Abuladze, Tengiz Evgen′evič
Regista cinematografico georgiano, nato a Kutaisi il 31 gennaio 1924 e morto a Tbilisi il 6 marzo 1994. Il suo stile si inquadra nella tipizzazione popolare e favolistica che caratterizza la cinematografia georgiana nell'ambito di quella sovietica. Le principali fonti d'ispirazione di A. (e anche di altri cineasti suoi connazionali, come Sergej I. Paradžanov e in parte Otar D. Ioseliani) sono infatti la cultura e la letteratura del suo Paese, imbevute di spirito medievale, di leggende millenarie provenienti dal folklore contadino, di misticismo. I suoi elementi distintivi sono il sentimento della natura e il gusto dell'arabesco, inseriti in un taglio narrativo a volte epico a volte lirico, cui si aggiunge un senso del realismo attento anche alle implicazioni civili. Insignito in patria con varie onorificenze, all'estero ricevette riconoscimenti in numerosi festival, come a Cannes nel 1956 e nel 1987, a Teheran nel 1965, a Londra nel 1975.
Dopo gli studi all'istituto teatrale Šota Rustaveli di Tbilisi (1943-1946), frequentò i corsi del VGIK, tenuti da maestri come Sergej I. Jutkevič, Lev V. Kulešov e Michail I. Romm. Fu Jutkevič a giudicare il suo saggio di diploma del 1953, Dmitrij Arakišvili, un documentario sulla vita del compositore georgiano. A. scelse un tema nazionale anche per la sua seconda prova di regia: un altro documentario, Gosudarstvennyj ansambl′ narodnogo tanca Gruzii (1954, Il complesso statale di danze popolari della Georgia), girato in collaborazione con un suo compagno di corso del VGIK, Revaz D. Čchejdze (nato nel 1926). Il suo primo film a soggetto fu Lurdža Magdany (1955, L'asino di Magdana), un lungometraggio poi ridotto alla durata di un'ora, tratto da un romanzo di E.R. Gabašvili e diretto anch'esso insieme a Čcheidze. Premiato a Cannes nel 1956, il film offrì al pubblico internazionale, che per la prima volta si avvicinava al cinema georgiano, una poetica favola giocata su un realismo fra lirico e comico, fra affettuosa e bizzarra caratterizzazione di personaggi locali (una vedova, due bambini e un asino) e aspra bellezza dei paesaggi. Già si svelava uno dei temi che avrebbero fatto da filo conduttore a tutte le sue prime opere: l'amore degli uomini per la terra e per le proprie radici, intese come fonti di vita autentica e come leggi morali senza le quali ogni identità rischia di perdersi. Un tema sviluppato anche in Čužie deti (1958, I figli altrui), per la prima volta firmato da solo, che fu tacciato dalla critica ufficiale di 'difetti ideologici'. Ambientato in una luminosa Tbilisi e fortemente influenzato dal cinema neorealista italiano (in particolare da Vittorio De Sica), è un film curiosamente 'silenzioso' (è per metà senza parole). Anche Ja, babuška, Iliko i Illarion (1963, Io, la nonna, Iliko e Illarion), tratto da un racconto di N.V. Dumbadze (che ne fu anche sceneggiatore, insieme con A.), tragicommedia particolarmente felice sul piano visivo, è un gustoso insieme di quadri di vita e di storia caucasici, permeato di commossa religiosità, antico spirito popolare e tradizioni liriche locali. L'idea dell'amore per la propria terra, filtrata questa volta attraverso le avventure eroicomiche di sapore medievale di un pover'uomo del Daghestan, è alla base anche di Ožerel′e dlja moej ljubimoj (1971, Una collana per la mia amata), tratto dall'omonimo racconto dello scrittore daghestano A. Abu-Bakar. Epico, visionario, burlesco, vicino ai canoni della commedia picaresca, il film mette in evidenza il perenne conflitto fra realtà e mito, pur nell'affermazione della continuità dei valori della tradizione nella realtà moderna. Dopo diversi cortometraggi e documentari, girati anche per la televisione, tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli Ottanta il lavoro creativo del regista si focalizzò su una trilogia ispirata al tema eterno della vittoria del bene sul male. I primi due film sono liberamente tratti dalle opere di due classici della letteratura georgiana: Mol′ba (1968, La supplica) dalle poesie del simbolista Važa-P'šavela, e Drevo želanija (1977; L'albero dei desideri) dai racconti 'contadini' di G.N. Leonidze. Molto lodati dalla critica internazionale, pluripremiati in patria e all'estero, meno amati invece dal pubblico sovietico e dalla critica ufficiale, i due film inaugurarono l'età matura del regista. Mol′ba è un film difficile, simbolico, quasi cifrato, una sorta di viaggio critico all'interno della vita e del mondo poetico di Važa-P'šavela: un mondo lontanissimo nel tempo e nello spazio, e restituito dalla splendida e sapiente fotografia di Aleksandr I. Antipenko. Drevo želanija tratta del susseguirsi delle stagioni in un villaggio nel periodo precedente alla rivoluzione ed è strutturato come una ballata densa di sapore popolare e di carattere nazionale. Ma il film-evento della maturità di A. fu l'ultimo della trilogia, Pokajanie (Pentimento), di cui fu anche soggettista, sceneggiatore e montatore. Forse non è il suo miglior film, ma senz'altro quello in cui il regista investì maggiormente, e il primo veramente significativo per il nuovo corso gorbačëviano. Opera di denuncia senza appelli né giustificazioni dei crimini staliniani e del loro occultamento nell'epoca successiva, è narrata in chiave altamente simbolica e allegorica. Scritto nel 1981, Pokajanie poté essere girato solo all'inizio del 1984, in condizioni molto difficili. Ne venne però impedita la distribuzione, e quasi tutte le copie stampate furono distrutte. Dopo l'ascesa al potere di M.S. Gorbačëv nel 1985, fu E.A. Ševardnadze, ex primo segretario del partito comunista georgiano e in quel momento ministro degli Esteri nel governo sovietico, a sostenere la causa di un film che avrebbe fatto epoca, e a districarlo dalle maglie della censura. Pokajanie fu infine proiettato, nell'ottobre 1986 in Georgia e nel gennaio-febbraio 1987 a Mosca. In diciassette sale cinematografiche della capitale dell'URSS, folle di spettatori (tre milioni in due mesi), soprattutto giovani, seguirono, in un silenzio commosso, la favola surreale del cadavere del dittatore disseppellito in continuazione da una delle sue vittime. Il dittatore era la personificazione di tutti i grandi tiranni, ma adombrava soprattutto L.P. Berija, il georgiano a capo della polizia politica di Stalin dal 1938 al 1953. Presentato anche all'estero, in quello stesso anno il film ricevette diversi premi al Festival di Cannes, tra cui il Grand prix spécial du jury. L'ultimo film di A., Hadži-Murat (1989), è invece tratto dall'omonimo racconto di L.N. Tolstoj.
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