temperanza
I passi, non numerosi, nei quali D. tratta della t. come virtù presentano un triplice valore del termine: la t. come virtù cardinale, la t. come disposizione necessaria alla perfezione della giovinezza (secondo l'insegnamento aristotelico) e, infine, la t. come una delle virtù cristiane.
Della t. come virtù cardinale è detto in Cv IV XXII 11, dove D. afferma che la felicità umana risiede nell'uso pratico e speculativo dell'animo. L'intelletto speculativo, anche se più raro, è di gran lunga il migliore, mentre la vita attiva ha il vantaggio di essere alla portata di tutti.
La distinzione di D. non è esclusiva: una terza via, ancora più eccellente, consentirà di unire alle regole della vita attiva quelle della vita contemplativa. In ogni caso, l'uso del pratico si è operare per noi virtuosamente, cioè onestamente, con prudenza, con temperanza, con fortezza e con giustizia. La t. è citata tra le virtù cardinali, la cui attuazione è richiesta per accedere alla nostra beatitudine e somma felicitade. Tali virtù, come già aveva notato Agostino sulla scorta degli Stoici, sono talmente connesse che l'attuazione dell'una non può andar disgiunta da quella di tutte le altre.
Notevole, al riguardo, la rappresentazione in Pg XXIX 130 ss. delle quattro dame in veste purpurea accanto alla ruota sinistra del carro della Chiesa, come allegoria delle quattro virtù cardinali. Si tratta di un'eco più o meno diretta dell'Anticlaudianus di Alano di Lilla. Verosimilmente, sono le stesse quattro virtù cardinali che, in Pg XXXI 103 ss., conducono D. al cospetto dello sguardo di Beatrice.
Alla t. come virtù aristotelica D. si richiama in Cv IV XVII 4, dove enumera espressamente le undici virtù elencate da Aristotele, e delle quali la t. occupa il secondo posto. Essa è intesa qui nel senso restrittivo di virtù regolatrice dei piaceri dei sensi, in particolare del gusto: Temperanza... è regola e freno de la nostra gulositade e de la nostra soperchievole astinenza ne le cose che conservano la nostra vita (per Larghezza e Temperanza e l'altre nate, cfr. Rime CIV 63).
Conformemente alla teoria aristotelica per cui la virtù morale è un medio tra un eccesso e un difetto, D. ritiene anche la t., al pari delle altre virtù morali, come abito elettivo consistente nel mezzo (Cv IV XVII 7). La concezione di D. sarà resa esplicita in Cv IV XXVI, dove la t. appare non già come un'entità a sé, separata dalle altre virtù, ma piuttosto articolata organicamente con esse. Lealtà, cortesia, amore, fortezza e t. (§ 15) sono registri diversi e necessari al diffrangersi della perfezione umana, considerata secondo che ha rispetto a noi medesimi (XXVI 3). Quanto alla t., D. mostra come spetti alla ragione di guidare l'appetito con ‛ freni ' e ‛ speroni ' (§ 7), come un buon cavaliere guida il proprio cavallo. L'esempio di Enea che si distolse dalle lusinghe di Didone e affrontò i pericoli infernali per ricercare Anchise, dimostra che in gioventù essere a nostra perfezione ne convegna ‛ temperati e forti ' (§§ 8-9; cfr. I I 16).
Gli esempi della virtù cristiana della t. appaiono in Pg XXII 130-154, dove D., Virgilio e Stazio, giunti alla sesta cornice dei golosi, sono attratti da uno strano albero dal quale emana una voce che enumera famosi esempi di t. (Maria, Daniele, Giovanni Battista). Poco prima di salire alla settima cornice, i tre poeti incontreranno un secondo albero, simile al primo, da cui si sentiranno rammentare esempi d'ingordigia punita (Pg XXIV 121-126).
La dottrina classica sulla temperanza. - Nella Bibbia la t. consiste nella moderazione degli appetiti relativamente all'uso delle cose di questo mondo e segnatamente del bere e del mangiare. Questo valore è implicito nel racconto dell'ebrezza di Noè (Gen. 9) e nelle ingiunzioni dei profeti contro gli eccessi della tavola (Am. 6,6; Os. 6,11), mentre Sap. 8,7 enumera la t. tra le quattro virtù cardinali già ricordate, ed Ecli. 31,19 ss. ne enuncia le regole nel corso delle raccomandazioni sul modo di comportarsi nei banchetti.
Per il cristianesimo primitivo la t. è il dominio su sé stessi, nel metodico esercizio alla lotta contro le inclinazioni cattive (Rom. 6,12; 13,14; Gal. 5,16; II Tim. 4,5; i Petr. 2,11; II Petr. 2,18) e contro i principati e le potenze ostili a Dio (Ephes. 6,11 ss.; I Petr. 5,8). È in questo senso che s. Paolo si richiama alla disciplina dell'atleta (I Corinth. 9,24 ss.) o al soldato che conduce la lotta in nome di Cristo (II Tim. 2,3 ss.). La t. è anzitutto requisito dei ministri sacri (I Tim. 3,3; Tit. 1,7), degli anziani (Tit. 2,2) e delle donne (I Tim. 3,11), ma in quanto condizione di vigilanza nell'attesa dell'avvento del Signore, essa è richiesta a tutti (I Thess. 5,6-8, I Petr. 1,13; 5,8). Essa, infatti, impedisce che si conduca una vita carnale (Gai. 5,13; I Corinth. 7,31) e che ci si abbandoni agli eccessi del cibo, del vino e degli appetiti sessuali (Rom. 13,13), in quanto " non est.... regnum Dei esca, et potus " (Rom. 14,17). Proprio per questo Dio donò ai cristiani " spiritum... virtutis, et dilectionis, et sobrietatis " (II Tim. 1,7).
Nella tradizione filosofica, la qualificazione della t. come specifica virtù appare in Cicerone: " Temperantia est rationis in libidinem, atque in alios non rectos impetus animi, firma et moderata dominatio. Eius partes sunt continentia, clementia, modéstia " (Inv. II LIV 164). Platone (Rep. IV 430 E) e Aristotele (Eth. Nic. VII 2) tendono sovente a identificare t. e continenza nella nozione di ἐγκράτεια.
L'influenza di questa concezione si ritrova in molti padri cristiani nei quali t. designa anzitutto la purezza sessuale. Il termine andrà via via allargandosi fino a comprendere qualsiasi forma di rinuncia al mondo o di ascesi corporale. Tale estensione risulta evidente in Erma, dove il termine include la nozione di controllo dell'appetito sia nell'ambito sessuale che in quello del mangiare e del bere. Con Agostino l'accento è posto sull'amore come motivazione dell'esercizio della t. che orienta verso Dio il corpo, l'anima e lo spirito (cfr. De Moribus ecclesiae).
L'idea stoica dell'esistenza di un legame tra le diverse virtù, non considerabili per sé stesse, ma tutte incluse in una superiore virtù come interna disposizione della volontà a conformarsi al cosmo e al logos, si ritrova nella dottrina di Ambrogio e Gregorio Magno. Per questi ultimi, infatti, la t. costituisce la virtù capitale della vita cristiana. Essa, oltre che una forma di igiene interiore o una virtù regolatrice dell'agire umano, è il luogo di manifestazione e di riconoscimento della grazia divina.
Come frutto dello Spirito la t., secondo l'ideale cristiano della " sequela Christi ", costituisce una virtù per eccellenza.
Tommaso dedica alla t. e ai peccati opposti la trattazione di Sum. theol. II II 141-142. Anche se la t. è quarta tra le virtù cardinali, viene tuttavia considerata come essenziale. Senza di essa non esistono altre virtù (II II 141 7 e 8). Suo oggetto materiale sono i godimenti relativi al tatto: quindi quelli riguardanti il mangiare e il bere, afferenti alle operazioni utili alla conservazione dell'individuo, e i piaceri sessuali che, nel caso dell'unione tra uomo e donna, risultano utili alla conservazione della specie (ibid. 3 e 4). Il proprium della t., sempre nell'ambito della gamma dei diversi significati di tatto, è quello di precisare la misura dei godimenti, di metter freno all'avidità, e di regolare la sensibilità secondo il bene dell'uomo, vale a dire secondo l'ordo rationis.
Nella quaestio 142, Tommaso passa a trattare degli eccessi opposti alla temperanza. Un primo eccesso sarebbe quello di chi si rifiutasse di mangiare per risparmiarsi la fatica di preparare il cibo, o di chi non volesse bambini per evitare le cure della loro educazione; l'altro eccesso è l'intemperanza, che rende muta la ragione e fa del godimento un fine pari a quello perseguito dalle bestie.
Nella quaestio 143, infine, Tommaso distingue le varie parti della t., e cioè parti integranti, come pudore e onestà; parti soggettive, come astinenza, sobrietà, castità; e parti potenziali, suddivise a loro volta in continenza, umiltà, masuetudine - in rapporto ai moti interiori - e in modestia, decenza, austerità - in rapporto ai moti esterni. In tali partizioni è ravvisabile la traccia di Cicerone e Macrobio.
La t. si configura pertanto come una virtù al tempo stesso positiva e plurivalente. Ovunque l'uomo si trovi di fronte un piacere sensibile, scopre nel contempo l'occasione di esercitare tale virtù, e non nel senso che deve rimanere insensibile ai piaceri che gli si offrono, ma che deve usarne in conformità alla grazia e alla ragione.
Con particolare riferimento ai valori di ‛ temperare ' (v.), temperanza di vapori (Pg XXX 26) e temperanze di vapori (Pd V 135) indicano la " mixtio ", il " temperamentum " dei vapori, la loro costituzione naturale che può fare da schermo ai raggi del sole o esserne diradata. In Cv II XIII 25, nello stesso ambito di significati, la buona temperanza di Giove si riferisce all'equilibrato contemperarsi della complessione dell'astro, alla equa costituzione della sua influenza.
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