TEMPLARI
Ordine, detto anche Ordine del Tempio, pauperes commilitones Christi, milites/militia Templi Salomonis/Iherosolimitani, costituitosi in Terra Santa nel gennaio 1120, quando alcuni cavalieri riuniti intorno ad Ugo di Payns, originario della Champagne, prestarono i voti di povertà, castità e obbedienza nelle mani del patriarca di Gerusalemme Warmondo di Picquigny, che, su consiglio dei baroni latini d'Oriente, li impegnò alla difesa della città santa e alla protezione dei pellegrini che ad essa si recavano.
Nello spirito ancor fervido della crociata e nel fuoco del suo teatro di conquista nasceva così il primo Ordine di combattenti per la fede cristiana, destinato a fungere da modello per i successivi ordini militari (v.) nazionali e internazionali. L'accettazione ufficiale dei T. da parte della Chiesa avvenne al principio del 1129 al concilio di Troyes, ove a essi fu attribuita la regola. È oggetto di controversia la parte avuta da s. Bernardo di Chiaravalle (v.) nella sua redazione, mentre rilevante fu il ruolo da lui svolto nella promozione dell'Ordine, contro perplessità e resistenze ad ammettere l'esercizio delle armi tra i compiti istituzionali di un'organizzazione della Chiesa. Tale ruolo culminò con la stesura del Liber ad Milites Templi. De laude novae militiae, nel quale s. Bernardo delinea ed esalta la figura del monaco cavaliere. Con la bolla Omne datum optimum, del 1139, Innocenzo II affrancava i T. dalla giurisdizione del clero secolare concedendo loro la protezione papale, l'esenzione dalle decime e l'autorizzazione a possederne, il diritto ad avere propri sacerdoti sotto il controllo del Maestro dell'Ordine, proprie chiese e propri cimiteri. La bolla fu la prima di una serie cospicua di editti papali - centottanta ca. nel solo sec. 12°, rivolti all'Ordine nel suo complesso, o a singole province o case - che costituì la base giuridica per l'ascesa dei T. a grande Ordine internazionale esente. A esso la generosità di sovrani, nobili, gente comune - e, nei primi tempi, anche del clero secolare - consentì la creazione di un immenso patrimonio negli stati latini d'Oriente, così come in Europa, composto di proprietà fondiaria, rendite, attività manufatturiere, commerciali e finanziarie e gestito con grado di autonomia variabile da regione a regione, ma sempre molto alto, in virtù di esenzioni e privilegi giurisdizionali, fiscali e commerciali.La gestione della proprietà agraria non differiva nelle modalità e forme da quella dei grandi ordini di matrice benedettina allora attivi, in particolare dei Cistercensi (v.), se non per un aspetto essenziale: la necessità di convogliare ogni eccedenza nel finanziamento della guerra d'Oriente impose la creazione di una organizzazione amministrativa fortemente centralizzata. Unità base era la commenda o precettoria, complesso di proprietà talora molto ampio, che poteva comprendere più di una casa o castello, retta da un commendatore o precettore. Commende molto ampie e disperse erano spesso articolate in subcommende rette da delegati del commendatore; al contrario, commende legate tra loro da prossimità geografica e da analogia o reciproca integrazione nella tipologia delle attività agropastorali ed economiche o nella funzione militare potevano essere riunite sotto una magistratura straordinaria superiore ai singoli commendatori.L'istanza amministrativa e disciplinare superiore alla commenda era, di norma, la provincia, coincidente, di solito, con le entità politiche europee, così come con ciascuno degli stati latini d'Oriente. A capo della provincia era il Maestro provinciale, che rispondeva al Maestro in Oriente e al capitolo generale dell'Ordine. Il sistema delle province, che sviluppava modalità di espansione praticate dai Cluniacensi (v.) fin dal sec. 10°, si deve considerare creazione specifica dei primi ordini militari internazionali, T. e Ospedalieri (v.) di S. Giovanni di Gerusalemme, strettamente condizionata alla gestione del patrimonio fondiario europeo. Il forte legame che esso determinava con la realtà politica, sociale e culturale dei singoli stati costituì un condizionamento essenziale anche per l'architettura e l'arte che essi vi promossero. Per quanto riguarda i T., se ne può seguire la configurazione attraverso la pur frammentaria documentazione nell'arco del trentennio successivo al concilio di Troyes; si trattava, peraltro, di un sistema flessibile, che subì modificazioni e integrazioni durante tutta la vicenda dell'Ordine.Con la perdita di Gerusalemme nel 1187, di Acri e di quanto restava degli stati latini orientali di terraferma nel 1291, erano venute meno le motivazioni originarie dell'esistenza degli ordini militari di Terra Santa e facevano presa sempre maggiore sull'opinione comune le critiche, non nuove, che imputavano loro avidità, arroganza, ma, soprattutto, disprezzo per la causa della fede e la riconquista del Santo Sepolcro, subordinata alle opportunità della propria sopravvivenza. In questo clima il re di Francia Filippo IV il Bello (1285-1314), spinto - pare - dalla cupidigia per il tesoro che si diceva immenso depositato nel Tempio di Parigi, il 13 ottobre 1307 fece arrestare tutti i T. presenti in Francia e con l'acquiescenza di papa Clemente V, ma facendo leva anche sul disagio diffuso tra i sovrani d'Occidente per un'istituzione ricca, potente e largamente indipendente che ingombrava i loro regni senza più uno scopo riconoscibile e condivisibile, riuscì a far avviare in tutti i paesi cristiani processi sulla base di centottantasette capi d'accusa, tra cui particolarmente gravi quelli che configuravano reati di eresia, idolatria e omosessualità. Il processo, che comportò ovunque l'arresto dei T., sottoposti a ripetuti interrogatori anche sotto tortura, e il sequestro dei loro beni, si trascinò per quasi cinque anni, scuotendo in profondità le coscienze cristiane. Malgrado non emergessero prove decisive di colpevolezza sulle imputazioni più gravi, l'Ordine venne sciolto con la bolla Vox in excelso, promulgata da Clemente V il 22 marzo 1312 durante il concilio di Vienne. I beni del Tempio, che dovevano essere impiegati nella causa della fede, furono quasi ovunque attribuiti agli Ospedalieri. Solo nei regni iberici furono ridistribuiti fra gli ordini militari nazionali e, in parte, tra la nobiltà, o costituirono la dotazione di ordini appositamente creati: l'Ordine di Cristo in Portogallo e l'Ordine di Montesa nelle terre del regno di Valenza in Aragona.
In fatto d'arte i T. furono impegnati soprattutto in architettura, supporto indispensabile all'esistenza delle loro comunità, all'esplicazione della dimensione religiosa della loro esistenza, alla gestione del patrimonio immobiliare e soprattutto - per quanto riguarda almeno la consistenza di quanto se ne conserva e la sua rilevanza nel panorama dell'architettura contemporanea in Europa e nell'Oriente crociato - alla realizzazione dell'impegno militare. Lo studio di quello che si prospetta come un residuo monumentale imponente, malgrado incalcolabili perdite e distruzioni, è uno sforzo oggi in pieno corso, che in tempi recenti e recentissimi ha conosciuto un ampio risveglio di attenzione. Per tale ragione ogni tentativo di sintesi dei risultati raggiunti deve considerarsi provvisorio e incompleto.Hanno oggi interesse esclusivamente in sede di storia della critica generalizzazioni sull'architettura templare formulate tra la seconda metà del sec. 19° e il principio del 20° e che si possono sintetizzare nella teoria che l'Ordine coltivasse due tipologie edilizie privilegiate, la pianta centrale a matrice circolare per chiese ed oratori e la pianta quadrata per le fortezze. Piante centrali basate sulla geometria del cerchio erano considerate non solo formulazioni iconograficamente ispirate al Santo Sepolcro, o alla Cupola della Roccia, presso la quale i T. ebbero il loro quartier generale fino alla caduta di Gerusalemme (la confusione tra i due monumenti è frequente nella letteratura più antica), ma anche espressioni di una numerologia ternaria legata a fedi e ritualità occulte. Il retaggio di questa fase degli studi nella storia dell'architettura templare è essenzialmente di segno negativo; consiste in una serie di edifici, soprattutto chiese e cappelle a pianta centrale, attribuite ai T. solo sulla base di simili pregiudiziali tipologiche.Nel nostro secolo la problematica è stata radicalmente rifondata. Mentre per gli stati latini d'Oriente l'architettura dell'Ordine è stata sistematicamente indagata nel corretto confronto tra dati archeologici e documentari, ma sempre nel contesto generale dell'architettura crociata e dunque nella sostanziale indifferenza per ogni 'questione templare', la consistente pubblicazione di monumenti delle regioni più occidentali d'Europa ha fatto emergere l'adesione dell'Ordine a contesti locali nelle scelte formali e talora nei sistemi strutturali e nelle tecniche costruttive di volta in volta adottate. A questo atteggiamento, che caratterizza l'architettura templare soprattutto nel sec. 12°, subentra, con il principio del Duecento, una forte identificazione formale e strutturale dell'architettura templare con l'architettura cistercense, che investe soprattutto l'architettura sacra e si arricchisce, alla metà del secolo, di componenti 'luigine' (v. Luigi IX il Santo). Differenziato e problematico appare anche il quadro delle scelte tipologiche, contrassegnato da gran varietà in dipendenza di fattori regionali e locali nell'architettura militare e civile, informato a scelte di fondo che coinvolgono tutta l'architettura sacra dell'Ordine, ma segnato, nell'uno e nell'altro caso, da fenomeni eccezionali che corrispondono a inequivoche citazioni gerosolimitane, o presuppongono trapianti dall'Occidente all'Oriente e viceversa.Il forte radicamento regionale e locale e istanze di autodefinizione e autorappresentazione dell'Ordine impegnato nella difesa del Santo Sepolcro trovano momenti di sintesi diversi a seconda delle occasioni che mossero i T. a produrre o promuovere architettura, delle funzioni cui essa era destinata, nel mutare di ruoli e identità dell'Ordine nella parabola che dai poveri ed eroici inizi lo portò a diventare una delle istituzioni più ricche e potenti sull'orizzonte che allora legava l'Europa all'Oriente crociato. Contro proposte di contrapposizione talora avanzate tra l'architettura templare e quella degli Ospedalieri, questi fondamentali riferimenti caratterizzano globalmente l'architettura dei due Ordini sin quasi all'assimilazione reciproca, riflettendo, al di là della rivalità che li divideva, l'analogia dell'impegno e la condivisione dell'etica del cavaliere cristiano.
Cronisti delle crociate ricordano che, all'atto della professione religiosa, i poverissimi cavalieri di Cristo furono ospitati da Baldovino II (1118-1131) in un'ala della sua residenza, che era allora la moschea al-Aqṣā sul margine meridionale dello Ḥaram al-Sharīf a Gerusalemme (v.), identificata dai crociati come Tempio di Salomone. La denominazione di milites Templi Salomonis, documentata fin dal 1124 e divenuta la più comune per designare il nuovo Ordine, conferma tale indicazione e mostra come, all'interno del processo della cristianizzazione crociata dell'area sacra islamica della città santa, venne colto l'enorme potenziale simbolico di una simile sede. Immediatamente a N di essa sorgeva la Cupola della Roccia, che, identificata come il Tempio della presentazione del Signore (Templum Domini), era retta dal 1099 da una comunità di canonici agostiniani, i quali avevano a loro volta ceduto ai nuovi arrivati un terreno nell'area. Tale prossimità fu coinvolta nell'immagine con la quale i T. si proponevano all'universo cristiano; la raffigurazione sommaria della Cupola della Roccia compare in due sigilli templari: sul rovescio di uno documentato dal 1168 (SIGILLVM MILITVM / CHRISTI DE TEMPLO) e sul dritto di un altro documentato dal 1255 (+ S : TVBE : TEMPLI : XPI). Anche dopo la perdita di Gerusalemme, quando il quartier generale templare dovette essere trasferito altrove, Tempio di Salomone e Tempio del Signore restavano il luogo ideale della casa madre dell'Ordine.La moschea al-Aqṣā, rimasta ai T. dopo che il re si spostò alla Torre di Davide, venne da questi elaborata in fastosa residenza, in gran parte demolita già nel 1187, quando Saladino riportò la moschea al culto islamico. Ne danno un'idea racconti di pellegrini; il tedesco Teodorico, che visitò i luoghi santi intorno al 1175, descrive due complessi edilizi: uno più antico era a E della moschea e si collegava con le sottostanti sostruzioni a volta ancora esistenti, note come 'stalle di Salomone', effettivamente adibite dai T. a quell'uso; un secondo complesso sorgeva a O della moschea e, come il primo, constava di parti residenziali e strutture di servizio, combinando la funzione conventuale con quella di centro amministrativo e giurisdizionale - curia è il temine usato da Teodorico - dell'Ordine. Del secondo, introdotto da una chiesa ancora in costruzione, è sottolineata la monumentalità, oltre al fatto che nel panorama di Gerusalemme, caratterizzato dalle coperture a terrazza degli edifici, si distingueva per alti tetti a spioventi. Uscendo dall'area sacra e dirigendosi a S verso la piscina di Siloe, Teodorico osservava l'antemurale con il quale i T. avevano munito il lato sud della Spianata.Ben poco si è salvato di tutto ciò; dopo gli sgomberi e le demolizioni di Saladino, l'assetto della moschea al-Aqṣā è stato radicalmente innovato da restauri-ricostruzione condotti tra il 1938 e il 1941, che hanno risparmiato solo la rimodellazione templare del portico, per suo conto risalente alla prima metà del sec. 9°, con ampie arcate acute ornate da sottarchi ricadenti su colonnine in forme tardoromaniche occidentali. Parte del monumentale complesso a O della moschea era il grande edificio a due navate (in origine erano tre) di crociere nervate su pilastri quadrangoli, esternamente rifinito in grande apparecchio bugnato, oggi sede dell'Islamic Mus. al-Ḥaram al-Sharīf. Quasi certamente precedenti all'arrivo dell'Ordine erano le stalle, nelle quali fu verosimilmente aperta dai T. per la movimentazione degli animali la piccola porta archiacuta a E della Porta Tripla del lato meridionale della Spianata. In scavi degli anni 1968-1976 nell'area immediatamente a S è stato rinvenuto - e purtroppo demolito - un tratto della fortificazione avanzata, collegato con numerosi reperti di monete in gran parte correnti in Europa nel sec. 12°, con un sigillo di papa Alessandro III (1159-1181) e uno di Aimerico, patriarca di Antiochia. A testimoniare lo sfarzo del complesso templare resta il gran numero di pezzi di scultura architettonica, nel caratteristico, raffinato stile di decorazione fitomorfa per il quale è stata coniata la definizione di 'officina della Spianata del Tempio', in parte reimpiegati in arredi della moschea al-Aqṣā, in parte esposti sulla Spianata o in altre sedi museali di Gerusalemme. Tra essi sono stati rinvenuti due frammenti di un'iscrizione che menziona la militia Templi; non è possibile ricostruirne il testo, ma pare trattarsi della dedicazione di un edificio o di un epitaffio.Scarse sono le notizie e ancor più esigui i resti del quartier generale che i T. eressero ad Acri (v.) dopo il 1191, sulla punta nordorientale della città, oggi parzialmente allagata dal mare, e del tratto nordorientale delle mura di terra a loro affidato; nulla si sa dell'impianto del quartier generale trasferito a Cipro dopo il 1291, salvo che si trovava a Limassol.Alcune sedi centrali di province europee assunsero nella storia dell'Ordine un rilievo particolare, che si espresse anche nella grandiosità e qualità delle strutture architettoniche relative. Di resti consistenti è peraltro lecito parlare solo per Tomar (v.); la sua stessa realtà urbana è conseguenza dell'insediamento templare passato in seguito all'Ordine di Cristo e la sua importanza è legata al particolare status goduto dai T. in Portogallo e al ruolo di residenza del Maestro dei Tre Regni, Castiglia León e Portogallo, unificati per gran parte del sec. 13° in una sola provincia, seconda solo, sul piano militare, alle province d'Oltremare. Rilevanza più generalmente internazionale ebbero le sedi di Parigi e di Londra, centri delle province economicamente più floride e perciò essenziali per il finaziamento dell'impresa d'Oriente. In esse si concentrarono le attività bancarie dell'Ordine e, dopo la caduta di Acri, fu a Parigi il vero quartier generale templare.Del Tempio di Parigi (v.), che arrivò ad occupare un intero quartiere nel settore settentrionale della città, esterno alla cinta muraria del primo Duecento, dopo le distruzioni avviate dalla Rivoluzione e concluse intorno alla metà del sec. 19°, restano la memoria nella toponomastica urbana e una ricca documentazione scritta, visiva e cartografica. Delimitato da mura, era dominato da due torri maestre quadrangole, una del sec.12° e una del principio del 13°; in mezzo agli edifici conventuali si levava la cappella, risalente al sec. 12°, a pianta circolare, con vano centrale a cupola retto da sei pilastri rotondi e circondato da ambulacro di dodici campate, cui furono aggiunti nel corso del sec. 13° un lungo coro absidato e un atrio a due piani.La chiesa, di impianto molto simile, ma di precocissima intonazione gotica - essendone nota la consacrazione, celebrata l'11 febbraio 1185 dal patriarca di Gerusalemme Eraclio -, è quanto resta dell'analogo quartiere del New Temple a Londra (v.), sulla sponda settentrionale del Tamigi. Intorno al 1220 la chiesa, a pianta centrale, veniva ampliata con un grande coro a tre navate; si sa che si collegava a un chiostro e che il complesso comprendeva una sala dei cavalieri e un vasto terreno aperto sulla sponda opposta del fiume, chiamato Fickettscroft. Fu questa la seconda sede londinese dei T., che vi si trasferirono nel 1163 dall'originario convento di Holborn, istituito a seguito di una donazione ricevuta nel 1128 da Ugo di Payns e che contava anch'esso una chiesa rotonda costruita con pietra portata da Caen.
Il ruolo di difesa e scorta dei pellegrini, attribuito ai primi T. dal patriarca Warmondo e ribadito dal paragrafo 121 dei retrais o 'statuti gerarchici' aggiunti intorno al 1165 alla Regola originaria dell'Ordine, ha lasciato tracce architettoniche cospicue nei territori dell'antico regno di Gerusalemme. Descrivendo il tragitto da Gerusalemme a Gerico e al punto del Giordano dove si credeva fosse stato battezzato Gesù, il pellegrino tedesco Teodorico ne dà testimonianza diretta e cita in collegamento con esso tre castelli templari: uno presso la cisterna rubea poco dopo Betania, uno, almeno in parte rupestre, in cima al Monte delle Tentazioni e uno sul fiume, presso il luogo del battesimo; a proposito del 'giardino di Abramo', un ampio terreno incolto a N di Gerico dove i pellegrini usavano riposarsi e pernottare, parla ancora di torri e caseforti usate dall'Ordine a quello scopo. Il primo dei tre castelli, altrimenti noto con il nome di Maldoim, è riconoscibile nel complesso ruinoso, a tutt'oggi solo parzialmente esplorato, di Qal῾at ad-Damm, entro l'od. area urbana di Ma῾ale Adumim, su un colle elevantesi sul lato settentrionale della moderna carrozzabile per Gerico. Al centro di un basamento quadrangolo (m 4959-63), isolato nella montagna da un fossato scavato nella roccia, sorgono i resti del piano inferiore di una torre collegata con ali di edifici a botte in disposizione approssimativamente quadrilatera. Dei presidi viari minori cui accenna Teodorico doveva far parte la torre impostata su un affioramento roccioso in località Bayt Jubr al-Tahtānī, in vista di Gerico, conservata solo nel piano inferiore a botte leggermente acuta, con una scala nello spessore di uno dei lati più lunghi che allude all'esistenza almeno di un altro piano. Resti di un'altra torre, forse con funzione analoga, sono stati segnalati, ma non ancora descritti, entro l'abitato di Ma῾ale Adumim.Pur non disponendosi di una documentazione altrettanto esplicita, è lecito attribuire la stessa funzione a tre castelli templari dislocati sul percorso seguito nel Medioevo per raggiungere Gerusalemme dal porto di Jaffa. Il primo arrivando dalla costa è Yāzūr (Castellum de Planis o de Templo), esistente nel 1102, quando era conquistato dagli Egiziani di Ascalona durante una incursione su Lydda. I T. vi sono testimoniati con certezza in occasione della ricostruzione del 1191, un mese dopo che Saladino lo aveva distrutto. Venne nuovamente smantellato nel 1192 e, pare, mai più ricostruito. Incunabolo di architettura crociata appare la poderosa base di mastio a pianta quadrata di quasi m 13 di lato, con muri spessi m 3 ca. con ingresso ad arco a tutto sesto nel lato settentrionale e una sola semplice feritoia nel lato orientale, che si conserva su una bassa collinetta sistemata a parco. Il vano interno coperto a botte presenta nell'angolo sudoccidentale una botola di comunicazione con livelli superiori perduti; mensole immorsate in rottura all'esterno, in forme che fanno pensare a imposte per crociere nervate, testimoniano un ampliamento successivo. A N-O del mastio è conservato un tratto di cinta, mentre è dubbio che facesse parte della consistenza crociata del castello un edificio rettangolare allungato che sorge a poca distanza sul pendio meridionale del colle. L'apparecchio murario, sommario, ma regolare, esternamente assai depauperato, presenta alla base enormi blocchi coricati, probabilmente di reimpiego, e fusti di colone antiche in funzione di leganti. Spezzoni di colonne sono usati anche per coprire la nicchia interna della feritoia.Tra il 1137 e il 1141 il conte Rodrigo Gonzalez di Toledo, recatosi in crociata in seguito a contrasti con Alfonso VII di Castiglia ed entrato probabilmente in servizio temporaneo al Tempio come confrater, costruì e munì il castello di Latrun (Toronum Militum) e lo affidò ai Templari. Nel settembre 1187 il castello veniva consegnato con Gaza ai musulmani per il rilascio del Maestro del Tempio Gerardo di Ridefort e pare sia stato disarmato nel 1192. Tornò ai T. nel 1229 in virtù del trattato tra Federico II (v.) e al-Kāmil, ma, malgrado progetti di ricostruzione succedutisi fino alla metà del secolo, non venne più rimesso in funzione. Nell'area archeologica, molto ampia e sconvolta da eventi bellici recenti, ricognizioni parziali hanno individuato il nucleo originario del castello, composto da un torrione a base trapezia di m 14 ca. di lato e muri spessi da m 3 a m 4, che sorgeva, in posizione eccentrica verso O, all'interno di una cinta quadrangola a scarpa di m 72 45, accompagnata da una galleria a botte sul lato lungo a N. In fasi successive gran parte dell'area interna alla cinta fu occupata da costruzioni che quasi certamente avevano un altro piano oltre a quello conservato o ricostruibile dal tracciato a terra: un'altra ala a botte contro il lato occidentale, un sistema di due navate di crociere nervate su pilastri quadrangoli che si svolgeva lungo il lato lungo meridionale e un blocco di strutture a crociere nervate su pilastri quadrangoli nel tratto orientale. Una cinta poligonale più esterna fiancheggiata da torri, due delle quali contenenti ingressi e resti di edifici pertinenti a ostelli o stalle sono stati rilevati in misura insufficiente per averne un'idea compiuta, ma mostrano che il presidio viario originario, destinato a contenere le incursioni degli Ascaloniti, si era sviluppato, prima della perdita di Gerusalemme, in un grande complesso con funzioni multiple, stazione di posta e residenza di una comunità consistente. Il carattere di grande rappresentanza è testimoniato dalla coppia di capitelli tripli reperita nel 1910 nel villaggio di Latrun (Istanbul, Arkeoloji Müz.), che viene plausibilmente riferita alla cappella del castello ipotizzata al piano superiore del complesso dell'area orientale della cinta interna. Dai termini del trattato del 1229 si evince inoltre che Latrun era diventato il centro di un ampio feudo dell'Ordine.Il sistema dei presidi sulla via per Gerusalemme si completava con il castello di Yalu (Castellum Arnaldi), fondato, secondo Alberto di Aquisgrana, da Baldovino I (m. nel 1118) e, secondo la testimonianza di Guglielmo di Tiro, ricostruito dal patriarca Warmondo e dai cittadini di Gerusalemme nell'inverno 1132-1133 a tutela dei pellegrini in transito. Il passaggio ai T. avvenne in un momento non precisabile prima del 1179. Sopra un basso sperone affacciato sul versante settentrionale della valle dello Ayalon il castello venne eretto come cinta trapezia di m 40-50, fiancheggiata da torri quadrate di m 5 di lato. Sino al 1965 erano visibili tratti dei lati meridionale e orientale; dall'od. cumulo di macerie spuntano solo un breve tratto di cortina con la base di una delle torri e accessi a vani interni interrati.Funzioni di presidio stradale e stazione di posta ebbe, infine, la prima fortificazione innalzata dai T. a Khirbat Dustray (Le Destroit), lungo la strada costiera tra Acri e Jaffa, in corrispondenza di un angusto passo tra le pendici del monte Carmelo e la spiaggia, luogo tradizionale di imboscate. Una massiccia torre di m 15,5-11, probabilmente di due piani sopra una base scarpata tagliata nella roccia e contenente una cisterna, sorgeva all'angolo nordoccidentale di una corte quadrata di m 21 di lato, ottenuta abbassando il piano roccioso e attrezzata con mangiatoie, sempre in roccia.Nelle strutture originarie e nei successivi ampliamenti, questo gruppo di castelli sembra partire da due modalità fortificatorie distinte e tentarne l'integrazione. Una è la torre isolata, o mastio (v.), talora protetta da cinta, che si può considerare trasferimento dall'Occidente pur con le modificazioni sostanziali che tale passaggio ha comportato: altezza ridotta a due soli piani, ampliamento dell'area di base, aumento degli spessori murari e copertura integrale con volte, che corrispondevano al potenziamento delle capacità di resistenza passiva e che l'architettura templare condivide con tutta una fase di architettura crociata di primo sec. 12° (v. Castello). Tra i castelli sopra passati in rassegna, solo a Maldoim e Khirbat Dustray le strutture corrispondenti si possono ritenere costruite in proprio dai Templari. Estranea all'iniziativa templare fu anche la costruzione di Yalu, che, con il quadrangolo di cortine fiancheggiato da torri basato sul principio della difesa attiva, corrispondeva alla rinascita in ambito crociato di una tipologia fortificatoria tardoantica, ben testimoniata da un gruppo di castelli del regno di Gerusalemme, realizzati tra il quarto e l'ottavo decennio del sec. 12° in gran parte per iniziativa reale. Come mostrano l'impianto di Maldoim o gli ampliamenti di Latrun, esso venne peraltro assunto quale schema progettuale teorico dai T., che, con gli Ospedalieri, lo elaborarono in soluzioni di grande complessità e novità, derivandone un castello quadrilatero a difesa concentrica. Quadrato con torri agli angoli è descritto nel sec. 15° il castello templare di Santa Margherita (Cava Templi), su un promontorio sopra Haifa, che, con le sue funzioni di segnalazione per la navigazione testimoniate da Teodorico, sembra assimilarsi al sistema dei presidi viari. Del castello, demolito nel 1821 per far da fondazione a un faro, nulla è noto sul piano archeologico.
Risale al quarto decennio del sec. 12° l'impegno templare nella difesa e conquista del territorio. L'Ordine lo assunse contemporaneamente in Terra Santa e nella penisola iberica, ove era in corso lo sforzo della riconquista cristiana. In ambedue le aree la cessione di castelli era accompagnata dalla donazione di territori e villaggi che costituivano distretti presidiati dai castelli, ma anche feudi il cui sfruttamento economico doveva garantire il mantenimento delle guarnigioni e il munizionamento delle fortezze. Il concentrarsi di tali donazioni sulle frontiere di guerra degli stati interessati portò alla formazione di vere e proprie marche di confine, nelle quali i T. godevano di ampia autonomia giurisdizionale e, almeno in Terra Santa, anche politica.La perdita di gran parte degli archivi crociati e di tutti quelli templari impedisce di ricostruire la cronologia della diffusione dell'Ordine negli stati latini d'Oriente. Ipotesi plausibili sono state proposte sulla base di rari e fortuiti reperti documentari, di fonti narrative e dell'analisi dell'evolversi della situazione politica a militare dei territori crociati. Già nel 1137, o persino prima, pare essersi costituito un vasto dominio templare nella regione montuosa dell'Amano, sul confine settentrionale del principato di Antiochia, dove con quattro fortezze: Baghras (Gaston), Darbsak (Trapesac), La Roche Guillaume e La Roche Roussel l'Ordine controllava i passi di Belen e Hajar Sughlan, sui percorsi di collegamento tra la Cilicia armena e Antiochia e Aleppo. Arsuz (Port Bonnel), all'ingresso meridionale del golfo di Alessandretta, faceva da approdo per il dominio templare. L'accordo del 1152 tra il Maestro del Tempio Everardo di Barres e il vescovo di Tortosa Guglielmo, che, in cambio della protezione della città, prevedeva la cessione all'Ordine del castello già esistente, ma in rovina, e di un lotto dell'area urbana per ricostruirlo e ampliarlo (v. Tortosa), oltre ad altre concessioni e diritti nella diocesi, pare completasse la formazione di un feudo templare nella contea di Tripoli, tra l'enclave degli Assassini sui Monti Nosairi e la costa, del quale facevano parte i castelli di Arima e Safita (Chastel Blanc) con i rispettivi distretti.Nel regno di Gerusalemme, ove l'autorità regia contrastò la formazione di simili marche semiautonome degli ordini militari, i castelli templari e i loro distretti furono più sparsi e limitati. Guglielmo di Tiro informa che nel 1149 Baldovino III e i principi del regno decisero di completare l'accerchiamento di Ascalona costruendo un castello su parte dell'area di Gaza, in quel momento disabitata. La costruzione, che segnò la rinascita della città, fu affidata ai T. con la regione circostante. Nel 1166 Filippo di Milly, facendosi templare, donava all'Ordine il castello di ῾Ammān; nel 1168 re Amalrico I vendeva al Tempio Safed con la cittadina sottostante e il ricco distretto relativo, entro il quale tra l'ottobre 1178 e l'aprile 1179 fu costruito Qaṣr al-Atra (Le Chastellet) a presidio del Guado di Giacobbe sul Giordano. Il guado, lungo la direttrice di collegamento tra Damasco e Tiberiade, era strategicamente tanto importante che nell'agosto 1179 Saladino assaliva e distruggeva Le Chastellet, assediando contemporaneamente Safed per impedire alla guarnigione di soccorrerlo. Dalla testimonianza del pellegrino Teodorico sappiamo che al tempo del suo viaggio esisteva il castello templare di al-Fula (La Fève), al piede sudoccidentale del Piccolo Hermon, sul pendio settentrionale della valle di Jezreel. Dagli eventi che si svolsero nei pressi di questo castello alla fine dell'aprile 1187, preludio alla disfatta di Hattin, si apprende della possibile esistenza di un altro castello templare nelle vicinanze, Caco.Sono spariti senza lasciare traccia nemmeno a livello di testimonianza utile alla ricostruzione i castelli di Gaza e ῾Ammān. La localizzazione e l'esistenza stessa di Caco sono controverse. Per Le Chastellet è disponibile la testimonianza di Guglielmo di Tiro, che lo descrive come fortezza quadrata con muri di spessore inconsueto; scavi attualmente in corso, i cui esiti definitivi non sono stati ancora pubblicati, sembrano rivelarne una struttura compatta, ma irregolare. Al-Fula è stato distrutto progressivamente dopo il 1946 dall'espandersi del kibbutz Merhawya, ma si è potuta ricavarne un'idea generale da testimonianze e fotografie che lo restituiscono come quadrilatero, forse in replicazione concentrica, come il castello ospedaliero di Belvoir. La predilezione anche da parte templare nel regno di Gerusalemme per la struttura quadrilatera, specifica elaborazione cavalleresca del castello quadrangolo qui rimesso in vigore nel quarto decennio del sec. 12°, è confermata dai resti degli impianti difesi annessi a due aziende agricole templari nei pressi di Acri, rivelati da ispezioni parziali, ma soprattutto dalla fotografia aerea sotto le coltivazioni che oggi li ricoprono: Da'uk (Casale Doc), databile al 1200 ca., formato da almeno tre ali intorno a una corte quadrata su lati complessivi di poco inferiori ai m 60; e alSumairiya (Somelaria Templi), risalente alla seconda metà del sec. 13°, quadrilatero completo di dimensioni analoghe, che sembra mostrare anche torri angolari.
I tre castelli relativamente ben conservati di Arima, Baghras e Safīta mostrano come negli stati settentrionali i problemi di architettura militare vennero risolti sulla base di opzioni diverse in ragione della natura più accentuatamente montuosa dei suoli e del fatto che gli insediamenti avvennero in corrispondenza di fortificazioni preesistenti che, almeno nei primi due casi, hanno condizionato l'operato templare. Terzo fattore della diversità può essere stato il contatto con gli Armeni di Cilicia, espertissimi costruttori militari ed elaboratori di originali modelli difensivi che assumevano come dato primario la naturale difendibilità di siti montani.Arima occupa un allungato falsopiano tra profondi letti di fiumi, delimitato e diviso da mura e fossati in tre corti leggermente a salire verso E. Entro la cinta più alta il ridotto rettangolare, con resti di torri e fiancheggiamenti a dente agli angoli e una piccola torre rettangolare al centro del lato orientale, appare il prodotto di un numero imprecisabile di rielaborazioni successive, ma deve risalire nell'impostazione originaria a una fondazione bizantina, probabilmente del sec. 11°, caratterizzata da spessori murari relativamente ridotti e da una muratura a piccoli blocchi approssimativamente sbozzati di basalto ordinati in assise piuttosto accurate. L'intervento più chiaramente collegabile con l'occupazione templare è costituito dal piccolo mastio quadrangolo in pietra calcarea bianca accuratamente squadrata conservato, limitatamente al piano inferiore, a cavallo del lato breve occidentale e da due vani a botte inseriti contro i lati lunghi; resta in stato di parziale praticabilità quello a N.Accanto a resti scarsissimi di Darbsak e a problematiche localizzazioni di La Roche Roussel e La Roche Guillaume, il sistema delle fortezze templari a difesa dei passi dell'Amano è testimoniato dall'imponente castello di Baghras, la cui storia costruttiva è resa difficile e controversa da possibili resti della fortificazione precrociata e da ripetute occupazioni: bizantina tra il 1138 e il 1142, armene fino al 1156, dal 1170 al 1172 e dal 1191 al 1216, a seguito della conquista di Saladino nel 1188. In seguito il castello rimase ininterrottamente ai T. fino alla conquista di Baybars nel 1268. Le più recenti indagini archeologiche sul rudere ancora assai consistente, ma in via di rapido deperimento, rivendicano tuttavia ai T. quasi tutta la costruzione, individuando solo nella cortina della corte bassa una possibile preesistenza bizantina e in una torre affogata nelle strutture dell'angolo sudoccidentale, all'innesto dell'acquedotto, il resto di una fortificazione ancor più antica, forse islamica. Descrizioni di ῾Imād al-Dīn al momento della conquista di Saladino e Wibrando di Oldenburg nel 1211 sembrano inoltre riferire il grosso della costruzione al periodo precedente la conquista del 1188. Il castello si svolge in andamento a spirale saliente, rivestendo la sommità di una elevazione calcarea in fondo a una valle chiusa. Cortine, torri e gallerie difese accompagnano in un continuo spostamento di livelli il percorso da una corte bassa dal profilo falcato sul fianco orientale del monte a una corte alta frutto di parziali riempimenti corrispondente all'area nordoccidentale, dove si isola il quartiere residenziale: una grande sala di rappresentanza a N, accompagnata da una serie di vani di servizio fronteggia un'analoga sala a S; a fianco di questa, e a essa quasi perpendicolare, si leva la grande struttura a due livelli, con l'estremità meridionale arrotondata a bastione e aggirata dal percorso difeso che segna il riferimento visivo dominante nella fisionomia esterna del castello. Specifiche analogie, pur nella irripetibile complessità dell'impianto, della distribuzione del gruppo degli edifici residenziali con quelli dei castelli ospedalieri di Marqab e del Crac des Chevaliers (v.), ma anche del castello templare di Monzón, in Aragona, inducono ad identificare nel livello superiore del lungo edificio bastionato la cappella che certo dovette esistere in un castello templare di tale entità e importanza.Quanto si conserva del castello di Safīta è l'illustrazione migliore di come elementi singolarmente normali nell'architettura crociata del tempo potessero essere montati in una combinazione estemporanea, ma espressione, in quanto tale, di etica cavalleresca. Il poderoso mastio a base rettangolare di m 31,2018, alla sommità di un'altura tondeggiante ergentesi tra colli a vallette coltivate, costituisce il guscio fortificato della sovrapposizione verticale di una cisterna nel basamento pieno, una cappella ad aula unica absidata coperta a botte acuta e cinghiata ad un livello rialzato rispetto alla quota di campagna e una sala a due navate in crociere nervate tra ampi sottarchi, ricadenti su pilastri cruciformi. Una scala nel muro meridionale collega la cappella alla sala, nella quale una scala a giorno permette di salire tramite una botola alla terrazza munita da merli con feritoie. Piccole finestre a feritoia si aprono nella chiesa, mentre nella sala grandi casematte scavano le pareti sulla ritmica imposta dal sistema di volte e pilastri. Resti di un camminamento difensivo protetto si conservano alla base scarpata del mastio sul lato settentrionale. Gli scarni accenti decorativi di imposte e basi a semplice smussatura confermano la datazione ai primissimi anni del sec.13°, a seguito di un terremoto che nel 1202 pare avere irrimediabilmente compromesso la struttura preesistente. Ai primi decenni del Novecento erano ancora visibili le fortificazioni di un'ampia area castrale, oggi densamente costruita sino a ridosso del mastio. La cinta ovale che la muniva è ormai testimoniata solo dal rudere dell'apparato d'ingresso, a valle del lato orientale del mastio, che, a giudicare dalla elegante scultura architettonica di accento 'luigino', venne costruito o rielaborato alla metà del secolo. Rilevazioni e fotografie dell'Ottocento e del primo Novecento mostrano resti di una seconda cinta intorno al mastio e di costruzioni sussidiarie.Le ultime grandi imprese costruttive templari in Oriente mostrano come nella prima metà del sec. 13° cambiassero radicalmente anche nel regno di Gerusalemme i criteri fondamentali della costruzione militare, in conseguenza delle mutate condizioni militari e politiche degli stati crociati ridotti alla resistenza, ma anche delle innovazioni introdotte nelle tecniche ossidionali dal potenziamento delle artiglierie.῾Atlīt (Chastiau Pélerin) fu il prodotto di un gigantesco sforzo costruttivo guidato dal cavaliere fiammingo Gauthier d'Avesnes, che riuscì a impegnare pellegrini al seguito della quinta crociata, Cavalieri Teutonici e T. e a portare a termine in brevissimo tempo, a partire dal 1218, la poderosa fortificazione del piccolo promontorio roccioso un miglio a S di Khirbat Dustray. Protetto dal mare su gran parte del perimetro, il castello fu munito all'attacco con la terraferma con un sistema di difese concentriche che contavano in successione un fossato tagliato nella roccia, con controscarpa allagato dal mare, una prima linea di mura spessa m 6,5 e alta m 16, con tre tozze torri contenenti porte (una al centro e due verso le estremità) e una seconda linea in cui da una cortina spessa m 12 torri larghe m 21 e alte m 27 sporgevano fino a un massimo di m 16 in corrispondenza degli intervalli tra le torri della linea più avanzata. Queste torri, internamente a tre livelli, avevano alla sommità altissime sale coperte da raffinate volte costolonate ricadenti su un pilastro centrale e peducci a crochets e teste umane. L'area protetta conteneva una serie di grandi edifici a volte a due o tre navate e una cappella dodecagonale. Nel corso della prima metà del sec. 13° si sviluppò immediatamente oltre il castello un borgo protetto da mura su uno sviluppo massimo di m 23065. Dopo il terremoto del 1837, il sito è stato sfruttato come cava, ciò che ha provocato la distruzione di gran parte degli edifici interni al castello e di tutto il borgo, nella cui area scavi degli anni Trenta hanno rintracciato le fondamenta di un edificio termale, di una cappella a una navata quadrata e coro poligonale con volte a crociera costolonata, di stalle e di una torre isolata all'angolo sudorientale. L'accesso al sito è oggi precluso in quanto zona militare. Dimensioni e forme dell'apparato difensivo all'imbocco del promontorio trovano riscontro nell'architettura crociata d'Oltremare solo nelle più tarde fortificazioni realizzate da Luigi IX a Cesarea; precedenti e analogie più prossime, anche in riferimento all'apparecchio bugnato isodomo di modulo costante e molto grande, vanno cercate nelle cittadelle urbane protoayyubidi di Siria ed Egitto, o nelle fortificazioni del Tabor e di Subayba (v. Ayyubidi).Quasi nulla è rimasto dell'enorme castello di Safed, che i T. recuperarono nel 1240 dopo la conquista di Saladino e la distruzione ordinata da al-Muazzam Isa nel 1220-1221. La ricostruzione, subito avviata per le insistenze e con il sostegno del vescovo di Marsiglia Benoît d'Alignan, è raccontata in un opuscolo, De constructione castri Saphet (1264 ca.), che informa sommariamente sull'impianto a doppia cinta, con doppio fossato scavato nella roccia, mura e torri di eccezionali dimensioni e potenza. I terremoti del 1759 e del 1837 ridussero il castello ad ammasso di ruderi; il suo successivo sfruttamento come cava ha cancellato quasi completamente l'ordito architettonico, mentre l'attuale sistemazione del sito a parco, alla sommità quasi perfettamente ovale di una collinetta, permette appena di apprezzare la natura di fortificazione di altura del castello, il cui tracciato era condizionato dall'orografia sino a dimensioni massime di m 300 -170.
Di scarso rilievo dovettero essere gli interventi costruttivi templari nel castello di Beaufort, nel Libano meridionale, e nel castello a mare di Sidone, ceduti all'Ordine da Rinaldo di Sidone nel 1260, quando avevano presumibilmente già raggiunto l'articolazione e lo sviluppo nei quali sono pervenuti, mentre Kafr Lam (Cafarlet), ottenuto dai T. nel 1255, dopo un periodo di occupazione ospedaliera, ha conservato la struttura protoislamica a tracciato trapezoidale irrigidito da contrafforti e fiancheggiato da torri circolari pienePochissimo è noto sul piano storico-documentario come su quello archeologico dei castelli di Gastria, Khirokitia e Yermasovia, che i T. possedettero a Cipro, mentre è stato loro riferito il castello detto Saranda Kolones, sopra il porto di Pafo. La sua storia è sconosciuta, ma i resti, recuperati da scavi tra il 1957 e il 1983, hanno accertato che il castello fu costruito negli anni finali del sec. 12°, al principio della dominazione dei Lusignano (v.), e abbandonato nel 1222 in seguito a un violentissimo terremoto. La struttura recuperata comprendeva un ridotto centrale quadrilatero a due piani, fiancheggiato da torri angolari quadrangole e una torre absidata d'ingresso sormontata da cappella al centro del lato orientale. Attorno a esso si svolgeva una cinta munita da otto torri di varia forma e un fossato tagliato nella roccia. Saranda Kolones costituisce dunque una variante del modello castellano quadrilatero a difese concentriche sviluppato dagli ordini militari nel regno di Gerusalemme durante la seconda metà del 12° secoloUn primo, provvisorio censimento indica che nell'arco dei centottanta anni della loro presenza nella penisola iberica i T. arrivarono a occupare un numero di castelli quadruplo rispetto a quello dei castelli da loro posseduti in Oriente. Tale vistosa disparità, che, tradotta in cifre arrotondate per difetto, corrisponde al rapporto 120:30, si spiega con la ben diversa estensione dei territori rispettivamente interessati. Ma il dato iberico va ridimensionato sulla base di dinamiche proprie dell'espansione templare nella penisola. Spesso le occupazioni furono temporanee, anche molto brevi, o persino nominali, a causa di avvicendamenti con altri ordini, soprattutto ordini nazionali, o con la nobiltà, imposti per diverse ragioni e con varie modalità dal potere centrale; i rapidi spostamenti delle frontiere sulle quali si dislocavano i castelli oggetto delle donazioni portarono in molti casi alla loro smilitarizzazione nel momento in cui perdevano il valore strategico di presidi di confine; castelli indicati come tali dagli atti di donazione dovevano corrispondere a incastellamenti o insediamenti fortificati, più che a fortezze vere e proprie, eventualità da tenere in conto soprattutto per l'elenco particolarmente folto - una cinquantina - dei castelli documentati in Catalogna.Le date delle prime acquisizioni sono precocissime: nel 1128 Teresa del Portogallo donava Soure nel territorio di Coimbra, nel 1131 Raimondo Berengario III conte di Barcellona donava Granyena e l'anno dopo Armengol VI conte di Urgell donava Barberà. La posizione di questi castelli sulle frontiere degli stati rispettivi con il territorio musulmano indica la volontà dei donatori di coinvolgere l'Ordine nella guerra della riconquista. Pare che i T. abbiano dilazionato un simile impegno, malgrado reiterate insistenze e promesse del conte di Barcellona. Determinante fu il testamento di Alfonso I d'Aragona, che, morendo nel 1134 senza eredi, lasciò il suo regno in parti uguali al Santo Sepolcro di Gerusalemme, all'Ospedale e al Tempio. La nobiltà aragonese si oppose all'attuazione richiamando dal monastero benedettino di San Pedro el Viejo (Huesca) Ramiro, fratello del defunto re che sposò Agnese di Poitiers. Nel 1137 la loro figlia Petronella fu maritata a Raimondo Berengario IV di Barcellona. Ramiro tornò in convento e toccò a Raimondo, che assumeva il titolo di princeps d'Aragona, risolvere il contenzioso con i tre ordini gerosolimitani. Con i T. pervenne il 27 novembre 1143 all'accordo di Gerona, che attribuiva all'Ordine benefici finanziari, la quinta parte delle future conquiste in territorio musulmano conseguite con il suo aiuto e sette castelli, tra i quali Barberà, evidentemente non ancora consegnato, e Monzón, destinato a divenire la principale sede templare in Aragona. L'effettiva partecipazione dell'Ordine alla Reconquista catalano-aragonese è testimoniata dalle generose donazioni che si susseguirono durante il regno di Raimondo Berengario IV: nel 1148 il quinto della città di Tortosa, nel 1149 il quinto di Lérida con la collina di Gardeny, ove i T. allestirono un grande convento fortificato, e, soprattutto, nel 1153 Miravet, con un amplissimo distretto sull'Ebro che comprendeva sette fortezze minori.Nella seconda metà del secolo si fece sentire, sul piano militare, la concorrenza degli ordini nazionali. Durante il regno di Alfonso II d'Aragona (1162-1196) le acquisizioni di fortezze contarono, oltre a Horta (1174), Encinacorba (1175) e Cantavieja (1196), soprattutto il gruppo dei castelli del ramo aragonese dell'Ordine di Monfrag, che nel 1196 veniva incorporato al Tempio. Sempre minori furono le donazioni di castelli all'Ordine da parte dei successori: nel 1210 Ascó, nel 1228 l'insediamento anche militare di Maiorca, nel 1233 parte della cinta fortificata di Burriana e il castello di Chivert, nel 1277 Pulpis. Infine, nel 1294, l'Ordine permutava con Giacomo II d'Aragona i suoi diritti a Tortosa in cambio di un vasto feudo sulla costa valenzana che conteneva il castello di Ares. Ma i T. fortificarono come centro del nuovo dominio un grande scoglio costiero, legato da un istmo alla spiaggia, alla cui sommità edificarono il castello di Peñíscola, non ancora terminato al momento della soppressione dell'Ordine.Anche in Portogallo i T. appaiono attivi militarmente non prima del quinto decennio del sec. 12°: nel 1144, quando difendevano Soure dall'attacco di Abā Zakariyyā caíd di Santarém, nel 1147, quando acquistavano il Castello di Longroiva e partecipavano alla conquista di Santarém, ottenendo in cambio i diritti ecclesiastici della città. Ma il salto di qualità avvenne con la magistratura dell'abile e valoroso Gualdim País, che resse la provincia portoghese per quasi tutta la seconda metà del 12° secolo. Nel 1159 questi rinunciò ai diritti ecclesiastici di Santarém in favore del vescovo di Lisbona, ottenendo in cambio dal re Alfonso Enriquez l'ampio feudo di Ceras a ridosso del Tago, cui si aggiunsero, un decennio più tardi, i castelli di Ozezar (Praja do Ribatejo) e Cardiga con i rispettivi distretti. La formazione di un secondo, ancor più ampio dominio templare sul Tago, al confine con il regno di León, ebbe una storia travagliata, in un avvicendarsi di cessioni e revoche che durò dal 1165 fino oltre la metà del secolo successivo. Momento di stabilizzazione del dominio fu nel 1214 la donazione della proprietà di Cardosa, nella quale i T. costruirono Castelo Branco, che divenne centro del feudo del quale facevano parte i castelli di Idanha-a-Velha, Idanha-a-Nova, Monsanto e Salvaterra do Extremo.La rinuncia dei T. a difendere il castello di Calatrava in Castiglia - che nel 1157 fu l'occasione per la creazione del primo ordine militare iberico - e il fallimento nella difesa di Coria (1174), donata loro nel 1168 da Ferdinando II di León, sono una possibile spiegazione del ritardo della loro diffusione negli altri due regni impegnati nella Reconquista. Un'altra, più consistente, si ricava da un atto con il quale Alfonso IX di León il 29 aprile 1211 restituiva ai T. ingenti beni sequestrati forse nel 1204. Tra altre proprietà veniva restituito il castello di Alcañices, ma il sovrano tratteneva e assegnava all'Ordine di Alcantara altri castelli sul Tago, indennizzando i T. con il castello di Ponferrada, molto più a N, e la promessa di San Pedro de Latarce e Alba de Aliste, effettivamente acquisiti dall'Ordine nel 1220. La preoccupazione di Alfonso IX sembra essere stata quella di diradare la catena dei castelli templari sul Tago, allora confine con il territorio musulmano, che andava pericolosamente a saldarsi con quella dei possessi portoghesi dell'Ordine. La signoria templare su Ponferrada è peraltro attestata fin dal 1176; il castello presidiava un ponte sul fiume Sil, sulla via di Compostela, e pare essere stato il centro di una serie di insediamenti templari lungo il camino francès. Non sembra aver mutato la situazione il valoroso comportamento alla battaglia di Las Navas de Tolosa (1212) di un folto contingente templare raccolto in tutte le province iberiche dell'Ordine sotto il comando del Maestro provinciale di Castiglia Gomez Ramirez, che morì nell'assedio di Ubeda. Un gruppo di castelli sul Tago, lontano dai confini con il Portogallo, fu consegnato ai T. nel 1221 da una fazione di cavalieri del ramo castigliano di Monfrag contrari alla fusione con Calatrava. La presenza militare templare nei due regni si consolidò nel 1230 con un enorme distretto comprendente Jerez e i castelli di Alconchel, Burguillos del Cerro e Fregenal de la Sierra attribuito all'Ordine da Alfonso IX di León a seguito della conquista di Badajóz. Nel 1236 Ferdinando III, che aveva riunito Castiglia e León sotto la sua corona, compensò i T. per l'aiuto avuto nella conquista di Córdova con un ampio territorio pertinente ai castelli di Almorchón e Capilla. Dagli atti del processo in Castiglia si apprende, infine, della esistenza di un terzo grande feudo templare militarmente rilevante nel regno di Murcia, con i castelli di Caravaca, Cehegín e Bullas.Distruzioni e trasformazioni operate dagli ordini che ereditarono gran parte del patrimonio templare hanno drasticamente ridotto a resti scarsi e spesso problematici una rete tanto imponente di fortezze. Inoltre, salvo che per la Catalogna, i cui castelli sono stati sistematicamente trattati nel contesto di un'indagine esaustiva delle reliquie architettoniche templari nella regione, sono disponibili solo trattazioni monografiche di singoli monumenti o gruppi di essi, assai varie nell'estensione e grado di approfondimento di problemi storici e archeologici. Il dato che sembra profilarsi come costante in tale quadro lacunoso e disorganico è il sostanziale collegarsi dell'architettura militare del Tempio con le modalità fortificatorie islamiche dei secoli immediatamente precedenti. Tale aspetto, che la accomuna alle fortificazioni degli altri ordini contemporaneamente attivi e, più in generale, della Reconquista dei secc. 12° e 13°, dipende anzitutto dal fatto che l'occupazione cristiana ereditò e in gran parte mantenne lo scacchiere difensivo preesistente. L'innesto del castello templare su una fortificazione più antica è evidente a Chivert, dove è conservata gran parte dell'albacar a tracciato poligonale irregolare che asseconda la conformazione dell'altura, mosso da sporgenze angolate con funzione di fiancheggiamento, da due torri a semicerchio aumentato e gola aperta sul lato orientale e una quadrangola all'estremità meridionale, abilmente sfruttando ogni affioramento roccioso ed evitando il lungo e faticoso scavo di fossati. Sul ripido pendio a S-O si innesta la fortificazione che doveva racchiudere un borgo, costituita da un muraglione in tápia, la caratteristica tecnica che assembla in orizzontale e verticale, come in un gigantesco apparecchio, parallelepipedi ottenuti pressando in casseforme terra umida e ghiaia; uno reca impressa un'iscrizione islamica. La rielaborazione templare si concentrò sulla cinta più interna con caratteristiche simili a quella esterna, che venne ispessita e rialzata, particolarmente nelle torri rettangolari a larga fronte e circolari. Al suo interno fu allestito il quartiere residenziale, conservato in scarsissimi resti, che contava una torre maestra, una cappella, edifici di servizio e abitazione. Caratteristiche simili, che paiono sviluppare tracciati di età islamica, ricorrono nella grande cinta ovoide all'estremità di uno sperone roccioso del vicino castello di Pulpis, ma anche in Alconchel, Burguillos del Cerro e Capilla, in Castiglia Nuova, arricchite dall'innesto di un mastio. Torri rettangolari o a semicerchio aumentato e gola aperta lungo cinte poligonali che si inscrivono una nell'altra, o si integrano vicendevolmente e l'assenza di fossati sono, insieme al mastio che funge da centro delle difese, i tratti salienti anche dei castelli costruiti dai T. in Portogallo a seguito della donazione di Ceras, come ancora mostrano Pombal, Almourol e lo stesso Tomar. Che si tratti, in questi casi, di realizzazioni ex novo dell'Ordine è dimostrato non solo da epigrafi che commemorano la costruzione a opera dei frati e del loro Maestro (caso unico nell'edilizia templare), conservate a Tomar, Pombal, Almourol e Longroiva, ma da atti di donazione regia successivi alla costruzione.Eccezioni a questo costume, che interessano castelli di particolare rilievo nella vicenda iberica del Tempio e possono dunque aver comportato intenzioni di autorappresentazione da parte dell'Ordine, sembrano riflettere aspetti della sua architettura in Terra Santa. Sopra un dirupo roccioso ricadente a strapiombo sulla corrente dell'Ebro, dal quale controllava il guado e il traffico fra Tortosa sulla costa e l'interno fino a Saragozza, il castello di Miravet si dispiega in tre cinte salienti, ricalcando, con ogni probabilità, il tracciato di un antico albacar. I T. rielaborarono il castello alto in forma di quadrilatero allungato e svasato in direzione N-S per aderire al suolo accidentato. Sono conservate in stato di quasi integrità le cortine esterne a N e a O, fiancheggiate da torri quadrangole, l'ala interna settentrionale e gran parte di quella orientale, mentre è leggibile, a livello di fondazioni l'ala occidentale; a S tutte le strutture medievali sono state sostituite con un massiccio bastione al principio del 19° secolo. Sono peraltro evidenti discontinuità dovute a fasi costruttive cronologicamente distanti; l'andamento omogeneo dell'involucro esterno in liscio apparecchio regolarmente isodomo di piccolo modulo, con la scarsa profondità di fiancheggiamento delle torri e l'assenza di dispositivi di difesa attiva, può corrispondere a una costruzione immediatamente successiva alla donazione del 1153, alla quale può risalire anche il tratto più esterno dell'ala settentrionale, contenente al piano superiore la cappella ad aula unica voltata a botte, con l'abside collegata alla torre che sovrasta l'ingresso principale al castello munito di barbacane. A esso è stato successivamente addossato un secondo corpo di fabbrica, che in corrispondenza del fianco della cappella inserisce una loggia di quattro arcate a tutto sesto su pilastri quadrati e con un terzo piano a botte acuta raggiunge la quota della terrazza sopra la cappella. Al Duecento avanzato si può ascrivere l'ampio e lungo edificio a un solo piano che forma gran parte dell'ala orientale; corrisponde a un vano coperto a botte acuta ben illuminato da polifore affacciate sul castello basso, che gli conferiscono carattere di sala di rappresentanza. Altri edifici di servizio e cisterne sono conservati anche nella cinta intermedia. Con questi limiti, il castello alto di Miravet rappresenta un tentativo, precoce in Europa, di applicazione dello schema del castello quadrilatero, che non pare avere trovato, nell'immediato, molto seguito nella penisola iberica, se non in qualche altro castello templare. Esigui ruderi di due torri e di un tratto di cortina e il tracciato delle fondamenta hanno indotto ad ipotizzarlo per Ascó, successivo al 1181. Un'ipotesi di struttura quadrangola protetta da torri agli angoli e al centro dei lati lunghi si può prospettare per i resti della fortezza di Ponferrada, che si conservano, compromessi da rifacimenti e aggiunte, nel più ampio complesso castellano del 15° secolo.Allo stato attuale della conservazione e conoscenza dei monumenti, questo tipo di impianto trova una sola altra attardata applicazione a opera dei T. nel castello di Peñíscola, nel quale il tracciato quadrilatero è stato distorto in incastri di ali disuguali su due livelli in aderenza alle asperità dello scoglio; voluminose torri quadrangole vi si innestano in sequenza irregolare dettata dal collegamento con le difese naturali. Insolitamente ampie e monumentali sono le sale comunitarie e di servizio su ambedue i livelli e la cappella ad aula unica absidata coperta a botte acuta esternamente configurata come un baluardo sporgente che munisce l'estremità settentrionale. Il castello, rimasto incompiuto, centro di un sistema difensivo che copriva tutto l'isolotto e comportava anche un approdo protetto, fu evidentemente ideato per ospitare una comunità numerosa, in conseguenza della funzione che Peñíscola assumeva di sede amministrativa di una grande commenda che assorbiva quella di Chivert e veniva ancora ampliata nel 1303 con l'acquisto da Guglielmo di Anglesola del vasto distretto del castello di Culla.Il castello di Monzón, primo tra i castelli templari in Aragona, sorge alla confluenza dei fiumi Sosa e Cinca, sull'estremità arrotondata di uno sperone sovrastante la città, artificialmente isolata dalla breve catena retrostante. Le difese di età medievale sono state sostituite nel corso del sec. 18° dal sistema bastionato esistente, salvo la torre trapezoidale che presidia l'ingresso alla corte alta, nel cui spazio approssimativamente triangolare sono invece ben conservati gli edifici del complesso residenziale templare. Nella disposizione, che ricorda vivamente la distribuzione dei nuclei residenziali dei castelli ospedalieri del Crac des Chevaliers e di Marqab e del castello templare di Baghras in Siria, due edifici corrispondono alle tipologie delle residenze castellane cavalleresche: il grande refettorio a N, con caratteristiche di sala di rappresentanza, e, di fronte a esso in allineamento quasi perpendicolare, la cappella ad aula unica a botte sormontata da terrazza merlata raggiungibile da una scala nello spessore del muro meridionale; in modo altrettanto caratteristico, la sua abside esternamente poligonale costituisce il livello superiore di un alto e massiccio baluardo sporgente dalla cortina che sorveglia il percorso d'ingresso. Altri due appaiono invece del tutto insoliti. Il palazzetto a ridosso dello strapiombo sudoccidentale era originariamente diviso da un muro di spina in due appartamenti su due piani, dotati di camini, focolari, finestre e balconi affacciati sul burrone. Come la cappella, disponeva di vani sotterranei con una scala che sboccava in una postierla. La funzione di residenza reale per questo elegante e confortevole edificio si può ricavare dalla storia di Monzón. Già nel 1094 Pietro I d'Aragona aveva fondato una cappella reale nell'area del castello, ceduta ai T. nel 1149 da Raimondo Berengario IV durante l'assedio di Lérida. Sono poi documentati soggiorni nel castello di Alfonso II, Pietro II e, più tardi, di Alfonso III d'Aragona. Ma il castello di Monzón è famoso nella storia della dinastia aragonese soprattutto perché dall'agosto 1214 vi fu educato sotto tutela templare e la sorveglianza personale del Maestro provinciale Guglielmo di Montrodó il giovane Giacomo, orfano di Pietro II e Maria di Montpellier, fino a che, raggiunta la maggiore età nel giugno 1217, assunse la funzione di re. Anche in seguito Giacomo I soggiornò con grande frequenza nel castello e a Monzón tenne cortes per tre volte. Solo sulla base di considerazioni tipologiche si può attribuire funzione di archivio e tesoro all'alta torre quadrata di m 10 di lato che si leva al centro di questo aggruppamento di edifici. Da essi, tutti in nitido apparecchio isodomo di calcare biondo, che fa presumere sostanziale contemporaneità di costruzione nei decenni di passaggio dal sec. 12° al 13°, la torre si distacca per la tecnica muraria con cantonali, spine di irrigidimento e aperture in pietra tagliata e riempimenti in opus spicatum di ciottoli e bozze non squadrate. La tecnica, di origine islamica, è però documentata in Catalogna e Aragona fino al sec. 14°, mentre tipi di modanature e segni lapidari delle parti in pietra della torre sono simili a quelli delle altre costruzioni.
La distinzione tra gli insediamenti militari e quelli a carattere agricolo, quasi inesistente in Terra Santa, si delinea già piuttosto chiara anche sul piano architettonico nella penisola iberica. Significativi sono castelli come Barberà o Barbens, in Catalogna, che, persa ben presto rilevanza militare e strategica, hanno visto trasformato il nucleo fortificato originario, ancora riconoscibile in resti di mura, torri e barbacani, in residenze di comunità piccole e sostanzialmente disarmate cui era demandata la conduzione dei complessi agricoli. Sempre in Catalogna, malgrado la posizione strategicamente rilevante sul colle di Gardeny, che domina da S la città di Lérida, gli edifici di costruzione templare, probabilmente risalenti alla seconda metà del sec. 12° e oggi racchiusi entro una cinta bastionata del 18°, appaiono invece aderire a tipologie e modalità di aggregazione proprie di insediamenti a carattere agricolo e commerciale, mentre la monumentalità rivela l'importanza della casa, centro di cospicue proprietà dell'Ordine sul fiume Segre e probabile residenza di una consistente comunità. La cappella, di m 25,5 7,5 e alta m 10, è un'aula unica coperta da volta a botte acuta con coro ad andamento poligonale irregolare di cinque lati che ha perso la copertura originaria. Portali con arco a tutto sesto si aprono in facciata e nei lati meridionale e settentrionale, solenne soprattutto quest'ultimo nella incorniciatura a successione di larghe bande con smussatura concava sul filo interno che proseguono direttamente negli archivolti. Aggiunte posteriori appaiono le due cappelle di ampiezza disuguale che creano una sorta di breve transetto basso, così come il sottarco poggiante su semicolonne addossate a paraste che le precede, dividendo il vano sacro in navata e zona presbiteriale. Almeno allo stato attuale non vi sono segni di copertura a terrazza allestita per la difesa. Ad E della cappella e in allineamento normale a essa si dispone un lungo e alto edificio rettangolare. Manomesso da un principio di restauro integrativo degli anni Sessanta e da allora inagibile, può essere descritto al suo interno sulla base di antichi disegni, che lo rappresentano a due piani coperti da botti a tutto sesto; basso e virtualmente privo di illuminazione, l'inferiore doveva essere adibito a servizi, mentre il superiore corrispondeva a una grande sala illuminata da feritoie. Sul tratto settentrionale del lato occidentale, rivolto verso la cappella, si addossa un corpo di fabbrica minore contenente scale e camere di abitazione. Tutto il fabbricato era coperto da una terrazza merlata, oggi completamente rifatta. Un corridoio di collegamento con la cappella rappresenta un'aggiunta successiva.Gli insediamenti templari più significativi dal punto di vistra dello sfruttamento agropastorale del territorio si conservano in maggior numero e consistenza in Francia e in Inghilterra, dove l'Ordine non svolse funzioni militari e dove aveva invece il grosso del patrimonio fondiario. Salvo che per alcune regioni o singoli insediamenti, l'esame delle cospicue testimonianze monumentali che ne sono rimaste è un capitolo della storia architettonica templare ancora tutto da scrivere. I complessi delle case e commende sono stati periodicamente aggiornati, dopo il passaggio agli Ospedalieri, in conseguenza del mutare delle esigenze funzionali e delle mode architettoniche sino all'età moderna. In assenza di indagini specifiche, è difficile dire quanto - al di là, di solito, delle cappelle - si possa ancora ritenere di età templare in complessi come Coulommiers (dip. Seine-et-Marne), La Couvertoirade (dip. Aveyron), Sainte Eulalie-de-Larzac e Ydes (dip. Cantal) o Richerenches (dip. Vaucluse), per citare solo alcuni dei più noti siti monumentali templari francesi. In altri casi come Montbellet (dip. Saône-et-Loire), Montricoux (dip. Tarn-et-Garonne), La Nouée (dip. Côtes-d'Armor), Resson (dip. Aube) e Ruou (dip. Var), il passaggio in proprietà di privati ha comportato l'elaborazione di parti delle antiche commende in residenze o installazioni agricole moderne, lasciando il resto al degrado. Il testo integralmente autentico disponibile, allo stato attuale delle conoscenze, per cogliere la realtà architettonica di un insediamento agricolo templare resta lo scavo della piccola precettoria inglese di South Witham (Lincolnshire), che risultava già abbandonata al momento del passaggio agli Ospedalieri. La pianta che se ne è ricavata ricostruisce un recinto approssimativamente quadrangolo chiuso da edifici alternati a tratti di mura leggere e isolato da fossati più per drenare il terreno acquitrinoso che a scopo difensivo. Sulla corte interna, con ingresso da N fiancheggiato da un corpo di guardia e una piccola foresteria, prospetta al centro del lato meridionale il complesso residenziale, comprendente la cappella e un piccolo mastio. Sul lato occidentale si dislocava una serie di stalle ed edifici colonici; una cucina dotata di numerosi forni, dispense, officine e, all'estremità nordorientale, porcilaie potevano attingere e scaricare nel fiume Witham, che scorre sul lato orientale e il cui tracciato venne modificato per ottenere una peschiera e, più oltre, sbarrato in modo da azionare un mulino e riversarsi in un altro sistema di stagni e peschiere. Complessi simili sono stati descritti, a prescindere dall'età dei singoli edifici, a Bourgoult (dip. Eure), Masdeu (nel Rossiglione), o nelle commende catalane di Barbens, Selma, Aiguaviva, El Rourell.Come già mostrava l'esempio di South Witham, ricorrono in questa categoria dell'architettura templare tipi ben noti dell'edilizia monastica contemporanea a destinazione agricola, a cominciare dalle caratteristiche grange a capannone, spartite all'interno da file di pilastri o piedritti in legno collegati alla carpenteria del tetto, ben rappresentate, tra Inghilterra e Francia nordorientale, da monumentali esemplari a Cressing (Essex), Ivry-le-Temple (dip. Oise), Coulommiers, Sainte-Vaubourg (dip. Seine-Maritime), Bourgoult. Ancora a Ivry-le-Temple è conservato il piano basamentale, in forma di sequenza di quattro campate a crociera con grevi costoloni prismatici, di un tipo di edificio che sembra poter costituire la residenza tipo in centri di commende non militari che comportavano presenze ridottissime (anche una sola unità) di frati cavalieri o sergenti. Nella sua completezza, questa più originale tipologia residenziale è stata studiata sull'esemplare della commenda di Strood (Kent), dove si compone di un piano terreno di tre campate con volte costolonate ricadenti su basse membrature a fascio e un piano superiore servito da scala esterna e comunicante con l'inferiore tramite una botola. L'aula superiore a tetto, con le pareti interne modulate da arcature in marmo di Purbeck secondo moduli stilistici diffusi dal cantiere di Westminster, doveva costituire la vera e propria camera, o residenza commendarile, ed è possibile che il tratto corrispondente alla campata orientale, ritagliato da un leggero tramezzo, avesse funzioni di cappella privata.
La densità della presenza templare in Europa è misurata, sul piano architettonico, soprattutto dal numero rilevante di chiese e cappelle, che si sono conservate con una frequenza incomparabilmente maggiore delle case e commende di cui facevano parte, seppure, spesso, in resti, rimaneggiamenti, o adattamenti d'uso i più vari ed estemporanei. Ma l'iniziativa templare in fatto di architettura sacra ha travalicato di gran lunga la consuetudine di dotare di oratori le proprie residenze, quale che ne fosse la natura e l'importanza. Oggetto di donazione all'Ordine furono sovente diritti parziali o totali su chiese parrocchiali e interi villaggi, compresi i luoghi di culto e sepoltura; spesso, soprattutto nella penisola iberica, i T. furono impegnati anche nel ripopolamento delle terre di nuova conquista abbandonate dagli abitanti musulmani in conseguenza delle fasi di belligeranza e dell'imposizione della sovranità cristiana. Ciò comportava la ricostruzione del tessuto di pievi e parrocchie, per le quali l'Ordine esigeva esenzioni e franchigie anche dall'autorità diocesana competente. Tale consistente partecipazione templare alla cura delle anime è riflessa, laddove è conservata documentazione, da frequenti e prolungati contrasti con il vescovo e il capitolo cattedrale praticamente di ogni diocesi in cui l'Ordine arrivò ad insediarsi a proposito di decime, primizie, diritti di sepoltura e altre spettanze, seguiti da accordi che regolavano tale materia tenendo conto dei privilegi che su di essa i T. avevavo ottenuto dai pontefici.È un risultato specifico della somma di indagini e ricognizioni effettuate in massima parte nella seconda metà del Novecento l'intrinseca evidenza di una scelta univoca da parte dell'Ordine per l'aula unica, che si tratti di cappelle pertinenti a castelli, sedi di commenda o case, oppure di parrocchiali o chiese di villaggio. Il mancato riconoscimento negli studi e la visibilità effettivamente scarsa all'interno di visuali regionali e locali di questo tratto di unità e compattezza di fondo dell'architettura sacra templare dipendono dal fatto che ovunque l'aula unica è stata tradotta nei sistemi costruttivi, nelle tecniche e nei partiti decorativi tradizionali dei singoli territori e ne ha seguito il mutare nell'arco del secolo e mezzo della partecipazione dell'Ordine alla storia architettonica europea. A tali adeguamenti si devono anche almeno due delle tre varianti tipologicamente significative che si alternano nella conclusione orientale, la soluzione absidata, frequente nel sec. 12° e quella poligonale, per lo più a cinque lati, che si osserva a partire dal Duecento avanzato. La soluzione rettilinea, accompagnata, di norma, da caratteristici aggruppamenti ternari di finestre a lancetta, è invece l'indicatore più chiaro dell'ascendente cistercense, che segnò l'architettura templare soprattutto nei decenni a cavallo tra i due secoli. Segno di tale dipendenza può essere considerata anche la volta a botte, che, di preferenza nella salita leggermente acuta, costituisce, almeno fino al secondo decennio del sec. 13°, il genere di copertura nettamente predominante nelle chiese templari. Ma va tenuto conto, al proposito, della norma che, in ragione degli evidenti requisiti di pesantezza e solidità, la volta a botte, accanto alla crociera nervata e in combinazione con essa, costituiva per l'architettura militare. Ne sono chiara illustrazione, in ambito templare, l'avvicendamento tra la botte acuta cinghiata nella cappella e le crociere nervate su pilastri nella sala sovrastante del mastio di Safíta, così come le cappelle dei castelli di Miravet, Gardeny, Monzón, Peñíscola e ipoteticamente anche di Baghras e Saranda Kolones, che condividono la volta a botte con gli interi impianti castellani rispettivi. È vero, inoltre, che, ove la volta a botte contava tradizioni ben configurate, anche le chiese templari vi si adeguarono, come dimostra, ad esempio, la cappella della commenda di Auzon (dip. Vienne) che, verosimilmente ancora al principio del Duecento, la ripropone nella rapida scansione di robusti sottarchi su semicolonne caratteristica dell'architettura romanica d'Aquitania.Accanto a rare comparse della copertura integrale in legno, soprattutto in area francese nordorientale, l'eccezione meglio caratterizzata in senso regionale è costituita dal gruppo delle chiese catalane che presentano il sistema degli archidiaframma; si tratta di parrocchiali a Pinyeres, Almudefer, Vilalba dels Arcs, Berrús, Les Camposines, Tortosa (S. Michele), ma anche della cappella di Santa Maria de Palau, della commenda urbana, verosimilmente fortificata, di Barcellona, di quella, conservata nel tracciato a terra e in uno solo dei sette archi-diaframma originari, del castello di Algars o della cappellina di Santa Maria Magdalena del Puig a Gelida, già appartenuta alla commenda della Joncosa. Come mostrano gli edifici parzialmente conservati di Mas Periques, azienda agricola dipendente dalla commenda di Puig Reig, la torre di Mas de Galls Carnuts, dipendente da Selma, ma anche resti di sale dei castelli di Barbens e Vallfogona, l'architettura templare in Catalogna ha ampiamente condiviso con il Romanico locale quel caratteristico sistema di copertura.L'area francese permette la migliore osservazione della dialettica contrapposizione tra la differenziazione centrifuga delle varianti regionali e l'unificante ricorso all'esempio cistercense che marca la distribuzione dell'aula unica templare. La sovrapposizione di ordini di arcate caratteristica del Romanico della Saintonge compare nelle facciate delle cappelle di Beauvais-sur-Matha, Bussac, Le Mung (dip. Charente-Maritime); di dimensioni insolitamente monumentali, la chiesa della commenda di Montsaunès (dip. Haute-Garonne), documentata esistente nel 1180, a quattro campate di navate coperte da botte cinghiata, con abside semicircolare esternamente prismatica a undici lati, è realizzata nel laterizio tipico del Tolosano e adotta il sistema delle grandi arcate di alleggerimento murario proprie del Comminges. L'influsso cistercense, che compare nelle precoci versioni 'bernardine' delle cappelle di Châteaubernard (dip. Charente) e Marcenais (dip. Gironde), raggiunge l'eleganza della pura esibizione della sostanza costruttiva nella cappella di Magrigne (dip. Gironde) o in un ben caratterizzato gruppo della Charente a Le Foilloux, Boixe, Cressac, Malleyrand; la sua eredità resta ben percepibile in edifici coperti da volte a crociera, come la cappellina di due campate di Chanu (dip. Eure) o nelle eleganti cadenze pre-rayonnant delle cappelle di Coulommiers, Port Sainte-Marie (dip. Lot-et-Garonne), Saulce d'Island (dip. Yonne).Nel Duecento avanzato tornano talora ad imporsi componenti locali, come nelle volte a liernes rette da sottili fasci di membrature pensili delle cappelle di Paulhac, Blaudeix, Chamberaud, Charrières (dip. Creuse) o nelle grandi arcate di tipo linguadocano che legano i contrafforti della tardoduecentesca Nôtre-Dame-de-Bethléem ad Avignone, per il resto improntata, nel marcato verticalismo sottolineato dalla sottigliezza delle membrature di volta e dei trafori delle alte bifore, o nella minuta ornamentazione fogliata dei capitelli, agli esiti più tardi del rayonnant parigino.Dinamiche simili sono state riconosciute in altri gruppi regionali di aule uniche templari, come quelli castigliano e ungherese, le cui trattazioni sono peraltro inficiate da incertezze derivanti dalla precarietà della documentazione usata per identificarle. Singoli esemplari messi a fuoco altrove mostrano ancora più marcato il ricorso a tecniche e forme delle regioni rispettive; così a Shipley (Sussex), ove la chiesa templare - non si sa se cappella di commenda o parrocchiale -, databile intorno alla metà del sec. 12°, inserisce un'alta torre quadrata tra il coro rettilineo e la navata e presenta un portale di facciata decorato a chevrons e teste grottesche. Per l'Italia è interessante il confronto tra S. Maria di Isana a Livorno Ferraris (Vercelli) e il Tempio di Ormelle di Oderzo (Treviso), ambedue in laterizio, ove il trattamento degli esterni a fregi di archetti e paraste si presenta nelle varianti caratteristiche dei due ambiti regionali. S. Jacopo a San Gimignano, di primo Duecento, nell'esterno disadorno, come nell'interno composto da cinque strette barlongues coperte da crociere nervate tra robusti archi trasversi su semicolonne e lesene alternate, combina cotto e pietra tagliata e scolpita in modi segnati dall'apporto di maestranze lombarde caratteristici di un gruppo di chiese del Senese, mentre vero e proprio caso limite è la nuda aula a tetto di S. Pietro alla Magione a Siena. Non diversamente improntata a una fase architettonica umbra di impostazione mendicante, sino a palesi reminiscenze della basilica di S. Francesco ad Assisi, è la più famosa delle aule uniche templari in Italia, S. Bevignate a Perugia (1256-1262), formata da due campate quadrate di navata coperte da crociere con sottili costoloni a banda ricadenti su esili membrature e una analoga, ma più piccola campata di coro aperta sul fondo da un finestrone biforo a trafori. All'esterno il dominio dei poderosi contrafforti quadrati sulle nitide masse che replicano, quasi aderendovi, le volumetrie interne, ripropone effetti caratteristici di chiese duecentesche della città, a cominciare da S. Francesco in Prato.Insolita soprattutto nelle dimensioni (m 39,517,527), motivate certo dall'intenzione di farne il santuario memoriale dell'eremita Bevignate, che si riteneva vissuto in quel luogo, la chiesa perugina introduce a un altro aspetto poco noto della vita e dell'architettura religiosa templare: la promozione di culti particolari. Evidentemente legato alla propaganda della crociata, e più specificamente della propria missione, fu il contributo prestato dall'Ordine alla diffusione in Europa di reliquie della Vera Croce, spesso venerate anche in case e castelli templari, come lo stesso S. Bevignate, e poi a Venezia, S. Paterniano a Perticano, Limay (Provenza), Biais (Bretagna), Gardeny, Perpignano, Masdeu, Monzón, Ponferrada. Da Ponferrada proverrebbe, secondo una tradizione non facile da controllare, la stauroteca in forma di croce d'argento dorato della cattedrale di Astorga.L'altro grande tema della devozione templare fu il culto della Vergine come Madre di Dio, alla quale erano spesso intitolate le chiese dell'Ordine. Ma si è affacciata recentemente l'ipotesi che l'Ordine abbia fondato e gestito attraverso comunità di oblati veri e propri santuari mariani, eventualmente annessi a ospizi. Sono stati segnalati in tal senso in Catalogna il piccolo oratorio di Santa Maria de Bell Lloc a Santa Coloma de Queralt, che pare quasi una prefigurazione in dimensioni ridotte del S. Bevignate a Perugia, ma con un solenne portale di facciata decorato nei motivi geometrici e di intreccio della cosiddetta 'scuola di Lérida', e il santuario di Santa Maria di Paret Delgada, nella diocesi di Tarragona, ampio complesso di costruzioni a quadrilatero, che comprende una cappella ad archi-diaframma. Questa è la struttura anche della grande chiesa ad aula unica di Santa Maria dels Angels a Horta, risalente al primo sec. 13° e oggi inglobata in una struttura conventuale francescana di età moderna. È l'unica testimonianza monumentale conservata di un ampio e rilevante insediamento templare che comprendeva anche un castello e la proprietà dell'abitato con la sua parrocchiale. Conferme a tale ipotesi si rintracciano anche altrove; a Ponferrada i T. avrebbero patrocinato la costruzione del santuario di Nuestra Señora de la Encina in seguito al ritovamento miracoloso nel 1200 di un antico simulacro della Vergine nel cavo di una quercia. Statue lignee della Madonna con il Bambino erano venerate inoltre nella chiesa di Santa Maria del Templo di Pajares de Lampreana (Palencia) e in S. Maria della Sorresca a Sabaudia.Ma la forma di culto che più direttamente ha investito l'architettura sacra templare è stata la venerazione per il Santo Sepolcro (v.), evidentemente complementare nel merito e nelle finalità a quella per la Vera Croce. Copie del monumento, il cui recupero alla cristianità era stato la motivazione originaria dell'idea della crociata e della sua attuazione, si devono considerare le chiese a pianta centrale che le verifiche storiche e archeologiche più recenti hanno confermato ai Templari. È significativo che vi siano tra esse le chiese dei grandi centri europei dell'Ordine di Parigi, Londra e Tomar, così come il fatto che, nella forte reviviscenza romanica di quel tema di architettura devozionale caro al Medioevo almeno fin dall'età carolingia, i T. siano stati affiancati non solo dal clero regolare e secolare, da nobili crociati e confraternite di reduci dalla crociata, ma soprattutto da altri ordini gerosolimitani, come gli Ospedalieri e i Canonici del Santo Sepolcro, cui è stato necessario restituire molte delle piante centrali in passato ritenute templari. La distribuzione dei monumenti noti è diseguale; il primato numerico spetta all'Inghilterra, che, oltre al New Temple, conservato sia pure nella pesante e a tratti probabilmente arbitraria ricostruzione ottocentesca, contava le rotonde dello Old Temple nel quartiere londinese di Holborn, di Aslackby, Garway e Temple Bruer e la cappella circolare di Dover, note da documentazione scritta e visiva, o da reperti per lo più fortuiti di scavi del secolo scorso. Conservate sono le cappelle ottagonali di Laon (v.) e Metz (v.), abbondantemente documentata la perduta rotonda del Tempio di Parigi. A questi esemplari, ampiamente discussi dalla letteratura specialistica, vanno aggiunte la cappellina rotonda recentemente rinvenuta in scavi nella Città Vecchia di Praga e la cappella quadrata con cupola ottagona, demolita nel 1857, a Ceinos de Campos (Valladolid). Tratti delle arcature decorative del tamburo sono conservati al Mus. Nac. de Escultura di Valladolid. Concorda con la più generale diffusione nel sec. 12° del tema architettonico della copia del Santo Sepolcro la corrispondenza dei monumenti templari a due tipologie di base: la cappella a vano unico ottagono o circolare e la rotonda, formata da un vano impostato da arcate e coperto da cupola circondato da un ambulacro che replica o raddoppia, approssimandolo al tracciato circolare, il numero dei lati dello spazio poligonale centrale. Tratti di originalità ascrivibili a intenzionalità specificamente templari si osservano però in diverse delle costruzioni sopra elencate. La cappellina di S. Lorenzo, rinvenuta nel 1954 sotto il pavimento della chiesa del convento domenicano femminile di Praga, era, secondo ogni verosimiglianza, precedente all'insediamento dei T. (1230) in quell'area della città sulla sponda della Vltava in prossimità del Ponte di Carlo, ma venne da loro ampliata con la sostituzione all'abside originaria di una piccola navata absidata a lati convergenti che sembra rivelare l'intenzione di riproporre la forma assunta dal Santo Sepolcro di Gerusalemme quando, in età crociata, sulla rotonda di origine costantiniana fu innestato il coro a deambulatorio e cappelle radiali. A Ceinos de Campos la cappella quadrata dedicata alla Vergine si addossava al lato occidentale di un'altra cappella nella più consueta forma di aula unica absidata coperta a botte intitolata a s. Giacomo. Le due cappelle comunicavano tra loro (e con gli altri edifici della commenda) mediante un chiostro porticato che le legava in percorso devozionale, inserendo nella reminiscenza gerosolimitana il richiamo all'evangelizzatore della penisola iberica, patrono di coloro che combattevano per il suo riscatto alla fede cristiana. Nel Tempio di Parigi, nel New Temple di Londra e in diverse altre rotonde inglesi il vano centrale poggiava su sei sostegni, anzichè su otto come di consueto in quel genere di monumenti. Più che espressione delle numerologie ternarie ipotizzate nel secolo scorso, tale variazione sembra voler evocare l'edicoletta formata da cupola su sei colonnine che coronava la parte postica del rivestimento marmoreo del Sepolcro del Signore al centro dell'Anastasis a Gerusalemme. Tale riproduzione simultanea della reliquia del sepolcro e della basilica che lo conteneva trova la sua formulazione più originale in ambito templare con la cappella del castello di Tomar, dove l'angusto vano centrale delimitato da otto pilastri è calato in un involucro che era una torre della vasta fortificazione, la quale assumeva così il valore di rappresentazione architettonica dell'Ordine che a Gerusalemme difendeva la più santa delle reliquie. La metafora della torre è esplicita nel vano centrale, ciborio del corpo del Signore, non più aperto da arcate, ma chiuso da mura, della Vera Cruz di Segovia (v.), la cui tradizionale attribuzione all'Ordine del Tempio, basata sull'apografo ottocentesco di un atto di Onorio III di controversa autenticità conservato nell'arch. parrocchiale della vicina Zamarramala, è oggi messa in discussione da nuovi reperti documentari che sembrano riferirla ai Canonici del Santo Sepolcro. L'unico riscontro possibile in Terra Santa per le piante centrali templari in Occidente è la cappella del castello di ῾Atlīt, conservata in scarsissimi ruderi che permettono tuttavia di ricostruirla come vano a dodici lati coperto da un sistema di volte a ombrello ricadenti su un pilastro centrale, dunque tipologicamente difforme dalle copie del Santo Sepolcro. La sua costruzione intorno alla metà del sec. 13° fu forse motivata dalla reliquia del capo di sant'Eufemia conservata nel castello.Chiese templari a tre navate esistettero, con ogni probabilità, nel quartier generale dello Ḥaram a Gerusalemme e forse nel castello di Latrun, dove è probabile aderissero al semplice schema basilicate triabsidato costante negli edifici sacri latini di Terra Santa (v. Crociati). Esso si ripropone in un gruppo castigliano di chiese templari a tre navate, unico del genere nel panorama europeo dell'architettura dell'Ordine. Stilisticamente esso è peraltro fortemente differenziato, dalle cadenze nettamente romaniche della chiesa della commenda di Faro (La Coruña) e di San Juan del Mercado a Benavente alle festose partiture decorative in laterizio, precoce espressione di stile mudéjar (v.), del complesso absidale di San Salvador de los Caballeros a Toro, sola parte conservata della chiesa. Ingiudicabili dal punto di vista stilistico appaiono le due navate laterizie residue, svisate da ridestinazioni improprie, di Santa María del Templo a Pajares de Lampreana, mentre l'eccezione nel gruppo è Santa María la Blanca a Villalcázar de Sirga (Palencia). A tre navate, modifica lo schema triabsidato in tracciato di cappelle di coro rettilinee, precedute da un ampio transetto a due navate disuguali e lo traduce in solenne e severo linguaggio di pilastri compositi siglati dal motivo cistercense della doppia semicolonna, di grevi crociere costolonate a salita marcatamente cupoliforme arricchite da liernes, di alte finestre archiacute e oculi che illuminano abbondantemente l'interno e all'esterno si alternano a contrafforti quadrangoli nello scandire incastri di poderose masse cubiformi. Il largo impianto cruciforme, con risonanze da pianta centrale, pare collegarsi con la funzione di sepolcreto della casa reale castigliana; nel 1274, probabile data del compimento della chiesa, vi si seppelliva l'infante Don Felipe.Più o meno contemporanea, Santa Maria do Olival a Tomar mostra invece preminente l'ascendente dell'architettura mendicante. Non è disponibile documentazione diretta che possa confermare l'attribuzione ai T., riproposta con maggiore o minor frequenza, di chiese a tre navate tra loro assai diverse, ma singolarmente tutte notevoli espressioni dei rispettivi ambiti locali come Santa María la Major a Villamuriel de Cerrato (Palencia), Saint-Eliphe a Rampillon (dip. Seine-et-Marne), S. Pietro a Valvisciolo, nel Lazio, e Ognissanti a Trani (v.).
Bibl.: W.H. Bartlett, Footsteps of our Lord and his Apostles in Syria, Greece and Italy, London 1851; s.v. Temple, in Viollet-le-Duc, IX, 1868, pp. 12-20; C.R. Conder, H.H. Kitchener, The Survey of Western Palestine, I, Galilée, London 1881; E. de Curzon, La Maison du Temple de Paris, Paris 1888; C. Enlart, L'art gothique et la Renaissance en Chypre, I, Paris 1899; A. Trudon des Ormes, Liste des maisons et de quelques dignitaires de l'Ordre du Temple en Syrie, en Chypre et en France d'après les pièces du procès, Paris 1900; Y. Miret y Sans, Les cases de Templers y Hospitalers en Catalunya, Barcelona 1910; G. Silvestrelli, Le chiese e i feudi dell'Ordine dei Templari e dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme nella regione romana, RendALincei, s. V, 26, 1917, pp. 491-539; C. Nieto, Descripción de la iglesia que, con la Advocación de Nuestra Senora del Temple, poseyeron los caballeros Templarios en la villa de Ceinos de Campos, Boletín de la Real Académia de la historia 76, 1920, pp. 268-274; J.B. Williamson, The History of the Temple, London, from the Institution of the Order of the Temple to the Close of the Stuart Period, London 1924; A. Carlier, L'église de Rampillon, Paris 1930; T.E. Lawrence, Crusader Castles, 2 voll., London 1936 (trad. it. I castelli dei Crociati, Venezia 1989); G. Velo y Nieto, Coria y los Templarios, Revista de estudios extremeños 5, 1949, pp. 281-302; E. Lambert, L'architecture des Templiers, Paris 1955; A. Quintana Prieto, Los Templarios en Cornatel, Archivos leoneses 9, 1955, pp. 47-70; G. Velo y Nieto, El castillo de Trevejo, Revista de estudios extremeños 13, 1957, pp. 261-295; E. Gantner, Les Ordres militaires dans le diocèse de Genève, Genava, n.s., 8, 1960, pp. 161-194; R. Gem, An Early Church of the Knights Templars at Shipley, Sussex, Anglo-Norman Studies 4, 1963, pp. 237-246; C. Higounet, J. Gardelles, L'architecture des ordres militaires dans le Sud-Ouest de la France, "Actes du 87e Congrès des Sociétés Savantes, Poitiers 1962, Section d'archéologie", Paris 1963, pp. 173-194; S.E. Rigold, Two Camerae of the Military Orders. Strood Temple, Kent and Harefield, Middlese AJ 122, 1965, pp. 86-132; A. Rosa, Historia de Tomar, Tomar 1965; W. Müller Wiener, Castles of the Crusaders, London 1966; R. Oursel, La chapelle des Templiers de Fontenotte, Archéologia, 1966, 11, pp. 72-77; W. Götz, Zentralbau und Zentralbautendenz in der gotischen Architektur, Berlin 1968; South Witham: the Excavation of a Preceptory of the Knights Templars Reveals a Model Farm of the Middle Ages, Current Archaeology 9, 1968, pp. 232-237: J. Riley-Smith, The Templars and the Castle of Tortosa in Syria: an Unknown Document Concerning the Acquisition of the Fortress, English Historical Review 84, 1969, pp. 278-288; M. Melville, Deux aspects de l'architecture des Templiers, Archéologia, 1969, 27, pp. 20-26; R. Oursel, Un conflit de tendances. Les églises des Templiers, ivi, pp. 29-35; L. Dailliez, Les Templiers dans la péninsule ibérique, ivi, pp. 36-41; J. Schelstraete, Comment la commanderie de Coulommiers a été sauvée, ivi, 1970, 35, pp. 78-81; id., La commanderie de Coulommiers, Paris 1970; M. Benvenisti, The Crusaders in the Holy Land, Jerusalem 1970; A. Luttrell, Two Templar-Hospitaller Preceptories north of Tuscania, PBSR 39, 1971, pp. 90-124; L. Dailliez, Bibliographie des Templiers, Paris 1972; M. Gervers, Rotundae Anglicanae, in Evolution générale et développements régionaux en histoire de l'art, "Actes du XXIIe Congrès international d'histoire de l'art, Budapest 1969", Budapest 1972, I, pp. 359-376; A.H.S. Megaw, Supplementary Excavations on a Castle Site of Paphos, Cyprys 1970-1971, DOP 26, 1972, pp. 323-343; P. Deschamps, L'architecture des Croisés en Terre Sainte, III, La défense du comté de Tripoli et de la principauté d'Antioche (Bibliothèque archéologique et historique, 90), Paris 1973; A.J. Forey, The Templars in the ''Corona de Aragón'', London 1973; M. Ben Dov, La fortezza di Latrun, Qadmoniot 7, 1974, pp. 117-120; J.L. Gordillo Courciéres, Castillos templarios arruinados en el sur de la Corona de Aragón, Valencia 1974; A.W. Lawrence, The Castle of Baghras, in The Cilician Kingdom of Armenia, a cura di T.S.R. Boase, Edinburgh-London 1978, pp. 34-83; J. Riley-Smith, The Templars and the Teutonic Knights in Cilician Armenia, ivi, pp. 92-117; J. Schelstraete, Les Templiers en Brie Champenoise, Monuments et sites de Seine-et-Marne 9, 1978, pp. 27-29; M. Cagiano de Azevedo, Da un luogo fortificato etrusco a una ''maison'' dei Templari, in Studi castellani in onore di Piero Gazzola, I, Roma 1979, pp. 45-48; M. Cocheril, Les Ordres militaires et Hospitaliers, in Les Ordres religieux. La vie et l'art, a cura di G. Le Bray, I Paris, 1979, pp. 634-727; F. Laborde, L'église des Templiers de Montsaunès (Haute-Garonne), Revue de Comminges 92, 1979, pp. 355-373, 487-507; 93, 1980, pp. 37-51, 227-241, 335-355; A. Di Ricaldone, Templari e Gerosolimitani di Malta in Piemonte dal XII al XVIII secolo, San Salvatore Monferrato 1979-1980; J.M. Luengo y Martínez, El castillo de Ponferrada y los Templarios, León 1980; Sur les pas des Templiers en Bretagne, Normandie, Pays de Loire, Paris 1980; C. Daras, Les Templiers en Charente, Poitiers 1981; S.A. García Larragueta, El Temple en Navarra, AEM 11, 1981, pp. 635-661; R.B.C. Huygens, De constructione castri Saphet. Construction et fonctions d'un château fort franc en Terre Sainte, Amsterdam 1981; K. Kozák, Constructions dans la Hongrie des XIIe-XVe siècles des Ordres de Chevalerie et d'Hospitaliers et leur influence, AAASHung 34, 1982, pp. 71-130; J. Castán Lanaspa, Arquitectura templaria castellano-leonesa, Valladolid 1983; R.W. Edwards, Baǧras and Armenian Cilicia, Revue des études arméniennes, n.s., 17, 1983, pp. 415-455; A.M. Legras, Les commanderies des Templiers et des Hospitaliers de Saint-Jean de Jérusalem en Saintonge et en Aunis, Paris 1983; D. Gallavotti Cavallero, R.U. Montini, S. Maria in Aventino, Roma 1984; G. Petronilli, I Templari nella Marca centrale, Ancona 1984; B.Z. Kedar, D. Pringle, La Fève: a Crusader Castle in the Jezreel Valley, Israel Exploration Found 35, 1985, pp. 164-179; D. Pringle, Reconstructing the Castle of Safad, Palestine Exploration Quarterly 117, 1985, pp. 139-149; L. Scanu, La chiesa dei Templari in Tempio di Ormelle, Treviso 1985; El Arte y las Órdenes militares, "Actas del Simposio, Cáceres 1985", Cáceres 1986; A. Navareño Mateos, Arquitectura militar de la Orden de Alcántara en Extremadura, Salamanca 1987; J. Rosser, The Lusignan Castle at Paphos Called Saranda Kolones, Studies in Mediterranean Archaeology 77, 1987, pp. 185-197; Templari e Ospitalieri in Italia. La chiesa di San Bevignate a Perugia, Milano 1987; B. Capone, L. Imperio, E. Valentini, Guida all'Italia dei Templari, Roma 1989; F. Castillon Cortada, El castillo de Monzón, Zaragoza 1989; D. Pringle, A Templar Inscription from the Haram al-Sharif in Jerusalem, Levant 21, 1989, pp. 197-201; I Templari: mito e storia, "Atti del Convegno internazionale di studi alla Magione Templare di Poggibonsi, Siena 1987", Sinalunga 1989; M. Untermann, Das Zentralbau im Mittelalter, Darmstadt 1989; M.J. Barroca, Do castelo da Reconquista ao castelo romanico, Portugalia, n.s., 11-12, 1990-1991, pp. 89-126; P.C. Begotti, Templari e Giovanniti in Friuli. La Mason di San Quirino, Fiume Veneto 1991; F. Bramato, Storia dell'Ordine dei Templari in Italia. Le fondazioni, Roma 1991; L. Franco Nogueira, Apontamento sobre o Ordem do Templo en Portugal, Boletín cultural de la Cámara municipal de Tomar, 1991, 14, pp. 35-102; 15, pp. 213-228; J. Magniez, L'église de Rampillon, Nangis 1991; M.H. Burgoyne, The Gates of the Haram al-Sharif, in Bayt al-Maqdis. Abd al-Malik's Jerusalem, Oxford 1992, pp. 105-124; L. Dailliez, Guide de la France templière, Paris 1992; Grosser Bildatlas der Kreuzzüge, a cura di J. Riley-Smith, Freiburg im Brsg. -Basel-Wien 1992; M.L. Ledesma Rubio, Templarios y Hospitalarios en el reino de Aragón, Zaragoza 1992; M. Sanz de Bremondo y Frigola, Un muro islamico en el castillo de Xivert, Archivo de arte valenciano 73, 1992, pp. 18-21; F. Tommasi, ''Pauperes commilitones Christi''. Aspetti e problemi delle origini gerosolimitane, in 'Militia Christi' e crociata nei secoli XI-XIII, "Atti della undecima Settimana internazionale di studio, Mendola 1989", Milano 1992, pp. 443-475; G. Martínez Díez, Los Templarios en la Corona de Castilla, Burgos 1993; D. Pringle, The Churches of the Crusader Kingdom of Jerusalem, 2 voll., Cambridge 1993-1998; id., Templar Castles in the Road to the Jordan, in The Military Orders: Fighting for the Faith and Caring for the Sick, Aldershot 1994, pp. 148-166; P. Ritoók, The Architecture of the Knights Templars in England, ivi, pp. 167-178; J. Upton Ward, The Surrender of Gaston and the Rule of the Templars, ivi, pp. 179-188; P. Edbury, The Templars in Cyprus, ivi, pp. 189-195; "Actes de les premieres Jornades sobre els Ordenes religioso-militars als Paisos Catalans (segles XII-XIX), Tarragona 1994", Tarragona 1994; H. Kennedy, Crusader Castles, Cambridge 1994; M.L. Ledesma Rubio, Las Ordenes militares en Aragón, Zaragoza 1994; R. M. Sanchez, L. A. Limpo, El Enclave de Olivenza y sus Murallas, Cáceres 1994; J.B. Simó Castillo, El castillo templario-pontificio de Peñíscola, Barcelona 1994; I Templari in Piemonte. Dalla storia al mito, "Atti del Convegno, Torino 1994", s.l. [1994]; J. Fuguet Sans, L'arquitectura dels Templers a Catalunya, Barcelona 1995; G. Glücksmann, R. Kool, Crusader Period Finds from the Temple Mount Excavations in Jerusalem, Atiqot 26, 1995, pp. 87-104; M. Miguet, Templiers et Hospitaliers en Normandie, Paris 1995; Monaci in armi. L'architettura sacra dei Templari attraverso il Mediterraneo, a cura di G. Viti, A. Cadei, V. Ascani, Certosa di Firenze 1995; D. Carraz, Une commanderie templière et sa chapelle en Avignon: du Temple aux Chevaliers de Malte, BMon 154, 1996, pp. 7-24; M. Rassu, Ipotesi sui Templari in Sardegna, Cagliari 1996; J.M. Sans i Travé, Els Templers catalans, Lérida 1996; J. Fuguet Sans, Templers i Hospitalers. I Guia del camp de Tarragona, la conca de Barberà, la Segarra i el Solsonès, Barcelona 1997; C.N. Johns, Pilgrim's Castle ('Atlit), David's Tower (Jerusalem) and Qal'at ar Rabad ('Ajlun), Aldershot 1997; D. Pringle, Secular Buildings in the Crusader Kingdom of Jerusalem, Cambridge 1997; id., Templar Castles between Jaffa and Jerusalem, in The Military Orders. II Welfare and Warfare, Aldershot 1998, pp. 87-109; L. Jan, V. Jesenský, Hospitaller and Templar Commanderies in Bohemia and Moravia: their Structure and Architectural Forms, ivi, pp. 235-249; M. Centini, I Templari in Piemonte, Cuneo 1998; R. Ellenblum, Frankish Rural Settlement in the Latin Kingdom of Jerusalem, Cambridge 1998; J. Fuguet Sans, Templers i Hospitalers. II Guia de les terres de l'Ebre i dels castells templers del Baix Maestrat, Barcelona 1998; A. Cadei, Castellum quod dicitur Baffes, in Arte d'Occidente: temi e metodi. Studi in onore di Angiola Maria Romanini, Roma 1999, I, pp. 131-142.A. Cadei
Una trattazione degli apparati pittorici e scultorei in contesti monumentali riconducibili per committenza, proprietà o momentaneo possesso ai T. deve necessariamente misurarsi con l'irrisarcibile perdita della decorazione dei grandi insediamenti ultramarini, ridotti in stato di ruderi - anche se in alcuni casi assai imponenti - dalle vicende belliche che accompagnarono la dissoluzione dei regni latini d'Oriente, aggravate nella maggior parte dei casi da una discontinuità funzionale o da un secolare abbandono.Anche la descrizione della sede gerosolimitana fornita da Bernardo di Chiaravalle nella sua apologia dell'Ordine (De laude novae militiae, V, 9), ricca di raffinati artifici retorici e immagini simboliche, sembrerebbe qualificarsi più come metafora del carattere monastico e militare dell'istituzione che per il valore di testimonianza di un ambiente specifico e reale, che peraltro l'autore non poteva conoscere direttamente.Ben diversa è invece la realtà del continente europeo dove, malgrado la storiografia difetti di un censimento esaustivo (Demurger, 1996), è stato individuato un gran numero di commende, alcune delle quali in condizioni tali da aver consentito la sopravvivenza di più o meno estesi programmi pittorici. Si tratta tuttavia quasi esclusivamente di insediamenti agricoli, poiché i prestigiosi complessi cittadini, con i loro vasti edifici residenziali e di culto, che pure sopravvissero in molti casi alla soppressione del Tempio, vennero sacrificati nella modernizzazione dei tessuti urbani.I più antichi casi di decorazione parietale conservati risalgono dunque alla seconda metà del sec. 12° e trovano un primo ed evidente elemento di continuità nella stesura di un intonaco a commessure dipinte a imitazione dell'apparecchio murario, caratterizzandosi per un'opzione essenziale, che sembrerebbe però prescindere dalla loro collocazione in contesti rurali ma piuttosto riflettere una scelta consapevole, per alcuni esiti analoga a quella compiuta negli stessi anni dai Cistercensi.L'adozione del falso apparecchio richiama ovviamente una prassi assai diffusa (v. Architettura dipinta), all'interno della quale è estremamente difficile delineare un percorso evolutivo o individuare elementi morfologici propri di specifici ambiti di committenza, per la lunga durata degli accoppiamenti cromatici e l'uso di rinnovare tali partiti anche a breve distanza di anni, dando luogo a complesse stratigrafie.Un esempio precoce sembrerebbe riconoscibile nella cappella della commenda di Resson (Champagne, dip. Aube), dove si colgono ancora in alcuni tratti porzioni di intonaco chiaro stilato da commessure in ocra gialla; a tale soluzione coloristica venne però ben presto preferito il già diffuso partito a giunture rosse su fondo bianco - adottato sullo scorcio del secolo anche in alcune abbaziali dei Cistercensi (v.) - che in ambito templare soppiantò ogni altra versione, contenendo anche un gradito riferimento alla divisa dell'Ordine.Il rivestimento a finti conci più che un sistema di finitura delle pareti divenne una sorta di tema guida della decorazione, assecondando le partiture architettoniche e la modulazione della superficie muraria e ordinando entro il suo reticolo geometrico un repertorio ricorrente di motivi ornamentali e segnici come croci, fiordalisi, gigli e stelle, ben esemplificato dagli interventi che si susseguirono sulle pareti della cappella di Courval in Normandia (dip. Calvados; Miguet, 1995).Queste scelte minimali vennero a volte aggiornate o sostituite in un secondo momento da programmi più ambiziosi, come quello che nella prima metà del Duecento si sovrappose nella perduta commenda di Artins (Orleanese, dip. Loir-et-Cher) al consueto falso apparecchio, svolgendo una trama compositiva articolatissima, solo in parte ricostruibile dalle testimonianze ottocentesche (Pétigny, 1849; Davy, Juhel, Paoletti, 1997).Un riscontro eccezionale è inoltre fornito dalla celebre decorazione della c.d. cappella di Cressac (Angoumois, dip. Charente) che conserva, tranne che nella parete meridionale, un complesso pittorico pressoché integro, malgrado un intervento di restauro non felicissimo, incentrato sulle gesta dei Cavalieri. Il muro longitudinale sinistro accoglie infatti su due registri un combattimento tra crociati e musulmani nel quale è stata riconosciuta la battaglia di La Boquée, svoltasi nel 1163 e conclusasi con la rotta delle truppe dell'emiro Nūr al-Dīn, grazie al sopraggiungere dei T. e del contingente guidato da Goffredo II d'Angiò detto Martello, fratello del duca di Angoulême. Questa celebrazione congiunta di nobiltà locale e proprietari dell'edificio si stempera nelle restanti pareti della cappella, che sviluppano, attraverso episodi eterogenei quali S. Giorgio che uccide il drago, la Chiesa che accoglie Costantino trionfante sul paganesimo e la Psicostasia, il tema ugualmente apologetico della lotta contro l'infedele.Si tratta di un intervento sostanzialmente omogeneo - nonostante la recente proposta di scorporare l'esecuzione del registro inferiore della scena guerresca (Gaborit, 1993) -, caratterizzato dall'uso di una ristretta tavolozza di ocre alternate in larghe campiture al fondo bianco a risparmio e da figure giustapposte all'apparecchio dipinto, in particolare nella parete orientale e in quella occidentale, da datare tra la fine del sec. 12° (Deschamps, Thibout, 1951) e l'inizio del successivo (Demus, 1969).
Nel corso del Duecento e nei primissimi anni del Trecento il graduale aggiornamento dei motivi ornamentali, rilevabile per es. ad Auzon (Poitou, dip. Vienne) e Coulommiers (Ile-de-France, dip. Seine-et-Marne), e la presenza di stilemi regionali non sembrano tuttavia incrinare una sorta di compattezza, determinata dall'adozione di un colorismo sempre contenutissimo e dalla ricorrenza di alcuni nuclei tematici riconducibili alla devozione dei T. alla Vergine - attestata in alcune commende dalla scena dell'Incoronazione (Ruou in Provenza, dip. Var; Neuilly-sous-Clermont in Ile-de-France, dip. Oise) e dell'Ascensione (Lagrave d'Ambarès in Guienna e Guascogna, dip. Gironde) - o agli apostoli raffigurati, a ridosso della soppressione, nella cappella dedicata a Santa Caterina a Mercey (Borgogna, dip. Saône-et-Loire), vestiti dell'abito dell'Ordine.Pur attingendo a un repertorio tradizionale - Annunciazione, Psicostasia, Giudizio universale, S. Giorgio e il drago -, per la gran parte le scelte iconografiche denotano dunque rimandi topografici, agiografici e cultuali all'universo cavalleresco e al valore salvifico della crociata, solo di rado trattato esplicitamente con soggetti militari, come il perduto combattimento di Breil-aux-Francs (Maine, dip. Mayenne; Deschamps, 1947).Non mancano naturalmente soluzioni più convenzionali, quali la Maiestas Domini circondata dal tetramorfo nei catini absidali di Artins, Auzon, Ruou, Villemoison (Nivernese, dip. Nièvre) e Sant Andreu de Cal Pallot (Berguedà; Fusté, Serra, 1982) o pannelli con episodi delle vite di santi.Nella seconda metà del sec. 13° un vero e proprio martirologio occupò le pareti della cappella di Paulhac (Marche, dip. Creuse), dove le scene di supplizio si avvalgono di una composizione essenziale, vivacizzata da gesti teatrali e da accostamenti di pochi colori puri, con esiti prossimi alle vetrate con le Storie di s. Radegonda nella basilica di Sainte-Radegonde nella vicina Poitiers. Sempre alla pittura su vetro rimanda inoltre l'impaginazione dell'albero di Iesse e dei lavori dei Mesi nello sguincio della lancetta della parete di fondo.Quest'ultimo soggetto aveva già fatto la sua comparsa ad Artins e a S. Maria del Priorato a Roma (Montini, 1959), rivelando come temi profani o allegorici, quali calendari, psicomachie e bestiari, divenissero, nella loro accezione moralizzata, nel corso del Duecento un ulteriore orizzonte di riferimento, unitamente all'elaborazione di un vocabolario segnico di ascendenza cistercense.La contaminazione di questi due generi è chiaramente avvertibile a Montsaunès (Guascogna, dip. Haute-Garonne), dove l'ampia navata della chiesa di Saint-Christophe è rivestita di una decorazione quasi esclusivamente giocata sull'uso dell'ocra rossa su intonaco chiaro, restituendo una bicromia che riecheggia l'alternanza dei materiali costruttivi. La dissimulazione tra pittura e scheletro murario è inoltre amplificata dalla complessa trama di architetture dipinte sulle pareti, con una scansione organizzata in grandi archeggiature e riquadri contenenti finti drappi e motivi geometrici.All'interno di questa rigida griglia si dispone, secondo una logica combinatoria di difficile decrittazione, un repertorio inesauribile di iconemi quali croci, crismi, fioroni e di elementi simbolici tratti dalla zoologia fantastica, nonché scene di caccia, il Giudizio universale, Adamo ed Eva, e una galleria continua di profeti, apostoli e santi all'attacco della volta. Anche la copertura ripropone poi, entro un cielo stellato, complesse combinazioni di dischi, crismi e astri, suggerendo che l'intero complesso costituisca una sorta di gigantesca cosmografia e che i reticoli e le intersezioni di figure piane compongano diagrammi analoghi a quelli usati nella decorazione dei manoscritti astrologici.L'uso di schemi grafici ricorre, in particolare sull'arcone, anche in S. Bevignate a Perugia (v.), che conserva resti imponenti di un articolato cantiere pittorico avviato probabilmente intorno al settimo decennio del sec. 13°, in sequenza rispetto alla fabbrica architettonica. L'affollarsi di soggetti agiografici, devozionali, teofanici e soteriologici entro una modulazione parietale rigorosamente scandita da corsi di conci dipinti, cornici geometriche ed elementi segnici trova un tratto semantico unitario nell'enfasi con cui vengono rappresentati la minaccia musulmana e l'impegno profuso dai T. nel contrastarla, esplicitato dalla battaglia della controfacciata. La decorazione, malgrado l'apparente eterogeneità, mostra dunque come il coinvolgimento della commenda perugina nei fermenti religiosi e nei percorsi cultuali della città, ovvero pratiche di flagellazione e canonizzazione di Bevignate, non impedisse di riassorbire tali stimoli entro un programma che per tematiche e scelte formali si qualifica come specificamente templare.Un complesso di grande interesse per la riproposizione di gran parte del repertorio fin qui incontrato doveva essere inoltre costituito dalla presunta sala capitolare della commenda di Metz (Lorena, dip. Moselle), demolita nel 1904. Alcune testimonianze grafiche e narrative (Saulcy, 1834-1835; Cussy, 1846) restituiscono, seppur in modo parziale, l'originalità di un ambiente rivestito interamente da architetture dipinte e motivi geometrici entro cui trovavano posto soggetti allegorici, temi morali, episodi vetero e neotestamentari, citazioni del Physiologus e duelli di cavalieri, il tutto eseguito con ocre e grigi su fondo chiaro, stesi in campiture piatte che risolvevano in un puro e raffinato gioco di superficie anche le aggiornatissime componenti architettoniche, con un effetto finale che Viollet-le-Duc (1864) accostava efficacemente a quello di un geroglifico.All'interno della produzione scultorea dei regni latini d'Oriente grande rilevanza ha assunto negli ultimi decenni l'individuazione di un gruppo consistente di opere omogenee per desinenza stilistica, ricondotte a una 'bottega dell'area del Tempio', che ha preso il nome dalla circostanza del ritrovamento di un gran numero di pezzi, quasi tutti erratici o reimpiegati, nella spianata del Tempio di Gerusalemme. Si tratta di prodotti caratterizzati da composizioni affollate di motivi classicheggianti, resi con grande risalto plastico e levigatezza delle superfici, sui quali è sorto un vivace dibattito critico per l'accertamento della cronologia e dell'eventuale rapporto di precedenza rispetto ad analoghi esiti di classicismo nell'Italia meridionale. Malgrado il ritrovamento nel castello templare di Latrun in Giudea di capitelli attribuibili a tale atelier (Istanbul, Arkeoloji Müz.) e la possibilità che questo sia stato impegnato nei cantieri legati alla sede gerosolimitana dell'Ordine, posta appunto sulla spianata, il riconoscimento delle medesime caratteristiche in un ambito molto più vasto di committenza qualifica dunque la produzione della bottega dell'area del Tempio come un capitolo organico alla storia dell'arte dei crociati (v.).Per quanto attiene l'Europa, allo stato attuale delle conoscenze, va registrato un panorama ancor più disgregato che per la pittura; oltre a una copiosa presenza di scultura architettonica, che sembra risentire tuttavia dei rispettivi modi regionali, si conoscono pochi complessi rilevanti, tra i quali spicca certamente la cappella di Ydes (Alvernia, dip. Cantal), databile alla fine del sec. 12° (Saunier, 1991), con il suo ricco corredo di capitelli e mensole scolpite e, soprattutto, l'avancorpo con rilievi raffiguranti l'Annunciazione e Daniele nella fossa dei leoni.Il monumentale portale di Saint-Eliphe a Rampillon (Ile-de-France, dip. Seine-et-Marne) conferma invece il riferimento alle prime cattedrali rayonnantes già riconosciuto (Cadei, 1995) per l'edificio, che in realtà non appartenne propriamente ai T., pur avendo con essi dei forti legami, ribaditi dal rinvenimento al suo interno di pietre tombali con l'insegna dell'Ordine (Carlier, 1930).In deroga ai precetti che imponevano un sepolcro disadorno, non mancano lastre che recano incisa la figura giacente, abbigliata con gli elementi distintivi del grado e del casato del defunto, come quelle rinvenute a Coulommiers (ora a Rouen, Mus. Dép. des Antiquités de la Seine-Maritime; Filloux, 1982), Roche (Poitou, dip. Vienne; la Bouralière, 1901), Barletta (Mus. Civ.; Tommasi, 1994) e nelle Fiandre (Dailliez, 1978).Una concessione all'autorappresentazione è ribadita anche dalla lunetta del portale della cappella di Saulce-d'Islande (Borgogna, dip. Yonne), con due cavalieri genuflessi ai lati della Vergine, e dalle vetrate eseguite nella seconda metà del Duecento per le perdute cappelle di Sainte-Vaubourg (Normandia, dip. Seine-Maritime; in parte ricomposte nella vicina parrocchiale di Hautout-sur-Seine) e di Saint-Etienne-de-Renneville (Normandia, dip. Seine-Maritime), dove erano ritratti i principali membri della precettoria di Normandia (Laffond, 1953; Miguet, 1995).
Bibl.: L. de Saulcy, Notice sur l'oratoire des Templiers de Metz, Mémoires de l'Académie royale de Metz 16, 1834-1835a, pp. 436-445; id., Peintures à fresques du XIVe siècle existant à la citadelle de Metz, ivi, 1834-1835b pp. 446-456; V. de Cussy, Visite des monuments de Metz, CAF 13, 1846, pp. 113-121; J. de Pétigny, Histoire archéologique du Vendômois, Paris 1849; s.v. Peinture, in Viollet-le-Duc, VII, 1864, pp. 56-109: 94; A. de la Bouralière, Deux souvenirs des Templiers, Bulletin de la Société des antiquaires de l'Ouest, s. II, 9, 1901, 1, pp. 38-50; A. Carlier, L'église de Rampillon, Paris 1930; P. Deschamps, Combats de cavalerie et épisodes des Croisades dans les peintures murales du XIIe et du XIIIe siècle, in Miscellanea Guillaume de Jerphanion (Orientalia christiana periodica, 13), Roma 1947, pp. 454-474; M. Thibout, A propos des peintures murales de la chapelle Sainte-Catherine de Montbellet (Saône-et-Loire), BMon 108, 1950, pp. 85-89; P. Deschamps, M. Thibout, La peinture murale en France, le Haut Moyen Age et l'époque romane, Paris 1951; J. Laffond, Le vitrail en Normandie de 1250 à 1300, BMon 111, 1953, pp. 317-358; H. Domy, Les peintures murales de l'église templière Notre-Dame à Lagrave d'Ambarès, Bulletin et mémoires de la Société archéologique de Bordeaux 59, 1954-1956, pp. 17, 96-99; J. Laffargue, Les peintures templières de Montsaunès, "Actes du deuxième Congrès international d'études pyrénéennes, Louchon-Pau 1954", VI, 5, Paris 1957, pp. 43-50; R.U. Montini, Santa Maria del Priorato (Le chiese di Roma illustrate, 53), Roma [1959]; P. Deschamps, M. Thibout, La peinture murale en France au début de l'époque gothique, Paris 1963; O. Demus, Romanische Wandmalerei, München 1968 (trad. it. Pittura murale romanica, Milano 1969); J. Schelstraete, La commanderie de Coulommiers, Paris 1970; H. Baptiste, La commanderie des Templiers sur Coulommiers, Architecture, mouvement, continuité 22, 1971, pp. 15-27; L. Dailliez, Les Templiers. Flandre, Hainaut, Brabant, Liège, Nice 1978; P. Augé, J. Laffargue, L'église des Templiers de Montsaunès, Revue de Comminges 94, 1981, 3, pp. 557-560; P. Augé, L'église dex Templiers de Montsaunès, ivi, pp. 723-733; id., Les fresques du 16e siècle en l'église de Montsaunès, ivi, 95, 1982, 1, pp. 79-83; R. Filloux, Costumes, armes et harnois des frères du Temple, Paris 1982; R. Fusté, R. Serra, Les pintures murals de Sant Andreu de Cal Pallot, Quaderns d'estudis medievalis 7, 1982, pp. 442-448; Templari e Ospitalieri in Italia. La chiesa di San Bevignate a Perugia, Milano 1987; G. Dickson, The Flagellants of 1260 and the Crusades, Journal of Medieval History 15, 1989, pp. 227-267; F. Saunier, Une fondation des Templiers en Haute Auvergne: Saint-Georges d'Ydes, Sprawozdania. Poznanskie Towarzystwo Przyjaciól Nauk. Wydzial nauk o sztuce 108, 1991, pp. 51-65; M.L. de Contenson, Montbellet, in D'ocre et d'azur. Peintures murales en Bourgogne, cat., Dijon 1992, pp. 230-231; M. Gaborit, La commanderie de Cressac, in Les peintures murales de Poitou-Charentes, a cura di B. Brochard, Y.J Riou, Saint-Savin-sur-Gartempe 1993, pp. 78-79, 153; F. Tommasi, Fonti epigrafiche dalla Domus Templi di Barletta per la cronotassi degli ultimi maestri provinciali dell'ordine nel regno di Sicilia, in Militia Sacra. Gli ordini militari tra Europa e Terrasanta, a cura di E. Coli, M. De Marco, F. Tommasi, Perugia 1994, pp. 167-202; A. Cadei, Architettura sacra templare, in Monaci in armi. L'architettura sacra dei Templari attraverso il Mediterraneo, a cura di G. Viti, A. Cadei, V. Ascani, Certosa di Firenze 1995, II, pp. 15-173; M. Miguet, Templiers et Hospitaliers en Normandie (Comité des travaux historiques et scientifiques. Mémoires de la section d'archéologie et d'histoire de l'art, 6), Paris 1995; C. Andrault-Schmitt, Creuse. Les peintures murales de Paulhac (Saint-Etienne-de-Fursac), BMon 154, 1996, pp. 167-173; A. Demurger, Vita e morte dell'ordine dei Templari, Milano 1996; J.L. Aubarbier, M. Binet, Les sites templiers de France, Rennes 1997; C. Davy, V. Juhel, G. Paoletti, Les peintures murales de la Vallée du Loir, Vendôme 1997; G. Curzi, La pittura dei Templari in Europa: suggestioni cistercensi, in Il monachesimo cistercense e l'Europa (in corso di stampa); C. Pantanella, San Bevignate a Perugia: tangenze della pittura paleologa in Italia, in L'arte bizantina nel tempo dei Paleologi e i suoi rapporti con l'Italia (in corso di stampa).G. Curzi