RUBATO, TEMPO
. Nella terminologia musicale questa locuzione designa un movimento condotto con una certa libertà in rapporto ai valori rigorosamente determinati dalle figurazioni. Le origini di questo modo d'interpretazione sono state e sono ancora variamente discusse. È però difficile accettare la stessa proposta d'un simile problema, in quanto l'interpretazione musicale è libera a priori, non appena la si consideri come fatto artistico. E del resto alcunché di simile al rubato appare ad ogni momento nel canto (e nella danza) di popolo: rallentare, accelerare, sostare su questa o quella nota con l'elasticità tipica del rubato, tutto ciò è nella pratica comune dell'ingenuo interprete popolaresco. Il che è stato del resto anche studiato particolarmente (Hornbostel) nell'esecuzione musicale presso genti primitive e nella pratica di civiltà musicali estranee all'europea: specie orientali; né soltanto nell'assolo ma in complessità vocale-strumentale, fino a potersi parlare di un "contrappunto di ritmi". Nella storia della pratica musicale europea tale stilema ricompare abitualmente, né potrebbe essere altrimenti, se consideriamo, con A.H. Fox-Strangways, che naturalmente "... [the] difference of affection is expressed by altering slighty the duration".
Se dall'inconsapevole pratica si voglia passare alla stilizzata, si scorgono manifestazioni di simile libertà di movimento, avviate ognuna più costantemente in questo o in quell'orientamento a seconda dei tempi e delle scuole. Elasticità di movimento si doveva dare, e abbastanza sensibile, già nella recitazione intonata delle antiche civiltà orientali e classiche (p. es., nell'epica greca), e forse in quella della salmodia cristiana. L'incompiutezza delle nostre nozioni circa le stesse basi della ritmica cristiana ci impedisce però di formulare ipotesi circa questo stilema, che è d'ordine ritmico. Ma nella monodia moderna, dall'ultimo decennio del sec. XVI in poi, il recitativo è trattato, ritmicamente, proprio con tale elasticità. E. del Cavaliere e i Fiorentini si studiano, sì, di notare in esplicita figurazione i valori ritmici del recitativo, ma per la più sottile aderenza al corso del linguaggio s'affidano ad una interpretazione libera (Bardi). C. Monteverdi ed altri scrivono talvolta recitativi "senza battuta", e monteverdiana è la prescrizione del "tempo dell'affetto dell'animo e non quello della mano... "Visibile dunque, già nel "recitar cantando" della prima monodia vocale moderna, questo stilema è subito introdotto consapevolmente anche nella pratica strumentale; tra l'altro, lo vediamo richiesto da G. Frescobaldi nella prefazione del Primo Libro di Capricci, ecc. (1624); documento importante in quanto non si riferisce all'elasticità ritmica di un recitativo o comunque d'un passo vocale (nel quale caso il principio del rubato può essere un ritorno allo stato per così dire premusicale, cioè al parlare comune), ma a quella d'un passo strumentale, che al rubato si appella per impulsi d'ordine puramente musicale. Non si tratta dunque più di favorire la comprensione e il rilievo espressivo di certe parole intonate, ma di realizzare la stessa volontà d'una melodia o di una polifonia. Mancando la quale realizzazione, sarà falsato il senso di quella melodia e di quella polifonia. L'esecuzione in rubato diviene così un costituente intimo e necessario dell'idea musicale. E in questo modo essa comprova la sua legittimità estetica, come nella musica strumentale, a fortiori nella vocale, siavi o non un esteriore appiglio a eventuali utilità per la declamazione. Così avviato, questo stilema si sviluppa, durante il secondo Seicento e quasi l'intero Settecento, fino a varcare, presso i cantanti specialmente, i confini dell'espressione estetica: P.F. Tosi nelle sue Opinioni, ecc. (1723), ne rimpiange la vecchia moderazione e specialmente la limitazione a una sola parte per volta, mentre osserva che la nuova contemporaneità nelle diverse parti (per es., tra i soli di canto e i soli d'orchestra) viene a produrre una caotica incertezza nel ritmo basilare.
E infatti - se una certa duttilità nel passaggio da nota a nota nei limiti della battuta (p. es., un lieve ritardo nell'attacco di alcune note, come sembra praticassero i cantanti italiani tra il Sei e il primissimo Settecento) altro non fa che esplicare quell'intimo nucleo propriamente ritmico che sempre va ricercato oltre la materiale e approssimativa divisione - ben altra doveva essere la conseguenza d'una commistione tra piede e piede del verso musicale: vera soppressione, cioè, della sintassi ritmica che è ragione, poi, dell'intera composizione. Ma nella sua figura positiva - cioè quella di esplicazione, magari lievemente spinta, dell'interior nucleo ritmico, il rubato è ammesso nella pratica di maestri quali G. F. Haendel e J. S. Bach. I cantori solisti dovevano, quivi, "rubare" il movimento della melodia entro i limiti del fraseggio segnati dalla scansione del basso, la quale scansione restava rigorosa. Elasticità di natura per eccellenza ideale, inaccessibile a qualsiasi notazione e quindi possibile - senza danno - unicamente in regime solistico: contro l'aritmia lamentata dal Tosi si leva ora J. J. Quantz, chiedendo "un accompagnamento semplice, affinché i solisti possano giovarsi delle bellezze del rubato e della variazione per fioriture". Alla quale sorta di variazione si volge anche J. A. Hiller, ammettendo quella che "mit eben denselben Noten eine blosse Verrückung des Zeitmasses [vornimmt]". Così, come è praticato da Ph. E. Bach (cioè soltanto nel corpo della misura, gli estremi ristabilendo l'ordine ritmico), ritroviamo tale stilema in funzione presso i maestri del nuovo stile discorsivo, da F. Benda (specialmente nelle cadenze solistiche e nelle zone melodico-fiorite degli Adagi) a W. A. Mozart. Un certo dubbio può rimanere però circa l'applicazione del rubato presso Mozart: secondo G. N. Nissen il maestro lo evitava nelle zone in adagio, per non violare la chiarezza del fraseggio melodico. La testimonianza del Nissen, buona fonte biografica, è certo fondata su qualche cosa di vero, ma il rubato come lo intendeva il Mozart (libero cantabile su rigorosa scansione del basso) non poteva condurre necessariamente a tale violazione. Ché anzi ne vediamo la legittimità presso lo Chopin, il quale serbava appunto al rubato la stessa figura che abbiam veduto da J. S. Bach a W. A. Mozart. L'importanza del rubato assurge con F. F. Chopin a tale livello da rendere qui opportuna una sosta: Secondo H. Berlioz "Chopin supportait mal le frein de la mesure... il a poussé beaucoup trop loin... l'indépendance rythmique", ma questa opinione non è stata sostenuta che dal solo Berlioz; mentre i giudici in proposito più competenti, come I. Moscheles, R. Schumann, F. Liszt, G. Mathias, ecc., o approvano entusiasticamente il rubato chopiniano o addirittura insistono proprio sulle proprietà ritmiche di esso. Dal Moscheles, pianista tra i più castigati e severi, intanto sappiamo che il chopiniano "jeu ad libitum, qui chez ses interprètes devient un manque de mesure, n'est chez lui que la plus charmante originalité"; da G. Mathias, esponente, in ciò, di quanto concordemente ritengono gli allievi di Chopin, sappiamo che il maestro "demandait souvent qu'en même temps il y eût dans la partie musicale accompagnante rigoureux maintien du mouvement, et dans la partie chantante, liberté d'expression comportant altération du temps" e il Mathias soggiunge esser ciò "très faisable: on est en avance, on est en retard, les deux mains ne sont pas en valeur; il se fait des compensations qui rétablissent l'ensemble". Sempre secondo questo testimone, lo Chopin consigliava il rubato anche per alcune pagine di C. M. v. Weber: 2ª sonata, passo in la-b del Concertstück, ecc. Frequentemente il maestro ripeteva agli allievi il seguente curioso insegnamento "Que votre main gauche soit votre maître de chapelle et garde toujours (oppure à qui ne peut pas manquer) la mesure; faites de votre main droite ce que vous pourrez". F. Liszt, tra l'una e l'altra delle sue mirifiche immagini romantiche (p. es., "temps dérobé, entrecoupé, mesure souple, abrupte et languissante à la fois, vacillante comme la flamme sous le souffle qui l'agite..." "trépidation, par laquelle [Chopin] faisait toujours onduler la mélodie comme un esquif sur le sein de la vague puissante" i o anche più: "Supposez un arbre que le vent fait ployer. Entre ses feuilles passent les rayons du soleil, et la lumière tremblotante qui en résulte, c'est le rubato" avverte che lo Chopin non per altro smise la didascalia Rubato nelle sue tarde composizioni se non per il suo convincimento che "... si on en avait l'intelligence, il était impossible de ne pas deviner cette règle d'irrégularité" e prosegue estendendo l'obbligo di "cette sorte de balancement accentué et prosodié, dont il est difficile de saisir le secret si on ne l'a pas souvent entendu lui-même" a ogni esecuzione d'opere chopiniane. Secondo il Liszt, Chopin "semblait désireux d'enseigner cette manière à ses nombreux élèves; surtout à ses compatriotes auxquels il voulait, plus qu'à d'autres, communiquer sa méthode d'exécution". Tutte le quali parole del Liszt vanno probabilmente intese con una certa discrezione da quanti non siano tanto maturi e profondi analisti della frase chopiniana da potersi arrischiare a tanto audaci realizzazioni. A tale estensione oltre i limiti della singola frase melodica - estensione del resto forse voluta più dal Liszt che dallo Chopin (cfr. i passi dianzi citati del Mosceles e del Mathias) - il rubato si volge durante il maturo e tardo sec. XIX, con il corso del romanticismo germanico da Schumann (che indica le salienze del rubato anche con la didascalia ritmando) al Liszt e a R. Wagner, che però nelle loro partiture d'orchestra non possono conservare la didascalia rubato, troppo vaga e pericolosa (come avevano ammonito i Tosi e i Quantz già per "insiemi" tanto meno complessi) e son costretti a mutare incessantemente l'indicazione di movimento (movendo, poco ritardando, più ancora, ecc.) perfino nello spazio di due o tre misure. Autori moderni giungono, in tale ordine, al semplice inciso, giovandosi - oltre che di didascalie del genere - anche di simboli: p. es., il punto coronato su due o tre elementi dello stesso membro ritmico. Ma non mai è possibile identificare il risultato con quello della semplice didascalia rubato di cui si giovano gli assoli; appunto perché l'intervento di segni e simboli e ordinate successioni di didascalie varie, più si fa minuzioso, peggio contrasta quella libertà tutta soggettiva che è la stessa e unica esigenza del rubato.