarto impianto del mondo dopo l'Eispalast di Berlino (1900 m2), l'Elyseum di Cleveland (1870 m2) e l'Arena di Boston (1850 m2).
A Roma nel 1926 si costituì un comitato, presieduto da Dario Beni, per la costruzione di un Palazzo dello sport. Il progetto venne affidato all'architetto romano Armando Brasini (1880-1965) che su un'area di 11.000 m2 ipotizzò un'arena centrale con una pista podistica e una ciclistica, oltre alla piscina con un trampolino per i tuffi, un campo di tennis, una pista di pattinaggio, due pedane per il pugilato e per la lotta, due per la scherma, due campi di bocce e palestre per le varie discipline. Nell'impianto avrebbero trovato posto 20.000 spettatori. Ma il progetto non fu realizzato.
Nel gennaio 1927 venne reso noto il risultato del concorso per le Terme Littorie di Roma, bandito nel gennaio 1926 dalla Rivista illustrata del popolo d'Italia: risultò vincitore l'architetto Duilio Torres di Venezia, davanti a Oscar Prati di Roma. Alcuni edifici dei complessi termali presentavano tutte le caratteristiche di un Palazzo dello sport. Uno dei partecipanti a questo concorso, l'architetto Ottorino Aloisio di Udine, modificato drasticamente il suo progetto, lo trasformò in una Università degli sport. Scriveva Lo Sport Fascista nel luglio 1928: "Questo fantastico edificio dell'avvenire è pur robustamente impostato sui piloni solidissimi, sui massicci contrafforti, sulle arcate gigantesche. Certe inclinazioni dei piani di facciata per la distribuzione della luce danno la sensazione di rovesciati pinnacoli di cattedrale". L'articolo si concludeva con un irriverente accostamento al Piranesi delle Prigioni. Torres, Prati e Aloisio rappresentarono l'Italia all'Olimpiade dell'Arte di Amsterdam nella sezione Architettura.
Nel 1929 si era inaugurato il Palazzo dello sport di St. Louis, degli architetti Kiewitt e Sohrmann, costruito in dieci mesi con i fondi della locale Camera di commercio e destinato a congressi, esposizioni e attività sportive, ma non al ciclismo: negli Stati Uniti le due ruote non suscitavano entusiasmo come in Europa. Il padiglione, a struttura mista (acciaio e cemento armato), misurava 143 x 83 m, con un'altezza massima di 40 m. Sulle gradinate in cemento armato s'innestavano 20 grandi mensole in acciaio da 18 tonnellate ciascuna, che sorreggevano la copertura di coronamento in legno a costolature incrociate (100 x 50 m). Le gradinate avevano uno sviluppo costante, penalizzando così i posti in curva. La capacità era di 11.700 spettatori seduti più 1100 nelle logge terminali, ma si poteva arrivare a 21.000 spettatori durante gli incontri di pugilato, aggiungendo posti nell'arena (82 x 33 m), il cui livello si trovava oltre tre metri sotto il piano di campagna.
Il Palazzo dello sport di Zurigo fu realizzato nel 1938 dall'architetto Karl Egender: aveva una copertura, interamente in acciaio, retta da quattro travi a traliccio alte 11 m, che poggiavano su altrettanti piloni, anch'essi in acciaio, ai vertici di un rettangolo di 92 x 56 m. Per ridurre il volume da riscaldare si realizzò (e fu, probabilmente, la prima volta) una doppia soffittatura, entro la quale vennero collocati i mezzi di aerazione, illuminazione e riscaldamento. Il soffitto più basso, a 18 m dal campo di gioco, lasciava in vista la metà inferiore delle travature. La superficie coperta misurava 12.000 m2, l'arena vera e propria, destinata al pattinaggio, misurava 75 x 35 m. Le gradinate in cemento potevano ospitare 11.000 spettatori e si sviluppavano intorno a una pista ciclistica in legno, smontabile, di 250 m alla corda. La forma irregolare delle gradinate era determinata dall'eliminazione dei posti con scarsa visibilità, corrispondenti alle curve della pista.
Nel dopoguerra furono costruiti molti palazzi dello sport in tutto il mondo. Nel 1952 venne bandito un importante concorso internazionale per il Centro sportivo di Vienna. Tra i 14 progetti presentati (parteciparono anche l'ingegner Nervi e l'architetto Egender), la giuria assegnò il primo premio a quelli di Alvar Aalto e di Roland Rainer, che fu incaricato dell'esecuzione. Il complesso venne ultimato nel 1959.
Tra il 1950 e il 1954, per iniziativa del CONI, sorse il Palazzo dello sport di Bologna (ingegneri Roccatelli, Valle, Berti, Allegra e Albenga). Come importanti esempi stranieri degli anni Cinquanta citiamo soltanto i Palasport di Dortmund, ricostruito nel 1951 (architetto Walter Holtje), di Brema (architetto Roland Rainer, 1955), di Shizuoka (architetti Kenzo Tange e Yoshikatsu Tsuboi, 1957) e di Yale (architetto Eero Saarinen, 1958).
Stadi polifunzionali. - Il White City stadium di Londra conteneva il campo di calcio, la piscina, la pista podistica e ciclistica, come il Deutsche Stadion di Berlino, costruito per l'Olimpiade del 1916. Il gigantesco Stadium inaugurato a Torino il 29 aprile 1911 (architetto Carlo Ceppi, con la collaborazione degli ingegneri Ballatore di Rosana e Gonella) e demolito nel 1937, oltre al campo di calcio e alla piscina comprendeva addirittura tre piste: podistica, ciclistica e ippica. Per avere un metro di paragone basti pensare che i suoi assi misuravano 390 e 220 m, mentre quelli dello Stadio Olimpico di Roma, costruito quarant'anni dopo, misuravano 319 e 186 m. In quell'epoca, insomma, si cercò la massima polifunzionalità dell'impianto, ma ciò andava ovviamente a scapito della migliore fruibilità dei singoli sport. A poco a poco la tendenza s'invertì: piscina e pista ciclistica scomparvero negli stadi olimpici di Stoccolma, Anversa e Parigi. Lo stadio di Amsterdam, invece, fu dotato nuovamente della pista ciclistica poiché si voleva concentrare tutti gli impianti principali in un unico complesso, la cosiddetta Città Olimpica, ma mancava lo spazio per il velodromo.
Un Parco degli sport sorse nel 1927 a Francoforte e sempre in Germania prese corpo il più imponente tra i centri olimpici, il Reichssportfeld, realizzato a Berlino in occasione delle Olimpiadi del 1936. Un vero gioiello, che comprendeva lo Stadio Olimpico, gli stadi del nuoto, del tennis e dell'hockey, il grande teatro all'aperto, diversi impianti minori, la Casa dello sport tedesco e l'immenso Campo di Maggio, al quale probabilmente s'ispirò l'architetto Luigi Moretti nel progettare l'Arengo della Nazione al Foro Mussolini.
A quest'idea di concentrare gli impianti sportivi in complessi unitari risponde, per esempio, il progetto per la realizzazione di un quartiere marino nella zona di bonifica Fregene-Maccarese, elaborato nel 1923 dall'architetto Dario Carbone (cui si deve la Galleria Colonna a Roma). "Fra tutte le capitali ‒ sottolineava Carbone ‒ Roma presenta questo singolare e triste privilegio di non possedere nessuna di quelle grandi organizzazioni sportive che formano l'orgoglio dei maggiori centri civili". Il suo centro polisportivo prevedeva aerodromo, circuito automobilistico, motovelodromo, ippodromo, pista podistica, tiro a segno, palazzo del ghiaccio, sale per ginnastica e scherma, campi sportivi per ogni disciplina. I canali navigabili, larghi 100 m, sarebbero serviti per canottaggio, motonautica e nuoto.
Capienza e visibilità. - Un problema di grande importanza è sempre stato quello di conciliare una notevole capienza, ossia molte gradinate, con una buona visibilità, ossia una distanza non eccessiva dal campo di gioco. Si hanno favorevoli condizioni di visibilità sul piano verticale quando il raggio che unisce l'occhio di qualsiasi spettatore con il punto da osservare non incontra ostacoli. Le gradinate non dovrebbero pertanto seguire un'inclinata rettilinea, ma la cosiddetta 'curva di visibilità', determinata dal rapporto di altezza che intercorre fra la testa dello spettatore situato su un gradino inferiore e l'occhio di quello situato sul gradino immediatamente superiore (o quello successivo, nel caso di posti sfalsati), con riferimento al punto base di visuale costituito dal margine del campo di gioco. Ne consegue che quanto maggiore è l'altezza della prima fila rispetto al livello del campo, tanto maggiore risulta la pendenza della gradinata; e che quanto maggiore è la distanza della prima fila dal limite del campo, tanto minore risulta la pendenza della gradinata.
La necessità di assicurare la migliore visione dello spettacolo sportivo al pubblico degli stadi era stata affrontata già negli anni Venti dall'ingegnere statunitense Gavin Hadden. Constatato che gli spettatori si disponevano spontaneamente nelle zone centrali della tribuna, preferendo allontanarsi dal bordo del campo piuttosto che dalla linea mediana, Hadden progettò la cosiddetta tribuna a crescent, ossia a mezzaluna: gli stadi di Ithaca, Denver, Providence e soprattutto il Dyche Stadium di Evanston (60.000 posti a sedere) ne hanno offerto gli esempi più significativi. Tuttavia, poiché l'oggetto da osservare non dovrebbe distare più di 100 m per essere ben visibile, stimava in 40.000 spettatori la capienza massima di uno stadio così concepito. Vennero escogitate via via nuove soluzioni per aumentare la capienza, come le tribune sovrapposte (già utilizzate a Evanston).
Sugli stadi olimpici costruiti dopo i Giochi di Berlino va fatta una considerazione: di solito non sono gli impianti più interessanti né più avanzati sotto l'aspetto architettonico e tecnologico. Le ragioni appaiono evidenti, se pensiamo che in alcuni casi le Olimpiadi, pur assegnate, non si disputarono e vennero spostate di molti anni (lo stadio di Helsinki, ultimato nel 1938, fu utilizzato per i Giochi del 1952), quando i gusti e le necessità non erano più le stesse. Visti i costi per realizzare ab imis fundamentis uno stadio olimpico, spesso ci si limitava a lavori di ristrutturazione per lo più necessari ad accrescere la capienza e la dotazione tecnologica degli impianti esistenti, come avvenne dal 1948 al 1968. Il consistente aumento dei posti, però, ha talora stravolto l'equilibrio architettonico: basti pensare alla deturpante perdita delle proporzioni seguita all'aggiunta di un terzo anello di gradinate al Los Angeles Memorial Coliseum.
A Monaco e Montreal, nel 1972 e 1976, furono costruiti nuovi stadi olimpici, mentre a Mosca si preferì adattare lo Stadio Lenin, che aveva quasi un quarto di secolo. A Los Angeles nel 1984 si utilizzò ancora lo stadio ampliato nel 1932, ma ultimato nel 1923, proprio come lo stadio di Wembley a Londra, rimodernato per i Giochi del 1948. Nel 1992 Barcellona riutilizzò lo stadio del Montjuïc, inaugurato per l'Esposizione Universale del 1929, conservandone però solo l'esterno. Nuovi stadi sorsero a Seul, Atlanta e Sydney, ma quello del 1996, per la prima volta nella storia dei Giochi, fu impostato per una consistente riduzione di posti (da 85.000 a 50.000) e il cambio di utilizzo (da atletica leggera a baseball) dopo l'Olimpiade del centenario.
Per queste ragioni gli impianti migliori, o comunque quelli che hanno lasciato un segno più profondo, furono spesso altri: lo Stadio del nuoto a Melbourne, il Palazzetto dello sport a Roma, la Piscina olimpica di Yoyogi a Tokyo, il Palazzo dello sport Juan Escutia a Città del Messico, il Palau Sant Jordi a Barcellona.
Londra non costruì nuovi impianti, ma si limitò a rimodernare quelli esistenti. Per l'atletica leggera, per esempio, fu utilizzato l'Empire stadium di Wembley, tempio del calcio e del rugby, realizzato da sir Owen Williams (1890-1969) e aperto al pubblico il 28 aprile 1923 (126.000 spettatori assistettero all'incontro Bolton-West Ham). Nello stadio più famoso del mondo, la cui caratteristica principale era costituita dalle due torri gemelle in cemento, venne ricostruita la pista e montato un tabellone elettronico per i risultati. Una curiosità: le tettoie di copertura, a 'capanna' (come nel White City), s'inarcavano ai bordi per allungarsi oltre le tribune, un po' sopra le curve. Lo stadio ospitò le cerimonie di apertura e chiusura dei Giochi (29 luglio e 14 agosto), le gare di atletica leggera, le semifinali e le finali di calcio e di hockey, il Gran premio delle nazioni di equitazione.
Le gare di scherma ebbero luogo su otto pedane nel Palazzo dell'ingegneria a Wembley, costruito per ospitare la British empire exhibition del 1924; quelle di nuoto e pugilato all'Empire Pool a Wembley, ultimata nel 1934 (in occasione del torneo di boxe la piscina fu coperta con una piattaforma); quelle di ginnastica, lotta e sollevamento pesi alla Empress Hall in Earl's Court; quelle di pallacanestro all'Harringay Arena, sorta nel 1936; quelle di ciclismo su pista nel velodromo di Herne Hill, più volte migliorato nel corso degli anni (la sua nascita risaliva addirittura al 1891); quelle di equitazione, escluso il Gran premio delle nazioni, al Command central stadium di Aldershot; quelle di tiro al poligono di Bisley, già utilizzato durante i Giochi del 1908; quelle di vela a Torquay; quelle di canottaggio e di canoa a Henley, sul Tamigi, che aveva ospitato la prima sfida tra gli 'otto' di Cambridge e di Oxford (1829) e le gare olimpiche di canottaggio nel 1908. La gara di ciclismo su strada partì da Windsor Park.
La XV Olimpiade si disputò a Helsinki dal 19 luglio al 3 agosto. Lo Stadio Olimpico, con una torre alta 72 m, era stato costruito tra il 1934 e il 1938 dall'architetto razionalista Yrijö Lindegren (1900-1952): poteva contenere solo 30.000 spettatori, essendo privo pressoché di un'intera tribuna. Nel novembre 1938 se ne avviò l'ampliamento per accogliere l'Olimpiade 1940, dopo la rinuncia di Tokyo, ma l'invasione sovietica costrinse anche Helsinki ad abbandonare. Ottenuti nuovamente i Giochi, con strutture lignee provvisorie l'architetto Alvar Aalto (1898-1976), allievo di Lindegren, portò la capacità dello stadio da 50.000 a 70.000 spettatori. Nel 1952 fu installato anche un tabellone luminoso di 12 x 5,50 m per la segnalazione dei risultati. Lo stadio, un edificio sobrio nella sua essenziale efficienza, ospitò le cerimonie di apertura e di chiusura, le gare di atletica leggera, le finali di calcio, il Gran premio delle nazioni di equitazione.
Oltre allo Stadio Olimpico anche gli altri principali impianti erano quelli già scelti per il 1940. I lavori dello Stadio del nuoto, iniziati alla fine del 1938, vennero ripresi nel 1946 e nel 1952 la capienza fu ampliata da 2000 a 12.000 posti con tribune provvisorie. Al Finnish Fair si svolsero le gare di ginnastica maschile, lotta e pugilato (sala Messuhalli I, per 5500 spettatori), di ginnastica femminile, sollevamento pesi e le finali di pallacanestro (sala Messuhalli II, per 2700 spettatori). Il velodromo presso il villaggio olimpico (10.000 posti), con pista in cemento e curve molto ripide, ospitò le gare di ciclismo, lo stadio ippico di Laakso quelle di dressage, Westend quelle di scherma, il poligono di Malmi quelle di tiro, Taivallahti quelle di canoa, Harmaja quelle di vela. Gli unici impianti nuovi furono il Palazzo del tennis, nel centro di Helsinki, per le eliminatorie di pallacanestro (nel 1940 il basket non era in programma), e il campo di regate di Meilahti, a 2 km dallo stadio, per le gare di canottaggio (nel 1940 previste a Taivallahti).
Dopo dieci edizioni organizzate in Europa e due negli USA, l'Olimpiade del 1956 si disputò a Melbourne (22 novembre-8 dicembre), a parte le gare di equitazione, che ebbero luogo nel vecchio Stadio Olimpico di Stoccolma (10-17 giugno). La legge australiana, infatti, per evitare il rischio di eventuali contagi, imponeva una quarantena di sei mesi ai cavalli importati. L'impianto principale fu il vecchio Cricket ground stadium, progettato dall'architetto Arthur W. Purnell e costruito all'inizio del secolo, ma poi rimodernato e ampliato da 85.000 a 105.000 posti e dotato di una funzionale pista di atletica, demolita dopo i Giochi. Ospitò le cerimonie di apertura e di chiusura, l'atletica leggera, il calcio e l'hockey (semifinali e finali) e gli sport dimostrativi.
Le gare di scherma ebbero luogo nel salone del Palazzo municipale di Saint Kilda, dove furono attrezzate tre sale, con 820 posti a sedere; quelle di ginnastica e pugilato al West Melbourne Stadium, un impianto privato (conteneva 7000 spettatori durante le gare di boxe, 5000 durante quelle di ginnastica); le gare di lotta, sollevamento pesi e pallacanestro al vecchio Palazzo delle Esposizioni, che per l'occasione fu attrezzato con tribune provvisorie (3000 spettatori).
Il velodromo (Country road course) sorgeva nell'Olympic Park, un complesso di edifici comprendente anche il nuovo Stadio del nuoto, un campo di calcio e uno di hockey. La pista del velodromo era in legno, rivestita da uno spessore di cemento di 5 cm (rimosso dopo i Giochi), e misurava 333 m. L'unica tribuna disponeva di 4700 posti.
Lo Stadio del nuoto, senza dubbio l'impianto migliore (architetti Borland, Murphy e McIntyre), fu appositamente costruito per i Giochi, accanto al velodromo. A pianta rettangolare, in acciaio tubolare, coperto e completamente vetrato sui lati corti, aveva gradinate simmetriche per 5000 spettatori e due bacini: per il nuoto e la pallanuoto (50 x 20 m) e per i tuffi (15,50 x 20 m). Le travi, a forma di rombo allungato e distanti tra loro 5 m, alte 8 m al centro, all'estremità erano agganciate a tiranti verticali di acciaio ancorati al terreno.
I Giochi di Roma realizzarono finalmente l'antico sogno di de Coubertin, che nelle sue Mémoires olympiques aveva scritto: "Desideravo Roma perché soltanto là [...] l'Olimpismo avrebbe indossato la toga sontuosa, tessuta d'arte e di pensiero, di cui io, fin da principio, volevo ammantarlo". Responsabile delle Costruzioni olimpiche di Roma (COR) fu Mario Saini, vice segretario generale del CONI. Il Rapporto ufficiale sintetizza i lavori compiuti: "Dal punto di vista urbanistico, gli impianti furono studiati e costruiti su due direttrici principali, e cioè il Centro Olimpico nord comprendente il Foro Italico, situato in uno dei luoghi più caratteristici della città, che si estende tra le verdi pendici di Monte Mario e le colline della Farnesina; e Centro Olimpico sud sorto nel comprensorio dell'EUR, preferito per l'ampiezza delle sue zone verdi in considerazione dell'accrescimento edilizio qualificato". Si attuava così la proposta avanzata dal CONI già nel 1940. A Roma, in quella che passò alla storia come 'la Grande Olimpiade', si ebbe il connubio tra i nuovi impianti sportivi e le antiche vestigia. In un ideale legame con il passato, si pensò di sfruttare alcuni monumenti quali la Basilica di Massenzio per gli incontri di lotta e le Terme di Caracalla per le gare di ginnastica. La maratona, partita dal Campidoglio, si concluse sotto l'Arco di Costantino dopo aver percorso alcuni chilometri dell'Appia Antica.
Lo Stadio Olimpico, che venne inaugurato il 17 maggio 1953, fu realizzato proprio in vista della candidatura di Roma. L'ingegner Carlo Roccatelli e, alla sua morte, l'architetto Annibale Vitellozzi portarono a termine i lavori già avviati prima della guerra su progetto degli ingegneri Angelo Frisa e Arrigo Pintonello, rimasti interrotti al secondo anello di gradinate. Nello stadio in costruzione era stato accolto il Führer nel maggio 1938, completando "con rapidità fascista" 24 torri sormontate da aquile littorie e la cinta muraria con pannelli di paglia pressata mista a calcestruzzo (la carpilite, brevettata dall'ingegner Carpi). Lo 'stadio di paglia' aveva comunque offerto una magnifica scenografia alle esibizioni ginniche di giorno e alla notturna del Lohengrin di Richard Wagner. L'ellisse dello stadio aveva gli assi di 319 e 186 m e il fastigio, nascosto tra i pini, era alto 13 m, ma la pista si abbassava di 4 m sotto il piano di campagna. Non aveva coperture, a eccezione della piccola zona protetta dalla pensilina dei cronisti, e poteva contenere 80.000 persone. Nello Stadio Olimpico, il 25 agosto 1960, il presidente Giovanni Gronchi inaugurò la XVII Olimpiade.
A piazza di Siena si svolsero le gare di equitazione e al poligono Umberto I a Tor di Quinto quelle di tiro. Al Foro Italico si disputarono le gare di nuoto, pallanuoto e tuffi (Stadio del nuoto), nonché le eliminatorie di hockey su prato (Stadio dei Marmi). All'EUR il Palazzo dei Congressi ospitò la scherma e il Palazzo delle Scienze la mostra Lo Sport nella storia e nell'arte.
Tra le nuove costruzioni, nella zona nord, segnaliamo lo Stadio Flaminio (ingegner Pier Luigi Nervi e architetto Antonio Nervi), sorto sulle ceneri del vecchio Stadio Torino (già Nazionale) e destinato al calcio, e il Palazzetto dello sport, dove gareggiarono gli atleti del sollevamento pesi. Il Palazzetto (Annibale Vitellozzi e Pier Luigi Nervi), inaugurato il 2 ottobre 1957, ha la copertura a forma di calotta sferica. Il diametro esterno misura 78 m, quello interno 59, l'altezza interna 21 m, la superficie coperta 4780 m2, e dispone di 4000 posti con possibilità di ricavarne altri 1000 nell'arena. Vi si disputarono eliminatorie e semifinali di pallacanestro, eliminatorie e finali di sollevamento pesi. Accanto al Palazzetto sorse il Palazzo delle federazioni sportive (architetto Pasquale Carbonara).
Sempre a nord, il CONI diede vita a un grande complesso di 20 ettari nei prati dell'Acqua Acetosa, comprendente l'Istituto di medicina dello sport, dove il 22 dicembre 1966 il presidente del CONI Giulio Onesti inaugurò la Scuola centrale dello sport.
Su un'area di 45 ettari nella zona sud, con accesso dalla via del Mare, fu realizzato l'ippodromo di Tor di Valle per le corse al galoppo e al trotto. All'EUR sorsero il Palazzo dello sport, il Velodromo olimpico, la Piscina delle Rose e i campi delle Tre Fontane. Il Palazzo dello sport (Marcello Piacentini e Pier Luigi Nervi) ha un diametro esterno di 115 m e interno di 100 (area di competizione 45 m di diametro), altezza interna di 32,50 m, superficie coperta di 11.500 m2, e dispone di 16.000 posti. Vi si disputarono il pugilato e le finali di pallacanestro.
Dopo le Olimpiadi di Roma, le ultime a misura d'uomo, si registrò una corsa al 'gigantismo' negli impianti, talora (come a Montreal nel 1976) con spese ingentissime e gravi problemi di utilizzo successivo. La tendenza fu chiara a partire da Tokyo, dove s'investirono circa 300 miliardi di lire di allora. Gli impianti vennero distribuiti in tre centri principali: il Parco del Tempio di Meiji, Komazawa e Yoyogi.
Nel Parco del Tempio di Meiji (il primo imperatore del Giappone moderno, che guidò il paese dal 1868 al 1912) sorgevano lo Stadio Nazionale inaugurato nel marzo 1958, ma ampliato nel 1963 e portato da 52.000 a 71.500 posti a sedere, dove si svolsero le cerimonie di apertura e chiusura dei Giochi (10 e 24 ottobre); la palestra comunale, costruita per i Mondiali di lotta del 1954 e utilizzata anche per le gare di pallacanestro durante i Giochi Asiatici (6500 posti, di cui 1200 provvisori), sede delle gare di ginnastica; la piscina comunale coperta, inaugurata per i Giochi Asiatici del 1958 (3000 posti), che ospitò le gare di pallanuoto; il campo di calcio Principe Chichibu, del 1949, impiegato per incontri di calcio (17.500 posti).
Nel centro sportivo di Komazawa sorsero lo Stadio atletico, la palestra (Komazawa gymnasium), la sala di pallavolo e tre campi di hockey. Lo stadio (21.000 posti), che ospitò gare di calcio, disponeva di un terreno di gioco di 150 x 70 m e una pista di 400 m a 8 corsie. La palestra (3900 posti), utilizzata per le gare di lotta, aveva la forma di un tempio buddista, senza colonne all'interno, cosicché l'edificio gravava su quattro spuntoni esterni del tetto. La sala di pallavolo (3900 posti), edificata per i Giochi Asiatici, aveva tre campi da gioco.
Nel centro sportivo di Yoyogi l'architetto Kenzo Tange (nato nel 1913) impresse il segno indelebile della sua genialità con la Palestra nazionale, comprendente la Piscina olimpica (12.000 posti) e l'annesso Palazzo dello sport (4000 posti), che gli valsero il Diploma olimpico al merito. Le coperture dei due impianti erano delle tensostrutture (ricordavano la chiglia rovesciata di una nave), sospese a un pilone nel Palazzo dello sport e a due piloni nella Piscina olimpica, che comprendeva due vasche, una per il nuoto (50 x 22 m) e una per i tuffi (22 x 22 m). L'area dei tuffi poteva essere trasformata in arena e in un primo tempo doveva infatti ospitare le gare di judo.
Le gare di ciclismo si disputarono nel nuovo velodromo di Hachioji, con pista in cemento armato, quelle di judo nell'ottagonale Sala delle arti militari giapponesi o Nippon budokan hall (15.200 posti), quelle di scherma nella sala dell'Università di Waseda (3000 posti), quelle di pesi nella Shibuya public hall (2200 posti).
La XIX Olimpiade si disputò a Città del Messico. Per l'occasione lo Stadio Olimpico della città universitaria, inaugurato nel 1953 (come l'Olimpico di Roma) su progetto dell'architetto Augusto Pérez Palacios, fu rimodernato e portato da 70.000 a 84.000 posti, con quattro gigantesche torri d'illuminazione e un tabellone elettronico per i risultati. Stadio a bowl, era esternamente rifinito con masselli di lava vulcanica. La pista atletica, per la prima volta, venne rivestita in un materiale sintetico morbido e compatto, il tartan.
Altri edifici esistenti utilizzati per i Giochi furono il teatro Insurgentes (1953), a 10 km dal centro della città, 1100 posti, per il sollevamento pesi; l'Auditorium Nazionale (1956), che faceva parte delle attrezzature ricreative, artistiche e culturali del Parco di Chapultepéc, 9450 posti più 3000 provvisori, per la ginnastica; l'Arena Messico (1956), nel centro della città, 16.250 posti, per il pugilato; il Palazzo del Ghiaccio Insurgentes (1962), a 13 km dal centro, 3400 posti, per la lotta; lo Stadio Municipale (1964), nella città sportiva della Magdalena Mixhuca, 6150 posti più 1200 provvisori, per l'hockey su prato; lo Stadio Azteca, per il calcio, che poteva ospitare 100.000 spettatori, opera degli architetti Pedro Ramírez Vázquez (nato nel 1919) e Rafael Mijares: inaugurato il 29 maggio 1966, nel 1970 lo stadio avrebbe ospitato le partite del Mondiale di calcio, fra cui la famosa semifinale Italia-Germania terminata 4-3. Vázquez era il presidente del Comitato organizzatore e diversi anni dopo progettò (con lo svizzero Jean-Pierre Cahen) il nuovo Museo Olimpico a Losanna, inaugurato il 23 giugno 1993.
Tre edifici furono appositamente costruiti nella città sportiva della Magdalena Mixhuca (tutti ultimati nel settembre 1968): il Palazzo dello sport Juan Escutia, 22.350 posti sotto una cupola geodetica alta 160 m, per la pallacanestro, opera degli architetti Félix Candela, Enrique Castañeda Tamborrel e Antonio Peyri; il Velodromo olimpico Agustín Melgar, 6400 posti, opera degli architetti Andrés, Ignacio e Jorge Escalante, mentre la pista ‒ in legno africano particolarmente resistente alle intemperie ‒ fu realizzata dall'architetto Herbert Schurmann; la Sala d'Armi Fernando Montes de Oca, 3000 posti coperti da un tetto convesso in fibrocemento, per la scherma.
Formavano un complesso architettonico indipendente la Piscina olimpica Francisco Márquez, da 10.000 posti (la metà provvisori), con una vasca di 50 x 21 m per il nuoto e una per i tuffi, e la Palestra olimpica Juan de la Barrera, 5250 posti per assistere alle gare di pallavolo.
Monaco segnò il trionfo della tecnologia tedesca, soprattutto grazie al gigantesco tendone trasparente in vetro-acryl di Frei Otto (nato nel 1925), che si stendeva sull'Olympia-Stadion, sul Palazzo dello sport e sullo Stadio del nuoto all'Oberwiesenfeld, e costituì il simbolo dei Giochi (riprodotto anche sul manifesto). Misurava circa 75.000 m2, per un peso di 1645 tonnellate, ed era sostenuto da 410 km di cavi: venne a costare molto più della spesa preventivata, ricevendo perciò forti critiche, ma fu il primo passo verso la sperimentazione di forme, tecnologie e materiali del tutto inediti. Gli impianti, il villaggio olimpico e quello dei giornalisti erano concentrati e vicini come mai prima d'allora, snellendo notevolmente la mobilità. L'opposto di quanto era avvenuto a Città del Messico, che costruì impianti belli e funzionali, ma troppo distanti gli uni dagli altri.
Lo Stadio Olimpico aveva la pista in rekortan, materiale sintetico simile al tartan, e, interessante novità tecnica, l'erba del prato era riscaldata. Più della metà dei suoi 84.000 posti erano coperti dal tendone. Ospitò le cerimonie di apertura e di chiusura dei Giochi (26 agosto e 11 settembre), le gare di atletica leggera, calcio e sport equestri.
Il Palazzo dello sport, il cui campo di gioco misurava 90 x 50 m, ospitò le gare di ginnastica e pallamano. Poteva raggiungere la capienza di 14.000 spettatori. Lo Stadio del nuoto disponeva di una vasca per il nuoto di 50 x 21 m (dotata di pavimento mobile al fine di abbassare il livello dell'acqua a 90 cm) e di una per i tuffi di 21 x 21 m, nonché di tre vasche di allenamento, riscaldamento e insegnamento. La capienza delle tribune era di 9000 spettatori.
Sempre nei 140 ettari del Parco Olimpico sorsero la torre della televisione (alta 293 m) e il velodromo (5000 posti), con copertura trasparente e pista di 285,70 m in legno africano duro. A nord dello stadio, accanto al villaggio olimpico, fu costruita la Scuola normale superiore di educazione fisica: 12 palestre, 73 campi da competizione e di allenamento. Durante i Giochi ospitò il centro della radiotelevisione e i tornei di pallavolo e hockey su prato.
I tornei di scherma, lotta, judo e sollevamento pesi si disputarono nei locali della fiera, ciascuno in una sala diversa. La Basketballhalle (4850 posti), in buona parte realizzata con elementi prefabbricati, venne ultimata in soli 18 mesi e fu sede delle gare di pallacanestro e di alcune gare del torneo di judo.
La Ringer-Judo-Halle, costruita in pieno centro di Monaco, ospitò le gare di judo, lotta, scherma e sollevamento pesi. Disponeva di 5700 posti.
Il piano delle costruzioni olimpiche, concentrate nei 125 acri del parco di Maisonneuve, prevedeva uno stadio coperto per 70.000 spettatori, un velodromo con 6000 posti, un centro acquatico con piscine da competizione (50 x 25 m) e di allenamento (50 x 12,50 m), nonché due vasche per i tuffi, tra loro collegati da una piastra pedonale di servizio, integrata con due stazioni della metropolitana. L'architetto francese Roger Taillibert impostò la sua progettazione per gli impianti di Montreal all'insegna di un'eccessiva grandiosità dimensionale e formale, sia pur nel sapiente uso delle tecnologie della prefabbricazione.
Il largo superamento del budget finanziario (si spese almeno il triplo dei 400 milioni di dollari preventivati dal sindaco Jean Drapeau), unito ai problemi che ritardarono l'esecuzione dei lavori (scioperi delle maestranze e maltempo), non consentì il completamento dello stadio. La gigantesca torre inclinata (alta 70 m), che doveva sostenere il telone amovibile di copertura del campo di gioco, rimase pertanto interrotta a circa un quarto della sua altezza, conferendo all'insieme un penoso senso di incompiutezza.
Dopo la catastrofe economica di Montreal, a Mosca non si assistette agli ormai consueti virtuosismi strutturali e formali degli impianti, che furono comunque di notevole spessore architettonico. L'impianto centrale dei Giochi fu il vecchio Stadio Lenin (oltre 100.000 posti), dell'architetto A. Vlassov: posizionato nel parco Luzhniki in un'ansa della Moscova, ospitò come al solito le cerimonie di apertura e di chiusura (19 luglio e 3 agosto), nonché l'atletica leggera, il calcio e gli sport equestri (salto individuale). Va rilevato che mentre ovunque si tende a posizionare gli stadi ai margini della città, a causa della grande superficie necessaria per la costruzione e della concentrazione di traffico che provocano, lo Stadio Lenin sorgeva in una zona centrale.
La pallavolo si disputò nell'arena minore dello stadio (9000 posti), coperta per l'occasione, le gare preliminari di pallanuoto nella rinnovata piscina scoperta (9000 posti), la ginnastica e il judo al Palazzo dello sport (12.000 posti). Tutti questi impianti, stadio compreso, occupavano 180 ettari e ogni anno ospitavano circa 15.000 gare.
Scherma, lotta, pallacanestro, calcio, hockey e pallamano trovarono ospitalità al Leningradski Complex; nuoto, pallanuoto, tuffi, pugilato e pallacanestro al Mira Complex; il sollevamento pesi al Palazzo dello sport lungo Izmaïlovo Park (5000 posti); il calcio allo stadio della Dynamo Mosca (54.000 posti), a Kiev, a Leningrado e a Minsk; le regate a Tallinn.
Lo stadio coperto Olimpiski, con i suoi 45.000 posti, era il maggiore impianto europeo di quel tipo. L'arena ellittica (asse maggiore di 127 m) ospitava solitamente partite di calcio e di hockey su ghiaccio, ma poteva essere divisa da sezioni metalliche pesanti tre tonnellate e imbottite di materiale sintetico per l'isolamento acustico, allo scopo di consentire lo svolgimento contemporaneo di due distinte manifestazioni: così avvenne per le gare di pallacanestro e di pugilato. La pista di ghiaccio, la più grande del mondo, in poche ore poteva essere sostituita con un tappeto erboso sintetico. Lo stadio disponeva di una piscina con trampolino e di vari locali ausiliari.
Nuovo era il velodromo (6000 posti), con pista in frassino della Siberia. La foto del ciclista svizzero Robert Dill-Bundi che si inginocchia per baciare la pista, dopo la sua vittoria nell'inseguimento individuale ad oltre 52 km all'ora, fece il giro del mondo e inorgoglì particolarmente gli organizzatori moscoviti.
Le 'rivoluzionarie' proposte avanzate dall'amministrazione della metropoli californiana, che non intendeva svenare i propri contribuenti e suggeriva l'intervento dell'iniziativa privata, sollevarono dubbi e perplessità nel CIO, che dissentì, protestò, minacciò, arrivando addirittura a prospettare l'ipotesi di una revoca per dirottare l'Olimpiade in un'altra sede, da scegliersi tra Monaco e Città del Messico. Ma fu costretto alla resa dopo lunghe e burrascose trattative. A garantire la copertura finanziaria dei Giochi provvidero il Comitato olimpico statunitense, e soprattutto il Comitato organizzatore, alla cui guida venne insediato Peter Victor Ueberroth.
Furono quindi costruiti soltanto quegli impianti di cui l'area di Los Angeles era assolutamente priva (velodromo e Stadio del nuoto), rinunciando a predisporre persino il villaggio olimpico. Ueberroth riuscì a far pagare le spese di costruzione del velodromo alla Southland Corporation, un gigante della distribuzione alimentare, e quelle dello Stadio del nuoto alla McDonald's, chiudendo il bilancio finanziario dei Giochi con un consistente attivo.
Non esisteva un velodromo per le gare di ciclismo in tutta la costa occidentale degli Stati Uniti, né c'era la possibilità di attrezzare allo scopo una struttura già esistente. L'area fu reperita a Dominguez Hills, nella California State University (CSU), cui rimase in proprietà dopo i Giochi. I lavori cominciarono il 9 luglio 1981 con lo sbancamento del terreno. L'impianto, progettato dall'architetto Ted Tyler, aveva una pista lunga un terzo di chilometro, larga 7 m. Poteva ospitare normalmente 2000 spettatori seduti, ma arrivò a 8000 con tribune addizionali, smontate dopo i Giochi. Il velodromo fu inaugurato l'8 luglio 1982.
Inizialmente, sembrava che il velodromo fosse l'unico impianto da creare ex novo: poi ci si rese conto che Los Angeles, pur disponendo di ottime piscine nel solco di una grande tradizione natatoria, mancava di un vero e proprio Stadio del nuoto. I lavori, diretti dallo studio degli architetti Flewelling & Moody, furono avviati il 30 dicembre 1981 e conclusi il 7 luglio 1983. L'impianto, nato per ospitare nuoto, tuffi e sincronizzato, sorse sull'area dell'University of Southern California (USC) e, grazie a strutture provvisorie, poteva contenere 13.500 spettatori.
Il vecchio Los Angeles Memorial Coliseum, già sede dei Giochi nel 1932 (92.500 posti a sedere), fu rimesso a nuovo e venne completamente rifatta la pista, in rekortan come le pedane, lo stesso materiale impiegato per Monaco 1972. Ospitò le cerimonie d'apertura e di chiusura (28 luglio e 12 agosto), oltre alle gare di atletica leggera. È l'unico stadio utilizzato due volte a questo scopo nella storia dei Giochi. Va ricordato che in occasione dell'assemblea del CIO tenuta a Roma il 29 aprile 1949 il governo italiano donò al Coliseum un blocco di pietra da 3 tonnellate e mezza del Colosseo romano. Nel 1989 si fece strada la volontà di abbatterlo per costruire al suo posto uno stadio moderno: alla fine fu deciso di salvare il porticato curvo con archi a tutto sesto.
Tra gli altri impianti di maggior prestigio ricordiamo il Rose Bowl di Pasadena (104.700 posti a sedere e un parcheggio per 19.000 auto), che nel 1932 aveva ospitato le gare di ciclismo, destinato al calcio nel 1984; il Dodger Stadium (56.000 posti a sedere e un parcheggio per 16.000 auto), inaugurato il 10 aprile 1962, per il baseball, sport dimostrativo; The Forum, a Inglewood (17.500 posti), inaugurato nel 1968, per la pallacanestro; la Los Angeles memorial sports arena, presso il Coliseum (16.350 posti), inaugurata il 4 luglio 1959, per il pugilato.
Se a Montreal e, soprattutto, a Monaco gli impianti principali vennero concentrati in una sola, grande area, a Seul le aree sportive furono due, il Seul sports complex a Chamshil, alla confluenza del fiume Han con il Tanchon (Stadio Olimpico, Palazzetto dello sport, palestra per il pugilato, Stadio per il baseball, piscina coperta), e il Parco Olimpico (velodromo, palazzetti per la ginnastica e la scherma, piscina coperta, sala per il sollevamento pesi, disposti a semicerchio). Il progetto del Seul sports complex fu affidato allo Space Group of Korea, diretto dall'architetto Kim Swoo Geun (1931-1986); quello del Parco Olimpico scaturì dalla collaborazione tra lo Space Group e l'Istituto di pianificazione ambientale dell'Università di Seul. In occasione dei Giochi non si crearono soltanto grandi e moderni impianti, importanti vie di comunicazione, nuove residenze per una metropoli (11.000.000 di abitanti) in continua espansione, ma venne intensificata la lotta contro l'inquinamento del fiume, ottenendo grandi risultati.
Lo Stadio Olimpico, inaugurato il 29 settembre 1984 (dopo sette anni di lavori) alla presenza di Samaranch e del presidente coreano Chun Doo Hwan, ospitò i Giochi Asiatici del 1986, prova generale della XXIV Olimpiade. Le tribune laterali, dove la visibilità è migliore, sono molto alte per accogliere la maggior parte degli oltre 100.000 spettatori: ciò determina l'andamento ondulato che caratterizza l'architettura dello stadio, i cui posti sono coperti da un tetto sostenuto da travi d'acciaio lunghe da 30 a 40 m, innestate sui pilastri curvi in cemento armato che scandiscono la facciata modulare.
A ricordo dei Giochi, all'ingresso del Parco Olimpico l'architetto Kim Chung Up innalzò una porta monumentale alta 45 m, dove trovarono posto un museo, una biblioteca, un teatro e una sala per esposizioni.
A Seul le aree sportive erano state due, mentre il Comitato organizzatore dei Giochi di Barcellona 1992 individuò quattro poli, ottimamente collegati tra loro e con la città: Montjuïc, La Diagonal (con lo stadio del FC Barcellona), la Vall d'Hebron (con il velodromo olimpico) e il Parc de Mar (con il porto e il villaggio olimpico). Buona parte dei lavori furono affidati allo Studio MBMP: Martorell, Bohigas, Mackay e Puigdomenech.
L'area del Montjuïc, posta su una verde collina che domina il Mediterraneo, ospitò 11 sport in impianti di grande suggestione, quali il rimodernato Stadio Olimpico e il nuovissimo Palau Sant Jordi. Lo stadio, opera dell'architetto Pere Domènech, era stato inaugurato da re Alfonso XIII il 20 maggio 1929: per capienza (50.000 posti) era il secondo stadio del mondo, dopo Wembley. Per migliorare la visibilità si erano incurvate le tribune sul piano orizzontale, come avveniva spesso negli stadi greci (Atene, Olimpia ecc.). In vista dei Giochi, molti pensarono di demolirlo e costruire al suo posto un impianto moderno, ma prevalse il parere di chi preferiva ristrutturarlo (come l'architetto Oriol Bohigas), dando il giusto peso al valore affettivo che lo stadio aveva per molti cittadini. L'incarico venne affidato all'italiano Vittorio Gregotti (nato nel 1927) e a un'équipe catalana, che decisero di restaurare la facciata originale, ma di svuotare e ricostruire l'interno dello stadio, la cui pista di 600 m fu ridotta a 400 e abbassata di 11 m rispetto alla vecchia, consentendo di aumentare le tribune e portare la capienza a 70.000 spettatori. Nel rinnovato Stadio Olimpico, il 25 luglio 1992, re Juan Carlos dichiarò aperti i Giochi.
Il Palau Sant Jordi, opera dell'architetto giapponese Arata Isozaki (nato nel 1931), è costituito da due parti distinte: il palazzo principale (con copertura somigliante a un guscio di tartaruga) e il padiglione polivalente (a copertura piana), tra loro collegati. Il palazzo principale, la cui copertura (45 m sopra la pista) costituisce un capolavoro tecnologico, dispone di un'arena di 97 x 52 m e può contenere 17.000 spettatori seduti.
Atlanta possedeva già gli impianti necessari, tra cui quattro stadi con 230.000 posti. Poiché uno stadio di 85.000 posti ‒ necessari per accogliere un Campionato mondiale o un'Olimpiade ‒ poi diventa un problema, il Comitato organizzatore decise di realizzare uno stadio che, pur solidamente costruito e rivestito di mattoni, poteva essere ridotto a 50.000 posti dopo i Giochi e sostituire il limitrofo Atlanta Fulton county stadium (52.000 posti), dove giocava la squadra locale di baseball. Il delicato incarico, del tutto nuovo nella storia delle Olimpiadi, fu affidato allo studio Heery international corporated, diretto da David P. Tabor. Dopo i Giochi la pista di atletica fu rimossa e donata alla Clark Atlanta University.
Accanto all'asimmetrico Stadio del Centenario (cerimonie e atletica leggera), i cui posti godevano tutti di ottima visibilità, tra gli impianti più significativi vanno ricordati il Georgia Dome e il Georgia tech aquatic center. Il Georgia Dome (pallacanestro, pallamano e ginnastica artistica), che era il più grande stadio del mondo con cupola sostenuta da cavi, disponeva di 72.000 posti a sedere e 17.000 posti auto. Il Georgia tech aquatic center (nuoto, nuoto sincronizzato, tuffi e pallanuoto), nell'università che ospitava il villaggio olimpico, aveva tre vasche: per il nuoto e i tuffi, con tribune da 14.000 posti sotto lo stesso tetto ondulato, e per la pallanuoto, con tribune da 4000 posti. Terminati i Giochi vide la sua capienza ridotta a un terzo, ma ad altri impianti andò ancora peggio: il velodromo e il poligono di tiro con l'arco nello Stone mountain park vennero addirittura demoliti per far posto a una catena di supermercati.
Il Centennial olympic park, confinante con il Georgia world congress center e il CNN Center, non lontano dal Georgia Dome, costituì il principale punto di ritrovo, dotato di un anfiteatro e di servizi per il tempo libero. Dopo i Giochi la sua superficie passò da 50 a 20 acri.
I Giochi Olimpici possono avere un impatto considerevole sulle città che li ospitano e sull'ambiente nel suo complesso. A Seul, per esempio, servirono a ridurre significativamente l'inquinamento del fiume Han. A Sydney gli impianti sportivi si concentrarono in due località principali: il Parco Olimpico e la zona del porto. Il Parco Olimpico era parte integrante della Homebush Bay, un sito che copriva 760 ettari nel centro demografico della città. L'area, terra demaniale precedentemente dimenticata e in disuso, fu oggetto del più vasto programma di rinnovamento mai intrapreso in Australia. Il Parco, dove si disputò la maggior parte delle gare, comprendeva lo Stadio Olimpico (80.000 posti), il SuperDome (20.000 posti), il centro internazionale di nuoto (portato da 4000 a 17.500 posti), il centro di tennis (17.000 posti), il villaggio olimpico, il centro stampa principale (MPC), un villaggio dei media, il villaggio degli ufficiali di gara e molti altri impianti sportivi. Una stazione ferroviaria e una di autobus consentivano al pubblico di arrivare nel cuore del Parco e di raggiungere a piedi le sedi degli avvenimenti.
Il secondo importante complesso era quello di Darling Harbour, nel cuore della città, sede di sette sport e del centro comunicazioni (IBC) e, non lontano, del secondo villaggio dei media a Pyrmont/Ultimo e del secondo villaggio degli ufficiali di gara.
Altri siti furono il Penrith lakes canoeing and rowing course, l'Holsworthy shooting complex e l'Eastern creek equestrian centre.
Fra i tanti meriti della XXVII Olimpiade non va trascurato quello di aver ultimato tutti gli impianti (salvo uno) con oltre otto mesi di anticipo sulla cerimonia d'apertura e senza oltrepassare la spesa preventivata: un prodigio di efficienza.
La XXVIII Olimpiade ha avuto il suo centro principale nel Complesso sportivo olimpico di Atene (OAKA), situato a Maroussi. Il Comitato organizzatore e il Ministero della Cultura hanno affidato all'architetto spagnolo Santiago Calatrava la sistemazione dell'OAKA, costituito dallo Stadio Olimpico (72.000 posti), dallo Stadio del nuoto (tre piscine, per 23.000 posti complessivi), dallo Stadio del tennis (un campo principale e due secondari, per 13.000 posti complessivi), dal Velodromo olimpico (5250 posti) e dalla Palestra olimpica, che ha ospitato la ginnastica artistica e le finali di pallacanestro (19.000 posti).
Altri impianti notevoli sono quelli per il sollevamento pesi a Nikaia (5100 posti), per il pugilato a Peristeri (8000 posti), per la scherma a Helleniko (due sale, per 8800 posti complessivi), per la lotta e il judo a Liossia (9000 posti), per la pallavolo sulla costa di Faliro (Stadio della Pace e dell'Amicizia, 13.200 posti).
Ai Giochi di Atene, fra tante strutture modernissime, non sono mancati dei riferimenti al passato. La maratona, infatti, ha utilizzato lo stesso percorso compiuto da Spyridon Louis nel 1896, con arrivo allo Stadio Panatenaico, dove sono state disputate anche le gare di tiro con l'arco. Il lancio del peso ha avuto luogo nell'antico stadio di Olimpia.