TESTA, Temistocle
– Nacque a Grana Monferrato (Asti) l’11 gennaio 1897 da Giovanni e Giulia Testa. Il padre era un notaio molto conosciuto nella zona.
Proveniente da una famiglia numerosa della media borghesia, Temistocle era destinato alla carriera ecclesiastica che poi non intraprese perché nel 1915 decise di arruolarsi volontario di guerra nel corpo di spedizione italiano in Francia. Con il grado di sottotenente fu impiegato nel corpo interalleato sul fronte franco-prussiano. Per «meriti eccezionali», venne promosso capitano.
Dopo la guerra si trasferì a Modena dove si laureò in giurisprudenza. Il 1° febbraio 1921 si iscrisse al Partito nazionale fascista (PNF) e l’anno successivo venne nominato vicesegretario del fascio cittadino. Squadrista della prima ora, fu responsabile delle numerose aggressioni subite dai militanti socialisti e comunisti del Modenese. Partecipò alla marcia su Roma come comandante delle legioni modenesi. Fu console generale della Milizia dal febbraio del 1923 fino al febbraio del 1931, poi console generale della riserva. Fino al 1927 comandò la 73ª legione ciclisti della Milizia fascista Boiardo di Mirandola.
Nella cittadina del Modenese sposò Laura Calanca, figlia di una famiglia locale molto agiata. Dal matrimonio nacquero cinque figli: Gian Paolo, Vittorio, Italo, Maria Letizia e Cesare.
Nel giugno del 1928 fu nominato segretario federale del PNF di Modena. Da federale gestì il partito in modo deciso e autoritario, ‘normalizzato’ lo scontro tra le varie fazioni fasciste in lotta. La sua rapida ascesa nel PNF gli consentì di acquisire una grande azienda agricola di 203 ettari nel comune di Mirandola, tra le frazioni di Santa Giustina e Cividale.
Il 16 febbraio 1931 venne nominato prefetto di 2ª classe a Perugia dove rimase fino al 16 ottobre 1932 quando fu trasferito a Udine. Il 1° agosto 1937 diventò prefetto di 1ª classe e nel febbraio del 1938 fu inviato a reggere la prefettura di Fiume.
Nella provincia del Quarnaro applicò le leggi razziali con estrema durezza. Alla maggior parte degli ebrei residenti nella provincia tolse la cittadinanza rendendoli apolidi. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 16 e 17 giugno 1940 fece eseguire una retata di tutti gli ebrei di sesso maschile e di età superiore a diciotto anni residenti a Fiume ed Abbazia.
Animato da un profondo razzismo contro le popolazioni slave, dopo l’occupazione della Iugoslavia della primavera del 1941 proseguì in modo ancor più deciso l’opera di ‘snazionalizzazione’ e assimilazione anche nei territori aggregati del Fiumano e della Kupa. Dopo la fine della guerra venne accusato dal governo iugoslavo di aver ordinato l’incendio di tredici villaggi, di aver disposto la fucilazione di circa cinquanta persone a Monte Chilovi (Kilovce), di quattordici a Orehovica, nonché l’impiccagione di tre persone a Villa Nevoso (Ilirska Bistrica), imponendo che i cadaveri rimanessero esposti in piazza per ventiquattr’ore. Inoltre, fu accusato di essere uno dei principali responsabili della strage di Podhum del 12 luglio 1942, in cui furono fucilate centootto persone, mentre il resto della popolazione, ottocentottantanove persone, venne deportata nei campi di concentramento e il villaggio raso al suolo dopo essere stato saccheggiato.
Con l’occupazione della Iugoslavia, non si limitò solo a organizzare varie forme di repressione antipartigiana, ma approfittò della situazione per arricchirsi illecitamente e stabilire stretti rapporti d’interesse soprattutto con i generali Vittorio Ambrosio e Giuseppe Castellano. Nel dopoguerra venne accusato anche di non aver mai dato conto delle ingenti somme che il governo gli aveva assegnato per l’acquisto di bestiame e legname e di essersi appropriato dei beni razziati agli abitanti di Podhum.
Nel corso del 1942 acquistò le tenute di Maiana a Poretta Terme e altre tenute in Italia e diversi possedimenti in Africa.
Il 1° febbraio 1943 fu sostituito come prefetto di Fiume e messo a disposizione. Nel marzo successivo ebbe l’incarico di commissario per gli affari civili presso il comando militare per la Sicilia e il 12 giugno seguente fu nominato alto commissario civile per la Sicilia.
Rientrato a Roma dopo lo sbarco degli Alleati, con la nascita della Repubblica sociale italiana fu nominato governatore di Roma. Il 17 gennaio 1944, su richiesta di Benito Mussolini, venne arrestato dai tedeschi e condotto in via Tasso perché sospettato di essere stato a conoscenza delle trattative per l’armistizio e implicato nella fuga in Svizzera di Edda Ciano. Non essendo stati trovati elementi sufficienti per dimostrare la sua colpevolezza, il 23 seguente venne liberato e collocato a riposo. Verso la fine dell’aprile del 1944, su incarico delle autorità tedesche, assunse la carica di commissario per i trasporti e per l’alimentazione dell’Urbe.
Il 4 giugno lasciò la capitale per dirigersi verso il Nord. Nei giorni successivi seguì il colonnello delle SS Eugen Dollmann, con il quale aveva stretto una fraterna amicizia, prima a Firenze e poi a Reggio Emilia. Nella città emiliana iniziò a ingraziarsi i partigiani e gli Alleati intervenendo per favorire il rilascio e, in alcuni casi, per evitare la fucilazione di prigionieri in mano ai nazifascisti.
Trasferitosi a Milano, continuò a svolgere l’attività di commissario per i trasporti anche nel capoluogo lombardo. Dal settembre del 1944 fu chiamato a dirigere l’Organizzazione italiana del lavoro (OIL) occupandosi di reclutare manodopera volontaria per i lavori in Italia. Con questo nuovo incarico riuscì ad assoldare nell’OIL diversi renitenti e ricercati politici, attività che gli consentì di entrare in contatto con la locale rete antifascista. Verso la fine del gennaio del 1945 venne ingaggiato direttamente dal comandante della missione spionistica Nemo-Op.Sand.II, il capitano di corvetta Emilio Elia. Con il nome in codice di Tau, l’ex prefetto compì diverse azioni per garantire la liberazione di elementi della Resistenza che erano stati arrestati e fornì preziose informazioni politico-militari alla missione.
Il 6 maggio 1945 fu arrestato a Milano in seguito all’ordine di cattura emesso dall’Alto Commissariato per la punizione dei delitti fascisti e il mese successivo fu trasferito nel carcere di Regina Coeli a Roma. Il 30 maggio 1947, nonostante le pesanti accuse a suo carico, ottenne dalla corte d’appello di Roma il proscioglimento e fu scarcerato. Per la sua assoluzione fu determinante la relazione del capitano Elia sull’attività svolta da Testa in favore della missione Nemo. Il 21 giugno seguente la Commissione provinciale di Roma per i provvedimenti di polizia lo condannò comunque a tre anni di confino. Inviato a Cava dei Tirreni, il 28 dello stesso mese fu consegnato alla questura di Salerno per essere ristretto nelle locali carceri in quanto il suo nome risultava compreso nell’elenco di cittadini italiani ritenuti dalla Iugoslavia criminali di guerra. Dopo essere stato trasferito a Soverato Marina (Catanzaro), la Commissione centrale d’appello per il confino ridusse la condanna a diciotto mesi e il 27 novembre 1948 fu rimesso in libertà. Trasferitosi a Roma gestì un ufficio commerciale per importazioni ed esportazioni, mantenendo stretti rapporti di natura commerciale con il generale Castellano.
Morì suicida a Roma il 17 luglio 1949.
Fonti e Bibl.: Roma, Ufficio storico dello stato maggiore dell’Esercito, SIM Sezione Calderini 11ª divisione, b. 90, f. Testa Temistocle; 12ª divisione, b. 23 e b. 58, f. 24; Fondo H-8, b. 50, f. 361; b. 56, f. 411, b. 64, f. 476; Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario1922-43, b. 2453, f. 553576; Presidenza del Consiglio dei Ministri 1944-47, f. 1.1.2 15109/9; Roma, Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza, Fondo Zangrandi, b. 55, f. 830.
A. Cifelli, I prefetti del regno nel ventennio fascista, Roma 1999, p. 164; U. Pellini, T. T., in Ricerche storiche, 2006, n. 101 (aprile), pp. 45-55; D. Conti, Gli uomini di Mussolini. Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana, Torino 2017, pp. 189-192.