Temi olimpici: l'economia dei giochi
Le Olimpiadi sono state occasione per fare e costruire molto, ma nel loro nome sono stati edificati anche monumenti allo spreco. Anche se c'è stato chi vi ha trovato una miniera per fare grandi affari, inseguendo il progetto della miglior Olimpiade mai organizzata, sono stati bruciati soldi in quantità esagerata, portando alla bancarotta chi ha osato troppo. Questo problema ha sicuramente allarmato il Comitato olimpico internazionale fino al punto di spingerlo a rifugiarsi nella copertura assicurativa. Dal 2004 il Comitato ha deciso di assicurare i Giochi, cominciando da Atene, proseguendo con Torino 2006, Pechino 2008, fino a Vancouver 2010, con una quota d'impegno di 140 milioni di euro: una cifra piccola in confronto alle spese di un'Olimpiade che ormai prevede bilanci superiori ai 2 miliardi e mezzo di euro per le edizioni estive e a un miliardo per quelle invernali. I fondi servono a costruire, organizzare, assicurare adeguate misure di protezione. Attualmente, infatti, una parte importante del budget è destinata alla sicurezza: se a Sydney in questo settore sono stati spesi 700 milioni di euro, l'impegno è diventato ancora maggiore, visto che ad Atene è stato investito oltre un miliardo.
Per cercare di ridurre le spese è in seduta quasi permanente una commissione incaricata di valutare i costi e risolvere il problema del gigantismo. Grazie alla televisione le entrate superano quasi sempre le spese, ma è necessario rendere più facile il lavoro organizzativo, limitando il numero degli atleti (non dovrebbero essere più di 10.500) e cercando anche di snellire il programma basato, per i Giochi estivi, su 28 sport. Il gigantismo olimpico preoccupa il CIO che ha calcolato che per ogni atleta iscritto all'Olimpiade un Comitato nazionale spende oltre 30.000 dollari.
Il barone de Coubertin era ben consapevole che per poter davvero rilanciare il progetto delle Olimpiadi era necessario avere una cassa fornita. Non bastava la teorizzazione filosofica dell'importanza della pratica sportiva per i giovani, occorreva una base concreta, il sostegno di uno Stato, anche se la Carta Olimpica prevedeva che i Giochi fossero assegnati alle città e non alle nazioni. De Coubertin aveva investito parecchio del suo patrimonio personale, ma serviva qualcosa di più per avere la prima Olimpiade, per coinvolgere il re di Grecia, per arrivare alla prima festa sportiva dell'era moderna.
Innanzitutto era necessario uno stadio adeguato. In accordo con la campagna iniziata dal giornale Alithea ("Verità") il re Giorgio I donò l'area del vecchio Panathinaikos, acquistata otto anni prima da un architetto tedesco. L'area era perfetta, ma il vecchio stadio di Erode Attico, risalente al 200 d.C., necessitava di un grande lavoro di ristrutturazione. Il re mandò una delegazione ad Alessandria dove viveva il ricco mercante Georgios Averof. Grande benefattore, questi donò 920.000 dracme e in cambio gli amici ateniesi collocarono davanti allo stadio la sua statua in marmo, scolpita da Georgios Vroutos. I lavori furono diretti dall'architetto Anastasios Metaxas che impiegò migliaia di operai per sistemare le tribune di marmo bianco: una spesa enorme, un impegno che vide coinvolti tutti, dal principe ereditario Costantino, presidente della Federazione di ginnastica greca, al re, alla gente comune.
La prima Olimpiade visse sulle donazioni, ma anche sui francobolli. Infatti si ebbe l'idea di sostenere una parte delle spese attraverso l'emissione di un'apposita serie filatelica, raffigurante corridori in azione. In tutto si spesero oltre 2 milioni di dracme, di cui 332.756 raccolte da donazioni, 920.000 donate da Averof, 400.000 ricavate dalla vendita di francobolli, 200.000 dalla vendita di biglietti e ricordi della manifestazione, 400.000 di sussidio governativo. Per i viaggi degli atleti stranieri fu interessata l'agenzia Thomas Cook. La Kodak, azienda ancora adesso partner delle Olimpiadi, insieme ad altre organizzazioni, contribuì alle entrate realizzando un libro sui risultati che fu poi messo in vendita con proventi destinati al Comitato organizzatore.
Non esistono bilanci per valutare i Giochi di Parigi (1900) e St. Louis (1904). Erano fiere commerciali dove lo sport era considerato uno spettacolo destinato ad accrescere l'interesse e le entrate, ma non era al centro della festa, come sognavano i padri fondatori.
A Londra 1908 vi fu un grande impegno degli inglesi per costruire nuovi impianti come il centro polisportivo di White City di Sheperd's Bush. Gli organizzatori, che già si erano cimentati nella programmazione di grandi corse di cavalli come il derby, regate, campionati di tennis a Wimbledon, non vollero l'aiuto governativo, neppure il sussidio di 2 dollari giornalieri spettanti a ogni atleta per il tempo libero.
Bisognò tuttavia aspettare Stoccolma 1912 per vedere una salda strutturazione economica, nella quale il Comitato organizzatore fu affiancato da dieci aziende svedesi che garantirono la copertura delle spese. Alla maggior parte dei costi provvide la casa reale, che promosse la costruzione dello stadio con le torri gotiche: un investimento costoso, ma duraturo che, infatti, tuttora ospita annualmente grandi eventi sportivi.
Per l'edizione postbellica di Anversa 1920 i belgi puntarono molto sull'aiuto pubblicitario. Le entrate furono assicurate dalla vendita dei biglietti e del programma dove, appunto, comparivano avvisi commerciali, con una presentazione da parte delle aziende che avevano dato un sostegno all'Olimpiade. Gli atleti delle nazioni che non potevano permettersi di pagare gli alberghi furono ospitati nelle scuole, perché a quel tempo chi organizzava pensava soltanto alle spese vive e non poteva offrire di più.
Un ostacolo nuovo fu in seguito rappresentato dall'allargamento del programma dovuto all'ammissione delle donne. Diventò infatti sempre più difficile risolvere i problemi logistici come la ricerca di sistemazioni separate. Per trovare il primo vero villaggio riservato agli atleti, con alloggio e vitto gratuito, bisogna aspettare Parigi 1924. In una città che rappresentava bene lo slancio del 20° secolo, città d'arte con una vivace attività di teatro e musica, anche lo sport veniva a svolgere un ruolo importante. I 500.000 spettatori paganti dei Giochi costituirono una buona entrata per l'organizzazione e anche la trovata dei cartelloni pubblicitari sui campi di gara migliorò molto il bilancio.
Parigi era in pieno fervore di rinnovamento edilizio e l'Olimpiade contribuì a tale processo. La ristrutturazione dello stadio di Colombes risultò utile allo sport francese per tantissimi anni e questo fu il vero messaggio che Parigi diede alle città che avrebbero in seguito ospitato i Giochi: rinnovamento pensando al futuro. Non si trattava tanto di una questione di guadagno, quanto di un impegno verso la popolazione e le generazioni a venire. Da considerare anche che per certe opere le amministrazioni riescono a trovare accordo soltanto davanti a un grande evento e anche in questo Parigi diede l'esempio.
L'abilità commerciale degli olandesi fu invece fondamentale per le scelte di Amsterdam nel 1928. Fu quello un anno cruciale, in mezzo alla grande crisi mondiale, mentre il vento delle dittature faceva pensare che presto ci sarebbe stata un'altra guerra. Gli olandesi costruirono uno stadio da 40.000 posti sostenuto da 4500 piloni, dotato della prima pista di 400 m, la misura poi divenuta standard per le gare di atletica, con l'anello in carbonella dominato da una pista in legno riservata ai ciclisti. Si obbedì all'ordine del Comitato olimpico di non esporre manifesti pubblicitari dentro gli stadi, ma le entrate pubblicitarie furono ottenute ricorrendo per la prima volta alla versione aerea dei messaggi, con striscioni colorati trascinati in cielo. Nello stadio principale un tabellone presentava i risultati della pista, anticipazione del grande sforzo industriale di un paese che all'illuminazione, all'energia elettrica e all'elettronica avrebbe dedicato gran parte della sua attività. Alla fine di quell'edizione il generale Douglas McArthur, capo missione della squadra americana, dichiarò a de Coubertin che Amsterdam era un modello per le future Olimpiadi.
Fu però Los Angeles 1932 la prima Olimpiade a portare profitti reali e non soltanto simbolici, nonostante si svolgesse sotto la nube nera del crollo dei mercati finanziari. La California aveva avuto l'assegnazione dei Giochi estivi nel congresso del 1923 a Roma grazie ai buoni uffici del membro statunitense del CIO William May Garland, che fu capace di inventarsi di tutto, traendo profitto anche della rivalità elettorale fra il presidente Herbert Hoover e Franklin Delano Roosevelt, allora governatore dello Stato di New York. Garland lanciò una campagna di sostegno emettendo buoni olimpici e trovò il milione di dollari necessario alla costruzione dello stadio principale, il Coliseum. Attraverso il ricorso ai buoni olimpici Lake Placid, a cui erano assegnati i Giochi invernali, si procurò anche i 125.000 dollari necessari alla realizzazione della pista per le gare di bob, disegnata da un ingegnere tedesco. Il venerdì nero della Borsa, il 25 ottobre 1929, minacciò di mandare tutto all'aria. L'atmosfera si fece pesante, ma gli americani non cedettero. Di fronte alle difficoltà degli europei a raggiungere l'America furono proposte tariffe speciali di viaggio. I Giochi di Lake Placid, inaugurati da Roosevelt (Hoover rinunciò temendo le proteste degli ambientalisti che avevano contestato l'abbattimento degli alberi nella foresta degli Adirondack), furono un successo, anche per il contributo delle trasmissioni della ABC, mondo nuovo della comunicazione che si affacciava alle Olimpiadi. Costarono un milione di dollari, ma il bilancio fu positivo considerando anche il lancio della località come centro di vacanze. Per Los Angeles, nella sessione del CIO del 1931, Garland aveva avanzato ulteriori proposte, compresa la costruzione di un villaggio per gli atleti, piccoli bungalow sulle colline Baldwin dove i partecipanti ai Giochi avrebbero avuto vitto, alloggio e trasporti al costo di 2 dollari al giorno. Nel villaggio ogni squadra avrebbe potuto avere il suo ristorante e un cuoco portato dal paese d'origine. Per il costo del viaggio in California fu trovata una soluzione a 500 dollari a persona, un terzo della cifra prevista. Non mancavano intanto le proteste dei 13 milioni di disoccupati che in una tale situazione di crisi non potevano capire tanto impegno per le Olimpiadi. A Sacramento, capitale dello Stato, le manifestazioni si susseguirono ("vogliamo cibo non giochi"), ma l'Olimpiade in realtà offrì possibilità di lavoro perché la 'macchina' per costruire e organizzare richiedeva l'impiego di molte persone. Anche gli alberghi di Los Angeles trovarono finalmente clienti, a parte il Grand Chapman Park Hotel, assegnato alle atlete iscritte a quella Olimpiade. Hoover, che aveva concesso soltanto un'esenzione visti, allora molto costosi, non intervenne neanche a questa inaugurazione, che fu presenziata dal vicepresidente Charles Curtis; quattro mesi dopo fu battuto alle presidenziali da Roosevelt. L'Olimpiade fu un trionfo: vennero venduti 1.250.000 biglietti con un profitto netto, coperte le spese, di 1.000.000 di dollari, cosa mai accaduta prima e che non si sarebbe ripetuta fino agli altri Giochi di Los Angeles del 1984. Gli organizzatori poi smantellarono i bungalow del villaggio e vendettero ogni lotto di terreno.
Se i Giochi in California furono un successo economico, quelli successivi di Berlino del 1936 valsero come strumento di propaganda. A tal fine Hitler accettò pure dei compromessi, come un capo del Comitato organizzatore, Theodor Lewald, di origine ebraica, e l'invito a Helene Mayer, schermitrice figlia di un israelita emigrato in America, a tornare nella sua casa tedesca per gareggiare nel nome della Germania. Dopo iniziali incertezze, Hitler, esortato da Goebbels, comprese infatti che l'Olimpiade poteva essere una cassa di risonanza speciale per la Germania nazista e per l'industria tedesca che aveva l'occasione di far conoscere al mondo i suoi progressi. Non si badò a spese, non fu fatta alcuna economia. Lo stadio olimpico, progettato per i Giochi del 1916 poi sospesi per la guerra, venne ampliato con tribune capaci di ospitare 110.000 persone, la piscina scoperta fu portata a una capienza di 18.000 spettatori. I dirigenti del Comitato olimpico, che nel 1933 a Vienna, l'anno dopo ad Atene e ancora nel 1935 a Oslo, si dichiararono contrari al mantenimento del contratto con Berlino, si dovettero arrendere davanti a un'organizzazione e a degli impianti senza precedenti. Come non rimanere stupiti davanti alla meraviglia del villaggio per gli atleti o ai grandi schermi che in città consentivano di vedere le gare in sei posti diversi? Berlino nel suo bilancio contemplò le entrate derivanti dal turismo. In tempi non facili per i viaggi, vennero organizzati 1000 treni speciali e oltre 150.000 persone si recarono in Germania. Furono venduti 4.500.000 biglietti e a margine si può riferire che furono smerciati 16 milioni di salsicce, digerite con fiumi di birra. L'elemento più importante, comunque, fu la televisione: 138 ore di trasmissione per 162.000 spettatori, senza contare i collegamenti radio che coprirono tutto l'avvenimento. L'organizzazione inventò anche la staffetta per portare il fuoco di Olimpia allo stadio di Berlino, con l'intervento di 3000 staffettisti: anche questo fu un costo ammortizzato dalla propaganda, ma l'idea in futuro si sarebbe rivelata produttiva anche dal punto di vista economico, grazie alla sponsorizzazione locale, con la vendita metro per metro della strada che porta da Olimpia alle città dei Giochi.
Dal punto di vista dell'economia, i Giochi nel dopoguerra possono essere suddivisi in tre fasi: ricostruzioni con scarso guadagno, rischi con perdite, grandi entrate e bilanci in attivo.
Trovare soldi per organizzare un'Olimpiade in paesi devastati dalla guerra e in città che ancora dovevano riprendersi, sembrava un'utopia. Il Comitato olimpico internazionale riprese da dove si era interrotto: l'ultima sessione tenuta nel 1939 a Londra, due anni dopo la scomparsa di de Coubertin. Il barone era morto a Ginevra il 2 settembre 1937, dopo aver dovuto cedere il suo piccolo appartamento di Losanna, senza tanti soldi in tasca. Lasciava molti progetti (fra cui quello di coinvolgere al più presto il mondo asiatico, uno sviluppo che in effetti conterà moltissimo nel futuro del mercato olimpico), ma non molti rimpianti. La prima parte della vicenda dei Giochi moderni non aveva arricchito nessuno, neppure il Comitato olimpico, anche se dopo l'edizione di Los Angeles 1932 si era capito che vi era la prospettiva di ricavare dai Giochi delle entrate cospicue, da reinvestire per sostenere progetti sportivi e cultura dello sport.
Fu Londra, già candidata per il 1944, a organizzare i Giochi della rinascita. Non era facile chiedere uno sforzo economico agli inglesi in anni in cui la popolazione ancora doveva comprare gli alimenti esibendo la tessera annonaria. La città bombardata era da ricostruire, eppure fu abbastanza vitale per battere la concorrenza, soprattutto quella degli americani che riproposero Los Angeles, oltre a Minneapolis, Baltimora e Filadelfia, spronati dal successo economico del 1932. Altre concorrenti erano Atene e Losanna che contava sulla neutralità della Svizzera. La spinta in favore degli inglesi arrivò da Sigfrid Edstrom, nuovo presidente del CIO.
Fondamentale nei Giochi del 1948 risultò il primo contratto con la televisione, il documento base per la nascita di un rapporto sui diritti di ripresa e trasmissione concessi dal Comitato organizzatore, in nome del CIO, a un canale televisivo. L'operazione avvenne con la BBC. L'impegno economico fu più o meno di 3000 dollari. L'evento fu seguito da 500.000 persone, le ore di sport olimpico trasmesse furono 64, le immagini raggiunsero telespettatori in un raggio non superiore alle 50 miglia da Londra. In un paese ancora sottoposto al razionamento non fu possibile costruire un villaggio per gli atleti, gli unici fondi a disposizione furono utilizzati per sistemare la pista atletica allo stadio di Wembley. Per chi non aveva possibilità economiche e non poteva permettersi i pochi alberghi disponibili furono allestite caserme militari a Uxbridge e Richmond Park, oppure aule scolastiche. Lavorando sul poco che si poteva guadagnare gli organizzatori chiusero con un attivo di 750.000 sterline.
Quattro anni dopo, Helsinki rappresentò il paradiso perduto dell'olimpismo, la terra che tutti avrebbero voluto come sede permanente dei Giochi. Il governo intervenne mettendo in bilancio oltre un milione di dollari per la costruzione del villaggio olimpico di Otaniemi. La Finlandia aveva già iniziato dei preparativi per l'edizione che le era stata assegnata nel 1940, ma dopo la sospensione delle Olimpiadi quel villaggio e quei terreni erano stati dati, come promesso, alla popolazione. La costruzione di un nuovo villaggio fu necessaria perché i posti disponibili negli alberghi della capitale finlandese erano soltanto 4000. Per i turisti, i giornalisti e gran parte delle delegazioni furono trovate soluzioni in case private. Per la prima volta il Comitato organizzatore discusse il contratto televisivo arrivando a un accordo per cedere trasmissioni anche nell'importante mercato statunitense. Non erano naturalmente dirette, ma servizi che poi venivano riversati oltre Atlantico.
Per i Giochi invernali di Cortina 1956 per la prima volta 22 paesi poterono vedere in diretta le immagini delle gare olimpiche: un momento storico che diventò anche più emozionante quando l'ultimo tedoforo cadde proprio davanti a una telecamera; la fiaccola si spense ma fu subito riaccesa. Grazie ai proventi televisivi mutò la storia del movimento olimpico che mai aveva prospettato delle entrate così sostanziose. Proprio per questo nel 1958, durante la sessione olimpica di Tokyo, sarebbe stato inserito nella Carta Olimpica l'articolo 49 che recita: "I diritti per le trasmissioni televisive saranno venduti direttamente dai Comitati organizzatori delle città che dovranno allestire i Giochi, ma sempre dopo l'approvazione del Comitato olimpico internazionale, e le entrate dovranno essere distribuite in accordo con le istruzioni del Comitato".
In questa atmosfera bisogna leggere le vicende dell'Olimpiade organizzata a Melbourne, in Australia, dal 22 novembre all'8 dicembre 1956. La vittoria di questa candidatura sconvolse un po' tutti, a causa della lunghezza del viaggio e del costo elevato della trasferta. L'imprenditore Frank Beaurepaire, ex nuotatore olimpico, riuscì a vincere ogni resistenza e ad aggiudicarsi i Giochi (che l'Australia avrebbe voluto già nel 1920 per Perth e nel 1930 per Sydney), battendo per un voto, nella quarta e ultima votazione, l'americana Detroit. Il governo centrale diede il suo impegno totale, addossandosi più di metà delle spese per la costruzione degli impianti iniziando dal Melbourne cricket ground. L'Olimpiade avrebbe avuto bisogno di serenità, dopo che la vigilia era stata tormentata da molti scioperi dei lavoratori che nel 1955 avevano addirittura fatto rischiare il trasferimento della sede olimpica. I Giochi di Melbourne capitarono invece in piena bufera politica, a causa della occupazione sovietica dell'Ungheria e della crisi di Suez, e l'Olimpiade pagò il suo tributo perché molti rinunciarono al viaggio e alle gare. Gli olandesi decisero di destinare i 100.000 fiorini fissati per la trasferta a Melbourne alla popolazione ungherese, ritirandosi dai Giochi. La stessa cosa fecero la Spagna e, clamorosamente, anche la Svizzera, paese solitamente neutrale e sede del Comitato Olimpico. A Melbourne vi fu il numero più basso di atleti dalle Olimpiadi del 1932. Chi organizzò trovò comunque conforto negli stadi pieni e la vendita dei biglietti pareggiò le spese sostenute.
Per Roma 1960 il movimento olimpico italiano stipulò il primo grande contratto televisivo. Giulio Onesti, presidente del CONI, ottenne dalla CBS la garanzia economica per sostenere un'Olimpiade che già disponeva di una base di 50 milioni di dollari, accumulati attraverso il Totocalcio. Gli americani per avere le immagini dei Giochi proposero un accordo sulla base di 394.000 dollari, due terzi in più di quello che versò l'Eurovisione, una cifra altissima, tanto più se confrontata con i 50.000 dollari stabiliti dalla stessa CBS per l'Olimpiade invernale del 1960. Il CIO, attraverso il presidente lord Burghley, aveva già chiesto di applicare un 5% di tasse olimpiche sulla vendita dei biglietti (il 3% da destinare al Comitato organizzatore e il 2% al CIO), il CONI garantì al CIO il 5%, anche per evitare nuove discussioni dopo quelle avute nel 1957 nella sessione di Sofia, quando l'organizzazione italiana aveva chiesto di poter distribuire il programma delle gare atletiche in tutte e due le settimane dei Giochi, ma il presidente inglese si era opposto per non danneggiare gli altri sport. Onesti insistette comunque per la revisione del programma e si arrivò alla decisione di imporre dei limiti di partecipazione per le gare in cui ogni nazione avrebbe voluto schierare più di un rappresentante. Il CIO, su sollecitazione italiana, stabilì il principio che 15 sport avrebbero costituito la base organizzativa, mentre avrebbero potuto essere aggiunte dalle città organizzatrici altre discipline a patto che fossero praticate in almeno 25 paesi, con la possibilità invece di togliere dal programma sport che avessero meno di 12 paesi iscritti. Fu una vittoria importante che aiutò Roma a organizzare bene la sua Olimpiade.
Gran parte dei 50 milioni di dollari stanziati servì per costruire 12 nuovi impianti, disegnati dall'ingegnere Pierluigi Nervi. Di particolare rilievo fu il villaggio olimpico edificato oltre il Tevere e collegato agli impianti da un nuovo ponte. Roma dunque fu libera di costruire una nuova base sportiva per il paese e tutto il denaro speso in questa Olimpiade davvero servì per la causa dello sport nazionale. Un bilancio senza dubbio positivo venne dalla strada intrapresa sui contratti televisivi che a partire da questa Olimpiade portarono nelle casse degli organizzatori e del CIO miliardi che poi in gran parte sono stati utilizzati per lo sviluppo dello sport nel mondo.
Sulla stessa direzione proseguì Tokyo, che ottenne per l'edizione olimpica del 1964 un accordo televisivo, questa volta con la NBC, da 1.500.000 dollari. I diritti furono poi rivenduti dalla compagnia statunitense all'Eurovisione e allo stesso Giappone (che a Roma, attraverso la NHK, aveva comperato le immagini da spedire giornalmente, con videotape, per via aerea). Per le trasmissioni televisive nel mondo furono utilizzati i satelliti. Il bilancio di previsione dei giapponesi per la loro Olimpiade fu di 200 milioni di dollari e in quelle spese era compreso l'affitto di navi dove alloggiare 1600 turisti, l'utilizzazione di 21.000 automobili e 6000 autobus. Lo sforzo fu premiato dal record di partecipazione, ben 93 paesi, 10 più che a Roma, con 163 competizioni organizzate contro le 150 dell'edizione italiana. L'Olimpiade diventò davvero il raduno universale della gioventù mondiale facendo convivere nello stesso villaggio cristiani, musulmani, ebrei, buddisti. I Giochi giapponesi avvicinarono allo sport olimpico più di 250 organizzazioni commerciali. Una nuova marca di sigarette, chiamata Olympia, procurò un guadagno di oltre un milione di dollari al Comitato organizzatore. La Seiko garantì il cronometraggio elettrico gratuitamente, in cambio di pubblicità.
I migliori contratti televisivi non risolvevano del tutto i problemi del CIO che nel 1960 aveva un debito di 60.000 franchi, salito a 266.000 nel 1966. Ma ormai la strada era aperta e due anni prima delle Olimpiadi messicane, dopo tante liti, si decise di suddividere le entrate olimpiche anche con i Comitati nazionali e le Federazioni internazionali. Con Città del Messico la televisione offrì immagini a colori e al rallentatore. La base di spesa stanziata dagli organizzatori si avvicinava ai 180 milioni di dollari, un terzo dei quali destinati alla costruzione di nuovi impianti che comprendevano un villaggio per gli atleti capace di ospitare 5000 persone. Il governo intervenne con 56 milioni di dollari, la televisione ne garantì 6,5, di cui 4,5 versati dagli americani della ABC.
Alle Olimpiadi di Monaco nel 1972 il CIO scelse come agente per la vendita dei diritti una compagnia privata. Gli emblemi olimpici furono messi all'asta e portarono nelle casse del Comitato Olimpico miliardi, la mascotte Waldi fu ceduta al miglior offerente. Il bilancio per costruire lo stadio e il villaggio, collegato da un treno agli impianti, superò i 650 milioni di dollari. Gli spettatori delle gare olimpiche furono 4.500.000, ci furono collegamenti in mondovisione, il numero dei giornalisti accreditati salì a 4000. L'assalto dei terroristi palestinesi al villaggio olimpico dove era la palazzina d'Israele, funestò, come è noto, quell'edizione dei Giochi. Brundage volle che la manifestazione continuasse comunque. Per gli organizzatori fu un grande disagio.
L'attentato di Monaco trasformò l'Olimpiade in un 'carrozzone' blindato e quando si andò a Montreal le spese per gli organizzatori erano raddoppiate, perché la sicurezza impose almeno 16.000 poliziotti per vigilare sul villaggio e gli impianti. Per i canadesi non fu il solo problema. Ce ne erano già stati tanti nella preparazione, a causa dello sciopero delle maestranze a cui si aggiunse la rinuncia alle gare degli atleti africani. Alla fine i conti lasciarono soddisfatti gli organizzatori: l'introito globale fu di 470 milioni di euro e le spese ammontarono a 207 milioni. Un programma di sponsorizzazioni che aveva coinvolto 268 aziende fruttò al Comitato di Montreal 7 milioni di dollari. Era previsto un incasso di 3.250.000 dollari dalla vendita di biglietti, ma 100.000 biglietti restarono invenduti a causa del boicottaggio e a chi aveva già acquistato il tagliando di ingresso fu concessa l'opzione del rimborso. Il problema vero nacque dal fatto che il governo locale dovette imporre ai cittadini del Québec una tassazione supplementare per rientrare delle spese sostenute per la costruzione degli impianti. Questo scoraggiò tutti gli organizzatori delle Olimpiadi seguenti, tanto da indurre a una rarefazione delle candidature. Tuttavia Innsbruck, subentrata a Denver per le Olimpiadi invernali del 1976, se la cavò con una base di bilancio di 85 milioni di dollari.
Poi fu la volta di Mosca, che nella sessione del 1974 aveva battuto Los Angeles per ottenere l'edizione del 1980. Il suo Comitato organizzatore dipendeva totalmente dallo Stato che garantì ogni copertura, anche il collegamento satellitare con i suoi cosmonauti nello spazio. Per il villaggio olimpico fu scelta una grande caserma di periferia, a 45 minuti dallo stadio Lenin, un impianto per 120.000 spettatori. Questa Olimpiade rimase segnata dal boicottaggio voluto dagli Stati Uniti.
A partire dai Giochi di Los Angeles 1984, i primi affidati interamente all'organizzazione privata, quella di Peter Ueberroth, e che si conclusero con un attivo di 215 milioni di dollari per il Comitato organizzatore, il quadro economico delle Olimpiadi è interamente mutato e si è aperta la fase dei grandi guadagni, derivati in primo luogo dalla vendita dei diritti televisivi e poi dall'incremento del marketing e delle sponsorizzazioni.
Per capire quanto sostanziale sia stata questa evoluzione sono sufficienti alcune cifre. Le trasmissioni televisive hanno coinvolto a Seul 1988 160 paesi per 2570 ore di immagini, a Barcellona 1992 193 paesi per 2700 ore, ad Atlanta 1996 214 paesi per 3000 ore, a Sydney 2000 220 paesi per oltre 3400 ore, mentre ad Atene 2004 i paesi sono stati 221 e le ore più di 3500.
Il reddito procurato dal marketing è passato da 350 milioni di dollari nel 1980 (Mosca, Giochi estivi e Lake Placid, Giochi invernali) a 790 milioni di dollari nel 1984 (Los Angeles e Sarajevo), 1150 milioni di dollari nel 1988 (Seul e Calgary), 1870 milioni di dollari nel 1992 (Barcellona e Albertville); Lillehammer 1994 e Atlanta 1996 hanno reso 2660 milioni di dollari; Nagano 1998 e Sydney 2000 3750 milioni di dollari; Salt Lake City 2002 e Atene 2004 4260 milioni di dollari. Il quadro è semplice da leggere e fa comprendere come i Giochi siano diventati più forti e più grandi grazie alla stessa pubblicità che pure in qualche modo li soffoca.
Le aziende legate alle Olimpiadi sono state elemento importante per il progresso del movimento: nel 1988, a Calgary e Seul, le 9 aziende coinvolte procurarono 96 milioni di dollari; nel 1992 ad Albertville e Barcellona si salì a 172 milioni con 12 compagnie impegnate nel programma; nel 1994 a Lillehammer e nel 1996 ad Atlanta le 10 società procurarono entrate per 376 milioni di dollari; nel 1998 a Nagano e nel 2000 a Sydney si salì a 579 milioni di dollari e il numero degli sponsor più importanti era arrivato a 11; a Lake Placid 2002 e Atene 2004 le 10 aziende più importanti hanno portato 650 milioni di dollari.
In sostanza si può dire che un nuovo modo di organizzare le Olimpiadi è emerso a Sydney 2000. Oltre agli sponsor principali si sono affacciate tante aziende che pur di partecipare hanno assicurato un sostegno economico. Il costo dell'organizzazione ha superato i 1200 milioni di dollari. Nel periodo 1997-2000 il Comitato organizzatore ha realizzato entrate per quasi 2600 milioni di dollari così distribuite: 356.000.000 per la vendita dei biglietti, 315.000.000 dagli sponsor locali, 579.000.000 dagli sponsor più importanti, 1.331.600.000 dai diritti televisivi, pari al 51% delle entrate. Per arrivare alla cifra record delle entrate televisive di Sydney, superiore di 400.000.000 rispetto a quella di Atlanta, i vari continenti hanno contribuito in questo modo: Americhe 746,2 (NBC 705, CBC canadese 28, Centro e Sudamerica con OTI, Organización de la televisión iberoamericana, 12, Portorico con Teleonce 1, Caraibi con CBU 0,2); Asia 168,3 (Japan pool 135, Taipei con CTSP, Chinese Taipei Sydney pool, 3, Corea pool 13,8, Filippine con PTNI 1,6, paesi arabi con ASBU 4,5); Europa 350 (servizi dell'EBU, European broadcasting union); Oceania 56,6 (Canale 7 dell'Australia 45, TVNZ, Television New Zealand, 10); Africa 10,5 (servizi dell'URTNA, Union des radio-télévisions nationales d'Afrique). Di questi ricavi, 1800 milioni di dollari, circa il 70%, è andato agli organizzatori e al movimento olimpico australiano, i restanti 800 milioni sono stati destinati al movimento olimpico internazionale.
C'è da dire che una parte non indifferente delle spese è servita a ridurre al minimo l'impatto ambientale della manifestazione. In questa campagna per il rispetto della natura si sono parimenti impegnati il Comitato organizzatore e il CIO, partendo da tre concetti fondamentali per la difesa ambientale: riutilizzazione, riciclaggio, riduzione dei costi. I grandi avvenimenti comportano una grande quantità di rifiuti difficili da smaltire e molto inquinamento. Il primo obiettivo è stato dunque quello di ridurre tale quantità, riutilizzando al massimo materiali e risorse. I Giochi sono stati organizzati in un'area dal suolo inquinato bonificato per l'occasione. Quando è stato possibile gli impianti e le attrezzature sportive sono stati realizzati usando materiale riciclato e sono stati rimessi a nuovo vecchi edifici. L'energia per il villaggio atleti è stata fornita da pannelli solari. Per evitare l'inquinamento si è ridotto al minimo l'uso delle auto private, potenziando i servizi di trasporto con autobus e treni. Il cibo è stato servito, per quanto possibile, su piatti riutilizzabili e quando è stato necessario impiegare stoviglie da gettare dopo l'uso, sono stati scelti materiali biodegradabili in carta e fibre di canna da zucchero. I souvenir dell'Olimpiade sono stati prodotti con materiali naturali. I mobili del villaggio sono stati realizzati in plastica riciclabile.
Per quanto riguarda il 2004 i ritardi nella costruzione e nella sistemazione dei nuovi impianti hanno penalizzato il bilancio economico della XXVIII Olimpiade, ma alla fine Atene è uscita trionfalmente da questa fatica, avendo anche apportato notevoli cambiamenti alla struttura urbana. La Grecia per questi Giochi ha speso 10 miliardi di euro, causando una crescita al 5,3% del debito pubblico e rischiando quindi una sanzione dall'Unione Europea. Il budget iniziale preventivato dal governo è stato sforato del 10%, passando da 4800 a 6200 milioni di euro a cui si devono aggiungere i 1962 milioni investiti dal Comitato organizzatore, i 765 milioni per le spese sostenute per beni e servizi, i 1230 per la sicurezza, uscite coperte in parte dai rientri televisivi, che sono stati superiori agli 800 milioni, dai 600 milioni degli sponsor, dai 190 milioni provenienti dalla vendita dei biglietti.