TENORE
. Nell'antica polifonia, per voce di tenore (tenor) s'intendeva, come dice l'etimologia del vocabolo, quella che teneva la melodia principale e cui si sovrapponeva (sec. XII) il discantus. Più tardi si aggiunse una terza voce (contratenor) che alla sua volta, suddividendosi in due, una superiore e una inferiore al tenor, diede origine, da un lato all'altus, dall'altra al bassus. Successivamente il vocabolo tenore passò a significare la più alta delle voci virili. La sua estensione normale va dal mi1 al si2, ma può talvolta scendere fino al do1 e salire fino al do3, e anche al do diesis. Si distinguono i tenori leggieri o di grazia dai tenori di forza o drammatici, i primi dei quali hanno voce più chiara, più agile, più adatta alle sfumature della mezza voce e più estesa, sì da salire facilmente agli acuti, mentre gli altri hanno voce più robusta e più forte, che nelle note centrali assume anche carattere baritonale, come vi sono baritoni che hanno voce tenoreggiante. Sebbene talora meno estesa di quella dei tenori leggieri, anche la voce di quelli drammatici può, in alcuni artisti, salire fino alle note più acute.
Per dare, fra i tanti, qualche esempio di parti da tenore leggiero e di parti da tenore drammatico, citeremo, fra le prime, quella di Almaviva nell'opera del Rossini Il barbiere di Siviglia, quella di Elvino nella Sonnambula del Bellini e, generalmente, quasi tutte quelle delle opere buffe o semi serie: fra le seconde, quella di Edgardo nella Lucia di Lammermoor del Donizetti, quella di Manrico nel Trovatore del Verdi, di Otello nell'omonima opera verdiana, ecc. Le parti di Arnoldo nel Guglielmo Tell del Rossini, di Raoul negli Ugonotti del Meyerbeer, di Eleazaro nell'Ebrea dell'Halévy, scritte per il tenore di grazia Adophe Nourrit, che eseguiva in falsetto le note più acute, furono poi trasformate in parti da tenore di forza dal tenore Duprez che v'introdusse un do di petto: il che fece poi anche il tenore romano Tamberlick che, inoltre, in un duetto dell'Otello del Rossini prendeva di petto il do diesis.
Nelle opere teatrali la voce di tenore assunse grande importanza soltanto quando venne a cessare la mostruosità dei cantanti evirati: perciò non è facile accertare quali dei famosi cantanti del Settecento fossero veramente tenori e quali sopranisti evirati. Per la qualità della voce e spesso anche per l'aspetto fisico, nei melodrammi è affidata al tenore la parte del giovane amante, mentre il baritono impersona per lo più la figura del marito ingannato o geloso. In confronto con l'abbondanza delle voci di soprano, di baritono, di basso, quelle di tenore sono assai più rare e perciò più preziose.
Ricordiamo, tra i più famosi tenori italiani del secolo scorso e di questo attuale, il Rubini, il Reina, il Donzelli, Mario de Candia, il Moriani, il Baucardé, il Nozzari, il Bordogni, il Davide, il Bonfigli, il Mirate, il Tacchinardi, il Tamberlick, il Graziani, il Giuglini, il Fraschini, il Tiberini, il Roppa, il Capponi, il Fancelli, il Montanaro, il Vincentelli, il Poggi, il Partini, il Prudenza, il Balterini, il Villani e poi, sempre a noi più vicini, il Masini, lo Stagno, il Tamagno, il Marconi, il De Lucia, il Barbacini, il Borgatti, lo Zenatello, il Beduschi, il Vignas, l'Oxilia, il Bonci, il Caruso, il Garbin, il Bassi, il De Muro, il Pertile, il Martinelli, il Gigli, il Lauri Volpi, lo Schipa; e, tra gli stranieri, il Garcia, il Duprez, il Nourrit, il Nandin, Giovanni De Retullé, il Nicolas (noto sotto il nome di Niccolini), il Gayarre, il Rousselière, l'Ivanov, ecc.
Per analogia il termine tenore si applica atresì ad alcuni strumenti, l'estensione dei quali si aggira, a un dipresso, entro i limiti della voce tenorile umana. Già, in antico, quando gli strumenti avevano le loro famiglie, corrispondenti alle quattro voci umane, uno di essi si chiamava tenore (es.: viola-tenore). Ma anche oggi abbiamo, tra gli strumenti a fiato, il flicorno-tenore, il trombone-tenore, il saxofono-tenore.