Vedi TEMPIO dell'anno: 1966 - 1997
TEMPIO
1. Egitto. - Dei primordi della civiltà egiziana non ci sono restate tracce di luoghi di culto: tuttavia alcune figurazioni in rilievi protodinastici, alcuni geroglifici che riproducono tradizionalmente edifici cultuali, alcune rappresentazioni stereotipe di santuarî tipici, permettono di spingere la ricerca anche all'età delle origini, sia pur mantenendola entro inquadramenti assai generali.
Fra i templi primitivi un gruppo sembra ripetere uno schema costante di edificio assai elementare, chiuso da quattro pareti e coperto da un tetto a vòlta o a cupola, il carattere sacro del quale è posto in evidenza solo dalla presenza di due bandiere (simbolo della divinità) o, nella raffigurazione, dall'immagine del dio connesso con l'edificio. Si ha qui semplicemente il trasferimento sul piano rituale dell'esperienza costruttiva quotidiana: il t. è la casa del dio.
Un secondo gruppo è quello dei santuarî tipici per le singole divinità. Più che sulle qualità tettoniche qui si insiste sulla "personalità" dell'edificio, e le forme alludono ad altro che alla casa. Nel t. della dea (spesso giovenca) Ḥatḥōr, le colonne imitano sistri (lo strumento sacro alla dea), e in esempî arcaici han seno femminile o corna. Nel t. di Min altri elementi di non chiara simbologia sono presenti. Nel t. dinastico d'Alto Egitto, infine, il prototipo della costruzione sembra essere un animale, cane o elefante che sia, e il t. è munito di una coda.
Fra questi due atteggiamenti, il primo è in realtà l'unico vitale, legato com'è alla razionalità del costruire tecnicamente inteso. Ma dell'altro molto resta pur sempre presente nella interpretazione classica del t. egiziano che concepisce il santuario come l'"orizzonte" da cui sorge, quale un sole, il dio; che vede nel soffitto del t. il cielo, e perciò giustifica le colonne a carattere vegetale che si alzano dal suolo a sorreggerlo, così come le piante si alzano verso la vòlta celeste; che identifica il lago sacro con l'acqua primordiale e così via.
Nell'età storica lo sviluppo del t. è condizionato anche da fattori che si possono definire politici: il riunirsi dell'Egitto sotto un unico dominio regio fa sì che i centri cultuali singoli vadano perdendo autonomia sotto la pressione unitaria. Si assiste così a un livellamento del rituale immaginato per un unico celebrante autorizzato, il sovrano - figlio degli dèi e dio egli stesso. Se talune peculiarità si mantengono in alcune grandi feste specifiche, per il culto quotidiano si giunge a una generica uniformità che determina una tipologia edilizia abbastanza limitata.
È probabilmente un caso che da questo discorso restino fuori i più antichi templi di cui abbiamo comprensibili resti: quello primitivo di Medamud, dove le funzioni rituali sono così incombenti che l'architettura in senso proprio ne è quasi bandita (tumuli, corridoi sinuosi, piantagioni vi alludono a un mistico sepolcro osiriaco) e quelli assai più importanti di Abu Sir, che imitano forse il t. di Heliopolis. Il più noto è quello dedicato da Ne-user-Rē῾ al dio sole (Rē῾) figurato come un immenso e tozzo obelisco non monolitico nel centro di un cortile, con una tavola d'offerte, una rampa d'accesso e interessantissimi rilievi delle Stagioni, cioè della vita che si svolge grazie alla quotidiana opera creatrice del dio, al di fuori di ogni ricordo rituale.
I primi templi dell'età seguente, il Medio Regno, danno invece tutt'altra documentazione: si hanno vere e proprie "abitazioni" del dio e il modello della casa umana si fa completamente evidente nella fondamentale bipartizione fra settore privato e settore di rappresentanza (fra harim e diwan), più un eventuale gruppo di magazzini e portali. Tale sistemazione può avere le semplici e organiche distribuzioni di Ṭōd (Sesostris I) e di Medīnet Madi (Amenemḥet III e IV), oppure la farraginosa struttura planimetrica del t. di Sesostris III a Medāmūd: ma è matura per la caratterizzazione che avrà luogo nel Nuovo Regno e che farà sì che il t. egiziano tipico abbia un "pilone" o portale di regola fiancheggiato da due torrioni, che introduce in un cortile spesso circondato da un portico, dalla parete di fondo del quale (in molti casi accentuata da una doppia fila di colonne e da un notevole rialzo) si passa a una "sala larga" o "ipostila" che in pianta consta di due quadrati affiancati perpendicolarmente all'asse del t. ed il cui tetto è sorretto da colonne. La navata centrale, più larga, nei templi maggiori è anche più alta, e porta nel dislivello una serie di finestre. Dall'ipostila (in cui possono essere ritagliati ripostigli e sacrestie) si passa a un vestibolo su cui si aprono le celle contenenti le immagini divine: celle che ogni giorno vengono aperte per il rito e risuggellate, in un continuo presentarsi al dio per servirlo e sottrarlo ai rischi della contaminazione dal mondo esterno.
Questa chiara articolazione di elementi si specchia anche in altri fatti: il diminuire della luminosità, l'abbassarsi del tetto, l'alzarsi del pavimento mano a mano che si procede verso il sacrario. Anche all'esterno le suddivisioni sono segnate da membrature e da plinti: ma il t. tende a chiudere un certo spazio, a segregarlo dal di fuori, cosicché non si hanno di norma elementi architettonici che si appoggino ai muri perimetrali. Le eventuali finestre si riducono a feritoie orizzontali dissimulate sotto il cornicione, le grondaie sono protette da maschere leonine apotropaiche. L'organicità di questo complesso non ne permette altro ampliamento che la ripetizione di alcuni elementi: fondamentalmente il pilone e il cortile. Ogni aggiunta deve soggiacere alle regole del ritmo della crescita, e così portali e cortili sempre più alti e più vasti si aggiungono ai precedenti: tipico il caso di Karnak. Ma altrove la lunga vita dei templi li sottopone ad assai più raffinate modifiche di struttura, quasi a reinterpretazioni delle possibilità insite nella soluzione originaria: così nel tempietto di Buhen, da Ḥashepsowe a Ramesses III, o in quello thutmoside di Medīnet Habu.
Lo schema templare tipico continua a valere fino all'età tolemaica e romana, complicandosi soprattutto per una importanza data a muri avvolgenti che formano corridoi di ronda attorno al nucleo principale e lo separano più esplicitamente dal mondo profano, nonché per lo svilupparsi di ampi sistemi di cripte (ignote alle età più antiche) e per uno sfruttamento delle terrazze del tetto su cui ora si impiantano elementi sussidiarî del santuario.
Particolari impostazioni si hanno là dove il t., anziché essere una costruzione in senso proprio è uno spazio definito in grotta speòs o hemispeòs a seconda che il santuario sia per intiero o solo in parte scavato nella montagna). Tale tipo, noto per la XVIII e la XIX dinastia è particolarmente frequente in Nubia (Bet el-Wali, Gerf Hussein, Wadi es-Sebu'a, Derr, Ellesiyah, Abu Simbel, Abu Hoda, ecc.) ma non manca in Egitto proprio (Speòs Artèmidos e lo stesso tempio di Deir el-Bahri). Prima caratteristica di quanti fra questi templi hanno pieno significato architettonico è la immediata connessione con un particolare paesaggio, utilizzato per far risaltare l'edificio (esempî tipici Deir el-Baḥri o Abu Simbel). Inoltre, lo schema tipico della partizione in pilone, cortile, ipostila, sacrario si modifica per esigenze che sono insieme tecniche e compositive, in questo spazio ottenuto per via di cavare e non per limitazione o circoscrizione.
Problemi e storia a sé hanno i templi funerarî, anche se dal Nuovo Regno tendono a confluire nella più generale tipologia. Essi nascono come appendice alla tomba regale, luogo di culto per un dio singolare quale è il re defunto, e connessi con esigenze di riti diversi da quelli divini.
È ovvio che altre forme templari si danno oltre quelle qui sommariamente elencate e descritte: ve ne sono di più rustiche ed elementari, o anche di assai raffinata struttura (come i tipi di chioschi peripteri). Ci siamo qui limitati al più genericamente tipico e per le eccezioni qualche dato sarà rintracciabile sotto le singole voci topografiche.
Bibl.: In generale: G. Jéquier, L'architecture et la décoration dans l'ancienne Égypte: I, Les temples memphites et thébains; II, Les temples ramessides et saïtes; III, Les temples ptolémaïques et romains, Parigi 1920-24; id., Manuel d'archéologie égyptienne: Les éléments de l'architecture, Parigi 1924; J. Vandier, Manuel d'archéologie égyptienne, III, 2 (Les grandes époques, L'architecture réligieuse et civile), Parigi 1955. In particolare: L. Borchardt, Aegyptische Tempel mit Umgang (Beiträge zur äg. Bauforsch. i. Altertumsk., II, Zurigo- Il Cairo 1938; G. Steindorf, Haus und Tempel, in Ztschr. f. äg. Spr. u. Alt., XXXIV, 1895; G. Jéquier, Les temples primitifs e la persistance des types archaïques dans l'architecture religieuse, in Bull. Inst. Fr. Arch. Or., VI, 1908; H. Ricke, Bemerkungen zur äg. Baukunst des alten Reichs (Beitr. zur äg. Bauforsch. u. Alt., IV e V), Zurigo 1944-50; F. W. v. Bissing, Baumeister un Bauten aus dem Beginn des Neuen Reichs, in Studi dedicati a I. Rosellini, 2 voll., Firenze-Pisa 1949-55; L. Borchardt, Zur Baugeschichte des Amontempels in Karnak (Unters. zur Gesch. u. Alt. Aeg.), V, Lipsia 1905; P. Basquet, Le Temple d'Amor- Rë à Karnak, Essai d'exegèse, Cairo 1962; F. W. v. Bissing, Die Baugeschichte des südlichen Tempels von Buhen (Wadi Halfa), in Sitzungserichte Bayer. Ak. Wissenschaften, 1942, 9; H. Kayser, Die Tempelstatuen ägyptischer Privatleute im mittleren und neuen Reich (Diss. Heidelberg), Heidelberg 1936; F. Otto, Zur Bedeutung der äg. Tempelstatue seit dem neuen Reich, in Orientalia, XVII, 1948; H. Bonnet, Reallexikon der ägyptischen Religionsgeschichte, Berlino 1952, s. v. Tempel, Totentempel.
(S. Donadoni)
2. Asia anteriore, Mesopotamia, Estremo Oriente. - Per le forme del t. in Mesopotamia si veda: mesopotamica, arte; sumerica, arte; le voci tipologiche: bit akītu; ziqqurat; le voci topografiche assur; babilonia; barsippa; eridu; eshnunna; ischali; khafāgian; khorsābād; kish; mari; numrud; nippur; nuzi; tell agrab; tellō; warka. Per il t. in Siria e Palestina si veda: fenicia, arte; siriana, arte; la voce tipologica: bīt khilāni; le voci topografiche: biblo; gerusalemme; hazor; lachish; marathos; megiddo; ras shamrah; sichem; tell açana. Per il t. in Anatolia si vedano le voci topografiche: beycesultan; khattusha. Per il t. nell'Arabia preislamica: sudarabica, arte; mārib. Per il t. nell'Estremo Oriente si vedano in particolare le voci tipologiche: dagoba; pagoda; stūpa.
3. Grecia. - Non esiste una esposizione della storia del t. greco, come del resto non ne esiste una della storia della statua greca (v. statua). Eppure t. e statua sono il centro della indagine archeologica e costituiscono la quintessenza della forma greca che in essi simbolicamente si condensa. T. e statua si differenziano dai loro corrispettivi negli altri campi della storia dell'arte in virtù della forte influenza che, nelle forme più svariate, hanno sempre emanato da sé. Il fenomeno della loro intrinseca classicità non abbisogna storicamente di alcuna prova; sotto questo rispetto giova solo descriverla. È tuttora aperto il problema se e in quale senso, a prescindere dalle implicazioni storiche posteriori, un elemento normativo sia insito in queste opere originariamente, cioè per loro propria natura. Per chiarire questo problema sono d'aiuto i criteri che la ricerca ha acquisito sul loro particolare sviluppo. È in questo senso che daremo qui brevemente notizia delle più importanti manifestazioni della costruzione templare greca, nella formazione e nelle variazioni del tipo periptero. Alla base di questo tentativo è il presupposto che valga la pena di verificare se sia possibile già fin d'ora utilizzare i risultati della ricerca architettonica in senso storico-artistico.
a) La prima fase è quella della formazione della tipologia e, in genere, della creazione dell'arte monumentale. Essa si svolge essenzialmente nel VII sec. e può essere designata come la fase proto-arcaica. La precedente fase geometrica conosce già t. cospicui e statue di formato almeno vicino alla grandezza naturale. Ciò è stato dimostrato dagli scavi nello, Heraion di Samo; tali costruzioni non hanno però che un valore di precursori. Il più antico Heraion di Samo, datato all'VIlI sec., consisteva in un mègaron (v.) di forma molto allungata (m 32,86 × 6,50) con una corona esterna di sostegni lignei e un ordine di analoghi sostegni all'interno. La base per il simulacro cultuale è situata in prossimità del muro posteriore, leggermente spostata rispetto all'asse mediano. Sopra questi elementi bisogna immaginare un tetto dall'alto colmo, come quello dei modelli di edifici in terracotta o in pietra di età tardo-geometrica. Non si può ancora assolutamente parlare di un ordine di colonne. La forma del tetto, per la cui copertura si impiegavano canne e argilla, non si differenziava da quella delle abitazioni e dei granai. L'ambiente interno, quasi un corridoio, è l'espressione della medesima concezione spaziale che si esplica nella scultura e nella pittura geometrica. Le dimensioni esterne non sono quindi sufficienti a conferire a questa forma un carattere monumentale. La forma usuale del luogo di culto nella civiltà minoica e micenea è la cappella di palazzo o la cappella di casa. Tuttavia già in età tardo-micenea, è documentato, a Eleusi, il santuario a forma di mègaron. A Tirinto, Thermos, Micene e sull'acropoli di Atene si può osservare una continuità del culto nel luogo dell'antico palazzo; in genere si tratta di un edificio analogo al mègaron, riservato esclusivamente al culto divino. E la tradizione non si interrompe neppure negli elementi tecnici: già gli edifici micenei si innalzavano sopra uno zoccolo in pietre rozzamente sgrossate e le pareti erano di tegole crude e travi incastrate. Nuova è la differenziazione della funzione e la forma artistica.
I primi templi peripteri monumentali documentati dagli scavi sono il secondo Heraion di Samo, datato alla metà del VII sec., l'Heraion di Olimpia e il t. di Apollo a Thermos, appartenenti invece all'ultimo terzo del VII secolo. Il più vicino alla tipologia classica è l'edificio di Olimpia, benché le colonne di pietra siano state sostituite in differenti epoche a quelle lignee originarie, una delle quali sussisteva ancora nell'opistodomo nel II sec. d. C. Tuttavia nell'interno è già attuata la suddivisione in naòs, pronao e opistodomo. Il porticato presentava l'ordine dorico già sostanzialmente perfetto. Gli intercolumnî sono leggermente più larghi sui lati brevi che sui lati lunghi, e si restringono agli angoli affinché il tryglỳphon mantenga la sua regolarità. Il porticato è lievemente più profondo sulla facciata rispetto alla parte posteriore, e gli assi delle seconde colonne dei lati brevi sono allineati approssimativamente con gli spigoli esterni delle pareti interne. Esterno e interno rientrano quindi in una regolata relazione. Nello stesso tempo si attenua l'allungamento della pianta, cosicché la natura propria dello spazio comincia ad acquistare significato. È ben vero che questo edificio non è costruito unicamente in pietra, ma dagli ortostati splendidamente ordinati delle pareti innalzate, per il resto, secondo la maniera antica risulta chiaro che a ciò tende il processo di evoluzione. Il tetto aveva degli spioventi assai bassi ed era coperto da tegole.
Ancora più allungata è la pianta del t. di Thermos. Mentre l'Heraion di Olimpia ha un rapporto di 6 × 16 colonne, a Thermos alle cinque colonne delle facciate ne corrispondono 15 sui lati lunghi. Del resto questo t. non manca di elementi arcaici nonostante la loro quasi contemporaneità. Tra tali elementi rientrano la fila di colonne di sostegno in corrispondenza della linea di colmo, e il numero dispari delle colonne delle facciate, dovuto appunto a tale colonnato centrale.
Dal punto di vista della liberazione dello spazio, il secondo Heraion di Samo è superiore a entrambi questi templi. Il porticato si è ampliato rispetto al precedente edificio samio. Davanti all'ingresso si è creato un atrio dalle fitte colonne, grazie al raddoppio degli ordini di colonne sulla facciata. All'interno sono eliminati i sostegni. Le pareti sono articolate da lesene a mo' di pilastri; la vista del simulacro cultuale non è più impedita. La relazione tra porticato e cella non è però condizionata dall'ordine dorico, sviluppandosi bensì dall'interno verso l'esterno. Il porticato è costituito da pilastri lignei, di sezione quadrangolare, su basi rotonde in pietra.
Sulle colonne doriche dei templi della madrepatria danno notizia ritrovamenti sparsi, soprattutto di capitelli; prima fra tutti, i ritrovamenti del più antico t. di Atena Prònaia a Delfi. La tipologia di questi capitelli fu influenzata dagli edifici micenei ancora esistenti a quell'epoca. È caratteristica la forma complessiva, ad un tempo bassa e fortemente stretta alla gola della colonna, con echino e abaco molto sporgente. Ove a ciò si aggiunga la relativamente ampia apertura resa possibile dalla trabeazione lignea e, in specie, il dilatamento, in senso longitudinale, del corpo di costruzione, ne risultava un predominio degli elementi pesanti, orizzontali. A ciò, ancora, si aggiunga la pur sempre notevole limitazione dello spazio e la forte costrizione cui era soggetta la struttura interna a causa dello sviluppo del fregio dei triglifi. Da tutto ciò deriva il carattere marcatamente statico di questa struttura. Ma proprio per questo essa risalta come veramente monumentale rispetto alle strutture più antiche, dal carattere discorsivo. Alla carenza di spazialità corrisponde una carenza di corporeità della più antica scultura monumentale, così come la rappresentano la delia figura di Nicandre, ad Atene, e la figura femminile di Auxerre, ora al Louvre. Statue dalla forma così piatta trovano la loro collocazione naturale alla fine di un naòs allungato, simile a un corridoio. L'ordine dorico e la scultura monumentale di questo tipo sono nati, unitamente alla grande pittura, intorno alla metà del VII sec., nel Peloponneso nord-occidentale. È provato che anche i tetti di terracotta sono originari del Peloponneso. Accanto al tipo laconico, costituito da tegole tondeggianti, c'è un tipo di tetto corinzio, in cui sulle commessure fra le tegole piatte poggiano tegole di copertura di forma diversa. Il tipo di tetto a due spioventi, con le tegole piatte, è diventato il predominante. La tradizione secondo la quale il frontone del t. sarebbe un'invenzione corinzia, si riferisce alla elaborazione di tale sistema databile parimenti alla metà del VII secolo. Qualche volta, accanto a questi, si trovano anche tetti a padiglione.
Il primo t. in pietra che conosciamo è quello di Artemide a Corfù, costruito nel primo venticinquennio del VI secolo. La sua pianta rettangolare è più compatta, grazie soprattutto all'ordinamento pseudodiptero del porticato. Ma non è solo la forma della peristasi a conferire maggior peso all'elemento spazio, bensì anche la struttura a tre navate del naòs. Contemporaneamente, l'ordine di colonne si è accresciuto in altezza. La pesantezza, tuttavia, dell'aspetto esterno e la sproporzionata accentuazione della dipendenza dell'interno dall'esterno conferiscono anche a questo t. un aspetto proto-arcaico.
Essendo stata così raggiunta la forma monumentale, essa fu successivamente elaborata, anzi veramente perfezionata dagli architetti del periodo alto-arcaico, periodo che abbraccia i due quarti centrali del VI secolo. I più importanti resti di un periptero dorico di questa epoca, nella Grecia stessa, sono quelli del t. di Apollo a Corinto, una creazione della fine dell'età dei tiranni, portata a termine verso il 550. La pianta rettangolare, che presenta una proporzione di 6 × 15 colonne, non è più estremamente allungata. L'orizzontalismo è mitigato, in quanto, in virtù del rapporto meno pesante tra colonne e intervalli fra loro, il corpo di costruzione stesso nel suo insieme risulta più elevato. Lo spazio si è quindi ampliato, all'accentuazione eccessiva dei motivi statici è subentrata una proporzione più equilibrata. La differenza degli intercolumnî sui lati brevi e su quelli lunghi è certo ancora rilevante, e nonostante la moderazione rispetto al t. di Corfù, la costruzione rimane massiccia e davvero monumentale. In questo si esprime la subordinazione arcaica della forma. Il rapporto tra la pianta rettangolare esterna e interna non è spontaneo e organico, bensì stabilito dall'esterno.
Il t. nel centro originario di Siracusa, databile tra il 580 e il 570, si differenzia da quello di Corinto, leggermente più recente, non solo per elementi più arcaici, ma anche per un orientamento peculiare, caratteristico della Magna Grecia, che esso imprime all'ordine dorico. Nel giudicare la sua pianta, con un rapporto di 6 × 17 colonne, bisogna tener presente l'antistasi, trattata secondo modelli grecoorientali. La differenziazione degli intercolumnî è ancora maggiore che a Corinto, e continua nell'ampliamento dell'intercolumnio centrale sul lato d'ingresso. Le metope avevano la forma di rettangoli orizzontali, allungati. Il sistema costruttivo a monoliti, non limitato qui ai fusti delle colonne, ricorda fortemente l'architettura megalitica dell'antico Mediterraneo. Questa pesantezza esteriore si ricollega però ad un metodo compositivo che non è più determinato dalla tensione tra la somma delle singole parti e il prevalente concetto statico. L'atteggiamento più agile, soprattutto, e i sensibili accenni di una disposizione concentrica si differenziano sostanzialmente dalla forma protoarcaica.
Il t. enneastilo (la cosiddetta "basilica") di Paestum documenta la forma alto-arcaica matura del terzo venticinquennio del secolo. Questo t. unisce all'ordine dorico numerosi elementi ionici. Tali sono l'assetto decorativo e la molteplicità delle colonne, ma soprattutto la concezione della pianta. Il rapporto tra l'interno e il porticato, di 9 × 18 colonne, è reso alla maniera ionica. È dunque lo spazio interno a condizionare la corona delle colonne. La vigorosa ed espressiva raffigurazione plastica e la quasi distraente molteplicità hanno indotto a vedere in questa costruzione una "somma di particolari". Dal punto di vista spaziale, a causa del rapporto di cui si è detto fra esterno e interno, il tempio è già nel proprio senso composizione, in cui il creatore ha saputo collegare gli elementi coordinati con quelli di soggiunzione, in una formula autenticamente alto-arcaica.
Il t. C dell'acropoli di Selinunte è stato terminato, come si deduce dallo stile delle sue decorazioni scolpite e dalle terrecotte del tetto, soltanto verso il 520. Anche la sua architettura non manca di elementi tardo-arcaici; però in sostanza esso fa ancora parte della produzione alto-arcaica. La pianta, determinata da un rapporto di 6 × 17 colonne, si differenzia da quelle del periodo protoarcaico di nuovo per l'antistasi, tipica della Magna Grecia. La costruzione, in questo ambiente dorico, non è modificata da elementi ionici, come nella achea Paestum. La tensione verso l'alto è qui più decisa che a Corinto, benché il suo effetto sia ostacolato dalla pesante trabeazione. La differenziazione degli intercolumnî è ancora molto rilevante e il rapporto tra porticato e interno della costruzione è reso in modo esteriore, quasi violento. Le leggi arcaiche, cui la composizione è soggetta, si manifestano apertamente.
Lo studio delle terrecotte architettoniche dipinte ha dato un prezioso aiuto all'indagine critica di questi edifici. Nella Grecia continentale si diffonde e si raffina nel corso del VI sec. il tetto corinzio a tegole piatte. Nell'occidente greco caratteristica è la struttura accentuata e particolarmente ricca della cornice orizzontale del tetto, la cui tipologia deriva dal primitivo tetto di argilla battuta, di forma piatta o con una leggera inclinazione. Mentre la forma corinzia è al servizio della struttura, questo è invece un motivo capace di esprimere in misura maggiore la delimitazione spaziale dell'edificio.
L'architettura della Magna Grecia, d'altronde, nonostante le continue relazioni ai monumenti della madrepatria, ha in quest'epoca uno sviluppo sostanzialmente indipendente, collegandosi a forme pre-monumentali. Gli edifici della madrepatria, come il tempio di Corinto, sono la continuazione organica delle prime creazioni monumentali del VII secolo. In Occidente si può osservare all'inizio del secondo venticinquennio del VI sec. un nuovo grande fermento. Le ragioni per cui questa produzione ci è meglio tramandata sono di varia natura. Non ultima è la manifesta passione architettonica di questi greci occidentali, che trovò una rispondenza particolare nella saturazione della forma monumentale nel periodo alto-arcaico. Questi t. sono le più alte creazioni artistiche dei Greci coloniali. E il loro originale abbinamento di sistema costruttivo e di movimento spaziale assegna a tali t., anche per la loro stessa essenza, un posto a sé nella storia della forma greca.
I t. ionici contemporanei hanno un carattere maggiormente greco, benché anche essi siano atti a illuminare la preminenza dei t. dorici della madrepatria all'interno della produzione greca.
Del t. colossale, che Rhoikos costruì, ancora prima della metà del VI sec., per la Hera di Samo, neppure una colonna è ancora in piedi. Grazie agli scavi tedeschi è stato possibile chiarirne i tratti essenziali. Su una pianta di circa 100 × 50 m, si innalzava un porticato a due navate di colonne in calcare con trabeazione lignea. La sagomatura delle basi bipartite delle colonne era prodotta levigando la pietra messa al disopra di un disco girevole. Nel profondo vestibolo e nel naòs il tetto era sorretto da due file di colonne. L'espressione di ampiezza e movimento dello spazio era calcolata dunque nel porticato e nella cella. Con assoluta limpidità l'intera disposizione spaziale è determinata dall'interno.
L'Artemision di Efeso, un pò più recente e complessivamente delle medesime proporzioni, presenta sostanzialmente le stesse caratteristiche. Grazie agli scavi guidati da studiosi inglesi è stato possibile liberare dalle sovrastrutture del t. successivo di età tardo-classica importanti parti delle fondamenta e della costruzione. Il naòs, in cui era la cappella con il simulacro cultuale, era privo di tetto, e piuttosto che di un t. si trattava di una monumentalizzazione dell'antico sekòs. La forma diptera determinava tuttavia l'aspetto esterno. In questo t. era fatto largo uso del marmo. Della decorazione ionica, cui obbediva la struttura di colonne e trabeazione, ciò che è rimasto dà preziose notizie.
Tali edifici hanno un precedente nel secondo Heraion di Samo, del VII secolo. Ma in questo caso si può parlare, al massimo, di primi tentativi di un simile ordinamento spaziale, non ancora assolutamente di un ordine ionico. L'architettura ionica quindi, a differenza di quella dorica, si è sviluppata pienamente solo in età alto-arcaica. La ragione di ciò sarà ora chiara. L'altro e più libero concetto di spazio, in cui non si può disconoscere il retaggio pre-greco dalla Età del Bronzo egea, è qualificato dalla sua natura tendente all'accentramento. I t. della madre patria e dell'occidente greco consentono di riconoscere come novità di questo periodo la composizione, che si afferma con l'aiuto di motivi di concentrazione e di subordinazione. Lo sviluppo del concetto formale era dunque nuovamente accessibile a questo elemento. Non si poteva avere un'idea dei monumenti orientali osservando i t. altoarcaici occidentali. I t. orientali sono diventati normativi in tutto l'ambito greco per il periodo tardo-arcaico.
Il t. di Aphaia ad Egina, costruito sullo scorcio tra il VI e il V sec. - le parti più antiche della ornamentazione scultorea sono giustamente considerate, in generale, opere tardo-arcaiche- non varca, come costruzione, il confine del classico. È bensì vero che la differenza tra gli intercolumnî è attenuata, ma essa non è ancora eliminata. Quanto detto risulta particolarmente dalla natura additiva, inorganica della composizione, e dalla sua rigida determinazione. Ma tutto questo è nascosto dall'effetto unitario dell'aspetto esteriore. La pianta, rettangolare, con un rapporto di 6 × 12 colonne, è la più compatta tra quelle finora esaminate. Il corpo di costruzione, che si può abbracciare con lo sguardo, è diventato leggero e grazioso. Soltanto in una certa qual fragilità delle forme e delle proporzioni si rivela la subordinazione di questo movimento all'aspetto esterno. L'attenuamento del carattere monumentale è il prezzo con cui è stata acquistata questa nuova unitarietà, in sé più ricca. L'influsso della concezione formale orientale è documentata non soltanto da ionismi nell'ornamentazione architettonica- ad esempio, gli acroteri e la decorazione dei capitelli delle ante- ma anche da importanti caratteristiche strutturali, come l'apertura e la relativa ampiezza dello spazio e la leggerezza degli ordini di colonne.
Il t. di Aphaia può essere considerato un epigono tardo-arcaico del t. di Apollo a Corinto. Si può stabilire un analogo rapporto tra il t. esastilo (cosiddetto t. di Cerere) a Paestum, e la basilica, ma in questo caso la costruzione più recente è una creazione ancora più schiettamente individualistica che nel caso di Egina. Gli intervalli tra le colonne sono tutti uguali. Sembra che il solo aspetto esteriore sia diventato determinante per l'idea della costruzione. In realtà, la forma esteriore è rigida e non si sviluppa dall'interno. All'assenza della contrazione degli intercolurnnî agli angoli corrisponde l'inorganico prolungamento delle metope angolari. Il più efficace degli elementi orientali è il porticato ionico interno dinanzi al pronao.
Il t. di Assos nell'Asia Minore eolica, presenta caratteristiche tardo-arcaiche, di cui la più importante è la uguale profondità della peristasi sui lati lunghi e sulla facciata posteriore. Questo tipo di composizione, che risale a un'ispirazione ionica, è comune a questo e agli ultimi due t. che abbiamo esaminato. La relativa ampiezza del colonnato attesta l'influsso ionico non meno che l'abbandono del dorismo alto-arcaico. Che si tratti però soltanto dei primi tentativi che porteranno alla forma tardo-arcaica, risulta dalla sezione ancora relativamente massiccia dei lati brevi.
Gli elementi nuovi appaiono ancora più attutiti nel più recente t. di Atena Prònaia a Delfi, il cui inizio di costruzione risale al 510 circa. Quivi la tradizione elladica del grande periodo precedente si fa sentire maggiormente che in Asia Minore o ad Egina.
Il rinnovamento dell'antico t. sull'acropoli di Atene alla fine dell'età dei tiranni si sottrae tuttora alla critica storico-artistica, non essendo stato ancora chiarito quanto sia derivato alla nuova pianta da ciò che esisteva prima. Nella loro forma slanciata le colonne sono relativamente vicine a quelle del t. di Aphaia. Questo elemento e il largo impiego del marmo nelle sovrastrutture sono indicativi per una datazione tardo-arcaica di questo tempio.
La conversione del dorismo dell'occidente greco allo stile tardo-arcaico è illustrata da un paragone tra il t. D dell'acropoli di Selinunte e il t. vicino, C, più antico di appena una generazione. La pianta si è ampliata (6 × 13), anche avendo riguardo alla eliminazione dell'antistasi. Anche la peristasi si è ampliata grazie ad un allargamento della pianta e all'apertura dell'alzato. La relazione con l'interno dell'edificio è però ancora regolata secondo schemi arcaici, mediante rapporti statici. Tra i monumenti dell'occidente greco il più vicino a questo è il t. F di Selinunte. Il t. A, malgrado la sua pianta allungata (6 × 14), è tra questi edifici quello in cui più si riscontrano riferimenti ai t. tardo-arcaici della madrepatria.
L'Apollonion di Selinunte (t. G) è una versione dorica dei t. colossali ionici. Dall'esterno, la sua natura tardo-arcaica è provata dalla forma slanciata delle colonne sui lati E e N, datate all'inizio della costruzione.
Il rapporto tra interno ed esterno è risolto alla maniera ionica. L'enorme ricchezza della peristasi e del pronao analogo a quello dell'esastilo di Paestum, pregiudica l'effetto spaziale del naòs. Nel senso della subordinazione, la struttura risulta dunque ancora arcaicamente legata da motivi aggiuntivi.
Al momento presente è quasi impossibile giudicare in quale misura i t. ionici di questo periodo si differenzino da quelli più antichi: mancano infatti resti sufficientemente conservati. A Samo, l'edificio di Rhoikos ebbe un successore appena 30 anni dopo, di proporzioni egualmente grandiose, situato 40 m più in là verso O. Codesto t. non è mai stato ultimato. Soltanto in linee generali è possibile stabilire un arricchimento rispetto al t. più antico nell'aumento del numero delle colonne, nel raffinamento dell'ornamentazione architettonica è nell'impiego del marmo. Ancora più imprecisa è la nostra conoscenza del non meno colossale Olympieion di Atene, la cui costruzione ebbe inizio verso la fine del periodo dei tiranni: i rifacimenti ellenistici e romani infatti cambiarono notevolmente la sua struttura. Edifici minori, particolarmente alcuni tesori di Delfi ci informano sulle manifestazioni più aperte e mosse dell'ornamentazione architettonica ionica in questo periodo.
La critica odierna del t. greco è determinata dall'opinione che il t. sia una struttura plastico-corporea e che abbia a che vedere con la raffigurazione dello spazio in modo affatto indiretto. La storia del t. arcaico ha dimostrato che questo presupposto è errato e ha nel contempo fornito alcuni chiarimenti sulla originalità della concezione greca dello spazio, da cui appunto derivano a noi le difficoltà. Chi segue invece questa strada si stupisce altamente del fatto che l'evoluzione arcaica, dopo essersi liberata dai vincoli della tradizione più antica esercitanti solo un influsso nascosto nella fase tardoarcaica, non sia sfociata in una forma che, dopo l'abbandono definitivo dell'identità di essere e apparenza, si sforzò di giustificare, esclusivamente nel senso dell'apparenza, regolarità e unità. Il miracolo della classicità è il superamento creativo della antinomia così scoperta nella forma. Nel corso di quasi due secoli si avvicendano le varie formulazioni, cui noi diamo i nomi di periodo severo, classico e tardo-classico. Ognuno di questi si trova nello stretto ambito che separa i due campi- realtà e apparenza- e stabilisce un nuovo rapporto ricco di tensioni tra loro. Ciò vale non meno per il t. che per la statuaria, ma non perché- come nella statuaria- rispetto alla forma concreta lo spazio sia inerte e inconsistente, sibbene perché, con l'aiuto delle forme concrete, lo spazio viene organizzato nello stesso senso pure nel tempio.
I documenti più significativi dell'arte dorica pre-classica sono il cosiddetto t. di Posidone a Paestum che, stando ai rinvenimenti degli scavi più recenti, risulta esser stato in realtà un Heraion, e il t. di Zeus a Olimpia, entrambi del secondo venticinquennnio del V secolo. Innovazione sostanziale nella pianta è l'intercolumnio normale, che da ora in poi sarà obbligatorio. Risulta evidente da ciò che la composizione additiva del corpo di costruzione, che conferisce ai lati dell'edificio il loro valore specifico, ha fatto posto a una nuova unità. Invece di differenziarsi, i lati del porticato si riuniscono. La contrazione degli intercolumnî angolari acquista un nuovo senso, di accentuazione ritmica. L'antico legame dorico tra facciata e interno è conservato. Più elastico è il rapporto sui fianchi, dove, per ampliare la parte anteriore e quella posteriore del porticato, le fronti delle ante sono allineate davanti e dietro, oppure solamente davanti, con il centro del secondo intercolunnio. La nuova funzione del porticato, che abbraccia la costruzione, porta solo ora veramente le tre parti dell'ambiente interno, naòs, pronao e opistodomo, ad una unità sintattica. Così l'intera composizione acquista una veste organica, che si fa sentire anche nelle sovrastrutture. La nuova densità e pesantezza dell'ordine dorico protoclassico e l'abbandono della fragilità tardo-arcaica attestano il consolidamento e l'organizzazione della concezione spaziale. Chiarezza assoluta dell'espressione strutturale, in cui si svolge un gioco di forze e di movimento riferentesi allo spazio, si unisce nuovamente con grandezza monumentale. Ma non è dall'esterno che la legge viene imposta alla forma: la legge viene derivata organicamente dal principio costruttivo. Questa corrispondenza dello spazio con la sua raffigurazione con mezzi concreti e plastici conferisce a questi t. il loro carattere classico. L'accentuazione della corporeità e della massa determina l'espressione grave, legata e severa che è una caratteristica essenziale del periodo dello stile severo. Ma questo consolidamento non è condizionato per motivi statici dall'esterno, bensì, ritmicamente, dalla legge della sua essenza stessa.
Alcuni t. siciliani, leggermente più antichi, hanno già superato i limiti di questa fase e danno un'idea dello sviluppo e dell'ampiezza di variazioni dell'espressione di tale forma, in cui in principio vengono elaborate ancora alcune particolarità più antiche. L'Olympieion di Agrigento, che per proporzioni sùpera ancora di qualcosa i t. colossali tardo-arcaici, può essere inserito in questa serie solo salve certe condizioni. Codesto t. unisce all'ordine di semicolonne doriche dell'esterno, un tipo di sistemazione spaziale le cui premesse si trovano, in ultima analisi, in Siria e derivano direttamente dall'architettura punica. Esso è stato giustamente considerato un monumento di vittoria per la battaglia di Imera. Nella madrepatria e in Oriente, a prescindere dal t. di Zeus ad Olimpia, esistono solo frammenti scarsi o di difficile interpretazione di questo periodo.
La datazione del cosiddetto secondo Partenone prepericleo, le cui fondamenta solamente sono abbastanza note, oscilla ancora tra la fine del VI sec. e il primo terzo del V. Se l'edificio dovesse veramente appartenere a questa fase, allora la sua pianta rettangolare allungata (8 × 19) dovrebbe essere interpretata come una reviviscenza di un elemento arcaico dovuto alla severità di espressione cui si tendeva in questo periodo.
Il dorismo dell'alta classicità nell'occidente greco ci è noto soprattutto grazie al t. di Segesta e al t. della Concordia ad Agrigento. Il processo di estensione verso l'alto come espressione di maggiore spontaneità, processo che si è notato nel corso dell'evoluzione arcaica, si ripete ora sotto i nuovi indirizzi. L'aumento di spazialità si manifesta anche nella pianta più ariosa. La tensione adesso armonizzata tra interno ed esterno, essere e apparenza, è sublimata e portata, nell'ambito delle premesse doriche, ad una purezza insuperabile.
Eppure la parentela attica all'arte ionica aveva potuto suggerire un altro orientamento ancora, insieme a questo raffinamento. I più cospicui monumenti dell'alta classicità dorica in Attica- tralasciando il Partenone che è un caso a sé- sono l'Hephaisteion e il t. di Posidone a Capo Sunio, cui si aggiunge il t. di Apollo presso Figalia, costruito da Iktinos. È già una caratteristica di questa aspirazione ad un'espressione di luminosità e di festosità il fatto che entrambi questi t. attici siano costruiti interamente in marmo, secondo l'uso della Grecia orientale. Anche la disposizione dello spazio all'interno corrisponde al senso greco-orientale della forma, con alcune divergenze sintomatiche rispetto alla concezione spaziale che abbiamo esaminato nei contemporanei t. siciliani. In tutti e tre i t. il porticato è diventato più profondo sulle facciate, essendo le terze colonne dei lati lunghi legate alle ante, secondo modelli ionici. L'architetto dell'Hephaisteion ha prolungato la trabeazione della cella, lungo la fronte del pronao, da ambedue le parti fino alla peristasi, creando così un vestibolo che è assai vicino a precedenti forme ioniche. Anche il fregio sulla fronte del pronao dell'opistodomo è un motivo ionico. A Figalia l'àditon richiesto dal culto determinò un allungamento della pianta, eccezionale in questo periodo. Inoltre, il motivo dei pilastri nel naòs è già per se stesso, prescindendo dalla sua struttura, un motivo ionico. La leggerezza della costruzione, sorprendente in paragone al t. di Segesta e al t. della Concordia ad Agrigento, trova una spiegazione appunto in questo carattere stilistico.
Nel Partenone di Iktinos, che fu costruito dal 447 al 432, singole forme ioniche come il fregio della cella, la decorazione dei capitelli delle ante, l'astragalo sopra le metope, contribuiscono a creare quell'impressione di ricchezza e di movimento, cui perviene il dorismo attico di questo periodo. Ancora più importante- prescindendo dal marmo in cui è l'intera costruzione- è la molteplicità delle colonne, in particolare la forma del vestibolo, prostilo, e l'ampiezza dei due ambienti interni. Questi elementi, come la nuova disposizione dei sostegni nel naòs e la proporzione dell'esterno, sono trasformazioni assai originali di dati di fatto non dorici, bensì greco-orientali. Le curvature sono eseguite con una perfezione tecnica ineguagliabile, e attestano una raffinatezza artistica non meno stupefacente. Queste entasi sono così lievi da essere difficilmente misurabili, ma a buon diritto si disse che, in senso assoluto, in tutto l'edificio non esiste quasi una linea retta o una superficie piana. L'intenzione dell'architetto era di correggere le deformazioni che derivano all'occhio dalla coerenza oggettiva, e rigidamente geometrica. Con ciò constrastano gli scorci, che nell'architettura più tarda rendono l'espressione dell'apparenza in senso plastico. In tal modo la forma, nella sua bilateralità eminentemente classica, è concepita ed eseguita come essere e apparenza nello stesso tempo. Effetto secondario non trascurabile è l'espressione di vita organica che viene così comunicata alle strutture. Il Partenone rappresenta la natura tipica e normativa del t. greco con la stessa validità degli altri t. classici, ma da quelli si differenzia in quanto più di ogni altro è una creazione individuale. A questo è dovuto il fatto che, nello stesso senso, l'antinomia tra ordine dorico e ionico in esso raggiunge l'armonia. In tal senso i differenti aspetti in cui il Partenone si presenta all'indagine critica, gli conferiscono tutti una posizione centrale nell'alta classicità (cfr. vol. v, fig. 868).
Rarissimi sono i frammenti di t. ionici del V sec. che ci sono stati tramandati. Abbiamo un t. a Locri nell'Italia meridionale, verosimilmente protoclassico, con una pianta assai allungata (7 × 17) e nondimeno una composizione assai aperta e spaziosa; un altro t., a Mileto, sorge sopra un podio ed è adornato da una scalinata. Datato alla seconda metà del V sec., dalla pianta compatta (6 × 10) si deduce che gli architetti ellenistici si ricollegano a forme più antiche. Tra i t. attici di stile ionico, l'Eretteo, costruito dopo la pace di Nicia (421 a. C.) è un caso a sé, che si pone in margine alle principali linee di sviluppo. La sua struttura fu condizionata dalla funzione di riunire insieme diversi monumenti di culto adiacenti. Non poteva imporsi l'ipotesi del Dörpfeld, secondo la quale il progetto della costruzione sarebbe stato simmetrico, ma che non fu mai portato a termine. Tuttavia la trasposizione attica dell'ordine ionico viene istruttivamente illustrata da questo edificio assieme col più antico t. sull'Ilisso, del periodo alto-classico, e col t. della Nike, che fu iniziato poco prima del Partenone ma portato a termine, dopo una pausa alquanto lunga, solo nell'ultimo quarto del secolo.
Nella tarda classicità del IV sec. la differenza tra forma dorica e ionica, che gli architetti attici del periodo alto classico avevano cercato di annullare, ritorna grazie a un "rinascimento ionico" che si sviluppa in Asia Minore verso la metà del secolo. Pytheos, che costruì il Mausoleo di Alicarnasso, ebbe in esso un ruolo preminente. Opera sua è anche il t. di Atena a Priene, t. che fu consacrato da Alessandro Magno e portato a termine in età ellenistica. La pianta, contrapponendo l'ampiezza del naòs e del pronao all'angustia della peristasi, rivela un radicale spostamento di peso dal punto di vista compositivo a favore delle strutture interne. Il senso di tutto ciò diventa chiaro per chi considera anche la snellezza delle colonne e la leggerezza della trabeazione. All'incirca nello stesso periodo Skopas costruì a Tegea il t. di Atena Alea. Benché obiettivamente l'ampliamento del naòs non sia meno sviluppato, esso viene sottolineato dal fatto che i sostegni interni vengono trasferiti e respinti fin nella parete sotto forma di semicolonne corinzie. Nella costruzione è stato dato ai rapporti tettonici una sensibile leggerezza, che è assai vicina a quella con cui Pytheos aveva operato a Priene. In entrambi i casi si raggiunge quindi un nuovo rapporto tra interno e esterno, rapporto in cui alla peristasi è assegnato in ultima analisi il valore di un guscio rispetto al nocciolo. Questo è già quasi più soltanto un'illusione del rapporto fondamentale classico, in ogni modo una sua intensificazione straordinaria. Il nuovo ornamento architettonico della tarda classicità, in cui regna l'acanto e che culmina nella forma del capitello corinzio, esprime nei singoli elementi architettonici il medesimo rapporto tra nocciolo solido e guscio movimentato. Uno sviluppo corrispondente si presenta nella struttura della statuaria tardo-classica. La predilezione dell'architettura tardo-classica per la thòlos trova qui le sue premesse. Sulla Marmaria a Delfi, nell'edificio di Polykleitos il giovane a Epidauro e nel Philippeion di Olimpia conosciamo tre esempî rispettivamente dell'inizio, della metà e della fine del IV secolo. Nelle due thòloi più antiche è stato scelto per la peristasi l'ordine dorico, nell'ultima lo ionico. L'unificazione, nel periodo protoclassico era stata acquisita per la transizione all'intercolumnio regolare, è portata a termine qui nel senso dell'idea compositiva tardo-classica, Quanto alla forma, essa si sforza di organizzare con l'aiuto di mezzi plastici lo spazio e la materia, sulla base del rapporto fra nocciolo e guscio; questa è la strutturazione più conseguente del motivo periptero.
Tra i peripteri dorici rettangolari del IV sec. citeremo ancora quelli che sono relativamente meglio conosciuti, l'Asklepieion di Epidauro, il Metroon di Olimpia e i t. di Nemea e di Stratos. Essi completano il quadro di questo stile il cui capolavoro è stato considerato il t. di Tegea. Il t. dorico di Apollo a Delfi e l'Artemision ionico di Efeso, edifici nuovi innalzati dopo l'incendio dei t. precedenti, utilizzano la pianta arcaica e modificano la costruzione, sforzandosi di conciliarla con la nuova concezione dello spazio.
b) La storia dell'architettura ellenistica è un capitolo ancora più oscuro di quelli dell'architettura arcaica e classica, nonostante le molte eccellenti ricerche individuali e nonostante l'interesse dell'indagine più recente. Il III sec., che inizia con un nuovo stile severo, predilige l'ordine dorico (esempi il t. di Atena a Ilion, l'Asklepieion di Coo, il t. di Mamurt-Kaleh, presso Pergamo); il secolo successivo preferisce lo ionico (esempî: l'Artemision a Magnesia sul Meandro, il t. di Dioniso a Teos, lo Hekateion a Lagina, il t. di Ankara). In generale si è dedicata maggiore attenzione alle differenze locali e cronologiche dell'ornamento architettonico e della struttura che allo sviluppo della composizione. È evidente un alleggerimento e una crescente apertura e l'interesse per un tipo di pianta estremamente compatta. Anche dove non è adottato l'ordinamento pseudo-diptero, particolarmente prediletto in questo periodo, il rapporto classico di tensione tra interno e esterno, in cui parve esprimersi la relazione di esistenza e apparenza, ha perso il suo significato, perché ora l'apertura e la leggerezza della costruzione e l'estensione della pianta in ogni direzione si ritrovano in un comune riferimento allo spazio. Già da questo risulta evidente che la forma cerca la sua unità nell'apparenza. Ciò è dimostrato dalle ben note osservazioni sui rapporti intenzionali dei t. ellenistici con il paesaggio e con l'architettura delle località cui appartengono. Un esempio tipico è la posizione obliqua dell'Artemision di Magnesia sul Meandro e dei portici del suo recinto rispetto al pròpylon, posizione che fa assegnamento sull'attrattiva di effetti prospettici. Si è appena agli inizî di un' indagine di queste relazioni. Anche le notizie di Vitruvio sul modo di lavorare e sui concetti artistici degli architetti ellenistici, in particolare di Hermogenes, che nella seconda metà del Il sec. costruì l'Artemision di Magnesia e il t. di Dioniso a Teos, rivelano quanto fosse determinante il riguardo per l'apparenza.
4. Lazio e Roma. - Il t. tardo-ellenistico in Italia centrale è quello relativamente meglio noto. In età sillana ai cospicui impulsi esterni risposero notevoli creazioni artistiche, anche nel campo dell'architettura. Gli esempî che si sono conservati di questo periodo e di quello vicino sono: il t. di Iupiter Anxur presso Terracina, il t. corinzio-dorico a Paestum, il t. della Sibilla e quello di Ercole a Tivoli, i t. di Segni, Cori e Gabii e, a Roma, oltre ad un t. nel Forum Holitorium, il t. tuscanico al Largo Argentina (v. roma). Gli influssi dei t. etruschi si fanno sentire in una preferenza per la disposizione della pianta secondo lo schema di assi coordinati, con un vestibolo largamente aperto ed il naòs privo di porticato, mentre gli elementi della costruzione sono greci, come anche il podio e la riduzione della peristasi a file di semi-colonne nella forma della cosiddetta disposizione pseudo-diptera. Il carattere di questi edifici risulta dalla modificazione essenziale della forma spaziale ellenistica ad opera di un concetto compositivo italico fondato su altre premesse.
Il grande numero di. t. dell'età imperiale, dal periodo augusteo in poi, che ci sono noti a Roma e nelle province, tramandano nella struttura dei loro elementi, in particolare nell'ornamentazione architettonica e nella composizione, un materiale di valore inestimabile, solo in piccola parte sfruttato, per la ricostruzione della storia dell'arte romana. Le trasformazioni dei motivi ellenistici e classici non sono casuali, bensì determinate dal concetto di forma valido di volta in volta, dalle sue trasformazioni che conducono al tardo-antico e, particolarmente nelle province, da tradizioni ed esigenze locali. L'importante è soprattutto determinare il significato compositivo del t. nell'ambiente del gruppo di costruzioni, cui appartiene e che ora viene composto secondo altri principi. Ormai non si può più parlare di un mutamento strutturale della tipologia, come era accaduto ancora nel periodo ellenistico. Dato che lo sviluppo delle differenti forme di apparenza, in cui codesta tipologia è ora impiegata, avveniva alla luce di premesse non più valide, adesso i suoi monumenti sono documenti soltanto indiretti delle forze nuove e creatrici. Queste si sono rivolte ad altri tipi di struttura spaziale. Nell'architettura sacra viene sviluppato soprattutto l'edificio a pianta centrale, ben oltre le premesse tardo-classiche ed ellenistiche. Ma questo tipo di edificio, e il suo più importante esempio, il Pantheon, non appartengono alla storia del t. che in senso lato. Quando questa arriva alla fine, col decadere del paganesimo, fu la basilica, che si era sviluppata come architettura profana, ad assumere la successione legale del t., in uno stadio del suo sviluppo, la cui idoneità ai nuovi compiti è stata riconosciuta e sfruttata creativamente dagli architetti di Costantino il Grande. Riferendosi alla sua articolazione interna mediante file di colonne, si è voluto riconoscere nella basilica, anche troppo acutamente, una trasformazione del t. peritpero. In ogni modo, in questa inversione si esprime l'allontanamento da quella antica della visione spaziale tardo-antica, che negò al t. il presupposto della sua esistenza, e ciò anche astraendo dai mutamenti di culto. Nello stesso tempo si può riconoscere che, in senso storico-formale, un rapporto non manca.
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(F. Matz)
5. Etruria. - I resti archeologici dei t. in Etruria consistono esclusivamente di mura di fondazione (scarsissimi sono i resti di elevato) e di terrecotte architettoniche. Per integrare i dati di ritrovamento si adducono modellini (ad esempio quelli del frontoncino di Nemi o del tempietto di Satrico) e il canone vitruviano.
1. Pianta. I resti più antichi sono quelli del t. di Veio e di Ardea (VI sec. a. C.); di Marzabotto, B e C; Bolsena, Satrico e Pyrgi (V sec. a. C.); Marzabotto D, Fiesole e Orvieto (IV sec. a. C.); Roma (Argentina C), Lanuvio, Alatri, Norba (III sec. a. C.). Più numerosi sono i t. del II sec. a C. (Firenze, I fase, Alba Fucente, Cosa) e dell sec. a. C. (Firenze, Il fase). Di epoca incerta sono quelli di Vetulonia, di Alba Fucente C, D, E e F, di Marzabotto E e quello di Sessa Aurunca.
Comune a questi resti è una forma talora quadrata o quasi (per esempio Veio, Marzabotto, Firenze, Roselle; Suessa Aurunca, Bolsena è Pyrgi) o, in ogni modo, con uno sviluppo sensibile della larghezza rispetto alla lunghezza in confronto al rapporto del t. greco. Dalle fondazioni risulta una bipartizione dell'edificio nel senso della lunghezza e una tripartizione nel senso della larghezza; però, mancando quasi sempre ogni elemento dell'elevato, non è possibile affermare l'esistenza di una triplice cella; elementi certi esistono soltanto per i t. di Ardea (acropoli) e probabilmente per quello di Veio. Nel t. di Fiesole, l'unico che abbia conservato fino a m 2,50 le mura dell'elevato, è accertato che i muri laterali giungevano fino alla fronte dello stilobate: forma che non risulta nel canone vitruviano. Nègli altri templi la ricostruzione con una triplice cella non è, come si è detto, sicura: è possibile che avessero alae o colonne lungo i lati, come nel t. C dell'Argentina in Roma e nel t. del Foro di Paestum (v. vol. vi, fig. 1007, n. 14). Si noti però che la triplice cella è peculiare dei Capitolia. (v.): tali vanno considerati i t. di Terracina, Segni, Minturno, Cosa e Firenze. Da ciò recentemente (L. Banti, U. Bianchi, G. Maetzke) è stata sostenuta l'origine romana e non etrusca delle triadi. In tutti questi templi è caratteristica la profondità del pronao; il t. di Fiesole si sposta anche in ciò dal canone vitruviano, perché esistevano soltanto le colonne della fronte e non quelle dell'interno.
Elemento caratteristico del t. etrusco italico è il podio, che non è conosciuto esattamente nei templi più antichi, ma che, a partire dal IV o III sec. a. C., si presenta o con forme semplici o arricchito da modanature e si protrae fino ai templi cilenistico-romani e dell'età imperiale.
I tentativi di interpretare i resti di fondazione con il canone vitruviano (Vitruv., iv, 6, 6) non hanno dato risultati felici.
2. Elevato. Per l'elevato non abbiamo a disposizione che il passo di Vitruvio; per ciò che riguarda le colonne e la forma del tetto, altri elementi sono offerti dai modellini e dai rivestimenti fittili. Nel passo di Vitruvio, (iv, 7, 5), si legge: .... supra trabes et supra parietes traiecturae mutulorum parte iiii altitudinis columnae proiciantur; item in eorum frontibus antepagmenta figantur; supraque id tympanum fastigü structura seu de materia conlocetur, supraque eum, fastigium, columen, cantherii, templa ita sunt conlocanda ut stillicidium tecti absoluti tertiario respondeat".
I modellini di Nemi e di Satrico non confermano la regola vitruviana dello stillicidium di un terzo dell'intera lunghezza dello spiovente. D'altra parte, mostrando vuoto il cavo frontale, confermano l'esistenza degli antepagmenta, cioè delle lastre di terracotta che servivano da rivestimento. Queste sono conservate in esempî assai abbondanti e sono documentate dal VII sec. sino alla fine dell'età repubblicana (v. terracotta).
L'apparire delle statue frontonali fra la decorazione fittile templare costituisce il fatto più importante dell'ultima fase, perché determina l'abolizione della profonda gabbia del tetto e, con essa, della decorazione del columen e dei soggetti decorativi. Vengono introdotti mutuli. Vi è maggiore ricchezza di scene mitologiche specialmente nella decorazione frontonale (cfr. il ratto di Proserpina a Faleri Veteres; la lotta dei Sette a Tebe a Telamone; Bacco e Arianna a Civitalba) mentre si introducono nuovi personaggi nella decorazione delle antefisse (l'Artemide Persica, l'Acheloo, la Minerva ecc.). Permangono invece i motivi tradizionali nella decorazione degli altri elementi architettonici, quali le tegole terminali del frontone (fascia superiore a baccellature e toro con squame) e le lastre di rivestimento della trabeazione. Non è ancora stato possibile stabilire se, e fino a che punto, venissero usati nello stesso t., i prodotti dell'una e dell'altra corrente tipologica della decorazione.
Bibl.: A. Kirshopp Lake, Archaeological Evidence for the Tuscan Temple, in Mem. of the Amer. Acad. in Rome, XII, 1935, pp. 89 ss.; A. Andrén, Architectural Terracottas from Etrusco-Italic Temples, Lund 1940. - Singoli t. scoperti dopo il 1940: Ardea: E. Stefani, in Not. Scavi, 1944-45, p. 81 ss. Tarquinia: P. Romanelli, in Boll. d'Arte, 1948, p. 54 ss.; id., in Not. Scavi, 1948, p. 238 ss. Bolsena: R. Bloch, in Mél. Ecole de Rome, LXI, 1950, p. 53 ss. Cosa: F. Brown, in Mem. of the Amer. Acad. in Rome, XX, 1951: id., XXVI, 1952. Veio: E. Stefani, in Not. Scavi, 1953, p. 29 ss. Fiesole: G. Maetzke, in Studi Etr., XXIV, 1955-56, p. 227 ss. Pyrgi: A. Ciasca, G. Colonna, G. Foti, in Not. Scavi, 1959, p. 143 ss.; G. Colonna, ibid., 9162, p. 363 ss.
(M. L. Matini-Morricone)