TEMISTOCLE (Θεμιστοκλῆς, Themistocles)
Politico e generale ateniese. Figlio di Neocle, appartenente al demo di Phrearrioi e alla gente nobile dei Licomidi, nacque intorno al 530-525 a. C. (si dice che morisse a 65 anni, ma questa notizia è incerta, ed è incerta del resto la data della morte; con certezza sappiamo solo che nel 493-92, quando fu arconte, doveva avere oltrepassato i 30 anni). Sua madre era una straniera, ciò che ha dato origine alla favola che egli fosse bastardo. Nulla di sicuro sappiamo su di lui prima del suo arcontato. Ma la data del suo arcontato 493-92 messa in relazione con l'indirizzo posteriore della sua politica, fa ritenere che sotto l'impressione della caduta di Mileto (494) egli venisse chiamato al potere da quei partiti ateniesi che insorgevano contro l'abbandono in cui erano stati lasciati dopo l'incendio di Sardi gli Ioni ribelli alla Persia. Arconte, egli si occupò della fortificazione del Pireo; volle cioè fare del Pireo in luogo della rada aperta del Falero il porto militare di Atene: ciò che era la condizione indispensabile per mantenere una potente marina da guerra. Creare la potenza navale ateniese era dunque, come ritiene Tucidide e nega a torto qualche moderno, fin d'allora il proposito di T. Può darsi che egli pensasse con ciò di controbattere la marineria eginetica; ma sarebbe far torto al suo spirito lungimirante il negare che si proponesse per tal via di ovviare al pericolo persiano che doveva essergli evidente dopo la vittoria navale dei Persiani a Lade. Una audace politica marittima che riprendesse i tentativi già fatti in questo senso dai tiranni era allora avversata dai repubblicani moderati, cioè in massima dalla classe onde si reclutavano gli opliti, quella dei possidenti in grado di fornirsi di armi proprie. Non c'è nessuna ragione per negare che fino d'allora T. propendesse per un indirizzo più democratico e avversasse i moderati, come i suoi contrasti con Aristide, Cimone e gli Alcmeonidi provano che fece più tardi. È leggenda anacronistica che egli collaborasse poi con Efialte a stabilire in Atene il predominio della democrazia radicale, ma è leggenda antica che illustra quello che era fin dagl'inizî l'indirizzo della sua politica. In quello stesso anno (493) si rifugiò ad Atene Milziade, il principe ateniese del Chersoneso, fuggendo l'invasione persiana e, nonostante l'avversione degli Alcmeonidi, acquistò subito una posizione preponderante. Ma la vittoria da lui riportata a Maratona sul barbaro (490) non consolidò che per poco la sua autorità. Il mal esito del suo tentativo contro Paro ridiede il potere agli Alcmeonidi. Aristide, uno dei loro amici e partigiani, fu arconte nel 489-88, e uno dei loro maggiori avversarî, Ipparco figlio di Carmo, parente dei Pisistratidi, fu ostracizzato nel 488-87. Ma anche questa volta seguì assai presto una violenta reazione contro gli Alcmeonidi dovuta probabilmente ai cattivi successi della guerra, ripresa in quegli anni contro Egina; e non si sbaglia attribuendo a T. e ai democratici radicali da lui capeggiati una parte preponderante in questa lotta contro di essi. Nel 487-86 fu ostracizzato il loro capo Megacle, nel 486-85 e nel 485-84 i loro amici Alcibiade e Santippo. Ora Temistocle aveva via libera per la sua politica marittima, favorito dalle umiliazioni subite nella lotta contro Egina, dovute appunto all'insufficienza della marina da guerra, e dall'abbondanza di mezzi che lo stato ebbe a disposizione per la cresciuta produzione delle miniere argentifere del Laurio. Ma egli dovette vincere ancora l'accanita opposizione di Aristide e solo dopo il costui ostracismo (483-82) riuscì a far trionfare il suo programma navale ottenendo che con 100 talenti ricavati da quelle miniere si fabbricassero 100 triremi, cioè 100 navi da guerra del tipo più formidabile che allora si usasse. Con ciò Atene divenne di colpo la prima potenza marittima della Grecia e si trovò preparata a trionfare della grande invasione persiana. La creazione di questa flotta si può paragonare per la rapidità e per gli effetti alla creazione, nei primi anni della prima guerra punica, della flotta romana che fu condotta alla vittoria da Duilio, e le ragioni del successo furono le stesse: gli Ateniesi, come i Romani, disponevano dei mezzi e delle energie necessarie per creare la flotta e dei marinai adatti per equipaggiarla; ciò che era mancato fin allora, era stata la volontà e la capacità di sfruttare quei mezzi e quelle energie.
L'esser dovuta a T. la trasformazione di Atene in una grande potenza navale gli diede in Atene e in tutta la Grecia il credito necessario per preparare la resistenza contro l'invasione persiana, della quale si facevano palesi in quegli anni i minacciosi preparativi. Egli procedette d'intesa con Sparta, che era a capo della Lega peloponnesiaca, di cui, forse dal 493, Atene faceva parte. Non si erra ritenendo che T. fu tra i creatori della grande lega contro la Persia, cui parteciparono, con l'eccezione di Argo, tutti i Greci fino alla Tessaglia compresa. Non poche dovettero essere le difficoltà da vincere, tenuto conto della tepidità o della nascosta ostilità di taluni dei confederati, e in particolare del contegno del dio di Delfi, i cui sacerdoti prevedevano la vittoria persiana e non volevano subire la sorte dei loro confratelli di Didime. A T. stratego ateniese per il 481-80 e per il 480-79 fu probabilmente dovuta la concezione del piano di guerra, al quale non molto di buona voglia si adattarono gli Spartani. Con gli Spartani egli si trovò d'accordo nel prudente abbandono del troppo audace disegno di difendere la frontiera settentrionale della Tessaglia. È leggenda probabilmente che fosse inviato colà un considerevole corpo di spedizione e che poi fosse ritirato e disciolto senza lasciare traccia di sé: bastò che T. si recasse sul luogo con qualche ufficiale spartano per riconoscere la difficoltà e il pericolo dell'impresa e sopra tutto l'impossibilità di quella cooperazione dell'esercito con la flotta che doveva essere un caposaldo del suo piano di guerra. Questa egli cercò di realizzare con la difesa del passo delle Termopile affidate all'esercito di terra, mentre la flotta federale, stanziata all'Artemisio presso la punta settentrionale dell'Eubea, doveva arrestare la flotta persiana procedente lungo la costa tessala e coprire le spalle all'esercito federale greco. Il piano, eccellente per sé stesso, fallì per l'insufficienza delle forze raccolte dagli Spartani alle Termopile e anche per l'imperizia del comandante spartano Leonida, che riscattò i suoi errori col sacrifizio eroico della vita. Ma ora la flotta che, animata da T., aveva tenuto testa per tre giorni ai Persiani, dovette ripiegare con la massima rapidità e tutta la Grecia centrale dovette essere abbandonata al nemico. A T. va ascritto il merito della pronta e coraggiosa deliberazione di evacuare interamente Atene con tutta la popolazione civile e anche la scelta della nuova stazione della flotta presso l'isola di Salamina, mentre l'esercito federale si raccoglieva sull'Istmo. La tradizione senza dubbio è pure nel vero ascrivendo a T. il vanto di esser riuscito a tener fermi a Salamina i contingenti degli alleati desiderosi sia di ripiegare presso l'Istmo accanto alle posizioni delle forze di terra, sia di disperdersi nei rispettivi porti. Ed è anche possibile che T., come pare se ne vantasse egli stesso, abbia sollecitato per mezzo di un messaggio Serse ad attaccare i Greci in Salamina prima che i loro contingenti si disperdessero; ma la realtà del fatto non è fuori di dubbio; e il messaggio stesso, se Serse gli avesse prestato fede, avrebbe anche potuto indurre il re a una deliberazione del tutto opposta, cioè a permettere che la flotta greca si disciogliesse lasciandogli libero il campo. In ogni caso il vanto della vittoria di Salamina va ascritto in gran parte a T. sia per la preparazione remota, sia per quella immediata e per la condotta dello scontro. Dopo, si dice che egli volesse indurre gli alleati a muovere verso l'Ellesponto per tagliare i ponti di barche costruiti da Serse e che, non riuscito a questo intento, mandò un nuovo messaggio a Serse per informarlo d'aver dissuaso i Greci dal tagliare quei ponti e per indurlo così alla fuga. L'una e l'altra notizia sono assai probabilmente immaginarie. Dopo la vittoria T. fu largamente onorato dai confederati e in particolare dagli Spartani. Nell'anno successivo non partecipò, almeno così visibilmente, alla direzione delle operazioni militari. Il comando del contingente ateniese presso l'esercito federale spettò ad Aristide, quello della flotta ateniese a Santippo, cioè a quegli ostracizzati che erano tornati in patria per un decreto d'amnistia da lui proposto con alto senso patriottico l'anno precedente. Ma da questo non deve trarsi che T. non sia stato rieletto stratego. Egli stesso preferì forse lasciare ad altri la direzione delle operazioni militari ritenendo che in esse nella nuova campagna terrestre la parte principale sarebbe toccata necessariamente a Sparta. E preferì quindi occuparsi di faccende civili pure importantissime, cioè la rioccupazione, la nuova evacuazione e l'occupazione definitiva della città.
Subito dopo egli provvide alla costruzione delle mura di Atene e alla fortificazione del Pireo già da lui iniziata sotto il suo arcontato. L'ultima era indispensabile per dare alla flotta da lui creata una base sicura. Quanto alla fortificazione della città essa doveva servire evidentemente non ad assicurarla da un ipotetico pericolo persiano che non sussisteva più, ma a garantire alla politica ateniese libertà di direttive. Essa non era se non il complemento necessario dell'assunzione dell'egemonia marittima che le fu a un dipresso contemporanea. Che tale fortificazione destasse il sospetto e il malcontento di Sparta, era ben naturale, ma tutto il racconto di Tucidide sulle astuzie di cui T. si sarebbe valso, perché Sparta non impedisse la costruzione delle mura, è pieno d'intrinseche inverosimiglianze ed ha carattere evidentemente leggendario, presupponendo quell'ostilità tra Ateniesi e Spartani che non s'iniziò se non qualche decennio più tardi. Un altro aneddoto meno ben testimoniato e di valore anche minore è che T. progettasse, per assicurare la supremazia marittima degli Ateniesi, l'incendio della flotta confederata. È piuttosto da ritenere che con la sua mirabile chiaroveggenza politica egli si avvedesse dell'opportunità che offriva ad Atene il movimento democratico scoppiato violentemente subito dopo nel Peloponneso e le lotte che ne seguirono contro Sparta. È probabile che allora egli cercasse, come più tardi Alcibiade, di indurre Atene ad impegnarsi a favore della democrazia peloponnesiaca e di Argo che ne era contro Sparta il principale sostegno. Ma se questo indirizzo politico, patrocinato-da T. in momento in cui nulla era da temere da parte della Persia con o senza un accordo col re, poteva condurre a successi insperati nella penisola, si capisce come il popolo ateniese non volesse saperne di seguire T. per questa via rompendo la fratellanza d'armi con Sparta cui si dovevano le gloriose vittorie nella grande guerra persiana. Si aggiunga che i successi conseguiti da Cimone a capo della flotta ateniese contro i Persiani e l'opera spesa da Aristide per organizzare la lega marittima rinforzarono il partito democratico moderato cui essi appartenevano, che favoriva l'amicizia con Sparta. Ciò spiega come T. nel 471 o 470 fu sbandito da Atene per mezzo dell'ostracismo. Egli si rifugiò ad Argo e di là continuò, pare, l'opera di sobillazione della democrazia peloponnesiaca contro Sparta. Con ciò si spiega come gli Spartani, quando ebbero vinto i nemici interni ed esterni e fatto morire di fame Pausania accusato di connivenza col gran re, cercarono di liberarsi da T. accusando anche lui d'aver cospirato coi barbari in combutta con Pausania. L'accusa, che si diceva fondata sui documenti del processo di Pausania, era probabilmente in parte almeno veritiera, nel senso cioè che T. riteneva opportuna una politica di pace o anche di accordi con la Persia perché Atene potesse prendere vigorosamente la direzione del movimento democratico nel Peloponneso e assicurarsi con ciò l'egemonia della Grecia. Ma una politica simile a quella che procurò poi in Atene tanta gloria a Conone doveva parere allora alto tradimento. Sappiamo che T. esule fu accusato per tradimento da Leobote figlio di Alcmeone e che di fronte alla richiesta di estradizione presentata contro di lui da Ateniesi e Spartani cercò scampo nella fuga. Intorno a questa fuga fortunosa abbondano gli aneddoti. Il fatto certo è che riuscì a rifugiarsi in Asia e a pervenire alla corte persiana dove fu onorevolmente accolto da Artaserse I giunto di recente al trono (465-64): questo mostra che il processo non poté essere se non di poco anteriore a quella data e che certo non fu ad essa posteriore. Sicché è da respingere la notizia fornita con particolari aneddotici da Aristotele che T. partecipasse con Efialte all'attacco dei democratici contro l'Areopago (462-61). Con la cronologia di Aristotele contrasta anche una notizia di Stesimbroto che T. fuggiasco chiedesse al signore di Siracusa Gerone di dargli in moglie una figlia, promettendogli in cambio il dominio della Grecia. Notizia in questi termini immaginaria, ma c'è forse di vero che T. aveva realmente disposto di fuggire in Sicilia, ciò che spiega come da Argo si recasse a Corcira e poi nell'Epiro, e che ne fu dissuaso dalla morte di Gerone (466) e dai torbidi che le tennero dietro; onde non gli parve di poter trovare un sicuro e onorevole rifugio se non in Persia. Artaserse gli assegnò le rendite e il dominio di Magnesia sul Meandro, di Miunte e di Lampsaco, ma pare che il suo dominio non fosse effettivo se non su Magnesia, le altre due città spettando probabilmente fin da allora all'impero ateniese. A Magnesia si stabilì ed ivi si conservò a lungo il ricordo di lui. Della sua morte non si ebbero in Grecia che notizie contraddittorie. Tucidide afferma che morì di malattia; altri narravano che non essendo in grado di mantenere la promessa fatta al re di sottomettergli la Grecia o non volendolo aiutare contro i suoi connazionali si suicidò con veleno: notizie di assai dubbia autenticità, come pure quella, nota anch'essa a Tucidide, che le sue ossa fossero state più tardi trasportate di nascosto nell'Attica, dove al tempo del periegeta Pausania si mostrava al Pireo la sua tomba.
La tradizione esalta la genialità politica di T., sebbene non sia mancato chi attribuisse al merito d'un suggeritore i suoi consigli più sagaci; quest'ultima è mera malignità, pur risalendo ad un contemporaneo o quasi, Stesimbroto. È interessante notare, ed è forse da vedervi l'eco di discussioni sofistiche sull'argomento, come Tucidide insista sul punto che la genialità di T. era affatto spontanea e non un frutto di studio. Comunque, per sagacia e versatilità, T. ci appare uno dei massimi uomini politici dell'antica Grecia. Gli aneddoti sulle sue astuzie sono quasi tutti malsicuri anche se può darsi che a taluno di essi cercasse o lasciasse dar credito egli stesso. Sulla sua probità in cose finanziarie correvano voci assai sfavorevoli. Si tratta in buona parte di invenzioni, e tale sembra anche l'accusa che gli rivolge il poeta Timocreonte di Rodi di aver ricevuto denaro per non ricondurlo in patria. Ma tutte queste voci mostrano che in fatto di probità egli, come del resto una gran parte degli uomini politici greci, non era al disopra d'ogni sospetto. Verso la sua patria e verso la civiltà in genere T. ha la benemerenza insigne d'essere stato il principale artefice di quella grande vittoria sui Persiani che assicurò per secoli il libero sviluppo progressivo della civiltà occidentale. Per la costruzione della flotta egli può anche dirsi il vero creatore della potenza ateniese.
Fonti: Accenni a T. e alle sue imprese si trovavano già in scrittori contemporanei, come Simonide, Timocreonte di Rodi, Eschilo, Ione di Chio, o poco posteriori, come Stesimbroto di Taso. Ma a noi, prescindendo dai Persiani di Eschilo dove a T. si accenna senza nominarlo, non rimangono di quegli scrittori che scarsissimi frammenti concernenti T., conservati soprattutto nella biografia plutarchea. Ci è invece conservata una abbastanza ampia relazione in Erodoto e una breve ma importantissima in Tucidide. L'uno e l'altro però risentono già l'influsso delle leggende che si accumularono intorno a T. La tradizione di Erodoto, del resto incoerente, gli è spesso sfavorevole. Molto favorevole e molto meditato è il giudizio che di lui dà Tucidide. Eforo (presso Diodoro) tratta largamente di T. con tendenza retorica e apologetica, in generale valendosi dei materiali offerti da Erodoto e da Tucidide ed alterandoli. Di Teopompo non abbiamo che pochi frammenti la cui tendenza sembra opposta a quella di Eforo e il valore storico eguale. Aristotele è sotto l'influsso della leggenda che lo fa incappare in un gravissimo anacronismo. Dei più recenti basti ricordare le biografie, conservate, di Nepote e di Plutarco. Quella di Nepote, scarsa di valore, contamina con Eforo e Tucidide altro materiale d'incerta provenienza. Quella di Plutarco, preziosa per l'abbondanza delle citazioni erudite, si fonda per i fatti più salienti su Erodoto, Tucidide ed Eforo usati direttamente. Quanto al resto, e particolarmente quanto all'apparato erudito, è difficile sceverare quel che è di prima mano e quel che egli deve alla erudizione alessandrina.
Su tutto ciò, v.: A. Bauer, Themistokles, Studien und Beiträge zur griechischen Historiographie und Quellenkunde, Merseburg 1881; G. Busolt, Griechische Geschichte, II, 2a ed., Gotha 1895, p. 625 segg. (ivi ulteriore bibliografia).
Bibl.: Oltre le maggiori storie greche si vedano le trattazioni intorno alle guerre persiane; cfr. persiane, guerre; salamina, XXX, p. 490; artemisio, IV, p. 671 seg.; U. v. Wilamowitz, Aristoteles und Athen, I, Berlino 1893, p. 138 segg.; E. Meyer, Der Manerbau des Themistokles, in Hermes, XL (1905), p. 561 segg.; G. De Sanctis, 'Ατϑίς, Storia della repubblica ateniese, 2a ed., Torino 1912 pp. 367 segg., 708 segg.; id., Da Clistene a Temistocle, in Rivista di filologia, n. s., II (1924), p. 289 segg.; A. Rosenberg, Die Parteistellung d. Themist., in Hermes, LIII (1918), p. 308 segg.; P. N. Ure, When was Themistocles last in Athens?, in Journal of Hellenic Studies, XLI (1921), pag. 165 segg.; M. Cary, When was Themistocles ostracized?, in Classical Review, XXXVI (1922), p. 161 segg.