Temi olimpici: la politica, le guerre, i boicottaggi
I Giochi Olimpici dell'era moderna hanno ormai più di un secolo di vita. In questo tempo il loro cammino non è stato scevro di difficoltà, le più gravi delle quali sono consistite nell'assicurarsi la sopravvivenza nel corso del primo decennio ma, soprattutto, nel far fronte alle conseguenze delle vicende politiche internazionali. Tra queste spiccano ovviamente le sospensioni delle edizioni del 1916, 1940 e 1944 a causa delle due guerre mondiali e i boicottaggi che, quasi sempre legati alla guerra fredda, resero largamente incompleto il numero delle nazioni partecipanti in diverse edizioni.
Con il virtuale esaurimento delle cause della guerra fredda, dal 1992 in poi le vicende politiche internazionali hanno influito sempre meno sull'organizzazione dei Giochi, mentre il problema principale sembra essere divenuto, prescindendo da quello del doping, che in un'era ormai votata allo sport professionistico si è obiettivamente fatto sempre più serio, il gigantismo da cui essi sono stati connotati nel corso degli ultimi anni, tale da impensierire qualunque città se ne voglia assumere l'incombenza.
A dispetto di tutto questo, però, è indubbio che i Giochi hanno da tempo finito per rivestire il ruolo di manifestazione faro dello sport mondiale, tanto che la loro risonanza ha travalicato la sfera dello sport stesso, attirando l'interesse di altri rami della vita sociale di qualsiasi angolo del mondo: non è un caso che svariati movimenti politici abbiano pensato di servirsi dell'importanza dei Giochi, oggi teletrasmessi in quasi tutti i paesi della Terra, come cinghia di trasmissione dei loro problemi e delle loro aspirazioni.
La Prima guerra mondiale, che dal 1914 al 1918 coinvolse buona parte dell'Europa e diversi paesi di altri continenti e dal 1917 gli Stati Uniti, mise il Comitato internazionale olimpico davanti a problemi nuovi e particolarmente gravi. L'attività sportiva divenne per ovvie ragioni molto precaria per tutte le nazioni coinvolte. Pierre de Coubertin scrive nelle sue Memorie: "La guerra creò uno stato di cose che rischiava di mettere in pericolo l'essenza stessa dell'istituzione olimpica".
I Giochi del 1916 avrebbero dovuto svolgersi a Berlino, ma la Germania era una delle nazioni in guerra e aveva tra l'altro invaso il Belgio. Fin dall'inizio delle ostilità si capì che quei Giochi dovevano esser cancellati, pur salvando il numero progressivo di quella edizione (la sesta) in omaggio all'antica tradizione greca. Il CIO si trovò in difficoltà, avendo tra i suoi membri rappresentanti di tutte le potenze in guerra. L'organo internazionale non aveva una sede per così dire ufficiale. In tempi in cui ci si poteva regolare semplicemente con un gentlemen's agreement, era da tutti sottinteso che Parigi dovesse esser considerata tale, in quanto città di residenza del presidente de Coubertin. Ma il conflitto aveva creato una situazione nuova e lo stesso barone ebbe l'intelligenza di accorgersene: "Dopo avere avvisato quei membri con cui potevo ancora comunicare, decisi di rinunciare ad altre impossibili consultazioni e guardai alla neutrale Svizzera come sede ideale del CIO". Il progetto divenne realtà e la scelta fu a favore di Losanna che divenne sede amministrativa mondiale del CIO e dei suoi archivi il 10 aprile 1915, quando al Comune di quella città furono firmati gli accordi. Non c'è dubbio che quella scelta fosse indovinata: a quasi 90 anni da allora Losanna è ancora la sede del CIO.
Quando il grande conflitto ebbe fine (1918) de Coubertin e i suoi affrontarono il problema di ridare vita ai Giochi Olimpici. Già nel 1919 fu presa la decisione di assegnarli ad Anversa, nel Belgio, che per la verità aveva posto la sua candidatura fin dal giugno 1914, insieme a Budapest. Più tardi era stata avanzata anche quella di Lione, in Francia. La scelta definitiva a favore di Anversa, appoggiata da quelle che durante il conflitto erano definite le 'potenze alleate', fu in sostanza un gesto di sfida nei confronti dell'altra coalizione, composta da Germania, Austria, Ungheria, Bulgaria e Turchia, che era uscita sconfitta dalla guerra. E infatti il CIO decise di non invitare ai Giochi queste cinque nazioni. De Coubertin si rendeva conto che sarebbe stato rischioso far sfilare ad Anversa le squadre di coloro che, come i tedeschi, erano stati gli invasori del Belgio, visto che le ferite morali e materiali causate dalla guerra erano fin troppo recenti. Egli stesso, nelle sue Memorie, dirà più tardi che permettere ai tedeschi di partecipare a quei Giochi sarebbe stato imprudente. Ma aggiungeva anche: "D'altra parte, proclamare solennemente un qualsiasi ostracismo, sia pure all'indomani di un conflitto che aveva insanguinato l'Europa, sarebbe equivalso a derogare da quello spirito olimpico che fino ad allora era stato sempre così resistente; e quindi a creare un pericoloso precedente. Ma la soluzione era molto semplice. Ad ogni Olimpiade è il Comitato organizzatore che trasmette gli inviti, secondo la formula adottata fin dal 1896. Esso è quindi maestro di tale distribuzione, senza che il principio fondamentale dell'universalità ne risulti leso". Così sembrò lecito risolvere la questione semplicemente con un 'non invito' ai paesi promotori della guerra. Formalmente tale decisione poteva anche apparire corretta, ma è certo che nella realtà rappresentò il primo caso di boicottaggio olimpico. Di fatto si rivelò corretta la previsione di de Coubertin relativa al 'pericoloso precedente'. La stampa dei paesi esclusi dai Giochi fu comunque presente ad Anversa e i suoi commenti non furono certo teneri nei confronti dell'organizzazione, giudicata più carente di quanto non fu in realtà.
La ferita aperta nel 1920 fu più lunga del previsto almeno per quanto riguarda la Germania alla quale fu imposta la formula del 'non invito' anche per i Giochi del 1924 a Parigi, che fecero comunque registrare un nuovo record in quanto a partecipazione: 3076 atleti di 44 nazioni. Quello fu davvero un anno magico per la Francia, che già in febbraio ebbe l'onore di ospitare a Chamonix i primi Giochi Olimpici invernali. E già all'avvio, nel 1924 a Chamonix, erano presenti 258 concorrenti in rappresentanza di 16 nazioni.
Nell'edizione di Amsterdam 1928, tornò a gareggiare la Germania. Non figurava invece per sua propria scelta l'Unione Sovietica, che si sarebbe presentata solo nel 1952. Per molti anni, infatti, prevalse nella filosofia dello Stato sovietico l'idea che i Giochi fossero soltanto un prodotto della borghesia capitalistica e come tali non frequentabili. Negli anni fra le due guerre mondiali l'URSS conobbe solo il cosiddetto 'sport di massa', nel quale valevano le cifre dei partecipanti assai più che il valore dei risultati. Da notare del resto che fin dal 1918 si era presa l'abitudine di cancellare dagli Albi dei primati tutti i risultati ottenuti al tempo della Russia zarista. Per quanto riguarda l'attività internazionale, l'Unione Sovietica si limitava a partecipare alle Olimpiadi Operaie e alle Spartakiadi che erano organizzate dalla SASI (Sozialistische Arbeiter-Sportinternationale), organismo dello sport operaio fondato in Germania nel 1913, al quale avevano aderito formazioni di ispirazione socialista di diversi paesi. La prima Olimpiade operaia si tenne nel 1925 a Francoforte sul Meno, nell'ambito di cinque sport: atletica, ginnastica tedesca, nuoto, ciclismo e sollevamento pesi. Fu una manifestazione dal forte contenuto politico, alla quale parteciparono sportivi di 10 nazioni, e destò naturalmente varie reazioni. Ne seguirono altre due simili, nel 1931 a Vienna e nel 1937 ad Anversa, con risultati tecnici non rilevanti, visto che non ci furono quasi mai concorrenti di valore mondiale. L'URSS, unico paese che aderiva totalmente alla manifestazione, ebbe comunque modo di far conoscere qualche suo atleta di buon livello. La prima Spartakiade degli sport invernali ebbe luogo nel 1928 a Oslo. Più tardi, nello stesso anno, Mosca organizzò un evento analogo per gli sport estivi con concorrenti di 12 nazioni: URSS, Germania, Francia, Gran Bretagna, Svezia, Norvegia, Finlandia, Lettonia, Estonia, Austria, Svizzera e Uruguay. Nel 1931 si sarebbe dovuta tenere un'altra edizione a Berlino, ma fu proibita dall'intervento della polizia. Anche il nome Spartakiade era stato ereditato dall'antichità: Spartaco era un trace, che dopo aver combattuto con l'esercito romano aveva disertato; catturato, ridotto in schiavitù e destinato agli spettacoli nell'arena, riuscì a fuggire con altri gladiatori, rifugiandosi nella zona del Vesuvio; il gruppo di ribelli si unì ad altri schiavi e impegnò i romani in severi combattimenti; Spartaco morì durante una di queste battaglie nel 71 a.C. Chiaro quindi il significato che gli aderenti alla SASI avevano voluto dare alle loro manifestazioni sportive.
I Giochi Olimpici di Los Angeles del 1932 furono splendidi per molti versi, ma non per la partecipazione, limitata a 1332 atleti di 37 nazioni. Non erano ancora diffusi nel mondo mezzi veloci che permettessero di varcare l'Oceano in tempi brevi e i costi dei viaggi erano proibitivi. Così accadde per esempio che il Comitato olimpico del Brasile, i cui atleti raggiunsero la California dopo un lungo viaggio via mare, si vide costretto a finanziare la spedizione dotando i suoi di 50.000 sacchi di caffè. Solo il ricavato della vendita di questo prodotto nei vari porti toccati lungo il viaggio avrebbe potuto sovvenzionare adeguatamente la spedizione, soprattutto per il lungo soggiorno a Los Angeles. Lo scopo fu in parte raggiunto, ma solo un terzo degli atleti poté permettersi di sbarcare a Los Angeles e partecipare alle gare. Gli altri rimasero sulla nave per tutta la durata delle Olimpiadi.
Nel 1936 l'onore e l'onere di organizzare le due sezioni dei Giochi toccarono alla Germania, che ospitò i Giochi invernali nel magnifico quadro di Garmisch-Partenkirchen in Baviera e quelli estivi a Berlino. Questa scelta era stata fatta nel 1931, cioè prima dell'ascesa al potere di Adolf Hitler, ma le leggi razziali da lui introdotte successivamente in Germania resero incandescenti i mesi che precedettero i Giochi. Fu inevitabile che in alcuni paesi del mondo si parlasse di Nazi Olympics. Soprattutto negli Stati Uniti c'erano dirigenti sportivi di razza ebraica che avrebbero boicottato volentieri l'appuntamento tedesco, anche se alla fine prevalse l'idea, caldeggiata da Avery Brundage presidente del Comitato olimpico statunitense, di partecipare. Anche in Francia, dov'era al potere il Fronte Popolare di Léon Blum, finì per prevalere la stessa tendenza, pur dopo molte esitazioni. Hitler, in principio contrario all'idea di ospitare i Giochi, espressione a suo dire del 'giudaismo internazionale', si lasciò infine convincere da certi suoi consiglieri e cercò poi di usare la manifestazione come veicolo di propaganda del suo regime. A parte tutto questo, i Giochi tenuti in Germania nel 1936 segnarono nuovi record di partecipazione: 646 atleti di 28 nazioni a Garmisch e 3963 atleti di 49 nazioni a Berlino. Anche l'organizzazione fu ottima. Ci fu anche un'innovazione importante, dovuta a Carl Diem, capo del Comitato organizzatore, uomo dallo spirito liberale nonché cultore di storia dello sport: una staffetta nella quale si avvicendavano giovani di vari paesi recanti una torcia lungo il percorso fra l'antica Olimpia e Berlino, per portare la fiamma dei Giochi dall'antica alla nuova sede. Tutto cominciò con un rito sulle rovine di Olimpia, dove apparvero 15 ragazze greche vestite da sacerdotesse e dove fu accesa la torcia. Il primo tedoforo fu il greco Kyril Kondylis, l'ultimo, dopo molti altri e molte miglia di corsa, il mezzofondista tedesco Fritz Schilgen, che accese il fuoco in un braciere posto nell'Olympiastadion di Berlino.
A proposito dei Giochi invernali di Garmisch, storici come Erich Kamper e Bill Mallon hanno accreditato come veritiero il racconto secondo cui il belga Henri de Baillet-Latour, presidente del CIO, poco prima di entrare nella località bavarese fu colpito dalla vista di un cartello su cui era scritto "Ingresso vietato ai cani e agli ebrei". Immediatamente comunicò a Hitler il suo desiderio di veder rimossa quella scritta. Hitler in un primo tempo si oppose, dicendo che quando si va in un posto come ospiti è buona norma rispettare i costumi dell'ospitante. Il belga replicò che per la durata dei Giochi la bandiera olimpica avrebbe sventolato su Garmisch, per cui il CIO si sentiva ospitante. Hitler non seppe replicare e fece rimuovere il cartello.
De Baillet-Latour, presidente del CIO dal 1925, gestì saggiamente gli affari nella difficile 'congiuntura' dei Giochi di Berlino. Durante la prima giornata, Hitler aveva stretto la mano ai vincitori delle gare nell'Olympiastadion, andandosene però 'per affari di Stato' poco prima della conclusione della gara di salto in alto, vinta poi dal nero americano Cornelius Johnson davanti ai suoi connazionali Dave Albritton, anch'egli di colore, e Delos Thurber. A quel punto de Baillet-Latour sentì il dovere di mettersi in comunicazione con Hitler e di invitarlo a fare una scelta: congratularsi con tutti i vincitori o astenersi del tutto da tale incombenza. Hitler scelse la seconda via e così nella giornata successiva, quando il nero americano Jesse Owens vinse la prima delle sue quattro medaglie d'oro, non ci fu nessun incontro tra i due, contrariamente a quanto vuol far credere una 'leggenda' assai diffusa secondo la quale il Führer si sarebbe rifiutato di stringergli la mano.
Com'era intuibile, nuovi e gravi problemi stavano per rendere arduo il cammino della famiglia olimpica. Il Secondo conflitto mondiale era ormai alle porte. Scoppiò nel 1939, due anni dopo la morte di de Coubertin, e costò due edizioni dei Giochi Olimpici, quelle del 1940 e del 1944. La prima era stata assegnata a Tokyo fin dal 1936, ma i successivi impegni bellici del Giappone con la Cina costrinsero il CIO ad adottare un'altra scelta, e questa cadde su Helsinki. Ma anche la capitale finlandese dovette rinunciare, a causa del conflitto con l'URSS. La guerra mondiale finì per far rinunciare definitivamente all'idea di salvare i Giochi del 1940. Quelli del 1944 ebbero la stessa sorte: erano stati assegnati a Londra e la capitale britannica ebbe pertanto gioco facile, una volta uscita dalla guerra dalla parte dei vincitori, a riaffermare i propri diritti sulla prima edizione post-bellica, quella del 1948. Per i Giochi estivi fu adottato il metodo di applicare la numerazione progressiva anche per le due edizioni non disputate, che risultarono rispettivamente la dodicesima e la tredicesima. Meno ligia a questo principio si dimostrò la dirigenza dei Giochi Olimpici invernali: anche di questi non si erano disputate due edizioni, ma la prima del dopoguerra, svoltasi nel 1948 a St. Moritz, ebbe il numero successivo a quella di Garmisch-Partenkirchen 1936, risultando così la quinta della serie.
I Giochi di Londra si svolsero in un clima di austerità per il disagio economico del dopoguerra, ma risultarono nel complesso molto dignitosi tecnicamente. Naturalmente fu applicato nei confronti degli ex nemici lo stesso discutibile criterio usato dopo il Primo conflitto mondiale: stavolta i 'non invitati' furono la Germania e il Giappone. Miglior trattamento fu riservato invece all'Italia, che poté partecipare. E le cifre dei presenti furono leggermente superiori a quelle di Berlino 1936: parteciparono infatti 4104 atleti di 59 Paesi. L'Unione Sovietica avrebbe potuto essere presente, ma decise di astenersi ancora. Non mancò però di mandare a Londra una 'delegazione di studio'. L'URSS aveva fatto il suo ingresso nella famiglia internazionale partecipando ad alcune importanti manifestazioni sportive, come i Campionati Europei di atletica del 1946 a Oslo. Forse la sua rinuncia ai Giochi di Londra fu motivata da ragioni politiche: non si sentiva ancora pronta per primeggiare su tutti, come la filosofia del suo regime le imponeva di fare. Da tempo era invalsa l'abitudine nei giornali di tutto il mondo di pubblicare una classifica delle nazioni in base alle medaglie ottenute nel complesso degli sport (che la lettera e lo spirito del CIO in realtà non avevano mai contemplato). Gli Stati Uniti avevano da sempre la leadership e solo nel 1936 avevano dovuto cederla alla Germania.
La rinuncia dell'Unione Sovietica tenne lontani dai Giochi di Londra anche gli atleti dei Paesi Baltici, Estonia, Lettonia, Lituania, a essa annessi dopo la fine della guerra. Questa situazione, frutto degli eventi politico-militari, colpì atleti che avrebbero potuto aspirare alle medaglie olimpiche, come per esempio l'estone Heino Lipp, ottimo atleta nel peso e nel decathlon. D'altronde il lungo conflitto mondiale, facendo 'saltare' due Olimpiadi, era costato eguali rinunce a parecchi atleti di molti paesi, belligeranti e non. Tutto questo rifletteva una situazione ben lontana dagli ideali di de Coubertin, così come li aveva sintetizzati in un suo discorso molti anni prima, alla vigilia di una celebrazione olimpica: "Mi auguro che a questi Giochi possano partecipare in gran numero gli atleti del mondo. Quando potranno mettere a confronto la forza e l'agilità dei loro corpi assisteremo a magnifiche gare; ma il mio desiderio più profondo è che da questo incontro dei loro ideali possa nascere una comprensione più profonda dei loro diversi punti di vista. Così queste pacifiche lotte potrebbero dare origine a durevoli amicizie, capaci di servire la causa della pace".
Helsinki poté avere finalmente i Giochi nel 1952. Fu una grande festa per la Finlandia, paese di grandi tradizioni dove cultura e sport erano uniti in modo veramente raro, difficile da trovarsi altrove. L'autore dello stesso poema nazionale, Kalevala ("Paese di eroi"), era un filologo, Elias Lönnrot (1802-1884), dotato di grande passione sportiva. A Helsinki entrò in lizza l'URSS, che subito colse successi importanti in vari sport, arrivando seconda dietro gli Stati Uniti in quella classifica generale tanto avversata dai dirigenti del CIO. L'URSS e i paesi suoi alleati preferirono alloggiare i loro atleti in un villaggio olimpico (Otaniemi) diverso e separato da quello delle altre nazioni (Käpilä). Si rividero anche gli atleti tedeschi, sia pure limitatamente alla Repubblica federale perché la Repubblica democratica non era ancora riconosciuta dall'organo internazionale. Rientrò nei ranghi olimpici anche il Giappone. La fiamma dei Giochi di Helsinki fu accesa dall'ultimo tedoforo, per l'occasione il più grande atleta che la Finlandia avesse mai avuto, Paavo Nurmi. Momento di gran festa per il pubblico e un po' imbarazzante per i dirigenti del CIO presenti perché nel 1932 il finlandese era stato squalificato e quindi espulso dai Giochi di Los Angeles per 'leso dilettantismo'.
I Giochi invernali di quello stesso 1952 si erano svolti per la prima volta in un paese nordico, a Oslo, e quelli del 1956 si tennero a Cortina d'Ampezzo. Fu quello il primo coinvolgimento diretto dell'Italia in una manifestazione olimpica che fu di grande successo per partecipazione (821 atleti di 32 nazioni), livello di organizzazione e concorso di pubblico. Questa edizione segnò il debutto dell'URSS nei Giochi invernali, che risultò subito la potenza leader della classifica per nazioni invisa al CIO ma tanto cara agli organi di stampa, un ruolo che più tardi nello stesso anno avrà anche ai Giochi estivi.
Nel 1956 si ebbe un'altra novità importante. Per la prima volta i Giochi estivi si tennero in una città dell'emisfero Sud, a Melbourne, in Australia. Come sempre, la scelta era stata fatta diversi anni prima mediante una votazione fra i membri del CIO. Nel voto decisivo Melbourne prevalse (21 a 20) su un'altra città dell'emisfero australe, Buenos Aires. A quasi mezzo secolo da allora lo sport sudamericano è tuttora in attesa di ospitare la sua prima Olimpiade. L'appuntamento di Melbourne pose la maggioranza dei partecipanti, residenti nell'emisfero Nord, davanti a un problema per loro nuovo, lo stesso che australiani, sudafricani, argentini ecc., avevano sempre avuto nei Giochi precedenti, quello cioè di gareggiare fuori stagione. Nel periodo dei Giochi a Melbourne (novembre/dicembre) era primavera inoltrata, mentre era autunno in Europa e negli Stati Uniti. A questo problema, in fondo normale perché era toccato prima ad altri, si aggiunsero difficoltà ben più gravi. Tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre due conflitti in particolare misero in agitazione l'Europa e il mondo in generale: Israele invase la zona egiziana del Sinai e truppe sovietiche fecero lo stesso con l'Ungheria. Diverse nazioni scelsero di astenersi dai Giochi per protesta contro tali eventi: Egitto, Libano e Iraq per il Medio Oriente; Olanda, Spagna e Svizzera per l'Ungheria. Inoltre, a causa di questa situazione non pochi atleti di rango, come il fondista ungherese Sándor Iharos, decisero di rinunciare. I contrasti venutisi a creare ebbero riflessi negativi anche nell'ambiente stesso dei Giochi. Nel turno finale della pallanuoto tra Ungheria e URSS vi furono scontri tra i giocatori delle due squadre, alcuni dei quali necessitarono poi di assistenza medica. L'Ungheria vinse per 4-0 e alcuni dei suoi giocatori non tornarono poi in patria. Lo stesso successe per uno dei più quotati ungheresi dell'atletica, Laszlo Tabori. Ci fu anche un altro boicottaggio: la Repubblica popolare cinese si astenne dai Giochi in segno di protesta per la presenza della Cina nazionalista (Taiwan). Malgrado tutte queste traversie, i Giochi di Melbourne furono molto belli per splendore di gare e concorso di pubblico. Una nota positiva venne anche dalla Germania che presentò una squadra unica Est-Ovest, come avrebbe fatto nelle due edizioni successive. Poi per 20 anni le rappresentative rimasero distinte, per tornare alla formazione unica a Barcellona 1992, dopo la caduta del Muro.
Nel 1960 toccò finalmente a Roma avere i suoi Giochi Olimpici, 42 anni dopo la rinuncia all'edizione del 1908 e dopo altri due tentativi (1924 e 1936) falliti. La lunga attesa fu ripagata da uno spettacolo che gli storici dell'olimpismo hanno definito 'una meraviglia'. Si riuscirono a collocare le prodezze dello sport moderno fra le secolari bellezze della città, come nel caso della maratona, snodatasi attraverso luoghi famosi, con partenza da piazza del Campidoglio e arrivo sotto l'Arco di Costantino. Le cifre della partecipazione superarono tutti i precedenti: 5338 atleti di 83 nazioni. Nel suo complesso fu un'edizione memorabile, soprattutto alla luce dei problemi di ogni genere che dovevano angustiare le successive per quasi 30 anni.
Tali problemi cominciarono a manifestarsi con i Giochi del 1964, che si svolsero a Tokyo, prima città asiatica a ospitare la manifestazione. Già prima dell'apertura ci fu un incidente procedurale, assai rivelatore della futura intromissione della politica nel mondo dello sport. Corea del Nord e Indonesia si astennero dal partecipare, dopo che alcuni dei loro atleti erano stati dichiarati non abilitati a competere dal CIO, perché l'anno precedente avevano preso parte ai GANEFO (Games of the new emerging forces) tenuti a Giakarta, Indonesia, dai quali erano stati esclusi Israele e Taiwan. La non ammissione ai Giochi di Tokyo di tutti gli atleti che avevano partecipato ai GANEFO era stata decretata dalle Federazioni mondiali dell'atletica, del nuoto e del tiro. La vittima più illustre di queste reazioni a catena fu la nordcoreana Sin Geum Dan, prima donna a correre gli 800 m con un tempo inferiore a 2 minuti.
Già era stato escluso dai Giochi di Tokyo il Sudafrica a causa della politica di apartheid praticata dal suo governo e contro la quale si erano sollevate molte nazioni africane nonché quelle del blocco comunista. L'esilio si sarebbe rivelato il più lungo mai registrato nella famiglia olimpica: solo nel 1992, dopo l'abrogazione del regime segregazionista, il Sudafrica tornerà a partecipare ai Giochi.
Il Giappone, quale paese organizzatore, scelse come ultimo tedoforo Yoshinori Sakai, che era venuto al mondo a Hiroshima il 6 agosto 1945, il giorno in cui quella città fu vittima del primo bombardamento atomico della storia, un gesto di pace, da interpretare nel senso: "la vita continua". Ottima l'organizzazione dei Giochi, che fecero segnare un nuovo record quanto a nazioni partecipanti (93), anche se il numero degli atleti (5151) rimase leggermente al di sotto della cifra di Roma.
I Giochi estivi del 1968 si tennero a Città del Messico e anche in questa edizione non mancarono le agitazioni d'ispirazione politica. Le Olimpiadi, grazie alla televisione, erano ormai visibili in tutto il mondo e per certi movimenti politici costituivano una 'finestra' ideale attraverso la quale era possibile esporre a livello universale i loro problemi e la loro immagine. Già prima dei Giochi ci furono a Città del Messico manifestazioni di studenti che criticavano le ingenti spese cui era andato incontro il governo per organizzare l'Olimpiade e che erano in contrasto con i gravi problemi economici che affliggevano il paese. Il risultato degli scontri con la polizia fu terribile: i comunicati ufficiali parlarono di oltre 400 morti e alcune migliaia di feriti. Quasi contemporaneamente nei vicini Stati Uniti alcuni atleti di colore della squadra olimpica americana, spinti da Harry Edwards, un professore della San José State University, decisero di valersi dei Giochi per manifestare pubblicamente contro il razzismo ancora vigente in alcune parti del loro paese. Due di essi, Tommie Smith e John Carlos, arrivati rispettivamente primo e terzo nei 200 m, al momento della premiazione, mentre si trovavano sul podio e risuonavano le note dell'inno americano, vollero dar voce alla loro protesta chinando il capo e salutando con un pugno chiuso guantato di nero. Incorsero nell'ira del Comitato olimpico del loro paese, che impose loro di lasciare immediatamente il villaggio. Dimostrazioni analoghe furono messe in atto anche da altri atleti di colore degli Stati Uniti, sempre al momento delle premiazioni.
I 'venti' della politica soffiarono ancora più forte nel caso dei Giochi di Monaco del 1972. I problemi sorsero a cinque giorni dalla chiusura, quando otto terroristi arabi, appartenenti al gruppo 'Settembre Nero', entrarono nel villaggio olimpico e uccisero due membri della squadra olimpica di Israele, prendendone in ostaggio altri nove. Si rifugiarono poi in un edificio vicino, dal quale annunciarono che avrebbero rilasciato i prigionieri solo dopo la liberazione, da parte del governo di Israele, di alcuni arabi che si trovavano nelle prigioni israeliane. La risposta del governo di Tel Aviv fu negativa, per cui il dramma si protrasse ancora per alcune ore. Raggiunto l'aeroporto di Fürstenfeldbruck, i terroristi furono assaliti dalla polizia e fecero esplodere una bomba nel mezzo che avrebbe dovuto portarli verso la libertà, uccidendo tutti gli ostaggi. Israele ebbe così undici vittime in quella che de Coubertin aveva concepito come una manifestazione di pace. Alcuni terroristi furono uccisi, altri catturati, altri ancora riuscirono a scappare. Il tragico intermezzo causò la sospensione dei Giochi per una giornata, per permettere una cerimonia funebre in onore degli israeliani morti. Poi prevalse l'idea che l'Olimpiade dovesse continuare, espressa dal presidente del CIO, l'americano Avery Brundage. E lo spettacolo riprese fino a conclusione.
Purtroppo le interferenze politiche erano destinate a crescere e a farsi sempre più serie. Alla vigilia dei Giochi di Montreal del 1976 le nazioni africane decisero di boicottare la manifestazione in segno di protesta per la presenza della Nuova Zelanda, la cui squadra nazionale di rugby aveva avuto di recente relazioni sportive con il Sudafrica dell'apartheid, a suo tempo escluso dalla famiglia olimpica. La richiesta di tener lontani dai Giochi i neozelandesi non fu accolta dal CIO, oggettivamente impossibilitato a pronunciarsi in quanto il rugby professionistico esulava dalla sua giurisdizione. Un quotato velocista della Guyana, James Gilkes, chiese di partecipare ai Giochi su base individuale, ma la sua domanda non fu accettata, sebbene il CIO avesse proclamato fin dalla sua nascita che i Giochi erano concepiti per i singoli atleti e non per le nazioni. Il governo canadese inoltre impedì alla formazione di Taiwan di sventolare la propria bandiera all'inaugurazione dei Giochi e di sentire il proprio inno nazionale, inducendo così il team asiatico a ritirarsi.
Il boicottaggio delle nazioni africane fu particolarmente sentito in atletica, visto che soprattutto il Kenya e l'Etiopia avevano nelle loro file alcuni tra i più forti mezzofondisti e fondisti, che si videro pertanto esclusi dalla competizione. Malgrado tutto questo, lo spettacolo fu degno delle migliori tradizioni anche se i costi dell'organizzazione si rivelarono così proibitivi da aprire una falla che i cittadini del Quebec poterono colmare solo dopo parecchi anni e molte tasse.
Il 'gioco' dei boicottaggi, così perverso da generare reazioni a catena, colpì ancora alla vigilia dei Giochi di Mosca del 1980. Nel dicembre dell'anno precedente l'URSS aveva invaso l'Afghanistan. Il presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, minacciò il ritiro della sua squadra dai Giochi di Mosca se i sovietici non avessero lasciato il paese asiatico. Al rifiuto dell'URSS, Carter proseguì nel suo disegno, cercando di coinvolgere nel boicottaggio i suoi alleati della NATO. Fu assecondato dal Comitato olimpico americano, che votò a maggioranza per l'astensione dai Giochi, ma tra gli alleati le cose andarono in differenti maniere. Germania federale, Kenya, Giappone, Canada, Taiwan, Nuova Zelanda e Norvegia concordarono nell'astenersi, ma in Gran Bretagna e in Italia i rispettivi Comitati olimpici non seguirono il consiglio dei loro governi e votarono per la partecipazione ai Giochi. Anche fra le nazioni presenti a Mosca non tutte procedettero allo stesso modo: alcune si astennero dalla cerimonia d'apertura e altre vi parteciparono solamente sotto le insegne olimpiche, anziché nazionali. La cifra dei partecipanti risultò la più bassa degli ultimi venti anni: 5179 atleti di 80 paesi. Malgrado ciò le gare offrirono in quasi tutti gli sport un livello molto alto.
Il clima di guerra fredda tra i due blocchi, le nazioni della NATO e del Patto di Varsavia, continuava a persistere e i Giochi del 1984, assegnati a Los Angeles, offrirono al secondo di questi blocchi una possibilità di rivalsa. Tre mesi prima dell'apertura dei Giochi, l'URSS annunciò la sua volontà di astenersi, ufficialmente per 'motivi di sicurezza', nel presunto timore che i suoi atleti non venissero accolti favorevolmente in terra americana. A questa decisione si unirono gli altri paesi di quel blocco, tranne la Romania, che decise di essere presente. Furono assenti quindi Germania dell'Est, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria, nonché paesi extraeuropei come Cuba, Etiopia, Corea del Nord e Afghanistan (dal quale le truppe sovietiche si sarebbero ritirate solo nel 1989). Il numero di nazioni presenti a Los Angeles (140) risultò comunque il più alto nella storia dei Giochi e quello dei partecipanti (6829) secondo solo a Monaco 1972. In certi sport chiave il peso specifico delle nazioni assenti fu però probabilmente superiore a quello del 1980. I Giochi tra l'altro furono anche i primi a essere gestiti interamente da privati. A capo del gruppo imprenditoriale si trovava Peter Ueberroth, che aveva già esperienze organizzative in altri sport. Alla fine i conti tornarono assai bene, tanto che una parte dei profitti poté essere devoluta al Comitato olimpico americano. In futuro altre città sede dei Giochi si sarebbero ispirate sostanzialmente allo stesso metodo.
Anche i Giochi del 1988 ebbero problemi extrasportivi, ma in misura attenuata rispetto alle edizioni precedenti. Erano stati assegnati a Seul, capitale della Corea del Sud, paese con cui alcune nazioni del blocco comunista non avevano relazioni diplomatiche. Prevedibilmente la prima complicazione venne dalla Corea del Nord, a regime comunista, che chiese al CIO di potere ospitare sul suo territorio metà delle gare olimpiche. Tale richiesta fu fatta a pochi mesi dai Giochi, per cui il CIO ritenne di poterla esaudire solo in parte e quindi il governo di Pyongyang annunciò la sua intenzione di boicottare l'avvenimento. Per solidarietà con la Corea del Nord si astennero dai Giochi anche Cuba, Etiopia, Nicaragua e Albania, defezioni dolorose ma assai meno importanti di quelle registrate nel 1980 e nel 1984. Ci fu il ritorno dell'URSS e dei suoi alleati europei e quindi le tre maggiori potenze dello sport mondiale, USA, URSS e Germania Est, si trovarono riunite per la prima volta dal 1976.
Che i giorni bui fossero ormai passati lo si poteva dedurre dalle cifre della partecipazione. A Seul fu superato ogni precedente record: 8391 atleti di 159 nazioni. Ultimo tedoforo fu il coreano Sohn Kee-chung, 74 anni, che nel 1936, a Berlino, aveva vinto la maratona olimpica per i colori del Giappone (a cui la Corea era allora annessa) con il nome di Kitei Son.
Intanto anche i Giochi Olimpici invernali avevano assunto maggiori dimensioni. In generale questi sono stati interessati da fatti politici in misura molto minore rispetto a quelli estivi. Un piccolo episodio occorse nel 1968 a Grenoble, per un litigio fra il CIO e alcuni concorrenti sull'uso di scritte pubblicitarie. Lo stesso problema riaffiorò quattro anni dopo a Sapporo ed ebbe come contendenti Avery Brundage, presidente del CIO, e lo sciatore austriaco Karl Schranz, che, giudicato colpevole di abusi nella commercializzazione di attrezzi per lo sci, fu espulso dai Giochi (14 a 28 il voto del CIO a suo sfavore) e così privato della possibilità di guadagnarsi l'oro olimpico, il solo trofeo mancato alla sua carriera di grande sciatore. Ma alle Olimpiadi invernali non vi furono i boicottaggi che avevano così a lungo colpito i Giochi estivi. Forse per la minore esposizione dell'avvenimento su scala mondiale o per altri motivi, i Giochi invernali non videro mai defezioni importanti. Frattanto era stata introdotta un'innovazione: dopo Albertville 1992 fu deciso di tenere questi Giochi non nello stesso anno di quelli estivi, com'era avvenuto fin dal principio, bensì spostandoli di due anni in modo che Olimpiadi estive e invernali si alternassero. La nuova serie cominciò nel 1994 a Lillehammer, in Norvegia, seguita da Nagano, in Giappone, nel 1998, e da Salt Lake City, negli Stati Uniti, nel 2002. Quest'ultima ha fatto registrare cifre record di partecipazione: 2399 atleti di 77 nazioni.
Dopo la caduta del Muro
I Giochi del 1992 a Barcellona beneficiarono di un importante cambiamento intervenuto nel frattempo: la caduta del Muro di Berlino e la disgregazione dell'URSS. Per il momento le Repubbliche ex sovietiche, sebbene avessero già assunto (politicamente) entità di Stati autonomi, preferirono schierarsi con una sola squadra e un'unica sigla EUN. Anche la Iugoslavia aveva cessato di esistere e appariva sotto il nome delle varie repubbliche da essa derivate. Vi era stata, invece, l'unificazione delle due Germanie. Un altro cambiamento importante riguardava il Sudafrica, reintegrato nella famiglia olimpica dopo l'abrogazione dalla sua legislazione delle discriminazioni dell'apartheid. Ovviamente, quella nazione venne ai Giochi con squadre multirazziali. A questo proposito c'è da aggiungere che in Sudafrica lo sport aveva anticipato la politica già da parecchi anni, organizzando competizioni multirazziali, anche di livello internazionale, prima che l'apartheid venisse cancellata dal suo governo. Fu anche grazie a tutti questi cambiamenti che il numero dei partecipanti toccò la cifra di 9356 atleti provenenti da 169 nazioni.
Nell'ultima parte del 20° secolo i Giochi sono tornati a vivere in un clima tranquillo, esente da scosse più o meno devastanti. Nel parere di molti, l'edizione del 1996 avrebbe dovuto essere appannaggio di Atene, che esattamente un secolo prima aveva visto nascere le Olimpiadi moderne. I greci tenevano molto a questo riconoscimento e il loro desiderio era condiviso dai più ferventi sostenitori dell'Olimpismo. Nella votazione decisiva Atene fu però battuta (35 voti contro 51) da Atlanta, capitale della Georgia. Ad Atene sono stati invece assegnati i Giochi estivi nel 2004, celebrati a 108 anni di distanza dall'edizione inaugurale, dopo la seconda edizione australiana delle Olimpiadi, quella di Sydney 2000.
Dai Giochi di Atlanta si è rivista la famiglia olimpica al completo, senza eccezioni. Ora che il vento dei boicottaggi sembra appartenere al passato, sia pure recente, c'è da credere che il più serio motivo di disturbo possa venire dal problema doping.