Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il pensiero pedagogico dell’Ottocento è caratterizzato da alcune tematiche ricorrenti: è molto sentito, innanzitutto, il tema della scolarizzazione e della riforma dei curricoli scolastici, con attenzione alla dimensione del lavoro, a quella dell’educazione a contatto con la natura, alla dimensione estetica. Si amplia, inoltre, la categoria dei soggetti educativi, con la scoperta di bisogni e interessi della prima infanzia e dell’educabilità dei disabili. Emerge, infine, l’attenzione alla funzione ideologica dell’educazione e alla dimensione teorica e metodologica della pedagogia.
Caratteri generali del pensiero pedagogico dell’Ottocento
I notevoli mutamenti economici, sociali, politici che attraversano l’Ottocento incidono fortemente sul dibattito pedagogico e sulle esperienze educative del secolo: in particolare, il fenomeno dell’industrializzazione e quello dei moti di liberazione nazionale provocano interrogativi relativi all’educazione dei lavoratori e alla formazione di futuri cittadini. Il pensiero pedagogico è, quindi, attraversato da alcune tematiche ricorrenti: innanzitutto è fortemente sentito il dibattito sulla scolarizzazione, tema che aveva dato luogo, alla fine del Settecento, a proposte e riforme. A questo tema si riconnette quello dell’ampliarsi della categoria dei soggetti educativi, poiché, da un lato, molte proposte pongono al centro dell’attenzione l’educazione della prima infanzia; dall’altro emergono riflessioni sia sul ruolo delle donne sia sulla possibilità di recupero dei soggetti disabili o svantaggiati.
Le riflessioni sull’istituzione scolastica e sui soggetti educativi causano, infine, anche considerazioni molteplici sui curricoli formativi: da un lato, infatti, emerge l’istanza di introdurre una preparazione meno libresca e più connessa con il fare; dall’altro, il lavoro diviene uno dei temi centrali della riflessione pedagogica; dall’altro ancora, si afferma con urgenza anche il tema della formazione come processo che deve avvenire seguendo le leggi della natura e a contatto con la natura. A queste riflessioni, si affiancano, infine, i primi interrogativi sui fondamenti epistemologici e metodologici della pedagogia e sulla necessità di una pedagogia sperimentale, interrogativi che troveranno piena e articolata risposta nel Novecento.
Queste tematiche, che attraversano il pensiero pedagogico dell’Ottocento europeo, trovano declinazioni differenti a seconda dell’area geografica considerata.
Johann Heinrich Pestalozzi
Numero, forma e linguaggio
Come Gertrude istruisce i suoi figli
Un giorno mentre mi affaticavo nei miei tentativi o piuttosto mi lasciavo portare dai sogni e dalle fantasie sull’argomento che mi interessava, mi venne fatto di pensare quale è di fatto e quale deve essere il procedimento di un uomo colto che voglia nettamente analizzare e rendersi a poco a poco chiaro un oggetto che gli si presenta dapprima confuso innanzi agli occhi.
Egli volgerà e dovrà volgere il suo esame ai seguenti punti:
1) quanti sono gli oggetti che stanno innanzi a lui e di quante specie;
2) qual è il loro aspetto: quale la loro forma e il loro contorno;
3) come si chiamano; con quale suono, con quale parola possono venir richiamati alla memoria.
Evidentemente perché quest’esame abbia un esito occorre che un tal uomo possegga pienamente queste facoltà:
1) la facoltà di afferrare la forma di oggetti diversi e di rappresentarne il contenuto;
2) la facoltà di distinguere questi oggetti numericamente e di rappresentarseli in modo determinato come unità o come molteplicità;
3) la facoltà di accrescere l’impressione rappresentativa di un oggetto, nelle sue proprietà numeriche e formali, e di fissarla indelebilmente per mezzo della parola.
Io conchiusi allora: numero, forma e linguaggio sono, insieme, i mezzi elementari dell’insegnamento in quanto tutta la somma delle altre proprietà esteriori di un oggetto si raccolgono nella cerchia del suo contorno e nelle relazioni delle sue proprietà numeriche, e vengono assimilate dalla mia coscienza per mezzo delle lingua. L’arte didattica deve dunque fissare come legge immutabile dell’insegnamento quella di partire da questo triplice fondamento nel modo seguente:
1) insegnare ai fanciulli a considerare ogni oggetto di cui abbiano coscienza come unità, cioè come distinto da quelli con cui sembra unito;
2) insegnar loro a riconoscere la forma di ciascun oggetto, cioè le sue misure e le sue proporzioni;
3) render loro, il più presto possibile, famigliare l’insieme delle parole e dei nomi degli oggetti da loro riconosciuti.
Se dunque l’insegnamento dei fanciulli deve partire da questi tre punti elementari, è chiaro che la prima cura dell’arte didattica deve esser rivolta a dare a questi tre elementi la massima semplicità, estensione e reciproca armonia.
J.H. Pestalozzi, Come Gertrude istruisce i suoi figli, trad. it. di A. Banfi, Firenze, La Nuova Italia, 1929
La pedagogia inglese e l’educazione popolare
L’Inghilterra costituisce il Paese europeo dove la realtà educativa si presenta come altamente drammatica: molti pensatori prendono quindi in considerazione il vistoso e complesso problema della necessità o meno di educare e istruire le masse lavoratrici; d’altro canto, le esperienze di istruzione di una popolazione infantile così numerosa e così misera pongono interrogativi connessi con l’organizzazione delle attività scolastiche e con il curricolo proposto. Già alla fine del Settecento e nei primi decenni dell’Ottocento si diffondono alcune esperienze interessanti, che avranno larga eco anche in altri Paesi europei: in particolare, sia il pastore anglicano Bell sia il quacchero Lancaster, propongono il metodo del mutuo insegnamento, come possibile soluzione per favorire l’apprendimento e per facilitare la disciplina. All’interno di questo metodo, alcuni ragazzini più grandi e più preparati svolgono la funzione di monitore e la numerosissima scolaresca è suddivisa in gruppi condotti dal monitore stesso, in modo da poter organizzare capillarmente le attività e controllare la disciplina. In questo contesto, la proposta pedagogica più significativa è costituita dalle riflessioni e dall’esperienza di Robert Owen, che prospetta la possibilità di combinare i vantaggi della produzione industriale con la necessità di un’organizzazione sociale migliore. L’idea di Owen è di fondare una sorta di “colonia modello”, al cui interno non c’è separazione fra comunità agricola e comunità industriale e il lavoro, che è uno strumento per attuare un nuovo mondo morale, è alternato allo studio. Dopo aver realizzato una comunità secondo questi principi a New Lanark e aver ottenuto non solo ottimi risultati dal punto di vista sociale, ma anche dal punto di vista dei profitti, nel 1822 espone i suoi intendimenti nell’opera Nuovi punti di vista della società sopra la formazione del carattere umano: Owen sottolinea l’importanza dell’ambiente sociale nella formazione del carattere umano, la necessità di riformare la società e di attuare un progetto di educazione nazionale centrato su un’educazione politecnica. Questi principi ispirano l’organizzazione di New Lanark, dove l’educazione è uguale per tutti e avviene in edifici ampi e funzionali, dotati di refettorio e infermeria. Il curricolo scolastico è suddiviso per fasce d’età: fin dai diciotto mesi i bambini possono usufruire di un asilo; dai due ai cinque anni di una scuola materna e a partire dai sei anni accedono alla scuola primaria; dopo i dieci anni, lo studio è alternato con il lavoro in officina, con la finalità di creare sane abitudini morali e di offrire un’istruzione utile. I corsi serali sono invece aperti a ragazzi più grandi, poiché la formazione deve essere rivolta a tutti, senza distinzione di sesso e di età. Le discipline comprese nel curricolo sono storia, geografia, chimica, astronomia, presentate ai bambini a seconda del loro interesse e della loro capacità; allo studio di queste si devono alternare attività fisiche e ludico-estetiche (canto, danza). È interessante notare come Owen proponga anche l’eliminazione delle punizioni e dei castighi (diffusissimi all’epoca) poiché il rispetto della disciplina deve essere ottenuto attraverso una relazione fondata sulla gentilezza.
La pedagogia francese, fra tensioni utopiche e scoperta di nuovi soggetti educativi
Questi stessi temi emergono nella prima metà dell’Ottocento anche nella riflessione del socialismo utopistico francese. Senza dubbio la proposta più radicale e più complessa è esposta da Charles Fourier nel Nuovo mondo amoroso (1809): l’autore parte dalla denuncia delle condizioni di sopraffazione morale e materiale delle classi lavoratrici e dalla critica delle tradizionali istituzioni educative, la famiglia (che crea frustrazioni e corrompe gli affetti) e la scuola (che perpetua i privilegi e le ingiustizie sociali e fornisce un’istruzione arida e astratta). Nel nuovo mondo prospettato da Fourier, uomini e donne vivono riuniti nei falansteri, piccole comunità autosufficienti, ove non esiste il matrimonio monogamico né la morale sessuale tradizionale. L’eliminazione della famiglia porta a un’educazione collettiva fin dalla nascita; i bambini crescono liberamente all’interno della comunità adulta e imparano osservando gli adulti stessi e tentando di imitarli. L’educazione, che deve far emergere gli istinti e deve avvenire comunque a contatto con la natura, prevede la scomparsa della distinzione fra tempo libero e tempo lavorativo, poiché i bambini si dedicano alle attività, per quanto possono, con piacere e per spirito di emulazione. La formazione prevede una trentina di attività e nove gradi di istruzione, dalla nascita ai diciannove anni: essa è fondata inizialmente sul gioco e sull’esperienza concreta; il solo studio ammesso è lo scrivere (considerato attività manuale); la finalità è portare ciascuno a scoprire il proprio istinto e a scegliere l’attività lavorativa che svolgerà.
Accanto a queste riflessioni, la Francia vede emergere anche un interessante dibattito relativo ai soggetti disabili e svantaggiati, sorto soprattutto a seguito del caso eclatante del “ragazzo selvaggio”, un ragazzino dell’apparente età di dodici anni, ritrovato nelle foreste dell’Aveyron in stato di selvatichezza, privo delle facoltà di espressione umana e della normale deambulazione. Dopo la fortunosa cattura, il ragazzo (poi chiamato Victor) viene affidato alle cure del medico Jean-Marc Itard, che sceglie di realizzare un programma non terapeutico, ma educativo, nella convinzione che si tratti di un caso di profondo ritardo dovuto alle condizioni della crescita. Itard, che scriverà due preziose Memorie, attua un programma centrato sull’educazione dei sensi per poter risvegliare l’attenzione, la memoria, il giudizio, e sul rispetto dei bisogni e degli interessi del ragazzo, questi ultimi molto legati alla vita della natura. La riabilitazione di Victor avviene a casa dello stesso Itard, che mette in atto una relazione educativa totalizzante, fondata su un profondo affetto. Il percorso è precocemente interrotto dalla morte prematura di Victor, ma si rivela una pietra miliare nella storia della pedagogia speciale: fino a questo momento, infatti, i soggetti portatori di handicap, affetti da ritardo o da malattie mentali erano rinchiusi in casa o internati in appositi ospedali caratterizzati da pessime condizioni igieniche, da carenze alimentari, da assenze di cure e soprattutto da totale mancanza di finalità educative e di recupero. All’opera di Itard fa seguito, inoltre, quella del medico Edouard Séguin, che sottolinea l’importanza di un’educazione sensoriale e dell’uso delle immagini, la necessità di combinare esercizi fisici, educazione morale e intellettuale, e propone la creazione di scuole fisiologiche all’interno delle quali è fondamentale il materiale proposto. Queste esperienze daranno vita a un dibattito molto intenso e saranno riprese all’inizio del Novecento da Maria Montessori.
Johann Heinrich Pestalozzi e il caso svizzero
La presenza di alcuni dei temi presenti nella riflessione francese e inglese è rintracciabile anche nel pensiero pedagogico svizzero, che conoscerà larga eco nel resto d’Europa, grazie soprattutto alla significativa opera di Johann Heinrich Pestalozzi, il quale sottolinea l’importanza dell’educazione popolare. Nel 1767 fonda a Neuhof una fattoria/filanda ove accoglie orfani, insegnando loro i rudimenti del calcolo, della lettura e della scrittura e impegnandoli nel lavoro agricolo e manifatturiero, in modo da sottrarli allo sfruttamento indiscriminato della nascente industria. L’esperimento si conclude, a causa delle difficoltà economiche, nel 1779 e l’autore si dedica per un ventennio alla riflessione pedagogica, pubblicando, fra l’altro, gli aforismi Le veglie di un solitario e il romanzo Leonardo e Gertrude: a partire da una critica dell’ordinamento sociale e delle istituzioni scolastiche del tempo, sottolinea la necessità di riforme che siano fondate sulla formazione del cittadino, intesa come esercizio della libertà e della partecipazione. Disegna, poi, da un lato, la figura di maestro ideale, animato da un intenso affetto nei confronti degli allievi, e teso a seguire l’esperienza del bambino per fargli conseguire abilità concrete; dall’altro lato fornisce un ritratto ideale anche della figura materna, che diviene il fulcro dell’armonia familiare e la prima educatrice del bambino, a tal punto che alle madri l’autore dedicherà anche altre opere in seguito (Il libro delle madri, Il canto del cigno, Come Gertrude istruisce i suo figli). La teoria di Pestalozzi ricorda, dapprima, come l’educazione debba seguire lo sviluppo naturale del bambino; sottolinea, poi, come il percorso formativo sia fondato sull’intreccio di educazione professionale, educazione intellettuale, educazione morale; propone che l’istruzione avvenga a contatto con le esperienze, valorizzando le circostanze comuni e quotidiane come fonte di apprendimento. A partire da questi principi, nel 1798 fonda a Stans un istituto per orfani organizzato come una famiglia: il maestro incarna tutte le funzioni della scuola e lo strumento educativo è l’amore. All’interno dell’istituto notevole importanza assume ancora una volta il lavoro, inteso come possibilità di esperienza concreta ed educazione alla disciplina. Questo modello è realizzato dal 1805 al 1825 a Yverdon, istituzione che diviene conosciuta in molti Paesi europei e meta di viaggi di studio anche da parte di celebri pensatori del tempo.
John Dewey
Dewey su scuola e educazione
Il mio credo pedagogico
Io credo che:
- la scuola è prima di tutto un’istituzione sociale. Essendo l’educazione un processo sociale, la scuola è semplicemente quella forma di vita di comunità in cui sono concentrati tutti i mezzi che serviranno più efficacemente a rendere il fanciullo partecipe dei beni ereditati dalla specie e a far uso dei suoi poteri per finalità sociali;
- l’educazione è, perciò, un processo di vita e non una preparazione a un vivere futuro;
- la scuola deve rappresentare la vita attuale: una vita altrettanto reale e vitale per il fanciullo di quella che egli conduce a casa, nel vicinato o nel recinto dei giuochi;
- quell’educazione che non si compie per mezzo di forme di vita, forme che vale la pena di vivere per loro stesse, è sempre un inadeguato sostituto della realtà genuina e tende a impastoiare e a intorpidire;
- la scuola come istituzione, deve semplificare la vita sociale esistente; deve ridurla in certo modo a una forma embrionale. La vita esistente è così complessa che il fanciullo non può venirvi portato a contatto senza confusione e distrazione. Esso o è sopraffatto dalla molteplicità di attività che hanno luogo, sì che smarrisce la sua capacità di reagire ordinatamente, oppure è stimolato da queste varie attività in modo tale che le sue facoltà vengono attivate prematuramente ed esso o diventa indebitamente specializzato oppure si disintegra;
- intesa come vita sociale semplificata, la vita di scuola deve svolgersi gradualmente dalla vita domestica; che deve riprendere e continuare le attività che già in casa sono familiari al fanciullo;
- deve proporre queste attività al fanciullo e riprodurle in modo che esso possa gradualmente apprenderne il significato e rendersi atto a fare la sua parte in rapporto ad esse;
- questa è una necessità psicologica, perché è il solo modo di assicurare la continuità dello sviluppo del fanciullo, e il solo modo di dare uno sfondo di esperienze passate alle idee nuove promosse a scuola;
- è altresì una necessità sociale, perché la casa è una forma di vita sociale nella quale il fanciullo è allevato e in rapporto alla quale esso ha ricevuto la sua educazione morale. Spetta alla scuola di approfondire e di estendere il suo senso dei valori collegato alla sua vita domestica;
- molta parte dell’educazione attuale fallisce poiché trascura questo principio fondamentale della scuola come forma di vita di comunità. Essa concepisce la scuola come il luogo dove si impartisce una certa somma di informazioni, dove devono essere apprese certe lezioni e dove devono essere formati certi abiti. Il valore di questi si concepisce come collocato in gran parte in un futuro remoto; il fanciullo deve fare queste cose in vista di qualche altra cosa che dovrà fare, e di cui esse sono la semplice preparazione. Per conseguenza esse non diventano una parte dell’esperienza vitale del fanciullo e pertanto non sono veramente educative;
- l’educazione morale s’incentra in questa concezione della scuola come un modo di vita sociale, che l’addestramento morale migliore e più profondo è precisamente quello che uno ottiene dovendo entrare in giusti rapporti cogli altri in una unità di lavoro e di pensiero. Gli attuali sistemi educativi, in quanto distruggono ovvero trascurano questa unità, rendono difficile o impossibile l’ottenere una genuina e regolare educazione morale (...).
J. Dewey, Il mio credo pedagogico, trad. it. di L. Borghi, Firenze, La Nuova Italia, 1954
La riflessione in area tedesca: la scoperta dell’infanzia, la dimensione estetica e la funzione ideologica dell’educazione, la dimensione teorico-metodologica della pedagogia
Fra i visitatori dell’istituto è da annoverare Friedrich Fröbel (1782-1852), che si dedica a un breve periodo di tirocinio a Yverdon e rielabora poi in forma originale alcuni temi dell’opera di Pestalozzi, dando vita, a partire dal 1839, al Giardino d’infanzia a Blaukenburg. Fröbel si occupa dell’educazione della prima infanzia, a partire dall’idea che il bambino è fondamentalmente buono: compito delle figure educative è quello di far emergere il divino che è insito in ognuno, attraverso il contatto con la natura e attraverso la creatività stimolata da colori, suoni, ritmi, figure. L’attività specifica del bambino è il gioco, che permette l’armonico sviluppo del sé e la possibilità di stabilire relazioni con gli altri. I giardini fröbeliani prevedono spazi attrezzati e il contatto con la natura; il ruolo della maestra giardiniera non è quello di trasmettere contenuti e nozioni, ma quello di guidare le attività senza renderle programmatiche e organiche. I materiali da proporre sono, in particolare, i doni, ovvero diverse forme geometriche (cubo, cilindro, palla, cubetto diviso in mattoncini e così via) attraverso le quali il bambino struttura la propria esperienza ed entra in contatto con la natura. Quest’ultimo aspetto della pedagogia fröbeliana è considerato il più artificioso, mentre altri caratteri (il ruolo di regia educativa della maestra; il rispetto della specificità dell’infanzia; l’importanza del contatto con la natura) ne hanno decretato il notevole successo in molti Paesi europei: il metodo fröbeliano trova diffusione, infatti, in area tedesca e in Francia; in Italia, dopo il 1869, le Scuole Normali per la preparazione delle maestre sono annesse ai giardini di infanzia fröbeliani, per permettervi lo svolgimento del tirocinio.
Accanto alla proposta di Froebel, in area tedesca sono molteplici e interessanti le riflessioni sulle tematiche educative. In particolare, Johann Friederich Herbart si occupa, da un lato, di definire la pedagogia, dall’altro di disegnare un curricolo che abbia come obiettivo la formazione di un uomo come unità armonica e responsabile. La pedagogia, secondo questo autore, deve costituirsi come scienza filosofica: essa ha come fine “il governo dei fanciulli” e collabora con la psicologia (fondata su modelli esplicativi di tipo matematico) e con l’etica (che indica i fini dell’educazione). La natura del bambino è caratterizzata da “selvaggia sfrenatezza” ed educatori e genitori devono saper costruire una relazione fondata sull’equilibrio fra amore e autorità. L’insegnamento deve invece saper rispettare gli interessi dei ragazzi e notevole rilevanza assume l’educazione estetica. Il curricolo scolastico prevede, dopo l’istruzione elementare, il doppio binario delle scuole tecniche e del ginnasio/liceo. Le riflessioni di Herbart hanno notevole eco sia in area tedesca sia in Italia, poiché pongono attenzione al ruolo e alla formazione dell’insegnante, alla necessità di un ordinamento dei processi di istruzione, alla riflessione sui rapporti fra pedagogia, psicologia ed etica.
Altri interessanti considerazioni educative sono, infine, rintracciabili anche nelle opere di alcuni pensatori che non sono specificamente pedagogisti. In particolare, nell’opera di Johann Wolfang Goethe emerge, fra gli altri, il tema della dimensione educativa dell’arte, che è in grado di potenziare la fantasia e di sviluppare le capacità creative del bambino. L’attività estetica si pone, infatti, come sintesi fra intelletto e senso, fra manualità e conoscenza e permette quindi lo sviluppo armonico ed integrale dell’essere umano. Ne La provincia pedagogica Goethe illustra, inoltre, una sorta di utopia pedagogica, descrivendo un luogo dedicato alla formazione dei giovani. Tale comunità attua un percorso educativo a contatto con la vita dei campi, con la finalità di risvegliare le personali predisposizioni di ciascuno; l’organizzazione prevede la sintesi fra attività manuali e intellettuali, in modo che i giovani possano scegliere il lavoro cui dedicarsi; notevole importanza è attribuita all’educazione estetica.
Nell’opera di Karl Marx, infine, numerosi sono gli interrogativi relativi all’educazione, proprio a causa della centralità del nesso fra pedagogia e politica. All’interno del pensiero marxiano, l’educazione e in particolare la scuola rappresentano uno strumento ideologico che esprime la concezione e gli interessi della classe dominante, così come la famiglia ha un’evoluzione storica e dipende dalle trasformazioni sociali. Per riformare in senso comunistico la società, è necessario, quindi, smascherare la funzione ideologica della scuola e riformarla, prevedendo lo sviluppo di capacità manuali oltre che intellettuali e la rilevanza del lavoro. L’istruzione deve essere articolata in formazione spirituale, educazione fisica, istruzione politecnica, con il fine di formare l’uomo onnilaterale, una personalità completa che sa armonizzare tempo del lavoro e tempo libero e che non ha sviluppato solo competenze settoriali.
Tolstoj e l’istruzione popolare nella Russia zarista
La sensibilità per la condizione delle classi svantaggiate e la radicale critica al sistema scolastico caratterizzano anche la riflessione del pensatore e romanziere Lev Tolstoj nella Russia zarista. Secondo l’autore, la scuola esprime gli interessi e i valori delle classi dirigenti, lontane dalle esigenze di un’ampia popolazione di contadini ridotti in miseria. Fonda, quindi, numerose scuole gratuite, basate sulla libertà di apprendimento, su metodi innovativi di insegnamento della lettura e scrittura e sulla centralità degli interessi dei ragazzi. Nel saggio L’istruzione pubblica si schiera contro l’obbligo di scolarizzazione e a favore di un’educazione libertaria e a contatto con la natura.
Il dibattito italiano sulla formazione del cittadino e la nascita degli asili d’infanzia
Riflessioni meno radicali, ma significative e connesse con la questione dell’unificazione nazionale caratterizzano il pensiero pedagogico in Italia. Già nel Progetto di decreto per l’ordinamento della pubblica istruzione (1809), redatto da Vincenzo Cuoco, sono presenti indicazioni precise riguardo alla formazione: l’autore sottolinea che l’istruzione deve essere uniforme, pubblica, sebbene suddivisa in percorsi per molti e per pochi; essa deve essere affidata a maestri preparati e controllata e regolata dallo Stato, che stabilisce anche orari scolastici, programmi e norme per la redazione e l’adozione dei libri di testo. Tematiche simili sono rintracciabili anche nell’opera di Carlo Cattaneo, giornalista e studioso del politecnico: anche questo pensatore sottolinea la centralità dell’educazione e il valore dell’istruzione nel processo di elevazione civile della nazione; a suo parere, è necessario organizzare le scuole disegnando curricoli finalizzati a promuovere una mentalità scientifica, contrapposta alla centralità delle discipline umanistiche che caratterizza la preparazione del tempo.
La sensibilità per le esigenze di emancipazione popolare caratterizza anche le considerazioni del gruppo dei cattolici liberali (Raffaello Lambruschini, Gino Capponi, Niccolò Tommaseo): manca in questi pensatori un intento di riforma sociale radicale, poiché assumono posizioni di moderatismo, ma essi ricordano come l’obiettivo di risollevare le sorti della società e della nazione deve necessariamente passare attraverso la promozione dell’istruzione anche fra le classi popolari, grazie alla riforma del sistema scolastico e all’azione di propaganda educativa svolta con la diffusione di riviste.
Oltre all’ampio dibattito relativo ai curricoli formativi, in Italia si assiste al diffondersi di significative iniziative in campo educativo, prima fra tutte l’opera di Ferrante Aporti (1791-1858), che fin dal 1821 ricopre il ruolo di direttore delle scuole elementari di Cremona, introducendo il metodo del mutuo insegnamento, occupandosi attivamente della formazione dei maestri e promuovendo la diffusione di iniziative di istruzione popolare sul territorio. Nel 1828 fonda il primo asilo infantile a pagamento, cui segue nel 1830 un asilo gratuito, aperto in particolare ai bambini e alle bambine delle classi meno abbienti. La sua opera prosegue a Torino, dove tiene anche un corso di metodo per gli insegnanti elementari presso l’università. Aporti rileva come in Italia il 12 percento dei bambini appartenga a classi svantaggiate e sia privo di accesso alla cultura; si rivolge, pertanto, soprattutto a questi proponendo un metodo che in parte riprende il metodo di Pestalozzi e che prevede una giornata scandita dalle attività di canto, preghiera, disegno, gioco, preparazione alla lettura e alla scrittura e rudimenti di calcolo. Sottolinea, inoltre, la necessità di partire dagli interessi dei bambini per le storie e di utilizzare il metodo dimostrativo; la finalità di questo percorso è quella di offrire alcune elementari cognizioni e di indirizzare la formazione morale dei bambini, favorendo l’acquisizione di atteggiamenti virtuosi. L’opera di Aporti ha notevole successo e porta alla fondazione di numerosi asili per la prima infanzia, nonostante vi siano in Italia anche autorevoli oppositori che vedono tali iniziative come pericolose ai fini della stabilità sociale (si veda il libello Le illusioni della pubblica carità, scritto nel 1837 da Monaldo Leopardi). È da sottolineare, infine, come in Italia, alla fine del secolo e all’inizio del Novecento, si affacceranno iniziative sempre più significative e feconde nel campo dell’educazione infantile: le sorelle Rosa e Carolina Agazzi proporranno un loro metodo di “scuola delle cianfrusaglie”, che precorre i metodi attivi; Maria Montessori già nel 1908 fonderà la Casa dei bambini, realizzazione matura di un impianto teorico molto solido e articolato, fondato sia sull’autonomia della pedagogia e sull’adozione di un metodo scientifico, sia su una proposta originale in merito alle strutture, alle metodologie didattiche, alla formazione delle maestre.